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YARA: CANI MOLECOLARI E ARRESTO DI UN INNOCENTE PER PROTEGGERE I POTENTI
A BREMBATE SANNO DA 4 ANNI CHE YARA E' STATA UCCISA DENTRO GLI SPOGLIATOI DEL…
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...e dopo aver scoperto che ill video del furgone è UN FAKE....ORA....

bomba sul caso yara: il dna della sua insegnante trovato sulla giacca, e' sangue
1. PROCESSO A BOSSETTI, NUOVO COLPO DI SCENA:
 SULLA GIACCA DI YARA C’È IL SANGUE DI UNA SUA AMICA? Giangavino Sulas per 
www.oggi.it…
dagospia.com
quella pista che letizia ruggeri pubblico ministero del processo yara bossetti NON ha VOLUTO ACCETARE anche se gli indizi erano chiari
1. UNA NUOVA BOMBA SCUOTE IL CASO YARA: SULLA SUA  GIACCA C'ERA ANCHE IL SANGUE DI SILVIA BRENA, L'INSEGNANTE DI GINNASTICA  CHE AL PROCESSO HA DETTO DI ''NON RICORDARE''
 2. L'AMMISSIONE VIENE DAL CAPITANO DEI RIS, INCALZATO DAI DIFENSORI DI  BOSSETTI: ''ABBIAMO ESCLUSO CHE SI TRATTI DI SALIVA O ALTRO MATERIALE  BIOLOGICO. È POSITIVA AL SANGUE''
 3. NON SOLO: ''NON È UNA TRACCIA LASCIATA PER CONTATTO. È QUALCOSA DI PIÙ CORPOSO''
 4. QUINDI PARECCHIO SANGUE. DELLA RAGAZZA CHE DUE MESI FA IN UDIENZA PER  15 VOLTE HA DETTO DI NON RICORDARE NIENTE DI QUEL FATALE POMERIGGIO:  L'SMS MANDATO AL FRATELLO E POI CANCELLATO DA ENTRAMBI, IL PIANTO A  CASA, LE AVANCES RICEVUTE IN PALESTRA
 5. TUTTE LE TESTIMONIANZE DICONO CHE QUANDO È ENTRATA NEL CENTRO  SPORTIVO, YARA NON AVEVA LA GIACCA, SILVIA NON RICORDA DI AVERLE  PARLATO, E DICE DI ESSERE ANDATA IN UN ALTRO PIANO A FARE DEGLI  ESERCIZI. MA ALLORA QUEL DNA DA DOVE ARRIVA? ''NON LO SO''
 		
 	 		1. PROCESSO A BOSSETTI, NUOVO COLPO DI SCENA: SULLA GIACCA DI YARA C’È IL SANGUE DI UNA SUA AMICA?
    Giangavino Sulas per www.oggi.it 
     
    
Nuovo,  ennesimo colpo di scena al processo contro Massimo Giuseppe Bossetti,  imputato per il delitto di Yara Gambirasio. Dopo il clamoroso scivolone  sul video-falso del furgone del muratore di Mapello, 
ora si scopre che sulla  giacca della 13enne di Brembate ci sono delle macchie di sangue.  Appartengono a Silvia Brena, una delle insegnanti di ginnastica di Yara
È SANGUE – Dodicesima udienza per l’omicidio di Yara  Gambirasio ed ennesimo colpo di scena. La traccia genetica scoperta 
sul  polsino del giaccone di Yara con il Dna di Silvia Brena, una delle  insegnanti di ginnatisca della ragazza, non è di saliva o di altro  materiale biologico.
     
    «È  positiva al sangue, abbiamo escluso che sia saliva o altro materiale  biologico», ha rivelato, incalzato dalle domande dei difensori di  Bossetti, il capitano Nicola Staiti, uno degli ufficiali del Ris di  Parma che ha firmato la relazione su tutte le attività di indagine  scientifica. 
E non può che essere una traccia lasciata nelle ultime ore  di vita di Yara perché ha resistito molto bene a tre mesi di intemperie,  pioggia e neve.
     
    IL  DNA – «Non era stata dilavata», ha aggiunto il capitano. «Aveva un  profilo complesso. L’abbiamo trovata perché sul polsino del giaccone  abbiamo notato alcuni aloni scuri. Così abbiamo scoperto che si trattava  di una traccia genetica. 
Era il Dna della Brena». 
Ma può essere una  traccia lasciata per contatto?, ha chiesto l’avvocato Claudio Salvagni. 
«Lo escluderei», ha risposto l’ufficiale, «È qualcosa di più corposo».     
    
  silvia gazzetti e massimo salvagni avvocati di massimo bossetti 
    
“NON  RICORDO” – Silvia Brena già era comparsa in aula come testimone e ad  almeno dieci domande rispose: «Non ricordo». Adesso i difensori di  Bossetti quasi certamente chiederanno che torni in aula a tentare di  spiegare come mai sul giaccone di Yara ha lasciato una traccia di  sangue. 
Prima di questo colpo di scena il capitano Staiti e il suo  collega Fabiano Gentile avevano parlato a lungo del Dna di Bossetti  scoperto sugli slip di Yara. Lo hanno definito un «profilo perfetto e  completo», non c’è margine di errore, è il Dna di Massimo Bossetti.
     
     
     
    
2. SILVIA BRENA: ''NON MI RICORDO. NÉ I MESSAGGI CON MIO FRATELLO, NÉ QUELLO CHE DISSI IN QUEI GIORNI. NON RICORDO NULLA''
    
Dall'articolo di Luca Telese per ''Libero Quotidiano'' del 14 settembre 2015
    http://www.dagospia.com/rubrica-29/...-amiche-yara-processo-silvia-brena-108541.htm 
     
    
  yara gambirasio 
    «Sa  che cosa c’è? Non so cosa risponderle: non mi ricordo». Silvia Brena è  bella. Ma Silvia Brena è terribilmente evasiva. Silvia Brena sorride e  allarga le braccia, sul banco dei testimoni del Tribunale di Bergamo, e  tutti i riflettori si stringono su di lei. Se in questo processo non  fossero vietate le riprese televisive, oggi sarebbe già diventata una  star dei programmi del pomeriggio. È la quindicesima volta consecutiva  che Silvia ripete di non ricordare quello che lei stessa aveva  testimoniato agli agenti. Gli avvocati Paolo Camporini e Claudio  Salvagni la stanno sottoponendo a un quarto grado di quelli che nemmeno  Perry Mason.
     
    La  domanda è una di quelle importanti: «Ricorda di essersi scambiata un  messaggio con suo fratello, alle 18.35?». Risposta: «No». Domanda: «E  ricorda di averlo cancellato subito dopo?». E lei: «No, non ricordo».  Domanda: «Ma non è strano che sia lei che suo fratello abbiate entrambi  cancellato solo quello?». Risposta: «Sì, forse. Ma se io non ricordo….».  Le chiedono: «Ricorda di aver visto Yara, seduta in palestra?». «Se  l’ho detto doveva essere così».
     
Ancora gli avvocati: «Ma si ricorda almeno di aver  detto di aver ricevuto delle avances in palestra?». «No, non ricordo».  Salvagni cela nei toni garbati uno moto di stizza: «Ma come può aver  dimenticato? Le leggo la sua deposizione!». E allora lei: «Ah, sì,  adesso che me lo dice, mi ricordo». Si ricorda di aver pianto, a casa,  la sera della scomparsa, come ha raccontato suo padre?
     «No,  non ricordo. Ma se lui l’ha detto è possibile». È come un giallo, un  mistero, ma anche come un film. È come un labirinto in cui si perde,  come una lavagna cancellata. Le amiche di Yara, le sue compagne di  palestra. Tutte carine, tutte sveglie, tutte capaci di esprimersi in un  italiano compito, forbito, prive di qualsiasi inflessione dialettale.     
    Sono  l’altra faccia di questo processo: nulla a che vedere con la bergamasca  tribale, segreta, talvolta torbida, rivelata dall’inchiesta: sono  perfette, si assomigliano, potrebbero essere uscite dal casting una  serie americana, hanno i capelli giusti, gli occhi che brillano, un look  acqua e sapone. Solo che 
c’è anche questo dettaglio: dicono tutte di  non ricordarsi nulla.
    
     
    Silvia  Brena ha un sorriso solare, disarmante, che non corrisponde con  l’espressione corrucciata del suo viso, a tratti terreo e pietrificato.  Silvia in tribunale a Bergamo usa quel sorriso come un soldato spartano  incastrato in una falange userebbe il suo scudo: per proteggersi. Silvia  è u
na delle testimoni chiave che sfilano tra il pomeriggio e la sera  della seconda giornata del processo per il delitto Yara. 
Silvia è  l’unica persona - oltre a Massimo Bossetti - che ha lasciato il suo Dna  sui vestiti di Yara. Sulla manica del giaccone, per l’esattezza. 
Tutte le  testimonianze dicono che quando lei è entrata in palestra Yara non aveva  la giacca, lei non ricorda di averle parlato, e dice di essere andata  in un altro piano a fare degli esercizi. Ma allora 
quel Dna da dove  arriva? «Non lo so».
     
        È  un processo strano, quello di Bergamo: la mattina di venerdì si faceva a  pugni per entrare in aula, il recinto dei giornalisti era affollato, le  parabole dei tiggì hanno fatto gli straordinari per coprire le  testimonianze del padre e della madre. Ma quando dopo una maratona  devastante iniziano a sfilare le amiche e le ex compagne di corso di  Yara, a sentirle non c’è quasi più nessuno. Ecco Daniela Rossi, una  delle maestre: «Quando la mamma di Yara mi chiamò la prima volta non mi  sono preoccupata, pensavo che Yara si fosse fermata a salutare  qualcuno».
Ecco una ex compagna, Ilaria Ravasio, due di loro  sono ancora minorenni. Durante l’udienza la testimonianza della Brena  diventa il pretesto per un corpo a corpo tra legali e presidente della  corte degno di un capitolo di Grisham: «Signorina Brena, vorrei  chiederle. Lei ha usato la macchina tornando a casa?». E la presidente:  «Avvocato Salvagni, questa domanda non è attinente!». E il legale di  Bossetti: «Mi oppongo, signor presidente: se non è attinente la  testimonianza dell’istruttrice di Yara, che cosa lo è?». Risposta:  «Allora faccia domande su Yara, non sul privato della teste». Mugugno:  «Allora riformulo: Signorina Brena, dopo aver lasciato Yara, che mezzo  ha usato per uscire…?».
     
    
  yara gambirasio 
    
E  si continua così, con toni da legal thriller, ma con l’inesorabile  consequenzialità di ogni mossa, come se si trattasse di una partita a  scacchi. Avevo letto le testimonianze rese nel 2010 da Silvia e dalle  altre ragazze. Ma fino a che non ho sentito il racconto della mamma di  Yara, e fino a che non le ho viste in Aula, non avevo capito quanto  potessero essere importanti. Intanto c’è un dato anagrafico: leggevi  maestra, nei fascicoli, ma solo con il processo capisci che le «maestre»  non erano donne fatte, ma ragazze di diciotto-venti anni, che  imparavano dai grandi e insegnavano alle piccole. Oggi le amiche di Yara sono appena diventate  maggiorenni, e hanno l’età che il giorno del delitto avevano le loro  istruttrici: anche Yara oggi avrebbe diciotto anni.    
 
     
    Le  prime e le seconde, e la media tra ieri e oggi è il punto medio di una  generazione. Mi colpisce moltissimo anche la testimonianza di Martina  Dolci. Ha diciotto anni, uno sguardo spaurito da cerbiatta. Martina in  questo processo è un teste decisivo perché è lei che ha ricevuto  l’ultimo messaggio di Yara, l’ultimo contatto in vita. La mattina mamma  Maura Panarese, la signora Gambirasio aveva descritto il legame di ferro  di queste tre amiche, che con regolarità sorprendente mangiavano  insieme, andavano in palestra insieme, giocavano insieme, partecipavano  alle gare insieme. L’avvocato Camporini chiede a Martina: «Ricorda di  aver ricevuto il messaggio di Yara?».
     
        E  alllora anche lei allarga i suoi occhi stupiti da cerbiatta: «No, non  ricordo». Mi chiedo: ma come è possibile? L’evento più grande e  terribile della sua vita, dimenticato così? «Ricorda se Yara aveva degli  amori, se parlava di ragazzi?». E lei: «Veramente noi parlavamo poco di  cose private, solo di ginnastica». L’avvocato è incredulo: «Ma non  eravate amiche per la pelle?». E lei: «I nostri rapporti dipendevano  soprattutto dalla ginnastica».
    
 
    È  a questo punto del pomeriggio che mi chiedo: 
hanno solo paura o  nascondono qualcosa? Anche Laura Capelli era stata una maestra di Yara,  anche lei ha oggi venticinque anni. È lei che aveva avvisato Silvia  Brena, quella sera. Anche Laura è carina, seria, scrupolosa. Ma a tratti  anche lei non ricorda bene: «Capisce, è passato tanto tempo». Le  chiedono: «Ricorda che il fratello della Brena frequentasse il centro?».  Risposta: «No, assolutamente». Allora l'avvocato Camporini si  spazientisce: «Ma come? Se nella testimonianza aveva detto che aveva  lavorato al bar!».
E  lei: «Ha ragione, avevo dimenticato».
 La mattina, la signora Gambirasio  aveva rivelato una circostanza incredibile:
 la tata di Yara, che le  dava una mano a casa, e che nel tempo era diventata una delle sue  migliori amiche, era la signora Aurora Zanni. Ma
 la signora Zanni era  anche la moglie del cugino di Giuseppe Guerinoni, l’autista che nel 1969  aveva avuto una storia con Ester Arzuffi. 
Guerinoni è il padre naturale  di Massimo Bossetti.
Fa un po’ di impressione scoprire che il figlio di  Aurora, Damiano, all’epoca ventenne, fosse un habituè della casa dei  Gambirasio. Il ragazzo nei giorni del delitto era nel Mato Grosso, ma  frequentava un luogo cruciale di questo delitto, la 
discoteca «Sabbie  mobili». Sarebbe sua la traccia di Dna da cui si è risaliti alla  Arzuffi, e quindi a Bossetti. Anche Silvia Brena in aula ripete:  «Frequentavo la discoteca Sabbie mobili».
     
    Il  corpo di Yara è stato ritrovato nel campo di Chignolo, esattamente di  fronte alla discoteca.
 Chiedono alla Brena, ancora una volta: «Si  ricorda dove è stato ritrovato il corpo di Yara?».
 La risposta, so che  non ci crederete, è: «No, non mi ricordo».
 
Ho ascoltato con attenzione  la mamma di Yara. Mentre parla Silvia ripenso alle sue parole. 
Sono  rimasto stupito dal rigore della signora Maura, dalla sua meticolosità,  dalla sua precisione.