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IL POPOLAMENTO ANTICO
GLI EBREI NON SONO STATI I PRIMI ABITANTI DELLA PALESTINA E NON NE SONO MAI STATI GLI ABITANTI ESCLUSIVI.
Nella zona sirolibanopalestinese c’erano quelli che chiamavano sé stessi cananei e il paese Canaan, gruppi etnicamente compositi che però avevano la stessa lingua e la stessa cultura.
Sono gli stessi che poi i greci chiameranno Fenici, ma già gli egiziani chiamavano fenukki.
In seguito ci arrivano i Filistei, Pelešet, genti più tecnologizzate - che erano probabilmente venute da Creta, in cui erano giunte dall’Anatolia - portatori di una tecnologia del ferro più avanzata di quella già presente, ma a cultura inferiore, tant’è che adotteranno la lingua dei cananei.
Questi cercano di stabilire la loro egemonia sulle città cananee rimaste, nelle zone di coste e vallate, mentre nelle zone più interne si sviluppano villaggi e cittadine fortificate, con disboscamenti, terrazzamenti e sfruttamenti idrici tipici della prima età del ferro, ad opera di gruppi di origine tribale e pastorale, cioè di cultura più arcaica, che così si sedentarizzano, a cui i aggiunsero, POSTERIORMENTE all’arrivo dei Filistei, dalla Siria (non dalla bassa Mesopotamia, da una Ur di Siria) dei gruppi sempre di pastori seminomadi siriani, e gli habiru (= rifugiati)*, quella categoria sociale costituita dal personale, a status giuridico di semischiavitù, dei palazzi e dei templi, che la crisi di questi lascia libera. O meglio furono le componenti meno istruite di questo personale, quelle che venivano impiegate in ruoli di polizia, di esazione tributi, etc. ad aggregarsi alle tribù dei villaggi, perché gli esperti - gli ummanu in assirobabilonese - essendo preziosi e poco sostituibili, vengono sempre reimpiegati anche dopo i cambiamenti di regime
* Il termine habiru, in Mesopotamia e in Egitto, indica quei fuorusciti, quegli scacciati dalla tribù, esiliati dal territorio tribale e accompagnati oltre il confine fluviale, senza diritto di ritorno, che riuscivano - entrare in territorio tribale altrui senza lasciapassare vuol dire essere uccisi - a rifugiarsi nella corte del re, nel dalam dello sceicco, del sultano, nel santuario del dio con diritto di asilo (città bianca) etc. e che diventavano schiavi del re, (o sceicco, sultano ...) o del santuario (letteralmente schiavi del dio e in epoca cristiana schiavi del santo) e sono chiamati anche figli della città. (Le città bianche erano le città d’asilo, città senza asilo invece sono le città rosse, città di guerra, fortificate, come probabilmente era Dimini, in Tessaglia)
Gli habiru erano dei detribalizzati: cioè avevano perso il nome e la protezione della loro tribù, e assumevano dei nomi caratteristici, anche dei nomi di clan caratteristici.
In genere costituivano una specie di guardia speciale o un corpo speciale di dipendenti, spesso utilizzati per rastrellare tributi dai villaggi. Ricevevano protezione (non potevano essere estradati, né raggiunti dalla vendetta di sangue) ma diventavano schiavi per sempre, loro e i loro discendenti e potevano sposare solo persone della loro condizione. Dovevano vivere in villaggi e città a loro riservati senza contatti con la popolazione tribale. Ma schiavi regi erano anche gli artisti di corte, i contabili di corte e del tempio (la banca della dinastia clanica o tribale), insomma categorie di dipendenti regi non liberi anche molto diverse tra loro.
Potevano anche essere deportati in territori conquistati per costituire colonie che dovevano però restare isolate in mezzo alle popolazioni locali. Venivano usati come quinte colonne, come enclaves poste tra popolazione malfidate - malfidate dal punto di vista degli imperi. Poiché il sistema è universale gli ebrei appunto non costituiscono una popolazione ma piuttosto una categoria sociale di semischiavi, vincolati a determinati obblighi (la Legge) e fruenti di determinati privilegi, tra l’altro quello di potersi sposare e avere figli, che in genere era interdetto agli schiavi, nei tempi più antichi.
LA BIBBIA (TA BIBLA= I LIBRI)
Nel XII sec. non c’è più un potere centrale unificante. Proprio a questa epoca si riferiscono quei racconti di fondazione giustificativi di determinati riti e quelle strutture genealogiche che dovrebbero regolare i rapporti politici intertribali (con una delimitazione artificiale che relega altri gruppi in collocazioni inferiori) che vengono riportate dalla Bibbia.
Questi racconti vengono redatti (VI sec. aC) in epoca molto posteriore a quella degli avvenimenti (XII sec aC) narrati; sono basati su dati indiretti e incerti, e sono deformati dagli scopi politici precisi, e di quel momento politico, dei circoli di potere che li hanno redatti.
Uno degli scopi è il sostegno alle pretese territoriali dei reduci dall’esilio babilonese sui gruppi che erano rimasti in Palestina; un altro sono le polemiche pro e anti-monarchiche del VI sec. In realtà una “ età dei Giudici” precedente quella monarchica non è mai esistita perché ci sono sempre stati dei Re in Palestina. Un altro elemento anacronistico è la proiezione indietro nel tempo di una situazione religiosa che è del VII, VI sec. aC e che si è determinata progressivamente nel tempo: lo yahwismo come religione monoteistica e gli israeliti presentati come un gruppo che entra nella Palestina già perfettamente strutturato, come lega di tribù con magistrati comuni.
Il patto (berit) tra Yahwe e il suo popolo riecheggia i patti (di vassallaggio) del Tardo Bronzo tra Grande Re e piccolo Re, col dio Yahwe al posto del grande Re e il popolo al posto del piccolo Re e con le modifiche imposte dall’epoca e dalla situazione diversa. Col dio (inconoscibile) al posto del Faraone o del Re assiro nella realtà si consolida ulteriormente quello stato di semischiavitù di questo popolo (cioè di questa categoria sociale locale) con l’aggravante che, in questo modo, questi non sapevano neanche a chi in realtà erano asserviti, anche se, al di fuori di templi e palazzi, si trovano in condizioni di maggiore autonomia quotidiana.
Insomma invece di essere soggetti ai regolamenti dei templi e dei palazzi come dipendenti asserviti, tutti costoro vengono vincolati dalla Legge religiosa, presentata anzi come un privilegio esclusivo. E’ quello che succederà più tardi ai cristiani: gli schiavi riscattati, ricomperati (redempti), salvati perciò dalla schiavitù, dovevano ringraziare il cielo di diventare soltanto degli affrancati semischiavi nelle comunità di eguali soggette all’imprenditore (redemptor) che ne aveva la gestione e li affittava oppure li impiegava negli appalti di grandi opere pubbliche commissionate da re, santuari, principi, etc.
Nell’inesistente Periodo dei Giudici viene così collocata la nascita di quella Lega tribale tenuta insieme da comunanza di sangue e di culto che lotterebbe con le residue città-Stato cananee e con gli altri gruppi nazionali emergenti, che invece prende consistenza verso il 1000 ed evolve, con David, nella monarchia istituzionale. Con questa si ritorna allo Stato territoriale, che stavolta però abbraccia tutta la Palestina, che prima era frammentata in tante città-Stato e in cui ora prevale l’elemento israelita su tutte le altre componenti etnico-politiche. Questo Stato si estenderà, con una politica di espansione militare: ai due regni di Giuda e di Israele si aggiungono la città-Stato di Gerusalemme, elevata a capitale ed altri territori. Anche se la tradizione sopravvaluta l’estensione del regno davidico questo si pone, nella regione siro-palestinese del X sec, in una posizione di preminenza.
Si ricrea una situazione in cui il Palazzo costituisce il nucleo dello Stato mentre il resto della popolazione, spinto ai margini della vita politica, è solo fonte di tasse, di contribuzioni e di lavoro. La situazione si accentua con il successivo regno di Salomone. Nella capitale si costruisce un palazzo reale e un annesso piccolo tempio di Yahwe, con dei sacerdoti che sono dei dipendenti regi. Questo rappresenta il culto ufficiale e la divinità dinastica, in contemporaneità ma non in opposizione con altri centri e con altri culti presenti nel paese. Il regno viene diviso in 12 distretti fiscali – artificiosi dal punto di vista etnico e storico - imponendo a tutti un sistema di sottomissione a cui i cittadini erano già abituati, ma a cui i gruppi tribali si ribelleranno.
Successivamente i due regni base originari – Giuda e Israele - si dividono di nuovo, e il regno di Giuda, raccolto intorno alla capitale, rimane fedele alla dinastia di David. Gerusalemme mantiene un ampio prestigio politico e religioso, ma in realtà Giuda è uno stato di secondaria importanza, economicamente povero. Il regno di Israele, più grande e importante, è lo stato egemone della Palestina. Al ritorno del frazionamento politico (Giuda, Israele, le 5 città filistee, Ammoniti, Moab, Edom - ognuno con le sue divinità nazionali) corrisponde però una sostanziale omogeneizzazione culturale e linguistica.
Questo periodo finisce con la conquista assira - dal 750 aC – e con l’impoverimento dovuto ai tributi e alle devastazioni assire, lo spopolamento causato dalle deportazioni e la deculturazione che ne seguì.
Al crollo dell’impero Assiro subentra la conquista dei Babilonesi che arrivano ad occupare Gerusalemme, distruggono il tempio, smantellano le mura e deportano a Babilonia la classe dirigente (poca gente) che non viene fusa con le popolazioni locali come facevano gli Assiri, ma viene mantenuta coesa, con la propria identità e col proprio re.
Nel successivo vuoto politico e demografico che si crea in Palestina si hanno ulteriori spostamenti di popolazioni. La Palestina si riempie di una popolazione mista, povera e culturalmente dequalificata. Le élites dirigenti esiliate a Babilonia consideravano se stesse (e non i poveri rimasti o confluiti in Palestina) come i veri eredi della cultura nazionale e la Palestina e Gerusalemme come loro esclusiva appartenenza. Quando riuscirono a tornare (ma non tutti tornarono) inventarono, a giustificazione delle loro pretese territoriali e politiche, un quadro di riferimento riferito al XIII e XII sec che è assolutamente inventato.
Yahwe era un dio già attestato nella regione, - di tipologia nomadico-pastorale più che agraria – in origine non dei più importanti, e non era neppure la divinità poliade di Gerusalemme. Era inserito in un contesto politeistico, perché compare con una divinità femminile per paredra – sia Anat che Ashera - come è epigraficamente attestato.
Nel corso del periodo monarchico si assiste a una crescita del prestigio di Yahwe; a una assimilazione di altre divinità, soprattutto pastorali come El, ‘Elyion; a una subordinazione o demonizzazione di altre ancora, specie della coppia Baal-Astarte che era il perno delle economie agrarie. In più, il tentativo di restaurazione dell’identità politica nazionale fatto dei re di Giuda Ezechia e Giosia di contro all’aggressione assira porta alla concentrazione del culto nel tempio di Gerusalemme, alla persecuzione degli altri culti e dei sacerdoti non yahwistici, con una operazione simile a quella fatta da dal faraone Akhenaton. Nel tempio si rinverrà “ per caso “ un antico manoscritto che contiene il testo della legge del dio Yahwe a cui tutti ora dovranno obbedire.
Questa struttura politica che áncora alla legge divina, e non più solo all’obbedienza dinastica, l’identità politica viene mantenuta negli esuli dalla politica babilonese.
Quando la politica del subentrato Impero persiano consente, dopo pochi decenni, il ritorno degli esuli in una Giudea abbastanza spopolata, permette anche la rifondazione del tempio (il secondo tempio), l’adozione della Legge religiosa come valida anche civilmente e la costituzione di un nucleo di autonomia nazionale. Soprattutto favorisce l’egemonia del gruppo dirigente reintrodotto. Non viene però restaurata la monarchia e il potere viene concentrato nella classe sacerdotale (clan sacerdotali) che attua una politica di razzismo, e di squalifica e di persecuzione dei gruppi diversi che non si assoggettavano.
La Bibbia è una raccolta di testi molto disparati e stratificati, infarciti di interventi testuali di ogni genere e con una distanza veramente notevole fra l’epoca degli episodi riferiti ed epoca della narrazione, ed è più utile per ricostruire l’epoca in cui sono stati scritti che l’epoca di cui raccontano. All’analisi si vede che la maggior parte dei testi è di epoca achemenide ed ellenistica, pochi sono del periodo dell’esilio babilonese. Tutti i testi però contengono, stratificati e reimpiegati, anche dati storici e materiali antichi, anche mesopotamici (diluvio, etc.) e iranici – come in tutte le altre letterature - che è possibile in parte datare. Tra l’altro molti sono i nomi di divinità mesopotamiche: Ester/Istar, Mardocheo/Marduk etc.
Per il “periodo delle origini” è più attendibile la documentazione archeologica ed epigrafica di quella testuale. Per l’età monarchica c’è un’idealizzazione e sopravvalutazione del Regno di David, ma gli avvenimenti grosso modo corrispondono a quelli delle altre fonti.
Le diverse redazioni storiografiche possono andare dal VI sec al IV sec. aC.
Un secondo blocco testuale è quello delle “ profezie ”. Le profezie erano messaggi politici del tipo parlami nuora che suocera intende, erano un modo di comunicare a chi doveva capirli messaggi politici che non potevano venire espressi in chiaro, come per esempio i contrasti interni tra il partito filobabilonese e quello filoegiziano (oggi potrebbero essere quello filoamericano e quello “antiamericano”) o cose del genere.
Sono l’archeologia e la documentazione sia epigrafia che archivistica che permettono un ancoraggio sicuro della storia riportata dai testi. A volte convalidano i testi, a volte li smentiscono.
BIBLIOGRAFIA
Mario Liverani "Oltre la Bibbia-Storia antica di Israele", edizioni Laterza 2003
Giovanni Garbini I Filistei Rusconi
Storia e ideologia nell’Israele antico Paideia
I Fenici Napoli 1980
M. Liverani Antico Oriente. Storia Società Economia Laterza
Poi Paolo Xella, Giovanni Pettinato, etc etc
GLI EBREI NON SONO STATI I PRIMI ABITANTI DELLA PALESTINA E NON NE SONO MAI STATI GLI ABITANTI ESCLUSIVI.
Nella zona sirolibanopalestinese c’erano quelli che chiamavano sé stessi cananei e il paese Canaan, gruppi etnicamente compositi che però avevano la stessa lingua e la stessa cultura.
Sono gli stessi che poi i greci chiameranno Fenici, ma già gli egiziani chiamavano fenukki.
In seguito ci arrivano i Filistei, Pelešet, genti più tecnologizzate - che erano probabilmente venute da Creta, in cui erano giunte dall’Anatolia - portatori di una tecnologia del ferro più avanzata di quella già presente, ma a cultura inferiore, tant’è che adotteranno la lingua dei cananei.
Questi cercano di stabilire la loro egemonia sulle città cananee rimaste, nelle zone di coste e vallate, mentre nelle zone più interne si sviluppano villaggi e cittadine fortificate, con disboscamenti, terrazzamenti e sfruttamenti idrici tipici della prima età del ferro, ad opera di gruppi di origine tribale e pastorale, cioè di cultura più arcaica, che così si sedentarizzano, a cui i aggiunsero, POSTERIORMENTE all’arrivo dei Filistei, dalla Siria (non dalla bassa Mesopotamia, da una Ur di Siria) dei gruppi sempre di pastori seminomadi siriani, e gli habiru (= rifugiati)*, quella categoria sociale costituita dal personale, a status giuridico di semischiavitù, dei palazzi e dei templi, che la crisi di questi lascia libera. O meglio furono le componenti meno istruite di questo personale, quelle che venivano impiegate in ruoli di polizia, di esazione tributi, etc. ad aggregarsi alle tribù dei villaggi, perché gli esperti - gli ummanu in assirobabilonese - essendo preziosi e poco sostituibili, vengono sempre reimpiegati anche dopo i cambiamenti di regime
* Il termine habiru, in Mesopotamia e in Egitto, indica quei fuorusciti, quegli scacciati dalla tribù, esiliati dal territorio tribale e accompagnati oltre il confine fluviale, senza diritto di ritorno, che riuscivano - entrare in territorio tribale altrui senza lasciapassare vuol dire essere uccisi - a rifugiarsi nella corte del re, nel dalam dello sceicco, del sultano, nel santuario del dio con diritto di asilo (città bianca) etc. e che diventavano schiavi del re, (o sceicco, sultano ...) o del santuario (letteralmente schiavi del dio e in epoca cristiana schiavi del santo) e sono chiamati anche figli della città. (Le città bianche erano le città d’asilo, città senza asilo invece sono le città rosse, città di guerra, fortificate, come probabilmente era Dimini, in Tessaglia)
Gli habiru erano dei detribalizzati: cioè avevano perso il nome e la protezione della loro tribù, e assumevano dei nomi caratteristici, anche dei nomi di clan caratteristici.
In genere costituivano una specie di guardia speciale o un corpo speciale di dipendenti, spesso utilizzati per rastrellare tributi dai villaggi. Ricevevano protezione (non potevano essere estradati, né raggiunti dalla vendetta di sangue) ma diventavano schiavi per sempre, loro e i loro discendenti e potevano sposare solo persone della loro condizione. Dovevano vivere in villaggi e città a loro riservati senza contatti con la popolazione tribale. Ma schiavi regi erano anche gli artisti di corte, i contabili di corte e del tempio (la banca della dinastia clanica o tribale), insomma categorie di dipendenti regi non liberi anche molto diverse tra loro.
Potevano anche essere deportati in territori conquistati per costituire colonie che dovevano però restare isolate in mezzo alle popolazioni locali. Venivano usati come quinte colonne, come enclaves poste tra popolazione malfidate - malfidate dal punto di vista degli imperi. Poiché il sistema è universale gli ebrei appunto non costituiscono una popolazione ma piuttosto una categoria sociale di semischiavi, vincolati a determinati obblighi (la Legge) e fruenti di determinati privilegi, tra l’altro quello di potersi sposare e avere figli, che in genere era interdetto agli schiavi, nei tempi più antichi.
LA BIBBIA (TA BIBLA= I LIBRI)
Nel XII sec. non c’è più un potere centrale unificante. Proprio a questa epoca si riferiscono quei racconti di fondazione giustificativi di determinati riti e quelle strutture genealogiche che dovrebbero regolare i rapporti politici intertribali (con una delimitazione artificiale che relega altri gruppi in collocazioni inferiori) che vengono riportate dalla Bibbia.
Questi racconti vengono redatti (VI sec. aC) in epoca molto posteriore a quella degli avvenimenti (XII sec aC) narrati; sono basati su dati indiretti e incerti, e sono deformati dagli scopi politici precisi, e di quel momento politico, dei circoli di potere che li hanno redatti.
Uno degli scopi è il sostegno alle pretese territoriali dei reduci dall’esilio babilonese sui gruppi che erano rimasti in Palestina; un altro sono le polemiche pro e anti-monarchiche del VI sec. In realtà una “ età dei Giudici” precedente quella monarchica non è mai esistita perché ci sono sempre stati dei Re in Palestina. Un altro elemento anacronistico è la proiezione indietro nel tempo di una situazione religiosa che è del VII, VI sec. aC e che si è determinata progressivamente nel tempo: lo yahwismo come religione monoteistica e gli israeliti presentati come un gruppo che entra nella Palestina già perfettamente strutturato, come lega di tribù con magistrati comuni.
Il patto (berit) tra Yahwe e il suo popolo riecheggia i patti (di vassallaggio) del Tardo Bronzo tra Grande Re e piccolo Re, col dio Yahwe al posto del grande Re e il popolo al posto del piccolo Re e con le modifiche imposte dall’epoca e dalla situazione diversa. Col dio (inconoscibile) al posto del Faraone o del Re assiro nella realtà si consolida ulteriormente quello stato di semischiavitù di questo popolo (cioè di questa categoria sociale locale) con l’aggravante che, in questo modo, questi non sapevano neanche a chi in realtà erano asserviti, anche se, al di fuori di templi e palazzi, si trovano in condizioni di maggiore autonomia quotidiana.
Insomma invece di essere soggetti ai regolamenti dei templi e dei palazzi come dipendenti asserviti, tutti costoro vengono vincolati dalla Legge religiosa, presentata anzi come un privilegio esclusivo. E’ quello che succederà più tardi ai cristiani: gli schiavi riscattati, ricomperati (redempti), salvati perciò dalla schiavitù, dovevano ringraziare il cielo di diventare soltanto degli affrancati semischiavi nelle comunità di eguali soggette all’imprenditore (redemptor) che ne aveva la gestione e li affittava oppure li impiegava negli appalti di grandi opere pubbliche commissionate da re, santuari, principi, etc.
Nell’inesistente Periodo dei Giudici viene così collocata la nascita di quella Lega tribale tenuta insieme da comunanza di sangue e di culto che lotterebbe con le residue città-Stato cananee e con gli altri gruppi nazionali emergenti, che invece prende consistenza verso il 1000 ed evolve, con David, nella monarchia istituzionale. Con questa si ritorna allo Stato territoriale, che stavolta però abbraccia tutta la Palestina, che prima era frammentata in tante città-Stato e in cui ora prevale l’elemento israelita su tutte le altre componenti etnico-politiche. Questo Stato si estenderà, con una politica di espansione militare: ai due regni di Giuda e di Israele si aggiungono la città-Stato di Gerusalemme, elevata a capitale ed altri territori. Anche se la tradizione sopravvaluta l’estensione del regno davidico questo si pone, nella regione siro-palestinese del X sec, in una posizione di preminenza.
Si ricrea una situazione in cui il Palazzo costituisce il nucleo dello Stato mentre il resto della popolazione, spinto ai margini della vita politica, è solo fonte di tasse, di contribuzioni e di lavoro. La situazione si accentua con il successivo regno di Salomone. Nella capitale si costruisce un palazzo reale e un annesso piccolo tempio di Yahwe, con dei sacerdoti che sono dei dipendenti regi. Questo rappresenta il culto ufficiale e la divinità dinastica, in contemporaneità ma non in opposizione con altri centri e con altri culti presenti nel paese. Il regno viene diviso in 12 distretti fiscali – artificiosi dal punto di vista etnico e storico - imponendo a tutti un sistema di sottomissione a cui i cittadini erano già abituati, ma a cui i gruppi tribali si ribelleranno.
Successivamente i due regni base originari – Giuda e Israele - si dividono di nuovo, e il regno di Giuda, raccolto intorno alla capitale, rimane fedele alla dinastia di David. Gerusalemme mantiene un ampio prestigio politico e religioso, ma in realtà Giuda è uno stato di secondaria importanza, economicamente povero. Il regno di Israele, più grande e importante, è lo stato egemone della Palestina. Al ritorno del frazionamento politico (Giuda, Israele, le 5 città filistee, Ammoniti, Moab, Edom - ognuno con le sue divinità nazionali) corrisponde però una sostanziale omogeneizzazione culturale e linguistica.
Questo periodo finisce con la conquista assira - dal 750 aC – e con l’impoverimento dovuto ai tributi e alle devastazioni assire, lo spopolamento causato dalle deportazioni e la deculturazione che ne seguì.
Al crollo dell’impero Assiro subentra la conquista dei Babilonesi che arrivano ad occupare Gerusalemme, distruggono il tempio, smantellano le mura e deportano a Babilonia la classe dirigente (poca gente) che non viene fusa con le popolazioni locali come facevano gli Assiri, ma viene mantenuta coesa, con la propria identità e col proprio re.
Nel successivo vuoto politico e demografico che si crea in Palestina si hanno ulteriori spostamenti di popolazioni. La Palestina si riempie di una popolazione mista, povera e culturalmente dequalificata. Le élites dirigenti esiliate a Babilonia consideravano se stesse (e non i poveri rimasti o confluiti in Palestina) come i veri eredi della cultura nazionale e la Palestina e Gerusalemme come loro esclusiva appartenenza. Quando riuscirono a tornare (ma non tutti tornarono) inventarono, a giustificazione delle loro pretese territoriali e politiche, un quadro di riferimento riferito al XIII e XII sec che è assolutamente inventato.
Yahwe era un dio già attestato nella regione, - di tipologia nomadico-pastorale più che agraria – in origine non dei più importanti, e non era neppure la divinità poliade di Gerusalemme. Era inserito in un contesto politeistico, perché compare con una divinità femminile per paredra – sia Anat che Ashera - come è epigraficamente attestato.
Nel corso del periodo monarchico si assiste a una crescita del prestigio di Yahwe; a una assimilazione di altre divinità, soprattutto pastorali come El, ‘Elyion; a una subordinazione o demonizzazione di altre ancora, specie della coppia Baal-Astarte che era il perno delle economie agrarie. In più, il tentativo di restaurazione dell’identità politica nazionale fatto dei re di Giuda Ezechia e Giosia di contro all’aggressione assira porta alla concentrazione del culto nel tempio di Gerusalemme, alla persecuzione degli altri culti e dei sacerdoti non yahwistici, con una operazione simile a quella fatta da dal faraone Akhenaton. Nel tempio si rinverrà “ per caso “ un antico manoscritto che contiene il testo della legge del dio Yahwe a cui tutti ora dovranno obbedire.
Questa struttura politica che áncora alla legge divina, e non più solo all’obbedienza dinastica, l’identità politica viene mantenuta negli esuli dalla politica babilonese.
Quando la politica del subentrato Impero persiano consente, dopo pochi decenni, il ritorno degli esuli in una Giudea abbastanza spopolata, permette anche la rifondazione del tempio (il secondo tempio), l’adozione della Legge religiosa come valida anche civilmente e la costituzione di un nucleo di autonomia nazionale. Soprattutto favorisce l’egemonia del gruppo dirigente reintrodotto. Non viene però restaurata la monarchia e il potere viene concentrato nella classe sacerdotale (clan sacerdotali) che attua una politica di razzismo, e di squalifica e di persecuzione dei gruppi diversi che non si assoggettavano.
La Bibbia è una raccolta di testi molto disparati e stratificati, infarciti di interventi testuali di ogni genere e con una distanza veramente notevole fra l’epoca degli episodi riferiti ed epoca della narrazione, ed è più utile per ricostruire l’epoca in cui sono stati scritti che l’epoca di cui raccontano. All’analisi si vede che la maggior parte dei testi è di epoca achemenide ed ellenistica, pochi sono del periodo dell’esilio babilonese. Tutti i testi però contengono, stratificati e reimpiegati, anche dati storici e materiali antichi, anche mesopotamici (diluvio, etc.) e iranici – come in tutte le altre letterature - che è possibile in parte datare. Tra l’altro molti sono i nomi di divinità mesopotamiche: Ester/Istar, Mardocheo/Marduk etc.
Per il “periodo delle origini” è più attendibile la documentazione archeologica ed epigrafica di quella testuale. Per l’età monarchica c’è un’idealizzazione e sopravvalutazione del Regno di David, ma gli avvenimenti grosso modo corrispondono a quelli delle altre fonti.
Le diverse redazioni storiografiche possono andare dal VI sec al IV sec. aC.
Un secondo blocco testuale è quello delle “ profezie ”. Le profezie erano messaggi politici del tipo parlami nuora che suocera intende, erano un modo di comunicare a chi doveva capirli messaggi politici che non potevano venire espressi in chiaro, come per esempio i contrasti interni tra il partito filobabilonese e quello filoegiziano (oggi potrebbero essere quello filoamericano e quello “antiamericano”) o cose del genere.
Sono l’archeologia e la documentazione sia epigrafia che archivistica che permettono un ancoraggio sicuro della storia riportata dai testi. A volte convalidano i testi, a volte li smentiscono.
BIBLIOGRAFIA
Mario Liverani "Oltre la Bibbia-Storia antica di Israele", edizioni Laterza 2003
Giovanni Garbini I Filistei Rusconi
Storia e ideologia nell’Israele antico Paideia
I Fenici Napoli 1980
M. Liverani Antico Oriente. Storia Società Economia Laterza
Poi Paolo Xella, Giovanni Pettinato, etc etc