Idee e grafici. - Cap. 2

:eek::eek:Alessandra Mussolini, eurodeputata di Forza Italia, dopo lo scoppio dello scandalo Mose (6 giugno 2014):
"Durante il fascismo non c'erano tangenti e non aumentavano i prezzi. Mo' mi sono rotta... noi ci dovremmo inchinare al fascismo! Persino Gheddafi lo ha riconosciuto. E mo' basta! Sempre a criticare... è inaccettabile. Inchinatevi alle opere del fascismo!".

E mentre lei si arrabbia, il marito va con le minorenni :lol::eek:

:ciao:
 
Postato il 08/08/2014 da Pasquale Marinelli nella categoria Economia
Svizzera: referendum per salvare l'oro
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Ecco un’altra lezione di civiltà e di profonda consapevolezza economica da parte della vicina Svizzera. E’ ufficiale che a novembre di quest’anno i cittadini svizzeri saranno chiamati a votare per un referendum riguardante un’iniziativa popolare la quale, se i voti favorevoli dovessero prevalere, obbligherà la banca centrale svizzera a:
- far rimpatriare tutto l’oro di sua proprietà;
- a detenere in oro almeno il 20% del valore delle sue attività in bilancio;
- a vietare la vendita delle riserve auree della banca centrale svizzera.
Insomma, dopo la notizia secondo la quale gli svizzeri sarebbero pronti a votare per un più onesto sistema bancario a riserva frazionaria pari al 100% (leggi qui), adesso i cittadini elvetici, votando a favore dell’iniziativa “Salvate l’oro della Svizzera” sanciranno una modifica della propria carta costituzionale, così come riportato in questo documento.
Vincolando la banca centrale elvetica obbligandola a detenere oro secondo le condizioni su riportate, essa sarà costretta per legge a svolgere la propria attività con la copertura minima prevista in termini di un bene reale come l’oro (la moneta merce per eccellenza, da sempre e da tutti accettata come mezzo di scambio, la cui funzione nel mercato è attualmente neutralizzata da leggi criminali che impongono solo l’uso di banconote di carta emessa - o semplicemente riconosciuta - dai governi senza copertura reale).
La banca centrale sarà obbligata ad avere una quantità minima di un bene come l'oro il quale, storicamente, ha sempre avuto un valore indiscutibile, contrariamente a quanto si possa dire invece circa l’elevatissima concentrazione di cartastraccia di cui oggi è costituito il bilancio di una banca centrale come quella svizzera.
Quindi, la banca centrale elvetica potrebbe non più emettere denaro in maniera illimitata, così da causere con maggiore difficoltà i disastrosi cicli economici, oggi sempre più frequenti e destabilizzanti. L’oro, in natura, è presente in maniera limitata e, grazie all’obbligo di detenerne almeno il 20% dei suoi attivi, esso potrebbe diventare un naturale deterrente alla svalutazione del denaro, alla svalutazione dei risparmi dei cittadini operosi e all’aumento del costo della vita. Ciò sfavorirà le attività politiche e bancarie che mirano a falsare i conti pubblici e ad arricchire solo gli amici di partito, le quali vengono notoriamente spacciate come se fossero azioni per il bene dell’intera economia del paese e che in realtà non lo sono affatto.
Certo è che imporre un riacquisto massiccio di oro, quando il suo prezzo sarebbe considerato non conveniente, potrebbe far rivelare l’operazione estremamente onerosa. Ma, probabilmente, sarebbe più oneroso subire le conseguenze del non farlo, ora che siamo ben lontani dai prezzi massimi storici. E’ vero anche che, a fronte di una svalutazione competitiva fra le banche centrali degli altri paesi, le condizioni volute da questa iniziativa popolare non permetterebbero alla banca centrale elvetica di concorrere altrettanto, al fine di neutralizzare i cambi sfavorevoli per la valuta svizzera. Ma ciò è solo una presa di posizione di parte delle industrie esportatrici, le quali sono desiderose di essere sostenute dallo stato anziché dalle proprie capacità di capitalizzazione. Se da un lato le aziende esportatrici subiscono il cambio divenuto sfavorevole per via della svalutazione delle valute concorrenti, ciò lo sarà solo nel breve periodo. Dall’altro lato, nel lungo periodo, se le aziende esportatrici godono di una buona capitalizzazione, gioveranno della conseguente diminuzione dei costi interni di produzione, che permetterà di fissare prezzi di vendita all’estero più convenienti rispetto alla concorrenza internazionale e più sostenibili rispetto ad essa, la quale, invece, subirà gli effetti nefasti di lungo periodo della guerra valutaria precedentemente condotta.
Tramite il voto, i cittadini della Svizzera possono direttamente occuparsi di decisioni così importanti per l’organizzazione della propria società. In Italia, vuoi per ignoranza diffusa, vuoi per una disonestà altrettanto diffusa, tramite il voto puoi solo legittimare qualcuno a farti derubare.
 
Postato il 10/07/2014 da Pasquale Marinelli nella categoria Economia
Liberi di rifiutare lo stato
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La scorsa settimana il 50,5% dei cittadini chiamati alle urne per il secondo turno delle elezioni dei sindaci dei comuni italiani non ha votato (nel comune di Bari non ha votato il 63,85% dei baresi - perché al mare o allo stadio dove la squadra di calcio cittadina si giocava l'accesso in serie A). Stanno aumentando gli italiani i quali hanno compreso che ogni schieramento di partito protagonista della sciagurata politica nostrana è un covo di farabutti o incapaci e, probabilmente, stanno anche comprendendo che, oggi, partecipare alle elezioni (a prescindere da chi si vota) significa soprattutto contribuire all'unico meccanismo giuridico che legalizza la delinquenza e l'idiozia a governare in Italia.
Durante queste elezioni 2014, lo devo ammettere, mi sono divertito tantissimo a provocare gli italiani in rete circa il fenomeno dell'astensionismo dal voto. I miei post in merito, pubblicati sul blog e sui social network, sono stati seguitissimi (vi ringrazio), a volte sono stati disprezzati a volte molto quotati e compresi: il bello della libertà di opinione!
Ma fra le tante frasi fatte e qualunquiste sprecate, le quali condannano chi non vota e per cui non mi interessa esprimermi oltre ciò che ho già avuto modo di disquisire, solo un lettore in particolare ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere. Egli ha scritto: "[…] sarebbe il caso di dare un senso al partito degli astensionisti, visto che è il primo partito in Italia […]".
Probabilmente, secondo questo commentatore, il senso da dare alla dilagante diserzione dalle urne sarebbe un senso politico. Io invece colgo questa occasione per provare a proporre, non un senso politico (la soluzione a questa Italia non è politica, è invece dapprima individuale e culturale), ma a considerare quelle che dovrebbero essere le condizioni ideali da pretendere affinché l'astensionismo dal voto possa aver un senso.
Allora immaginate una società in cui il singolo cittadino abbia la possibilità di scegliere se servirsi dei servizi pubblici oppure no e, di conseguenza a tale scelta, che il cittadino sia libero di contribuire oppure no allo stato che offre tali servizi. Chi non contribuisce al finanziamento dei servizi di stato non avrebbe né il diritto al voto né il diritto ad usufruire dei vantaggi dei servizi di stato (laddove ce ne fossero).
Lo so, qualcuno di voi lettori avrà già storto il naso. Ma vi assicuro che, per quanto estrema possa essere questa idea (e non lo è nemmeno così tanto rispetto a come io la pensi veramente), essa non è assolutamente campata in aria. Se avete la pazienza di seguirmi, vi illustro il perché.
Per proporre una condizione in cui il cittadino sia libero di scegliere se contribuire o meno ai servizi pubblici io faccio riferimento all'osservanza di un principio naturale che ritengo basilare per il rispetto della dignità dell'essere umano, a cui ogni stato, governo o costituzione, attualmente, non è mai soggetto, ma che invece dovrebbe rispettare e considerare sopra ogni cosa:
"niente e nessuno può violare l'altrui diritto di disporre del proprio corpo e dei propri beni"
Esso è un principio molto semplice che, in assenza del quale (o in presenza di inopportune deroghe), giustizia e pace fra gli individui sono in continua violazione.
Possiamo estrapolare da questo principio primario il seguente corollario:
"niente e nessuno può agire contrariamente alla volontà di un altro individuo circa la sua proprietà"
Ciò cosa significa? Nel nostro caso significa semplicemente che, se riconoscete come veri e sacrosanti i principi di cui sopra, dovrete riconoscere come vero e sacrosanto anche il fatto che ogni imposizione fiscale perpetuata dallo stato sui redditi di proprietà di una persona, se contraria alla volontà di quest'ultima, ha sempre violato il principio e il corollario su enunciati, dai quali invece si deduce che nessuno (nemmeno uno stato) può disporre dei redditi di proprietà altrui (ad esempio, attraverso l'imposizione delle imposte e contributi sui redditi di proprietà delle persone).
Ebbene, affinché tali enunciati non siano violati e la dignità dell'individuo sia rispettata, si dovrebbero lasciare liberi i cittadini di non aderire allo stato per cui essi sono in disaccordo e non dovrebbe essere riconosciuto allo stato il potere di obbligare il cittadino all'adempimento fiscale senza prescindere dalla volontà di quest'ultimo. Quindi, costoro, in quanto contrari allo stato e ai servizi da esso erogati, non dovrebbero essere minacciati di pagare le tasse per finanziare i servizi pubblici non graditi, altrimenti i principi di cui sopra verrebbero scalfiti.
Quali sarebbero le conseguenze di una simile condizione?
Innanzitutto, in un simile contesto, i cittadini si potrebbero ritenere veramente liberi di poter destinare tutti i propri averi (e non solo una parte di essi) ad attività ritenute solo da essi più efficienti e necessarie, senza che qualcuno abbia il diritto di estorcergliene una parte contro la propria volontà, o che gli detti come destinarli.
In secondo luogo, i cittadini i quali decidono liberamente di non contribuire alle spese per i servizi pubblici ad essi non graditi, dovrebbero vedersi esclusi, non tanto dalla possibilità di usufruire dei servizi pubblici in sé, quanto dalla possibilità di usufruirne ai probabili più convenienti prezzi pubblici, i quali invece sarebbero riservati soltanto a chi è regolare contribuente dello stato. Chi non contribuisce alle spese pubbliche avrebbe comunque la possibilità di usufruire dei servizi pubblici ma, per essi, solo ai prezzi di mercato.
Contestualmente, sarebbe doveroso pretendere che i mercati relativi ai servizi offerti dalla pubblica amministrazione siano liberalizzati, nel senso che si dia la possibilità di erogare gli stessi servizi offerti dallo stato anche ad enti privati, senza che vi sia alcuna concessione di privilegi ad una categoria piuttosto che ad un'altra, senza che vi sia possibilità alcuna di costituire in questi mercati monopoli legali (quelli stabiliti per legge dallo stato).
Sarebbe di fondamentale importanza assicurarsi che lo stato eroghi i suoi servizi pubblici in perfetta concorrenza con quelli erogati dai privati, affinché i servizi siano messi in continua discussione e vengano continuamente migliorati. In libera concorrenza, i prezzi di mercato sarebbero liberi di allinearsi con le reali disponibilità economiche di coloro che si rivolgono agli operatori privati anziché a quelli pubblici. A tale scopo, lo svolgimento delle attività degli operatori privati di questi servizi non dovrebbe essere mai condizionata dal rilascio di abilitazioni da parte dello stato (se si lasciasse questo potere allo stato, ci sarebbe un conflitto di interessi da parte di quest'ultimo, per cui esso avrebbe la possibilità legale a suo favore - esclusiva rispetto al resto della concorrenza - di mettere il bastone fra le ruote al settore privato concorrente e impedire che quest'ultimo si sviluppi liberamente).
Tutto ciò per dare la possibilità di usufruire dei servizi necessari alla propria vita, non solo a coloro che decidono liberamente di contribuire allo stato e ai suoi servizi, ma anche a coloro che, altrettanto liberamente, decidono di non contribuirvi e di rivolgersi privatamente.
Un'ultima conseguenza degna di considerazione è che, in un regime in cui uno stato non posa pretendere imposte e contributi dai cittadini a prescindere dalla loro volontà, questo stato sarebbe costretto a rendere sempre appetibili, concorrenziali ed efficienti i propri servizi, affinché gli si riconosca un gettito fiscale dai cittadini. Inoltre, la sua funzione istituzionale nella società si ridurrebbe, rispetto a quella che noi oggi conosciamo, a quella di garantire il minor interventismo statale nelle vite dei cittadini, per dedicarsi alla più utile attività di scoperta delle consuetudini rispettate spontaneamente dalla società, così da renderle parte delle norme di diritto e di difenderle, il tutto al fine di rispettare la libertà degli individui e il principio naturale cardine su enunciato.
Ma veniamo alla mia risposta circa la questione che ha aperto il presente post: che senso dare al non voto?
In condizioni come quelle poc'anzi descritte, a coloro che non contribuiscono al finanziamento dei pubblici servizi, regolarmente e alle condizioni dello stato, non dovrebbe essere consentito il diritto al voto, in quanto essi andrebbero considerati rinunciatari (per propria volontà) al sostegno della pubblica attività. È una condizione, questa, rispettosa soprattutto nei confronti di coloro che vogliono e sostengono lo stato, ed è logica e accettabile per chi, in disaccordo con uno stato per cui non ha interesse a finanziarne i servizi, dovrebbe essere tanto meno interessato a poterlo votare.
Quindi, libertà di mercato e la non obbligatorietà a contribuire alle spese pubbliche, come sopra intesi, sarebbero le condizioni ideali che darebbero un senso alla libertà di un cittadino a non partecipare alla votazione di uno stato con cui è in disaccordo. In altre parole, la libertà di mercato e la libertà di esprimere il proprio dissenso sono due condizioni che insieme, se poste correttamente in essere, danno un senso alla possibilità concessa ad un cittadino di negare l'esercizio del voto per uno stato non gradito.
Il post terminerebbe qui se non fosse per il fatto che, date le mie particolari doti di preveggenza, sono sicuro che più di qualcuno obietterà a quanto finora da me scritto, con argomentazioni idiote alle quali rispondo di seguito, ancor prima che mi vengano poste. Al netto di ciò che segue, resto a disposizione, in sede di commenti a questo post, circa una discussione riguardante il come mettere in pratica tutto ciò di cui vi ho parlato.
Prima obiezione: "se a ognuno si concedesse la libertà di non pagare le tasse è ovvio che non le pagherebbe più nessuno"
Se nessuno pagasse più le tasse, approfittando della libertà concessa a non pagarle, significherebbe che tutti considerano lo stato inutile e incapace di offrire efficientemente i servizi utili alla vita in una società rispetto al più efficiente settore privato e, per questo, non meritevole di continuare ad essere finanziato con i soldi sudati dai singoli cittadini, i quali, sottraendosi dal pagamento di imposte e contributi, si rifiutano di contribuire all'inefficienza pubblica. Grazie a questa possibilità, quello stato sarebbe giudicato inutile (o dannoso) e, laddove ci fosse una necessità spasmodica ad avere per forza uno stato, in questo modo si manderebbe a casa lo stato inefficiente e si stimolerebbe la formazione di un altro stato maggiormente a favore delle necessità dei cittadini, più velocemente di quanto non lo si possa fare attraverso cento, cinquecento, mille, diecimila consultazioni elettorali.
Seconda obiezione: "chi non desidera sottostare alle decisioni di uno stato con cui è in disaccordo, dovrebbe andarsene in un altro stato ad egli più favorevole, e non pretendere di rimanerci senza contribuire alle spese della collettività"
In una società libera, quella della fuga dallo stato non più gradito deve essere un'opzione concessa e mai ostacolata come oggi purtroppo avviene, perché osservante di un altro corollario (non oggetto di questo post): il diritto all'autodeterminazione degli individui. Se si avesse l'arguzia di organizzare un paese secondo il più civile modello istituzionale adottato dalla vicina Svizzera del quale, per ciò che interessa questo post, vi evidenzio la particolarità di esso nell'aver disegnato le proprie regioni (detti cantoni) ognuna con una propria sovranità fiscale, in concorrenza con quella delle altre, questo principio sarebbe efficacemente rispettato, perché una pluralità di sistemi fiscali presenti nello stesso territorio darebbe l'opportunità di scegliere con più facilità e meno onerosità il luogo più adiacente alle proprie esigenze e disponibilità.
In uno stato accentratore come l'Italia invece, lasciare il proprio paese, non significa trasferirsi da una regione all'altra, ma emigrare in paesi con culture completamente distanti a quelle di origine. Ma questa non è una soluzione per tutti praticabile, per svariate ragioni, non necessariamente economiche, ma soprattutto affettive, formative, lavorative, psicologiche, ecc.. Se una società vuole ritenersi libera, civile e rispettosa della dignità dell'individuo, allora deve anche concedere la possibilità di autodeterminazione a colui che ritiene di essere in grado di potersi servire da soggetti diversi da quelli pubblici (o da differenti soggetti pubblici). Dare a costui, come unica prospettiva, quella di abbandonare il luogo in cui risiedono le sue attività, i suoi affetti e i suoi patrimoni, è stupidamente sfavorevole per l'intero paese, perché ci si priva di una risorsa la quale, anche se ha deciso di non contribuire alle spese per il finanziamento dei servizi pubblici che non desidera usufruire, egli serve comunque la società svolgendo il suo mestiere, contribuisce comunque a far girare l'economia, può arricchire il territorio col suo talento e la sua sensibilità.
Terza obiezione: "secondo il tuo ragionamento, a chi non contribuisce alla spesa pubblica non dovrebbe essere consentito nemmeno il passaggio sulle strade pubbliche per cui egli non contribuisce alla loro manutenzione. Inoltre, come si escluderebbe costui da servizi pubblici come l'illuminazione pubblica visto che, non pagando le tasse utili per sostenere i costi collettivi dell'energia elettrica, egli non ne avrebbe diritto?"
Come già detto, colui che rinuncia ai servizi pubblici e che, secondo le condizioni ipotizzate nel post, può non contribuire alle spese pubbliche, costituisce comunque una risorsa per la società. Ad uno stato non converrebbe impedire a costui la circolazione sulle strade pubbliche, o il godimento dell'illuminazione pubblica perché, così facendo, lo stato ostacolerebbe l'esperienza di vita di costui all'interno della società e rinuncerebbe all'occasione di far incrementare i redditi di coloro i quali hanno deciso di contribuire alle spese pubbliche. Infatti, non consentire a chi ha deciso di non contribuire alle spese pubbliche di percorrere le strade pubbliche (e di godere dei servizi annessi) ostacolerebbe l'interazione di egli con la società, a favore di quest'ultima. Di conseguenza, la società non approfitterebbe, per esempio, delle occasioni di spesa che costui farebbe nei negozi e nelle svariate realtà economiche della società, cosa che contribuisce alla formazione del reddito dei suoi componenti i quali, contrariamente a costui, hanno invece deciso di contribuire alle spese pubbliche, e su cui lo stato potrebbe calcolare maggiori imposte e contributi, che costituirebbero, a loro volta, maggiore gettito fiscale.
Per intenderci, è come se per le vie comuni di un grande centro commerciale, il gestore non consentisse alla gente di percorrere le sue vie illuminate e attrezzate perché essa non contribuisce direttamente alle spese di manutenzione (riservandole solo ai negozianti che pagano il fitto per esercitare la loro attività commerciale nei lotti del centro commerciale): così facendo, il gestore non consentirebbe ai negozianti di ricevere comodamente la clientela, grazie alla quale essi possono produrre un reddito e con esso riuscire a pagare il fitto. Se così fosse, il gestore non farebbe il proprio interesse.
Attenzione: se coloro i quali abbiano deciso di non contribuire alle spese pubbliche, possedessero una proprietà nel territorio in cui abbia giurisdizione lo stato con cui essi sono in disaccordo, questi non sarebbero dei semplici locatari (come invece lo sarebbero i negozianti del centro commerciale di prima), essi sarebbero dei proprietari a tutti gli effetti. E come tali, il rapporto fra essi e lo stato non sarebbe da considerare come quello fra locatari e affittuario, fra contribuenti ed esattore, fra servi e padrone, bensì come quello fra proprietari di cose distinte. In considerazione di ciò, il regolamento dei rapporti fra essi e lo stato dovrebbe essere demandato alla libera contrattazione fra le parti: lo stato come proprietario delle strade pubbliche, coloro che non contribuiscono alle spese pubbliche come proprietari della loro abitazione o dei locali in cui esercitano un'attività.
Buona riflessione.
 

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