Google non finisce di stupire: certo ad una lettura attenta la trimestrale è apparsa migliore delle attese, ma pochi avrebbero scommesso sul fatto che il titolo del celeberrimo motore di ricerca sul web potesse chiudere la settimana con un impressionante +15% nell’arco di una sola seduta, raggiungendo così i 172,43 dollari per azione, oltre il doppio rispetto agli 85 dollari dell’Ipo di due mesi or sono e ben oltre le più rosee aspettative dei sottoscrittori dell’operazione, in particolare di Csfb, che aveva fissato un target price a 12 mesi pari a 145 dollari per azione. E proprio il sostanzioso sconto concesso dalla società in fase di collocamento (con una capitalizzazione iniziale di 27 miliardi di dollari rispetto alle ipotesi massime di 36 miliardi) sembra alla base di un gradimento che rischia di creare qualche imbarazzo ad un altro celebre titolo web (per di più socio di minoranza della società di Page e Brin), Yahoo!.
Eppure gli appelli alla prudenza in questi mesi non sono mancati, a cominciare dall’analisi con cui pochi giorni dopo il debutto il celebre settimanale finanziario Barron’s ammoniva gli investitori che rispetto agli iniziali 25 milioni di dollari nei mesi successivi all’Ipo rischiava di rovesciarsi sul mercato una massa di titoli dieci volte superiore in conseguenza della scadenza di molteplici lock-up. Ma proprio la relativa scarsità di carta si è rivelata un’altra carta vincente, consentendo al titolo di beneficiare di un “effetto rarità” che ne ha sospinto rapidamente le quotazioni ben oltre il livelli congrui con i fondamentali, che pure mostrano una crescita che si mantiene robusta sia in termini di fatturato sia di utili. L’apparente accelerazione del mercato delle ricerche sponsorizzate su internet e più in generale della pubblicità online ha fatto il resto.
Al di là dei numeri trimestrali (503 milioni di dollari di ricavi netti, contro i 454 stimati da Thomson First Call ed un utile di 70 centesimi che ha battuto la stima media pari a 56 centesimi), è stato proprio il socio-concorrente Yahoo!, che a inizio mese aveva diffuso alcune confortanti anticipazioni sui propri risultati trimestrali, a far maturare un clima di fiducia circa l’andamento attuale e soprattutto potenziale del mercato delle ricerche a pagamento, una delle principali fonti di reddito di Google. Quanto al flottante effettivo, dei 27,2 milioni di azioni che a fine settembre risultavano sul mercato 9,5 milioni erano nel portafoglio di investitori istituzionali come Legg Mason e Fidelity, riducendo così a circa 18 milioni (ma probabilmente meno, poiché anche altri gestori avranno voluto inserire il titolo nei loro portafogli a più alto profilo di rischio) il numero di titoli effettivamente in circolazione. Per intenderci, giovedì scorso sono state scambiate 26 milioni di azioni e nella seduta successiva altri 16 milioni. Al confronto Yahoo! è un titolo infinitamente più liquido, visto che a fronte di scambi pari in media a 19-20 milioni di titoli al giorno vede sul mercato un flottante costituito da circa 1,1 miliardi di azioni. Entro novembre, però, Google vedrà piovere sul mercato altri 39 milioni di azioni (oltre il doppio del flottante effettivo, dunque), il che potrebbe definitivamente soddisfare quella parte della domanda legata agli investitori istituzionali.
Intanto però gli analisti aggiustano il tiro arrendendosi all’evidenza di un titolo che continua a piacere al mercato. Così Prudential ha alzato a 200 dollari il proprio target price (dai precedenti 130 dollari), sulla base del fatto che la società sembra in grado di conquistare ulteriori quote di mercato nel campo delle ricerche sponsorizzate. Decisione analoga da parte di Schwab SoundView (da 180 a 200 dollari per azione), mentre altri broker come Sg Cowen pur senza esprimere un target price hanno dato giudizi positivi in particolare per l’ottimo andamento delle attività internazionali del gruppo. Da Sg Cowen viene tuttavia anche un’ultimo avvertimento: Google appare un titolo particolarmente rischioso, dato che a breve si attende la discesa in campo di Msn (Microsoft) nell’arena delle ricerche a pagamento, oltre che per il fatto che le attuali quotazioni hanno ormai perso ogni aggancio con la realtà dei fondamentali, almeno per quanto riguarda la prevedibile evoluzione a breve dei conti della società.