I Figli della Luce.

l'omelia

Quelli che fanno il male, lo fanno bene
La parabola non è detta, come abbiamo precisato, per descrivere il Regno di Dio, ma per descrivere le cose di questo mondo; e il motivo per cui le cose di questo mondo devono essere descritte nella parabola è perché esse sono funzionali ad un confronto con il comportamento dei figli della luce, e il termine di questo confronto si chiarirà successivamente. Nella nostra parabola, dunque, non cercheremo, e non dovremo cercare, i misteri del Regno, perché essa vuole stabilire solo un processo di confronto tra i due regni, confronto da cui scaturirà l'insegnamento da comprendere. Sul piano strutturale, possiamo facilmente suddividere la parabola in sei parti o microtesti:
1. un'inquadratura al v. 1 dove vengono presentati i personaggi: l'uomo ricco e il suo amministratore;
2. un primo dialogo in cui il proprietario interpella l'amministratore (v. 2);
3. un monologo in cui l'amministratore considera tra sé e sé la sua situazione (v. 3);
4. un secondo dialogo in cui l'amministratore interpella i debitori e decurta i loro debiti (vv. 5-7);
5. due conclusioni che offrono la chiave di interpretazione dell'intero brano (v. 8):
prima conclusione: v. 8a, il padrone ammira la furbizia del suo ex-amministratore;
seconda conclusione: v. 8b, Cristo indica la via di un confronto, nel quale coloro che sono a servizio del Regno di Dio appaiono più ingenui e meno impegnati di quanto non lo siano i figli delle tenebre nel loro servizio a Satana.
All'interno appaiono, da un punto di vista teologico, particolarmente significativi i versetti 3-4: "L'amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione?…". Comincia qui un monologo, una meditazione dell'amministratore, il cui risultato sarà quello di danneggiare ulteriormente il suo padrone, per poter scansare lui le conseguenze nefaste della sua personale disonestà; creando un legame di riconoscenza nei suoi confronti con quei debitori a cui egli chiede una somma minore, si assicura l'aiuto di qualcuno a cui potrà rivolgersi in caso di necessità. Questo qualcuno lo aiuterà non per amore o per compassione, ma perché obbligato da un vincolo derivante dal favore illecito che egli ordisce ai danni del suo padrone. Questi versetti 3-4 descrivono l'amministratore in un atteggiamento di profonda meditazione; quest'uomo disonesto si mostra capace di interiorità, capace di fermarsi per riflettere, ma la sua meditazione, purtroppo, procede nella direzione del male.
Il significato teologico di questa immagine è che la persona non è mai veramente responsabile, se non di quello che lucidamente decide; ci sono alcuni che cadono in uno stato di scrupolo o di senso di colpa, semplicemente per un pensiero negativo che ha attraversato la loro mente. Dal punto di vista di Gesù, nessun uomo è responsabile dei sentimenti o dei pensieri che lo attraversano; la persona comincia ad essere responsabile quando, come questo amministratore, dirige i propri pensieri e la propria intenzionalità verso un fine prestabilito. L'amministratore dirige la sua meditazione appunto verso il male. Nella consapevolezza del suo fallimento quest'uomo cerca una soluzione, la cerca però all'interno di una serie di criteri mondani, che egli aveva già applicato in passato, da uomo navigato quale è. Come è diverso questo rientrare in sé dell'amministratore, per meditare, dalla riflessione del figliol prodigo, che lo stesso Luca descrive nella parabola narrata del capitolo precedente. Sembra che Luca abbia voluto mettere in contrasto due modi di meditare, uno che concepisce intenzionalmente il male e lo programma con lucidità, e uno che invece procede nella linea della verità, nel riconoscimento di se stessi e del proprio peccato, per attendere un perdono che ripristini tutti gli equilibri del passato: è questo, infatti, il senso della meditazione del figliol prodigo, che differisce sostanzialmente da una meditazione priva di verità, priva di riconoscimento del proprio reale stato; una meditazione orientata in sostanza verso la falsificazione. C'è un altro elemento che va notato, l'amministratore, così come il figliol prodigo (le due figure accostate in due capitoli 15 e 16, in parallelo), sono due personaggi in cui la provvidenza e la pedagogia di Dio si manifestano misteriosamente attraverso una sventura. Il figliol prodigo rientra in se stesso, quando la sventura lo colpisce e lo getta in uno stato di assoluta povertà. Così, anche l'amministratore attraversa un momento di grazia, quando la sventura lo colpisce, ma senza rendersi conto del dono che la sofferenza rappresenta per lui. Il suo padrone lo smaschera nella sua disonestà e a questo punto lui si trova inevitabilmente a un bivio: o imboccare la via della verità e riconoscere la propria colpa, dando così una svolta alla propria vita, oppure aggiungere falsità a falsità, nel tentativo di farla franca. La sua decisione andrà in quest'ultima linea. Questi due personaggi antitetici, il figliol prodigo e l'amministratore disonesto, indicano come spesso, nella vita dell'uomo, il passaggio di Dio abbia lo strano volto di una sventura, di un improvviso rovescio di fortuna, che crea le basi di un rientro in se stessi, conducendo il pensiero verso una riflessione matura. Ma il risultato di questo passaggio del Signore dipenderà dalla direzione in cui l'uomo spinge la sua meditazione. Il figliol prodigo si muoverà verso la verità e l'amministratore disonesto verso la menzogna. In sostanza, quest'uomo, che si trova ad un bivio cruciale e determinante proprio quando viene smascherato nella sua vita senza valori, non sa fare tesoro di questa occasione e orienta la sua riflessione verso la progettazione di una ulteriore frode. In tal modo sciupa l'occasione che Dio gli aveva preparato per ridefinire lo stile della sua esistenza.Qui cogliamo ancora un altro aspetto meritevole di attenzione: nel momento in cui l'amministratore progetta una sua salvezza personale mediante la frode, c'è qualcuno che ne paga le conseguenze: il suo datore di lavoro viene ulteriormente danneggiato. Dietro quest'immagine cogliamo una verità perenne, che si realizza puntualmente non soltanto nel mondo del lavoro, ma anche nei ministeri esercitati all'interno della Chiesa e più in generale in tutte le relazioni umane. La verità costante alla quale ci riferiamo è questa: tutte le volte che qualcuno non fa il proprio dovere, c'è sempre un altro che ne paga le conseguenze; per un motivo o per un altro, un dovere compiuto senza perfezione, colpisce qualcun altro e lo danneggia. A maggior ragione se, come nel caso dell'amministratore, questo dovere venga sostituito da scopi illeciti, o da sotterfugi per salvare se stessi dalle conseguenze negative delle proprie disonestà o incompetenze o omissioni. Ed è proprio questa la strategia dell'amministratore: la soluzione che trova, in definitiva, consiste nel non assumersi le sue responsabilità personali e nello scansare i guai che deriverebbero dalle sue colpe passate. Queste due caratteristiche sono perennemente presenti in tutti gli uomini senza scrupoli, quella di far pagare agli altri le conseguenze dei propri sbagli, e il tentativo di scansare qualsiasi genere di sacrificio. Al v. 8 giunge la prima conclusione della parabola. Gesù descrive questo quest'uomo ricco che, pur frodato dal suo amministratore, avendo preso coscienza della sua scaltrezza, tuttavia lo loda: "Il padrone lodò quell'amministratore disonesto perché aveva agito con scaltrezza". E poi, la seconda conclusione è Gesù stesso che la trae dall'insieme del racconto: "I figli di questo mondo, infatti, vero i loro pari sono più scaltri". Il compiacimento del padrone esprime il fatto che i servi delle tenebre tra di loro non si amano, però si riconoscono uguali, e in qualche modo apprezzano reciprocamente la loro malizia, in quanto su di essa costruiscono i loro troni. Per i malvagi è insopportabile un uomo giusto, anche se egli non li ha danneggiati in qualcosa, ma un uomo iniquo è sempre apprezzato da colui che nella vita ha fatto la stessa scelta, anche quando viene da lui danneggiato, come appunto in questo caso. La Scrittura ripete in diversi modi che soltanto l'uomo onesto è insopportabile, per coloro i quali hanno fatto una scelta di disonestà. I malvagi tra loro si odiano e nello stesso tempo si apprezzano. Infatti, questo imprenditore, al posto del suo amministratore, avrebbe fatto lo stesso; riconosce se stesso e le proprie scelte nelle soluzioni applicate dal suo amministratore per risolvere i propri guai. Quindi lo loda.È qui che Cristo inserisce la chiave di lettura più importante di tutta la parabola: "I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri". Cristo intende dire che, se tutti i servi del Regno ci mettessero, nel fare il bene, tanto impegno quanto i figli delle tenebre ce ne mettono per servire Satana, e se riuscissero a faticare tanto per portare un'anima a Dio, per quanta fatica fanno i servi di Satana per uccidere e per distruggere, certamente il mondo cambierebbe rapidamente.


E' una parabola alquanto sconosciuta ma molto più bella di quella del figliol prodigo a cui si contrappone (mia opinione)
 
oddio... anche il vecchio Salvy aveva spesso la mentalità del bottegaio: "adorami che ti conviene, che io ti ricompenso, che io ti pago bene"... lo stesso San Giovanni buonanima quando immaginava il Paradiso descriveva una specie di Villa Certosa...e poi Pascal e il suo pari da bancario...
 
ho ingrandito solo una parte perchè si riallaccia ad un altro thread

ho sottolineato per una lettura veloce

ci sono cose che possono leggere e piacere anche agl'atei. "i servi delle tenebre (scaltri) non si amano ma si riconoscono e si apprezzano."
 
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ho sottolineato per una lettura veloce

ci sono cose che possono leggere e piacere anche agl'atei. "i servi delle tenebre (scaltri) non si amano ma si riconoscono e si apprezzano."

s'era capito ch'eri molto appassionata della castrazione e dei sessi piccoli...
 

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