Gli extracomunitari, a questo giro, siamo noi

Spike V

Forumer storico
Nel Canton Ticino la guerra dei "padroncini"
"Gli italiani ci rubano il lavoro"

Sono idraulici, imbianchini, muratori. Vengono da Piemonte
e Lombardia. E costano la metà dei colleghi svizzeri

LUGANO - Gli "extracomunitari", a questo giro, siamo noi. Siamo noi che cerchiamo fortuna oltre confine. Siamo noi che all'alba, le braccia tornite e scoperte, i furgoni stracarichi di roba, superiamo la dogana di Chiasso, salutati, si fa per dire, dallo sguardo un po' annoiato un po' indulgente dei gendarmi del cantone.

Tirare su le case degli svizzeri. Abbellire un giardino. Riparare un boiler. Posare un pavimento. Eccoli i nostri viaggi in Ticino. Altro che shopping di cioccolato e sigarette. Finiti i tempi in cui si andava "di là" solo per fare il pieno di benzina. Oggi la novità è che costiamo meno della metà degli svizzeri. Però dicono che così ammazziamo il mercato, che mandiamo in malora l'impresa locale. Dicono anche che siamo i soliti italiani furbacchioni e un po' maneggioni. Ci chiamano "padroncini", i ticinesi. "Padroncino" vuol dire "lavoratore autonomo", uno che, padrone di se stesso, con pochi mezzi mette in piedi un'azienda e si sposta sul territorio in tempi e modi decisamente concorrenziali. Gli imprenditori e i politici di qui spalmano il concetto; dicono che nella Svizzera italiana ormai la facciamo da padroni. Con la complicità delle leggi, certo. Grazie all'accordo bilaterale sulla libera circolazione della manodopera entrato in vigore l'anno scorso. Risultato: in Ticino è scoppiata la guerra dei padroncini.

È un conflitto silenzioso che deflagra ogni giorno a Lugano, Chiasso, Bellinzona, Mendrisio. Il cantone ha da sempre nell'edilizia il suo punto di forza. Assieme alle banche. Così è stato fino a ieri. Fino a quando Italia e Svizzera hanno deciso che muratori, idraulici, falegnami, imbianchini possono girare liberamente da qua a là. E viceversa. Niente più restrizioni e museruole fiscali. Tiepidi i controlli, pochissime le multe. Non chiedevano di meglio gli operosi lavoratori lombardi e piemontesi: e infatti si sono tuffati nel business. In Ticino gli artigiani italiani hanno trovato l'America. L'80% delle "imprese estere" che hanno invaso la Svizzera italiana vengono dal nostro Nord-Ovest. Migliaia di artigiani e muratori italiani che si sono proposti a prezzi stracciati o comunque nettamente inferiori a quelli della concorrenza indigena. Se per tirare su una parete un muratore ticinese chiede 80 franchi all'ora (poco più di 51 euro), un collega bergamasco o bresciano o comasco si accontenta di prenderne 15. Essendo gli svizzeri tutto tranne che fessi, non è difficile indovinare chi si aggiudica l'appalto.

"La situazione sta diventando pesante - dice Giuliano Bignasca, presidente della Lega ticinese, il Bossi svizzero, uno che se fosse per lui tirerebbe su un bel muro a Chiasso e "poi voglio vedere" - Io ho votato contro il patto bilaterale. Prevedevo che ci avrebbe danneggiati e infatti eccoci qua. A subire l'invasione massiccia degli italiani". Si sta rivelando un bel pasticcio, per gli svizzeri, la globalizzazione dell'edilizia.

Un mese fa nel piazzale di un autogrill di Bellinzona muratori bergamaschi e colleghi del posto se le sono date di santa ragione. Motivo: la concorrenza sleale. Sanno benissimo i lavoratori ticinesi che i loro prezzi non sono paragonabili a quelli dei "magòt". Né possono abbassare le loro richieste: le spese, il materiale, la manodopera, i tetti salariali, hanno costi superiori ai nostri. "Noi dobbiamo rispettare le regole di contratto collettivo, i controlli fiscali e tutto quanto - ragiona Edo Bobbià, direttore della società degli impresari e costruttori ticinesi - Non ho nulla contro la concorrenza estera ma le regole devono essere uguali per tutti. Invece se noi proviamo ad affacciarci sul mercato italiano, ci segano le gambe".

Anche i politici del Cantone si sono accorti che l'accordo bilaterale si è rivelato un boomerang. E non ci stanno. Se la situazione non cambierà (non si capisce come e perché dovrebbe cambiare) minacciano di indire un referendum per l'abolizione della libera circolazione della manodopera. "Dal 1 giugno 2007 cadrà anche il filtro della zona di confine - dice preoccupato Renzo Ambrosetti, presidente della commissione tripartita, l'organismo cui spetta la vigilanza sul mercato del lavoro ticinese - E il problema dei padroncini, che per noi è una spina del fianco, avrà conseguenze ancor più devastanti".

In Ticino l'edilizia dà lavoro a 2000 imprese e a 20mila persone, con un monte salari (senza tecnici e amministrativi) di 800 milioni di franchi. Da quando le porte si sono aperte agli italiani, c'è stato un calo importante: 30-40% in meno. I più cauti in Ticino dicono che è arrivato il momento di correre ai ripari.

Qualcuno si spinge a sostenere che bisognerebbe boicottare le imprese italiane. Già, ma come si fa a chiedere a uno che ha una cucina da piastrellare di sborsare più soldi per difendere l'economia nazionale dalle insidie straniere? Renato Bresciani viene da Treviglio, Bassa bergamasca. Lavora da solo, costruzioni. Quando gli chiediamo se non teme la controffensiva elvetica si mette a ridere: "Noi costiamo molto meno, e poi, non per tirarcela, lavoriamo meglio". Già, vaglielo a dire agli svizzeri. "Lassù di soldi ne girano, da noi ce ne sono pochini - gongola Cornelio Cetti, presidente di Confartigianato e imprese di Como - Credo che se il patto dovessero firmarlo oggi gli svizzeri ci penserebbero bene. Ma mica possiamo sentirci in colpa, noi... Il referendum? Sì, aspettiamo e vediamo".

La sera, alla dogana di Chiasso, il copione si ripete identico ogni giorno: il fiume dei 36 mila lavoratori frontalieri italiani risale la corrente e, superato il valico, si scioglie tra Lombardia, Piemonte e Liguria. Braccia cotte dal sole e tasche piene. I gendarmi buttano un'occhiata distratta. Eccoli, i soliti italiani! Furbi e lavoratori. Alla bisogna, persino "extracomunitari".
 

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