Pirelli & C Real Est (PRS) Il Ballo del Matto.o.oneeeeeeeeeee

VORREI SEMPLICEMENTE FAR NOTARE CHE IN CHE I BOLLINI VERDI CORRISPONDONO A COLORO CHE SONO ANDATI SHORT OVVERO COLORO CHE HANNO SCOMMESSO CONTRO IL FENOMENO "SUBPRIME" E SI TROVANO ESCLUSIVAMENTE IN AMERICA!!!!!!

A VOI OGNI CONSIDERAZIONE!
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Da oggi in poi ben poco contano le parole, siano esse del presidente della Federal Reserve, Bernanke piuttosto che del segretario al tesoro americano Paulson, dell'analista tecnico o dell'analista fondamentale, del premio Nobel di turno o del chairman di una grande istituzione finanziaria. Da oggi in poi contano solamente i fatti, gli avvenimenti, le dichiarazioni che comunicano l'esposizione delle varie realtà finanziarie al fenomeno "subprime" ai vari derivati finanziari, le insolvenze come i fallimenti che verranno comunicati al mercato.

Eccovi uno strumento di prim'ordine messo a disposizione dal FINANCIAL TIMES una splendida mappa interattiva che permette di seguire l'aggiornamento della crisi di liquidità, di insolvenza in poche parole

http://www.ft.com/cms/s/bfa568b6-45a3-11dc-b359-0000779fd2ac.html

mappa iterattiva del credit crunch
http://media.ft.com/cms/a9de7984-49bb-11dc-9ffe-0000779fd2ac.swf
 
MOLTO LUCIDO

Speciale Credibilità
http://michelespallino.investireoggi.it/speciale-credibilita/



Adesso le agenzie di rating hanno messo 101 diversi prodotti strutturati “sotto osservazione” per i quali probabilmente “cambieranno il voto”. Ah ah ah… forse è un po’ troppo tardi.
Nel 2006 il 44% dei ricavi di MOODYS è venuto dalla finanza strutturata (per dare un idea, nel 1995 erano solo un ventesimo). Lo stesso vale PER STANDARDS E PER FITCH. In pratica le agenzie di ratings hanno ricavato enormi guadagni dalle banche di investimento a fronte dei rating generosamente elargiti ai loro prodotti strutturati. Poiché il mondo sapeva cosa significasse un tripla A per un paese o per un azienda, cioè la massima sicurezza, automaticamente ha considerato che un tripla A per un bond strutturato significasse massima sicurezza(anche se i legali delle agenzie di rating accompagnano tali voti con documenti di 500 pagine piene di disclaimer, in cui obliquamente tentano di mettersi al riparo dal rischio di fallimento).
L’intera truffa è basata sulla credibilità delle agenzie di rating. I mercati creditizi si basano sul presupposto che se uno presta soldi poi li riceve indietro, ed i ratings sono l’olio che fa scorrere l’ingranaggio.
Adesso sono diventati sabbia nell’ingranaggio.
Se voi foste un acquirente di bond per una delle tante istituzioni che devono comprarli, rischiereste una onorata carriera per comprare un titolo di cui non siete certi che sia quello che pensate? Comprereste una commercial paper a 3 mesi per pochi punti di maggior rendimento rispetto a un bot, da una banca o impresa di cui non siete sicuri? Meglio qualche cts. di rendimento in meno e comprare titoli di stato. O no? A meno che non vi diano la bustarella, ma questo è un altro discorso, pur molto presente nel marcio mondo della finanza.

La perdita di credibilità delle AGENZIE DI RATING, e delle stesse banche centrali e governi che mai le hanno messe in dubbio prima che i buoi fossero scappati dalla stalla, è la vera novità di questa crisi.
Adesso la parola d’ordine di chi comanda è propagandare che questa è una crisi di liquidità.
NON E’ VERO. La liquidità continua ad essere iper-abbondante.
Invece questa è UNA CRISI DI CREDIBILITA’. O almeno dovrebbe essere.
Non a caso è sceso in campo nientemeno che Warren Buffet. Per la cronaca, Buffet possiede il 19% di Moodys. Ancora oggi “il saggio di omaha” gode di buona reputazione e ampia credibilità. Poiché sta perdendo soldi come tutti, contraddicendo se stesso (in passato aveva parlato di questi prodotti e dei derivati come armi di distruzione di massa), si è ora distinto per invitare il popolo a comprare titoli – particolarmente i finanziari . Penoso. Forse gli avrà telefonato Bush in persona, promettendogli chissà che cosa. Fatto sta che anche Buffet, per tentare di salvare i suoi soldi, mente spudoratamente. La gente dovrebbe chiedersi se è credibile uno degli azionisti di maggioranza di una di quelle agenzie che gli hanno fatto comprare titoli come “sicuri” e che ora si sono dimezzati, ammesso che si riescano a liquidare. Invece il popolo, sente il nome di Buffet e dà per scontato che sia il “verbo”.
Se ne accorgeranno, dispiace per loro, fa rabbia per i criminali che ne approfittano.
Comunque , il minimo che anche un benpensante ingenuo possa dire è che le agenzie di rating hanno perso credibilità (almeno n po’, o no?).
Poi ci sono le BANCHE CENTRALI. La perdita di credibilità della fed in particolare dovrebbe essere evidente anche a chi ha le fette di prosciutto sugli occhi. Per mesi la fed ha detto, ad ogni occasione, che la crisi dei subprime era un fenomeno circoscritto e che non si sarebbe mai allargato, né avrebbe intaccato l’economia “reale”. Ora la fed ammette pubblicamente di essersi sbagliata.
Per carità, errare humanum est, sed perseverare diabolicum est. Il minimo che il solito benpensante possa dire è che chi sbaglia almeno un po’ di credibilità la perde.
E le BANCHE? Si stanno scannando in modo inverosimile tra di loro, nel senso che non si fidano più l’una dell’altra. E il popolo bue dovrebbe credere a loro come sistema?

In questa crisi di credibilità, IL CALO DEI TASSI DELLA FED AVRÀ EFFETTO? Certo, non trasformerà le insolvenze in restituzioni. Però, potrà aiutare a ridurre il numero delle insolvenze adesso che si approssimano le scadenze dei tassi sui mutui concessi a tassi minimi per i primi anni di vita (altra porcheria non commentabile, e che intanto era stata fatta con l’avallo di tutti, dico tutti). Nel frattempo però il rischio di inflazione che fino a pochi giorni fa era il motivo per cui si aumentavano i tassi o comunque non si abbassavano, non solo non sparisce, ma certamente aumenta in un mondo in cui le banche centrali iniettano varie centinaia di miliardi in pochi giorni e abbassano i tassi o comunque non li aumentano. O no?

La chiave di volta resta la voglia di farsi prendere in giro da parte della massa. E’ una questione di pura psicologia, l’economia non c’entra nulla. La Storia insegna che la psicologia di massa ha delle manifestazioni sorprendenti. Il popolo è capace di portare all’altare uomini e fenomeni, salvo poi distruggerli in un battibaleno quando per un motivo o per un altro se ne sente tradita. Non faccio esempi, voglio sperare che per chi mi legge non ce ne sia bisogno. Nel campo delle manìe finanziarie resta affascinante quella dei TULIPANI. Ma ce ne sono tantissime altre, ad esempio quella DEI MARI DEL SUD in cui anche un genio come Isaac Newton perse il suo patrimonio. Mica era scemo. E mica i contemporanei sono più intelligenti dei loro antenati. Cambiano le forme, ed ogni volta si dice “questa volta è diverso”.
Ma non è mai diverso, è sempre sostanzialmente identico.
 
bocca dello squalo
gz


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da http://www.cobraf.com/forumf/cool_r_show.asp?topic_id=0&reply_id=83088
15 August 2007 10:41

Nell'agosto 1998 il modello computerizzato per il trading del reddito fisso di un singolo mega-iper fondo hedge, Long Term Capital, creò da solo una crisi perchè non aveva previsto che la Russia potesse non pagare i suoi bonds

Il risultato è che il fondo perse un -10% circa sulle posizioni in quanto tale, ma avendo una leva di 1 a 20 perdeva il 200% e fu spazzato via. Le banche centrali tagliarono i tassi a ottobre per impedire che le banche che gli prestavano i soldi andassero sotto e tenere su i mercati. I premi Nobel e matematici che vi lavoravano dissero che si era verificato "un evento che teoricamente accade ogni 10mila anni".

Ieri Goldam Sachsche ha un fondo che perde il -30% in 12 mesi (cone le borse mondiali ancora in attivo del +12%) ha scritto agli investitori:

"..“We are seeing things that were 25-standard deviation events, several days in a row,” said David Viniar, Goldman’s chief financial officer. “There have been some issues [before] in some of the other quantitative spaces, but nothing like what we saw last week.” a “25-standard deviation event” – something that only happens once every 100,000 years or more. ...

("..un evento a 25 deviazioni standard, qualcosa che accade ogni 100 mila secondo il modello del computer...")

Oggi hai che i il modello computerizzato per il trading del reddito fisso, delle azioni, dei derivati, dei bonds immobiliari di decine di mega hedge fund da quelli di Goldman Sachs, Barclay's, Lehman, ARQ, Renaissance, D.E. Shaw (e tanti altri che non avete mai sentito nominare perchè sono nell isole vergini e non fanno pubblicità) sta creando una crisi perchè non aveva previsto che i derivati sui mutui immobiliari crollassero in alcuni casi del -60%

Il problema è che questi PHD in fisica e matematica che lavorano per le banche e creano i modelli computerizzati usano algoritmi basati su dati in un periodo in cui c'era liquidità e li estrapolano. Poi avendo successo da cinque fondi che usano questi modelli nei hai cinquanta, poi cinquecento e alla fine tutti hanno su le stesse posizioni e quando liquidano si massacrano a vicenda e mandano giù i mercati.

Ma i loro modelli non contemplano il caso in cui manca la liquidità, il denaro e lettera e il casi in cui tanti fondi usano tutti lo stesso modello alterando da soli il mercato...

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Limitations of computer models
By Gillian Tett and Anuj Gangahar

August 14 2007 19:28

In recent years, Goldman Sachs has become renowned as one of the savviest players on Wall Street. This week, however, the mighty US bank was forced into an embarrassing admission.

In a rare unplanned investor call, the bank revealed that a flagship global equity fund had lost over 30 per cent of its value in a week because of problems with its trading strategies created by computer models. In particular, the computers had failed to foresee recent market movements to such a degree that they labelled them a “25-standard deviation event” – something that only happens once every 100,000 years or more.

“We are seeing things that were 25-standard deviation events, several days in a row,” said David Viniar, Goldman’s chief financial officer. “There have been some issues [before] in some of the other quantitative spaces, but nothing like what we saw last week.”

By any standards, it is a striking admission, given that these losses at the Goldman fund could top $1.5bn (£750m, €1.1bn). But what is more startling still is that Goldman Sachs is not alone in seeing its models go haywire. On the contrary, in recent days a host of other funds have experienced similar difficulties, including highly renowned funds at Renaissance Technologies.

James Simons, founder of Renaissance and one of the most respected quantitative fund managers, last week wrote a letter to investors saying losses were about 9 per cent in the first few days of August (the funds have since recovered at least some of the losses). He also tellingly wrote that “we cannot predict the duration of the current environment,” highlighting the fact that even a group such as Renaissance – whose flagship fund, Medallion, has had an annual return of 30 per cent since 1988 – is suffering badly from recent movements.

Other big-name funds that have been hit include Highbridge Capital (controlled by JPMorgan), DE Shaw, AQR Capital and Barclays Global Investors – as well as funds run by groups such as Lehman Brothers. “Models (ours including) are behaving in the opposite way we would predict and have seen and tested for over very long time periods,” said Lehman Brothers last week.


A glance at recent financial history shows that this type of “rare” event is not so unusual at all. Back in 1998, for example, a key reason for the near-implosion of Long Term Capital Management was that the fund’s economic whizzkids – who included some Nobel prize-winning economists – had devised model-based trading strategies that turned sour when markets moved in unforeseen ways. Similarly, two years ago the financial industry received a shock when General Motors, the US car group, was downgraded – a move that left the price of financial assets gyrating in relation to each other in ways computers had not predicted.

The question now being asked by some bankers – and regulators – is whether this week’s events show that the modern financial industry is foolish to be placing so much faith in these complex computer-driven models.

“People say these are one-in-a-100,000-years events but they seem to happen every year,” says Satyajit Das, a consultant to hedge funds and investment banks. “This episode should make people ask questions about models – I think it could lead to a real reassessment.”

Any such reassessment could have far-reaching consequences. The spread of financial models is at the heart of the growth of modern banking. Indeed, were it not for modern computing power, this decade’s remarkable explosion in finance would not have occurred at all.

The roots of this revolution go back to the 1970s, when computers became small and flexible enough to be easily used by bankers – and bright minds in the world of economics started to move into finance. Initially, their techniques were mostly used to help asset managers decide which equities to buy. But in the 1980s, bankers started to use these tools to analyse complex debt securities, a development that later enabled them to create, price and trade instruments such as derivatives.

This decade, the use of models has moved on to a whole new plane. As computing capabilities increased and global markets became more closely integrated, asset managers started relying on models to track asset prices and detect tiny anomalies that a human eye might struggle to see. Initially, people then traded on these anomalies; but soon they started using computers not just to spot anomalies but to execute trades too. Computers are thus now using models to make trades – and often trading with other computers – with barely any human intervention.

This shift has delivered many powerful benefits for finance. Trading by computer is cheaper than using humans and can be quickly expanded in scale. It tends to be more consistent, since machines – unlike people – never get tired. More important still, computers can trade faster than humans, which is crucial when investment groups are racing one other to exploit tiny price differentials.

As a result, computer-driven trading has proliferated, particularly in markets such as equities that tend to be readily accessed and highly liquid. In many cases, these strategies have delivered excellent investor results, as highlighted in Mr Simons’ letter.

But while computers are often able to operate better than humans in “normal” markets, this month’s events demonstrate that during times of stress they have some crucial flaws. One problem is that models typically predict the future on the basis of past data. This can lead to distortions, given the speed at which the financial industry is currently evolving. Indeed, many of the instruments at the heart of the current credit storm barely existed before this decade – which means that computers can only model these markets based on the benign conditions of the past few years.

Another big problem is that computer models do not always take account of the way that their own behaviour is affecting markets. The essential danger, as Donald Mackenzie, a British finance professor, points out, is a tendency to view models as “cameras”, snapping pictures of market movements. However, models are now so widely used that they often drive markets as well, Mr Mackenzie says, which means they are probably better viewed as an “engine”. “The emergence of modern economic theories of finance [have] affected markets in fundamental ways . . . models are not simply external analyses but intrinsic parts of economic processes,” he notes.

In practical terms, this means that when models evaluate markets, they often fail to recognise how their own behaviour is distorting prices. Take the case of Amaranth, the hedge fund that imploded with $6bn of losses last year. Before this collapse, Amaranth was so dominant in the natural gas market that when it bought it tended to push up prices. These prices were then used in models that calculated Amaranth’s trading risk.

But when Amaranth was forced to sell, gas prices collapsed much faster than any model might have predicted. Although Amaranth itself was not trading on the basis of models, this pattern of events can be doubly dangerous for asset managers using computer-driven programmes, for these computers have a nasty habit of all using similar strategies – partly because they are created by humans who have studied at the same institutions. Thus they can all dash for the exits at the same time.


The issue of computer “herding” appears to be a key factor behind this month’s problems at the Goldman Sachs funds and others. Although aspects of this saga are still unknown, it appears to have started a few weeks ago when some large investment managers suffered losses on subprime securities. This prompted investment banks to demand that hedge funds post more cash against their trades – which in turn forced these funds to sell assets.

However, since subprime securities were hard to trade, the forced sales occurred in other, more liquid markets such as equities. The consequence was a wave of triggered price movements that seemed utterly “irrational”, according to models. Last week, for example, the stock price of some highly valued companies suffered in relation to lowly-rated stocks such as US homebuilders. This appears to have been particularly devastating for the computer strategies used by Goldman’s fund, since such programmes typically assume that low-rated stocks will perform badly in a credit crunch.

Since then, many of these extreme market swings have corrected themselves. Consequently, many of the so called “quants” (experts in quantitative models) who work in the financial industry insist that it is premature to criticise all these strategies. After all, they point out, the vast majority of models that are used in the markets work perfectly well. Moreover, efforts are under way to address problems such as the “feedback loop”, or danger of computer herding. One key focus of some banks, for example, is the search for ways to apply research in the field of artificial intelligence, or neural networking, to financial models. This, they hope, will enable them to “learn” from mistakes and bouts of irrationality – and thus perform better at times of market stress.

“Academic research has been shifting to some degree from a focus on ‘efficient market’ theories to focus more on ‘inefficient market’ theories [and] there is an increased recognition of inefficient market trading strategies,” says Colm Fitzgerald, head of quantitative trading at the Bank of Ireland. “Investors in funds with strategies based on the latter models are not likely to be currently facing any trouble.”

Nevertheless, whether these new “super-intelligent” models will do better remains to be seen. “Bankers talk about self-learning models, with neural networks and things, but a lot of that is hogwash,” says Mr Das.
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Zibaldone finanziario - La questione dei tassi d’interesse in Europa di Paolo Sassetti 17-08-07
Anche con il passare degli anni, lo spettacolo del panico in Borsa è qualcosa cui difficilmente ci si abitua a cuor leggero. È come lo spettacolo drammatico di un grande incendio di cui non si conoscono le cause, di cui si sa che, prima o poi, verrà domato dai pompieri, ma non si sa...
http://www.soldionline.it/a.pic1?EID=18968


La questione dei tassi d'interesse in Europa

Anche con il passare degli anni, lo spettacolo del panico in Borsa è qualcosa cui difficilmente ci si abitua a cuor leggero. È come lo spettacolo drammatico di un grande incendio di cui non si conoscono le cause, di cui si sa che, prima o poi, verrà domato dai pompieri, ma non si sa in quanto tempo e quanti danni si contabilizzeranno alla fine.

Se il fenomeno dei mutui sub-prime è effettivamente localizzato (come siamo autorizzati a pensare, fino a prova contraria) e, soprattutto, se ormai abbiamo la certezza che le autorità monetarie negli anni hanno imparato ad affrontare eventuali difficoltà derivanti da shock esogeni (dall'11 Settembre alla crisi del Long Term Capital), la qualità della comunicazione delle principali Banche Centrali nelle settimane passate probabilmente non è stata all'altezza della confusione creatasi sui mercati finanziari.

Negli Stati Uniti la FED non ha fornito informazioni puntuali e rassicuranti sulla dimensione del fenomeno che, almeno psicologicamente, ha innescato il ribasso dei mercati finanziari. La comunicazione generica è servita solo ad alimentare il sospetto ed il timore. Alla FED si sente la mancanza comunicatore come era Alan Greenspan.

Per quanto riguarda la BCE, lasciare intendere, come ancora fa oggi, che entro fine anno avremo un ulteriore innalzamento dei tassi di interesse fa parte di una visione ideologica un po' superata dell'uso della politica monetaria che, col panico finanziario dilagante, appare persino anacronistica.

Ammesso che esista davvero un problema inflazionistico nella UE, si è davvero convinti che lo si contenga con un ulteriore innalzamento dei tassi di interesse? La politica monetaria calmiera l'inflazione dei beni reali quando, in una condizione di surriscaldamento dell'economia, la rallenta. Ma non è questa la reale condizione odierna della UE, che non presenta strozzature nell'offerta di lavoro e nella capacità produttiva e, soprattutto, non ha bisogno di essere rallentata.

L'inflazione che registriamo in Europa è in parte causa dell'aumento del costo dell'energia, in parte della scarsa concorrenza in taluni settori e, ancora in parte, del ritocco di talune tariffe amministrate, ma non esiste politica monetaria che sia efficace contro questi focolai di inflazione, anche ammesso che siano così seri e gravi.

Ci sono alcuni segnali di rallentamento dell'economia europea che andrebbero colti tempestivamente dalla BCE, nella consapevolezza che, grazie alla globalizzazione, l'inflazione è stata durevolmente sconfitta, che la curva di Philips, ricettario di politica economica degli anni '70, non è più attuale, e che qualche decimo in più od in meno di possibile inflazione non cambieranno le sorti della competitività del nostro continente, ma che queste sorti sono affidate alle politiche strutturali della concorrenza, dell'innovazione, dell'incentivo al rischio d'impresa. Il rallentamento in corso non è drammatico, ma l''effetto Pigou', l'effetto di decurtazione della ricchezza sulle famiglie, potrebbe alimentarlo.

Oggi la BCE deve invertire l'aspettativa generalizzata di un ulteriore rialzo nei tassi di interesse e, al contrario, pianificarne una riduzione, anche per dar modo agli USA di fare altrettanto, senza mettere il dollaro troppo sotto pressione.

Un annuncio in questa direzione aiuterebbe i mercati finanziari a ritrovare una fiducia perduta sulla base di un accavallarsi di supposizioni smentite in maniera parziale e maldestra, un pasticcio mediatico da 'grandi imbranati' della comunicazione. Sarebbe anche un annuncio giustificato alla luce del rallentamento macroeconomico in atto.
Per i cultori di storia economica, durante la crisi del '29, le banca centrale americana inizialmente reagì alla crisi dei mercati finanziai con una stretta monetaria, amplificandola. Di acqua ne è passata sotto i ponti, e ripetere una simile stupidaggine non dovrebbe essere possibile. Neanche se il Governatore della BCE è un francese che vuole atteggiarsi a tedesco!

I tassi di interesse saranno il prossimo faro dei mercati finanziari. Osservate quelli ed avrete utili indicazioni su dove andranno i mercati.

Il Governo Prodi cadrà sul 'caso Alitalia'?

Ho seguito, un po' incredulo, la pantomima delle offerte, annunciate ma mai formalizzate, delle tre cordate in gara per la privatizzazione dell'Alitalia.

Pensavo, divertito, tra me: 'Ma perché pagare per nulla fior di parcelle ai vari advisor finanziari che assistono queste cordate, quando è evidente che non ci sono le condizioni per una privatizzazione? Questi advisor sono proprio bravi se si fanno ingaggiare per delle missioni impossibili e trovano c'è chi è così ingenuo da pagarli per nulla'.

L'Alitalia era come un aereo in riserva di carburante che non poteva permettersi il lusso di fallire l'atterraggio al primo tentativo, perché non avrebbe avuto tempo per tentarne un secondo.Da questo punto di vista, il Ministro Padoa Schioppa ha commesso un grave errore nell'avviare una gara di privatizzazione sulla base di condizioni inaccettabili al comune buon senso.

Fallita la gara, le ipotesi che si sono accavallate sulla stampa sono state non meno surreali della gara stessa: si è parlato di una seconda gara (ma l'Alitalia, senza più carburante, si sarebbe schiantata prima), di un aumento di capitale con rinuncia del diritto di opzione da parte dello Stato (e quali privati lo avrebbero sottoscritto nel quadro di totale incertezza che regnava?), insomma ipotesi in libertà.

Oggi circola la voce di una nuova cordata che dovrebbe rilevare l'Alitalia e, al tempo stesso, ricapitalizzarla.

Perché questa ipotesi sia fattibile, il candidato acquirente, ora forte di un potere negoziale ben superiore, esigerà quella flessibilità sul fattore lavoro la cui mancanza è stata la causa principale del fallimento della gara per la privatizzazione.

Ora, o il Governo varerà un provvedimento per il pensionamento anticipato di schiere di lavoratori giovani, o la flessibilità del lavoro in Alitalia diventerà di certo oggetto di scontro tra le diverse anime del Governo. Riuscite ad immaginare l'ala radicale della coalizione che accetta un ridimensionamento della forza lavoro di Alitalia come prezzo per la sua privatizzazione?

Da questo punto di vista, questa eredità del Governo Berlusconi, cioè il non aver affrontato il problema quando si era ancora in tempo, è una vera pillola avvelenata per il Governo Prodi. Se un compromesso politico ci sarà, di certo sarà a spese delle casse dello Stato. Se il compromesso politico non ci sarà, con tutta probabilità il Governo Prodi non reggerà la prova.


Paolo Sassetti
 
Zibaldone finanziario - La BCE non ha sempre ragione
di Paolo Sassetti
20-08-07
Non conosco personalmente il professor Giacomo Vaciago, ma sono un estimatore della sua competenza e del suo equilibrio nel commentare gli eventi economici. Proprio in questa posizione di suo estimatore posso permettermi un appunto...


Non conosco personalmente il professor Giacomo Vaciago, ma sono un estimatore della sua competenza e del suo equilibrio nel commentare gli eventi economici. Proprio in questa posizione di suo estimatore posso permettermi un appunto all'intervista da lui rilasciata a Radio 24 nella giornata del 16 agosto scorso.
Fu quella intervista ad indurmi a scrivere il commento 'La questione dei tassi di interesse in Europa', pubblicato su Soldionline il 17 Agosto, poco più di un'ora prima che fosse annunciata la riduzione del tasso di sconto negli USA.

Un giornalista chiese al professor Vaciago se la politica monetaria della BCE non fosse eccessivamente rigida, alla luce dell'evoluzione macroeconomica ed il professore rispose che questa rigidità era una necessità, in quanto la BCE era una istituzione giovane che, diversamente dalla FED, doveva ancora farsi una reputazione di rigore.

Il mio pensiero andò alle pratiche correttive dei collegi all'inizio del secolo scorso, quando le punizioni corporali erano la norma anche per mancanze lievi, perché 'bisognava mantenere la disciplina'. Perché questo è ciò che la BCE sta facendo oggi.

In altri termini, la risposta del professor Vaciago ad una domanda tecnica non fu nel merito specifico della questione ma sulla (presunta) necessità di uno stile di condotta. Ho notato che il mondo accademico è in buona parte appiattito su questa posizione. che potrebbe sintetizzarsi con la battuta 'la BCE ha sempre ragione'.

Ebbene, sappiamo che non è così, ma esiste una certa ritrosia negli ambiti accademici a mettere pubblicamente sotto esame il comportamento della BCE e, più in generale, ad avviare una riflessione sul ruolo della politica monetaria nell'economia moderna/globalizzata, che è assai diverso rispetto al suo ruolo negli anni '70 ed '80.

Alla Istituzione è dovuto ovvio rispetto, ma è necessario che la tesi che la politica monetaria deve essere rigida solo per salvaguardare l'immagine della Banca Centrale non riceva alcun credito, perché è il lasciapassare per un suo impiego recessivo.

Al contrario, con la sua iniziativa a sorpresa la FED ha dimostrato di essere governata da dirigenti pragmatici. Credo che il crollo di Tokio nella notte tra il 16 ed il 17 agosto abbia avuto un ruolo decisivo in quella decisione perché, quando crolla un mercato che non ha alcuna relazione con la crisi dei mutui, è evidente che si è entrati in una crisi di fiducia che rischia di determinare un effetto domino e che bisogna fare qualcosa di razionale per ristabilire la fiducia.

Il comportamento della BCE di fronte alla crisi di fiducia dei mercati ed al rallentamento della produzione industriale finora è stato quello di una Sfinge. Diversamente dal professor Vaciago, credo che tale comportamento, lungi dal far guadagnare credibilità alla Banca Centrale, possa lederla, perché è indice che l'economia reale e quella finanziaria non sono governate nel nome del feticcio della lotta all'inflazione.

E che le (presunte) ragioni di immagine fanno premio sulle ragioni di sostanza.


Paolo Sassetti
 
LA MINA CONDUIT

di Felice Meoli
http://www.wallstreetitalia.com/articolo.asp?ART_ID=491803

Un «condotto» verso il nulla. Che sta rubando la scena ai mutui subprime americani. Oltre a questi veicoli «nascosti» (sono fuori bilancio!) anche i «Siv» spaventano gli operatori. Gli "strutturati" valgono sul mercato globale oltre $1.200 miliardi.
25 Agosto 2007 17:51 MILANO


(WSI) – Un «condotto» verso il nulla. È stato eloquente il titolo dell’Economist sulla questione conduit, che sta rubando la scena ai mutui subprime americani. Se infatti in Italia solo UniCredit presenta uno small conduit fuori bilancio - che secondo Morgan Stanley non può destare preoccupazioni - in Europa la pratica di nascondere questi veicoli sembra essere molto più diffusa.

Come afferma Mps «sarà probabilmente ostico anche per le banche centrali riuscire ad avere in tempo reale un quadro preciso dell’entità degli asset in circolazione e dei soggetti coinvolti, trattandosi di veicoli che non rientrano nei bilanci bancari e quindi non tali da offrire un adeguato livello di trasparenza».

Alla fine di marzo, secondo Citigroup, nei conduit europei erano presenti oltre 500 miliardi di dollari di Abcp. Il mercato globale delle Abcp è stimato sui 1.200 miliardi. Ma l’ingegneria non si è fermata ai conduit semplici: la finanza strutturata ha dato alla luce i Siv, Structured Investment Vehicles, simili ma con una leva maggiore, utilizzati per arbitraggi.

Moody’s, a maggio, stimava i volumi di alcuni dei maggiori Siv europei: Solitaire di Hsbc possiede attività per 17 miliardi di dollari ed è esposto per il 70% ad asset americani. Amstel di Abn, con un volume di 14,9 miliardi di dollari, presenta un esposizione a Cdo/Cbo/Clo per l’84 per cento. Una delle più attive in questo mercato è Deutsche Bank. A marzo, in un documento depositato presso la Sec (la Consob americana), Deutsche stimava un’esposizione a perdite su prodotti strutturati per 2,3 miliardi di dollari.

E pochi giorni fa si è rivolta per la prima volta alla nuova «discount window», aperta dalla Fed per gestire la crisi, per un prestito dall’entità imprecisata. A Deutsche fanno riferimento tre conduit (Bills, Rheingold e Rheinmain) per un totale, secondo una stima di Moody’s datata ottobre dello scorso anno, di 12 miliardi di dollari.
Secondo Domenico Picone, analista di Dresdner Kleinworth, «se il fermento sulla finanza strutturata persisterà, è probabile che molti conduit europei e americani si troveranno a vendere i loro asset per far fronte alle scadenze delle commercial paper».

Oggi è diventato difficilissimo trovare investitori disposti a rifinanziare le commercial paper. Per cui i veicoli sono stati costretti ad appoggiarsi sulle banche sponsor, alle quali sono venute in aiuto le banche centrali, chehannoaccettatocomegaranzia titoli che non solo non avevano acquirenti, ma che non erano voluti neanche come collateral. Oltre a essere in una crisi di liquidità, siamo in una crisi di fiducia, «anche di fronte ad asset con rating molto elevato», che sta «comportando la preferenza verso approdi sicuri rappresentati dai titoli governativi Usa e tedeschi», conclude Mps.

Sullo stesso tema leggere anche l'analisi di Antonio Cesarano:
PULIZIA ETNICA IN BORSA
 
PULIZIA ETNICA IN BORSA

di *Antonio Cesarano
http://www.wallstreetitalia.com/articolo.asp?ART_ID=491359


Dal punto di vista dei banchieri centrali il corretto funzionamento dei mercati passa a volte attraverso la pulizia di eccessi che per qualche operatore possono tradursi in sonore perdite. La mina "conduit". Tutto andrà come Fed e Bce vorrebbero?
23 Agosto 2007 14:06 SIENA


*Antonio Cesarano e' Head of Research and Strategy MPS Finance BM S.p.A. Questo documento e' stato preparato da MPS Finance Banca Mobiliare S.p.A. ed e' rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell'art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita' alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita' di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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(WSI) – – Per poter comprendere quanto accaduto e soprattutto cercare di immaginarne i potenziali risvolti è importante cercare di comprendere a grandi linee qual è stato il meccanismo finanziario che ha innescato la crisi di liquidità verificatasi nei giorni scorsi. Quanto accaduto assume una rilevanza maggiore se si considera che solo fino a poche settimane fa uno dei principali fattori addotti come spiegazione della continuazione del rialzo sui mercati azionari era rappresentato proprio dalla presenza di un elevato livello di liquidità nel sistema, come del resto testimoniato dagli aggregati monetari delle principali economie mondiali.

Come è stato possibile che la liquidità sia improvvisamente “evaporata”? Buona parte della spiegazione risiede in una delle tante forme di attuazione delle operazioni c.d. di carry trade, che in ultima istanza beneficiano del differenziale tra il costo del finanziamento ed il tasso di remunerazione delle attività acquistate con i fondi presi a prestito.

Ebbene, tipicamente gli hedge fund utilizzando lo yen come valuta di finanziamento sfruttando livelli di tasso prossimi allo zero e dirottano i fondi verso i paesi che invece presentano tassi più elevati.

Quanto accaduto negli ultimi giorni ha invece a che fare in buna misura con la creazione di veicoli finanziari strutturati in modo da investire su titoli collegati a mutui previo finanziamento soprattutto sul mercato delle commercial paper. Di seguito un apprendimento del funzionamento dei veicoli che per brevità di lettura può essere anche saltato passando alla successiva sezione.

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Il fenomeno dei veicoli finanziari conduit, SIV, SIV-lite

Il veicolo (chiamato conduit, Siv (Strucutred Investment Vehicle) o anche Siv-lite nel caso di veicoli con più alto grado di rischio collegato al più elevato livello di leva utilizzato) investe in titoli generalmente con rating elevato (spesso AAA) e finanzia tali operazioni in buona misura attraverso l’emissione di titoli a breve termine (mediamente con scadenza intorno ai 3 mesi), rappresentati in larga misura da commercial paper. Tali veicoli sono in gran parte sponsorizzati da banche che in molti casi concedono anche linee di credito che vengono utilizzate dal veicolo nel caso di temporanee situazioni di tensione sul mercato monetario tali da rendere più conveniente l’utilizzo della linea di credito piuttosto che il rinnovo delle commercial paper in scadenza. Il profitto in buona misura risiede nel differenziale di tasso tra attivo e passivo ricollegabile alla diversa durata del passivo (breve) rispetto all’attivo (lungo termine) ed all’elevato livello di rendimento offerto dall’attivo pur in presenza di titoli con elevato livello di rating.

Quest’ultima condizione è stata ritrovata in buona misura nell’investimento direttamente (ABS) o indirettamente (CDO) in titoli aventi come sottostante (ossia come garanzia collaterale) i flussi derivanti dai mutui Usa. Le commercial paper emesse per finanziare tali acquisiti a loro volta presentano pertanto una garanzia implicita rappresentata dalle attività finanziarie acquistate. Pertanto vengono denominate Asset Backed Commercial Paper, ossia le c.d. ABCP.

La breve spiegazione del meccanismo di funzionamento di tali veicoli finanziari porta pertanto alle seguenti considerazioni:

1) per il veicolo è fondamentale avere un efficiente mercato delle commercial paper tale da consentirgli rinnovi continui delle stesse per poter ripagare quelle in scadenza. E’ per tale ragione che il mercato delle ABCP ha assistito ad un vero e proprio boom dalla fine del 2004 in poi (si veda grafico allegato), parallelamente alla maggiore diffusione dei veicoli citati. Stando ai dati forniti dalla Fed, l’ammontare delle commercial paper in circolazione a metà agosto ammontava a circa 2100Mld$ di cui circa 1000Mld$ è rappresentata da ABCP. Nell’ambito di questi ultimi circa 500Mld$ (in base a stime di Citigroup) è situato in conduit europei. Infine, secondo la Fed, solo il 10% del totale delle commercial paper è rappresentato da titoli emessi da aziende non finanziarie;

2) l’acquisto di titoli aventi come sottostanti i mutui rappresenta l’anello principale di congiunzione tra economia reale (vedi mercato immobiliare) e mercato finanziario. Secondo quanto riportato da Standard&Poor’s circa il 23% dell’attivo dei SIV è rappresentato da titoli aventi come sottostante mutui residenziali. Di questi ultimi circa la metà fanno riferimento agli Usa.;

3) le banche sponsor non compaiono direttamente né tantomeno inseriscono in bilancio i titoli acquistati dal veicolo. Si limitano a concedere una linea di credito.

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Il punto di partenza di quanto verificatosi negli ultimi giorni è stato comunque rappresentato dal rallentamento del settore immobiliare Usa con forti cali dei prezzi delle case tali da metter in crisi i mutuatari statunitensi che avevano contratto mutui a tasso variabile, spesso strutturati in modo tale da comportare rate molto contenute nei primi anni (solitamente non oltre il terzo anno) e rate più elevate negli anni successivi dipendenti dall’andamento dei tassi di mercato.

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L’home equity extraction

I rialzi delle rate verificatosi nei mesi scorsi in seguito al contestuale incremento dei tassi (la Fed nel giro di due anni ha portato i tassi dall’1% al 5,25%), è stato inizialmente tollerato attraverso la continuazione dell’estrazione di valore dagli immobili. In altri termini i mutuatari hanno chiesto un prestito aggiuntivo offendo come garanzia il valore incrementato dell’immobile. Il meccanismo si è però interrotto quando anche i prezzi delle case hanno iniziato la fase discendente. In capo ai mutuatari sono pertanto rimasti un valore del debito complessivo più elevato e soprattutto livelli di rata in alcuni casi prossimi al 100% del loro reddito. Di conseguenza sono stati costretti a vendere la propria abitazione per passare in affitto. Successivamente, essendo la vendita piuttosto ardua vista l’ampia offerta nel frattempo creatasi, sono stati costretti a vedersi pignorata la propria abitazione.

Il forte rialzo dei prezzi delle case ha anche contribuito alla nascita e/o allo sviluppo di società specializzate nell’erogazione di mutui di elevata entità (i c.d. jumbo mortgage ossia quelli di entità superiore ai 417.000$ pari alla soglia oltre la quale per legge i mutui non possono essere riacquistati dalle relative agenzie Freddie Mac e Fannie Mae) e/o verso clientela con più elevato merito creditizio. Si sono pertanto diffusi i c.d. mutui subprime che in larga misura sono a tasso variabile (c.d. ARM Adjustable Rate Mortgage) in quanto in tal modo è stato più facile strutturare il meccanismo di riduzione della rata nei primi anni di vita del mutuo e renderlo pertanto sostenibile per il mutuatario. Non a caso un report del FMI su questo tema datato luglio 2007, parafrasando una nota canzone, titola un paragrafo “Brothers in ARMs”.

Le difficoltà dei mutuatari si sono a loro volta tradotte nella percezione di minore sicurezza dei titoli garantiti dai mutui stessi. Di conseguenza i veicoli hanno dovuto difficoltà a rifinanziare le proprie posizioni sul mercato delle commercial paper per assenza di compratori. Pertanto hanno fatto ricorso massicciamente alle linee di credito accordate dalle banche sponsor mettendo in forte difficoltà queste ultime nel reperimento dei fondi che in diversi casi ammontavano a diversi miliardi di Euro o di Dollari. Ecco allora che la situazione di difficoltà dei veicoli si è trasferita alle banche sponsor, in aiuto delle quali sono arrivate le banche centrali offrendo loro liquidità ed accettando come garanzia (collateral) titoli che sul mercato non trovavano più compratori né tantomeno soggetti disposti ad accettarli come garanzia.

In questo contesto occorre fare due precisazioni: 1) diversi titoli detenuti dai veicoli presentano spesso il rating massimo AAA trattandosi in buona parte di tranche c.d. senior, ossia quelle meno esposte al rischio di insolvenza dei creditori. E’ però accaduto che, malgrado i titoli continuassero ad essere caratterizzati da continuazione del flusso di pagamenti, ne è però fortemente peggiorata la possibilità di vendita se non a prezzi molto inferiori a quelli solo di qualche settimana fa. In altri termini, il rating è stato attribuito facendo riferimento al rischio di credito sottostante. Il problema di questi giorni fa invece riferimento ad un rischio di mercato in quanto ad un certo punto gli operatori non li hanno più accettati né in acquisto né tantomeno in garanzia, generando appunto una crisi di liquidità. La percezione di un basso rischio creditizio ha ad esempio portato Moody’s ad emettere un report a fine giugno scorso in cui i SIV venivano definiti “un’oasi di pace nel vortice dei subprime”.

La possibilità che le turbolenze di mercato potessero portare a rischi di liquidità seri a carico di soggetti fortemente esposti nel settore dei mutui via Abs e/o CDO, secondo quanto riportato dall’Economist era stimata praticamente essere nulla (per gli amanti della statistica 25 sigma, un valore bassissimo se si considera cha il fondo Long Term Capital Market fallito nel ’98 stimava una probabilità di default collocata a 7 sigma!).

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Se questa è la dinamica di quanto accaduto è risultato piuttosto singolare verificare come il processo di globalizzazione finanziario abbia generato riflessi soprattutto a carico di banche europee, in primo luogo quelle tedesche. Negli Ultimi anni infatti è stato soprattutto in questo paese che diverse banche hanno dato vita a veicoli strutturati nel modo prima descritto con diversi vantaggi in termini di assorbimenti patrimoniali e anche di profitto.

Perché mai l’operatività descritta dei veicoli si è diffusa soprattutto negli ultimi anni? In parte la ragione risiede nella perduranza di condizioni di curva dei tassi molto piatta: in altri termini il tasso di interesse offerto da un titolo governativo a lungo termine è solo di poco superiore a quanto offerto da titoli con scadenza ben più breve. Ecco allora la necessità di cercare di sfruttare al massimo il differenziale tra breve e lungo termine investendo in titoli che ottimizzassero il livello di rendimento incamerato con un livello di rischio (almeno creditizio) pari a quello di un treasury sulla base del rating attribuito.

Perché mai ha interessato principalmente le banche tedesche? Secondo quanto riportato dal Wsj in parte il fenomeno si ricollega alla minore concentrazione del settore bancario tedesco che presenta più di 2100 istituzioni finanziarie. A titolo di confronto ad esempio il regno unito presenta 440 istituzioni, la Spagna 359. I veicoli inoltre hanno preferito investire in titoli in Dollari dal momento che il mercato Usa offre condizioni più favorevoli sotto il profilo della liquidità sia degli asset sia delle fonti di finanziamento (commercial paper). Inoltre avere attivo e passivo denominati nella stessa valuta elimina il rischio valutario.

Gli eventi dei prossimi giorni aiuteranno probabilmente ad avere maggiore chiarezza sull’entità e sulla ramificazione del fenomeno dei veicoli finanziari. Al momento risulta probabilmente ostico anche per le banche centrali riuscire ad avere in tempo reale un quadro preciso dell’entità degli asset in circolazione e dei soggetti coinvolti, trattandosi di soggetti (i veicoli) che non rientrano nei bilanci bancari e quindi non tali da offrire un adeguato livello di trasparenza. L’assenza di certezza sotto questo punto di vista ha acuito il problema della crisi di liquidità anche di fronte ad asset con rating molto elevato, comportando la preferenza verso approdi sicuri rappresentati dai titoli governativi Usa e tedeschi.

In sintesi

Dopo il tentativo di ricostruzione del complesso intreccio che collega il mondo reale (mercato immobiliare nella fattispecie) con quello finanziario, cerchiamo di affrontare l’arduo compito di immaginare l’evoluzione futura degli eventi. Innanzitutto i primi due eventi importanti saranno la riunione della Bce del 6 settembre e quella della Fed del 18 dello stesso mese. Nel primo caso, in presenza ancora di turbolenze sui mercati è possibile che la Bce rimandi ad ottobre il rialzo preannunciato ad agosto, pur sottolineando che trattasi di rinvio e non di cancellazione. Del resto, proprio ad agosto Trichet si era premurato di metter nero su bianco il fatto che la Bce avrebbe “attentamente monitorato” gli sviluppi sui mercati che già ad inizio agosto si stavano manifestando.

Per quanto riguarda la Fed , probabilmente l’intenzione di Bernanke è quella di provare a mantenere i tassi Fed Funds fermi al 5,25% ed utilizzare, come già fatto, lo strumento del tasso di sconto per venire incontro alle esigenze delle banche in caso di necessità. Per quanto riguarda i Fed Funds, proviamo a mettere sul piatto i pro ed i contro di un eventuale taglio: da un lato aiuterebbe i mutuatari a tasso variabile (i famigerati “Brothers in ARMs” utilizzando la parafrasi del Fmi) ma in questo caso occorrerebbero manovre corpose (almeno di 50pb) e ravvicinate per avere un impatto concreto ed immediato. Dall’altro lato il repentino calo dei Fed Funds potrebbe aumentare le condizioni di liquidità del sistema contribuendo potenzialmente a creare nuovo terreno fertile per una nuova ondata di carry trade.

Per poter cercare di navigare in questo complesso contesto la Fed potrebbe appunto scegliere di manovrare per ora solo il tasso di sconto con opportune operazioni di iniezione/drenaggio di liquidità in base alle necessità degli operatori. In questo modo riuscirebbe a recuperare il tempo necessario per valutare l’impatto di quanto accaduto sull’economia reale. In questo caso riteniamo che l’impatto potrebbe essere manifesto sulla spesa per consumi già nel trimestre in corso e gradualmente anche nei prossimi due trimestri.

Fino ad ora i consumi avevano trovato supporto soprattutto nelle favorevoli condizioni del mercato del lavoro, riuscendo così ad evidenziare una buona tenuta anche dopo il venir meno del supporto offerto invece dal settore immobiliare mediante l’estrazione di valore dagli immobili. In prospettiva le aziende potrebbero far fronte agli aumentati costi di finanziamento nonché al calo della domanda ridimensionando i costi del personale. Si tratta di un rischio che potrebbe emergere in modo gradualmente crescente soprattutto nei prossimi due trimestri, dal momento che il mercato del lavoro tradizionalmente rappresenta un indicatore ritardato del ciclo macroeconomico. Di conseguenza, la Fed potrebbe operare un primo taglio dei tassi Fed Funds non prima di novembre o più realisticamente dicembre. Laddove i mercati dovessero però avvitarsi, allora il taglio conseguente dei Fed Funds suonerebbe come un provvedimento di estrema ratio che implicitamente recherebbe l’ammissione del fatto che i rischi di ridimensionamento della crescita sono già in atto.

Una precisione a questo punto è doverosa: il fenomeno del “repricing del rischio” avvenuto nei giorni scorsi era stato a più riprese auspicato dai banchieri centrali e probabilmente rimarrà in essere anche dopo il superamento dell’attuale crisi. Dal loro punto di vista l’importante però è che tutto si svolga senza generare panico e quindi senza arrivare a compromettere i fondamentali macroeconomici. Le forti iniezioni di liquidità degli ultimi giorni sono in buona misura finalizzate a tale obiettivo.

In altri termini dal punto di vista dei banchieri centrali il corretto funzionamento dei mercati (e di conseguenza il supporto per la continuazione di favorevoli condizioni di crescita) passa di tanto in tanto attraverso la pulizia di eccessi che per qualche operatore possono tradursi anche in sonore perdite. Se tutto andrà come le banche centrali auspicano, probabilmente a fine anno il forte livello di liquidità insieme alla sensazione di scampato pericolo che in genere consegue a fasi estremamente turbolente come quella degli ultimi giorni, potrebbe comportare il ritorno del sereno sui mercati finanziari per qualche mese.

Per verificare se anche questa volta (come ad esempio accadde nel 1998) si verificherà una situazione di tal tipo occorrerà attenderà almeno un mese circa, fino alla prossima riunione della Fed del 18 settembre. Nel frattempo, su un orizzonte temporale più lungo esteso anche al 2008, occorrerà altresì verificare se i fondamentali macro presentino o meno i primi sintomi della fine del lungo ciclo espansivo, principalmente negli Usa. Quanto accaduto nel settore immobiliare presenta potenzialmente i requisiti per comportare un impatto più marcato sulla crescita. Pertanto negli ultimi mesi dell’anno occorrerà ancor di più distinguere tra posizioni tattiche di un mese o due e quelle più strategiche in ottica 2008.

Infine uno sguardo sul mercato obbligazionario : gli eventi degli ultimi giorni si sono risolti in un movimento brusco soprattutto sul mercato monetario. I tassi a lungo termine sono anche essi scesi ma molto meno di quelli a breve. Le curve potrebbero mantenere una pendenza più accentuata rispetto a quella praticamente nulla cui ci avevano abituato da molto tempo. In area Euro il processo di irripidimento potrebbe comunque essere graduale visto che la Bce ancora non ha completato il ciclo rialzista. Nel caso Usa il processo di steepening potrebbe essere più accentuato rispetto all’area Euro ma in ogni caso meno violento rispetto all’era Greenspan: gli operatori stanno gradualmente familiarizzando con una gestione della politica monetaria caratterizzata da minori inversioni brusche in cambio di più lunghi periodi di stazionarietà dei tassi.
 
PIRELLI RE
REGINA DEL SUBPRIME ALL' ITALIANA


di Edoardo Montalbano
http://www.wallstreetitalia.com/articolo.asp?ART_ID=491367


Il gruppo di Puri Negri ha accumulato 2 miliardi di non performing loans, e ne ha cartolarizzato il 20%. Ma sembra al riparo dai rischi di una replica del meccanismo Usa. Se il mattone tiene.
23 Agosto 2007 14:27 MILANO


(WSI) – Nei mesi in cui è scoppiata negli Stati Uniti la bolla dell’immobiliare, origine dell’attuale crisi dei mutui subprime, in Italia Pirelli Re ha approfittato della leadership di mercato per ingrossare il portafoglio di non performing loans (Npl).

Nel primo semestre 2007, la divisione investment & asset management del gruppo della Bicocca ha acquisito 268 milioni di euro di crediti ipotecari in sofferenza che si aggiungono a 1,8 miliardi già in stock allo scorso 31 dicembre. Una cifra che potrebbe far pensare a un alto rischio in capo a Pirelli Re che nel 2004 ha iniziato, unica in Italia tra le società immobiliari, a entrare nel business Npl. Un ingresso avvenuto in partnership prima con Morgan Stanley e poi con Calyon del Crédit Agricole. In realtà, il gruppo guidato da Carlo Puri Negri sembra in qualche modo più blindato rispetto alle società saltate sulla mina subprime negli Usa e in Germania. È la stessa società milanese a spiegare a F&M che non c’è alcun rischio. Per i conti di Pirelli. E nemmeno per chi ha acquistato i titoli delle cartolarizzazioni legate al portafoglio Npl.

I subprime, infatti, sono mutui ad alto rischio,ma performing, cioè ancora in bonis. Gli Npl, viceversa, sono già crediti in sofferenza. Inoltre, i Npl sono relativi a finanziamenti garantiti in maniera robusta, cioè da ipoteche su immobili di provenienza bancaria. In pratica, sono mutui entrati in contenzioso che le banche cedono ad altri soggetti, come Pirelli Re, a un valore pari al 30-40% del nominale del credito insieme all’ipoteca sul relativo immobile.Ed è dal valore di questo immobile che dipende il recupero del credito. Proprio l’interesse per l’acquisizione dell’immobile, in un periodo che può variare da cinque a sette anni, ha spinto il gruppo della Bicocca a entrare nel mercato.

Mercato che in Italia è nato nel 2004 sulla scia dell’introduzione dei principi Ias e di Basilea 2 (norme che impongono l’iscrizione a valori correnti) che ha spinto le banche a cedere questi mututi, fino a quel momento iscritti al valore nominale, per evitare di contabilizzare le perdite. Pirelli ha quindi monetizzato parte dei due miliardi di portafoglio mutui in sofferenza attraverso operazioni di cartolarizzazione: oltre il 20% del pacchetto, circa 400 milioni, sono stati ceduti (con i relativi rischi) a banche d’investimento. Percentuale destinata ad aumentare. E qui si apre il secondo fronte di rischio.

Questi crediti in sofferenza «impacchettati » in varie tipologie di titoli sono finiti a investitori istituzionali. Ma in base all’esperienza subprime non si può escludere che abbiano raggiunto risparmiatori. Eppure, anche in questo caso,sembra ci siano margini di tranquillità. I titoli cartolarizzati non sono garantiti dalle rate dei mutui, come nei meccanismi subprime. Viceversa, sonogarantiti dai flussi derivantida gestione e vendita degli immobili. Dipende, dunque, dalla tenuta dei prezzi immobiliari.
 
tontolina ha scritto:
Come accade il disastro
Maurizio Blondet
01/08/2007
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2180&parametro=


Le azioni di una grande ditta specializzata in mutui, la American Home Mortgage, hanno perso l’87 %.
L’ancora più grande Countrywide Financial ammette che i suoi «debitori di alta solvibilità» (i migliori), che avevano acceso una seconda ipoteca sulla loro casa (così gli americani, negli ultimi anni, hanno trovato i soldi per consumare) stanno facendo «default».
Di conseguenza, la IKB Deutsche Industriebank, che fornisce fidi alle medie industrie tedesche, ha annunciato che i suoi investimenti americani sono gravemente degradati.
Così la patologia speculativa USA sta infettando il mondo.

A lungo gli storici studieranno come mai una tale follia speculativa - i prestiti a debitori noti per loro precedenti insolvenze - abbia potuto essere lasciata arrivare al punto di irresponsabilità da provocare un nuovo ‘29.

Si può spiegare con il rincaro ventennale degli immobili.
Le case aumentavano tanto e così sicuramente, che il rischio di fare il mutuo ad un insolvente appariva più che compensato dalla possibilità di rivendere l’immobile, in ogni momento, facendo profitto.
La facilità con cui si concedevano i prestiti aumentava la domanda e dunque i prezzi immobiliari, creando un circolo creduto virtuoso…
Ma da dove venivano i soldi che le banche prestavano così alla leggera?
Dal credito frazionale, la truffa primaria delle banche, in primo luogo.
Le banche moltiplicano così per dieci e per venti l’ammontare del debito contratto dagli Stati che prendono prestiti a rotta di collo dalla propria Banca Centrale, indebitandosi (ciò che è oggi «stampare moneta»).

Ma La situazione è stato aggravata dai bassissimi interessi - un minimo storico - pagati ai risparmiatori.
Le banche prestatrici prendevano denaro a basso costo e lo davano ai contrattori di mutui ad alto interesse.
Il «carry trade» ha agito come potente fattore moltiplicatore aggravante.
Il Giappone, per uscire dalla decennale deflazione, «stampava moneta» ossia inondava la sua economia di prestiti all’1%.

Gli speculatori globali (le grandi banche d’affari USA in primo luogo) si indebitavano dunque in yen all’1%, e davano a prestito quel denaro ai loro debitori col mutuo al 5 o più.
Una pacchia.
Perché non è durata?

Perché tutti hanno esagerato: le banche prestando perdutamente e troppo facilmente (tanto, gli immobili di garanzia del debito rincaravano), e i debitori indebitandosi oltre il loro reddito e la realistica possibilità di far fronte ai ratei.
Quando i tassi mondiali hanno cominciato a salire, la macchina del «boom economico» di carta s’è rotta.
Perché gli interessi hanno cominciato a salire?
L’eccessiva liquidità mondiale ha finito per investire sempre più in materie prime, che salivano astronomicamente perché la Cina, in boom rovente, le compra a qualunque prezzo.
Nello stesso tempo, la finanza che «investe» in speculazione, non ha investito abbastanza nel settore minerario - nella più basilare economia reale - sicchè le materie prime sono scarse rispetto alla domanda.
La «mano invisibile del mercato», che secondo il dogma liberista doveva far proprio questo, ha clamorosamente fallito.
La mano invisibile ha prestato ad insolventi anziché pagare salari operai e produrre beni fisici reali.
Alla fine, il rincaro delle materie prime è salito al punto che l’effetto «cinese» (merci a prezzi bassi per il consumo) è finito: la Cina oggi è aggravata da inflazione e le sue carabattole costano sempre di più.
Ciò durerà per anni.
Nel mercato unico globale, l’inflazione cinese ha inondato il mondo.
Le economie occidentali hanno subìto l’inflazione, e di conseguenza il rialzo dei tassi d’interesse.
In USA i tassi primari, pari all’1% nel 2005, sono oggi al 5,25%.
In Europa dal 2% di novembre 2005 sono oggi al 4%.
I debitori di scarso credito, che hanno contratto mutui americani all’1%, e già facevano fatica, figurarsi quanto riescono a pagare al 5-8%.
Massicce sospensioni di pagamenti, dilaganti sequestri di immobili, rimessi sul mercato, e quindi, calo dei prezzi immobiliari in USA.
Il circolo virtuoso apparente s’è rovesciato nel circolo vizioso reale.
Rapidissimo.
O meglio: da mesi i segnali d’allarme si moltiplicano.


Ma i geniali finanzieri gestori di fondi, i creativi inventori di derivati, si sono sentiti infallibili e invincibili.
Tutto il loro genio che ha fruttato loro miliardi poggiava sulla credenza che i tassi giapponesi sarebbero rimasti bassissimi e lo yen debolissimo.
Appena lo yen ha cominciato a salire, i genii si sono trovati nella condizione degli insolventi americani col mutuo: il loro debito ha cominciato a crescere.
I geniali terrorizzati, sono corsi ad alleggerirsi dei loro debiti contratti in Giappone, ciò che ha creato la prematura fine del «carry trade» e di fatto una riduzione rapida e planetaria della liquidità.
Di qui anche l’uscita di molti dal mercato azionario e la stretta sui fidi e sui mutui, prima facili ed ora difficilissimi.
Gli hedge funds hanno innescato il disastro.
Perché sono essi stessi indebitatissimi (leveraged) onde «aumentare la propria esposizione al mercato» e di conseguenza «ai profitti».
Ma quando la tendenza al boom e all’euforia si rovescia, allora anche l’effetto leva si rovescia: se prima ci si indebitava per moltiplicare i profitti, ora il debito moltiplica le perdite di vari multipli. Così gli hedge funds si trovano di colpo a secco, prosciugati fino all’ultimo dollaro.

E' successo in USA.
Ovviamente, è successo in Italia: Italease, coi suoi genii azzerati dalla Banca d’Italia con criminoso ritardo.
L’effetto finale quale sarà?
Uno shock che scuote tutto il sistema - un terremoto sistemico - consistente in questo: il rischio di ogni singolo titolo, cambiale, buono e obbligazione risulta di colpo sottovalutato, e deve essere ricalcolato.
Ovviamente al ribasso.
La carta che valeva AAA+ oggi vale BBB-.
Il più alto livello di rischio percepito provoca ovviamente che chiedere denaro a prestito costerà di più.

Il che aggraverà il rischio di fatto: aziende che possono ancora prosperare pagando sui fidi interessi del 16% (come in Italia) falliscono quando la banca chiede il 25% o peggio, il rientro immediato (come sta succedendo).
La folle euforia dei grandi usurai globali e locali si tramuta in depressione; l’ardimento demente diventa paura da pecore e da conigli, e questa congela l’economia reale: economia finanziaria è economia maniaco-depressiva.

C’è un rimedio possibile?
Le Banche Centrali dovrebbero, di concerto, ridurre i tassi per contrastare con liquidità il gelo recessivo.
Ma la cura è peggiore del male, dato che la liquidità oggi andrebbe non alle imprese reali e ai salari, ma ai giocatori speculativi della roulette globale, che sono la causa della rovina.
In ogni caso, la Federal Reserve tenterà di fare proprio questo; ma è ostacolata dal rischio che i suoi creditori esteri si liberino di Buoni del Tesoro che rendono meno, e già si squagliano come gelati al sole a causa del calo del cambio del dollaro.
La Banca Centrale Europea, che non capisce mai nulla (è governata da cloni robotici del robot Padoa Schioppa) manterrà alti i suoi interessi, sarà l’ultima ad abbassarli, e solo su ordine USA e naturalmente «meno» degli USA, il che manterrà lo svantaggio europeo dell’euro forte.
Insomma i cretini monetari centrali aggraveranno il male, perchè non hanno una teoria adatta alla nuova situazione, e così volano col pilota automatico.
Tanto, a loro gli stipendi non mancheranno.
Per noi comuni mortali, la loro «scelta» significherà disoccupazione, riduzione dei consumi, e nemmeno deflazione, perché le materie prime rincarano.
Peggio ancora che nel ‘29.

Maurizio Blondet




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Un lieto effetto del crack
Maurizio Blondet
24/08/2007
Il candidato repubblicano Ron Paul

«Il bilancio militare di Israele è stato tagliato, in un solo colpo ed improvvisamente, di un impressionante 10%. La ragione: Washington ha comunicato a Gerusalemme che non avrebbe proceduto alla solita e attesa infusione di aiuti militari, perché lo zio Sam non ha soldi».
Così rende noto la rivista giudaica Forward, in una analisi dal titolo significativo: «I mutui e la questione ebraica» (15 agosto 2007).
E' dunque lo stesso Forward a collegare una improvvisa crisi dell'onnipotenza bellica israeliana al crak tipo 1929 innescato dalla crisi dei mutui «subprime».
«C'è un piccolo angolo del mondo che è terrificato dalla debolezza dell'America», scrive testualmente.
La questione ha un lato ironico.
La «crisi dei mutui» e la conseguente «mancanza di liquidità» non indica solo il crepuscolo del sistema finanziario USA: prelude al naufragio dell'ultimo esperimento sociale imposto al mondo da uno speciale gruppo umano.
Come non si stanca di rilevare il candidato repubblicano Ron Paul, i neoconservatori ebraico-americani sono di formazione trozkisti: ossia tra gli artefici del grande e sanguinoso esperimento sociale che consistette nell'imporre l'ideologia «scientifica» del marxismo nel modo più dogmaticamente puro, senza scendere a compromessi con la realtà, e senza alcuna pietà per il suo costo umano.
La dottrina prima di tutto.
Fallito l'esperimento in ragione della sua stessa purezza di applicazione (l'essenza del marxismo «nemica dell'esistenza»: più rigorosamente viene applicata, più strangola la realtà sottostante), i trotzkisti hanno cambiato cavallo ideologico, ma con lo stesso furore dogmatico.
La nota lobby ha approfittato del temporaneo status di «unica superpotenza rimasta» degli Stati Uniti per imporre l'ideologia del liberismo «americano» con la stessa purezza ideologica: l'ideologia del «mercato» e del profitto allo stato chimicamente puro, ossia senza alcuna infusione di socialità pubblica né di solidarietà collettiva.

Lo riconosce a malincuore la stessa rivista Forward.
L'economia di purissimo mercato finanziario, ammette, non è un fatto naturale.
E' stato reso possibile «in parte dalla deregulation del sistema bancario e finanziario, in parte dalle riforme fiscali» (gli enormi tagli alle tasse sulla ricchezza finanziaria) ad aver instaurato, con il declino «dell'economia basata sull'industria» in USA e in tutto l'Occidente, il nuovo sistema: consistente «nella impressionante crescita di servizi finanziari, ossia di prestare ed indebitarsi per profitto, ormai la parte maggiore della nostra economia».
Ciò è visibile «nella incessante pubblicità che ci invita a indebitarci: con l'offerta di nuove carte di credito, di sempre più facili mutui, di rifinanziare i nostri debiti personali per riprendere a consumare. Le istituzioni finanziarie, sotto pressione continua a crescere, hanno continuamente abbassato le condizioni per il credito al consumo».
Fra le offerte, Forward cita la più rovinosa, non certo ignota ai debitori italiani: i mutui a tasso variabile.
«Presentati inizialmente come convenienti, basati sul denaro prestato a basso costo, essi promettevano futuri aumenti, un giorno o l'altro, in futuro. Quel giorno è arrivato».
Come il marxismo «scientifico», anche la teoria del monetarismo «scientifico» e senza compromessi ha una falla logica.
Come i trozkisti hanno sempre ignorato che l'esproprio della proprietà privata, la statalizzazione totale dei mezzi di produzione, tagliava alla radice la capacità e volontà di produrre, così i monetaristi (a cominciare dal Nobel ed ebreo Milton Friedman, della Chicago School) hanno sempre ignorato il peso che il debito accumulava sull'economia reale.
Per i dottrinari, la quantità di debito è irrilevante, fintanto che il costo dell'indebitamento (tassi d'interesse) è basso.
Così, hanno creduto che non solo gli individui, ma la «sola superpotenza rimasta» potesse continuare a dominare il mondo producendo sempre meno e indebitandosi sempre più. Demandando alla Cina la fabbricazione di merci, e prendendo in prestito dalla Cina o soldi per comprare le merci cinesi.

Naturalmente il dogma sottovalutava l'effetto cumulativo degli interessi, basti dire questo: in USA, nel 1950, un dollaro di debito innescava 4 dollari di attività economica.
Nel 2000, un dollaro preso a prestito rendeva solo 20 centesimi.
Nel 2005, solo 10 centesimi.
Oggi, praticamente, più nulla, secondo i dati forniti da Paul Kasriel, direttore delle ricerche economiche della Northern Trust.
Gli interessi cumulati si mangiano il profitto, e anche lo slancio produttivo occidentale.
Come nel caso del comunismo, l'esperimento sociale del monetarismo globale sta fallendo, con seguito di miserie e sofferenze.
«In tutto il Paese le famiglie scoprono che i loro mutui si gonfiano come palloni mentre i loro redditi declinano, dato che le fabbriche sono fuggite, e non possono più pagare. Le istituzioni di prestito si trovano così a corto di liquido, e non possono pagare i loro investitori. I fondi d'investimento basati sull'acquisto di debito (che prometteva grandi profitti, se i debitori pagavano) stanno cadendo nel vuoto. L'industria immobiliare, massimo motore della crescita USA, sta perdendo quota. L'economia rallenta. Il dollaro perciò si deprezza sui mercati mondiali. E così gli americani, i consumatori e lo Zio Sam stesso, possono comprare meno di prima».
«Ma il peggio, la bomba, è che i fondi esteri che hanno investito nel credito americano, specialmente nei mutui, stanno crollando. Due grandi banche tedesche hanno chiuso gli scambi a luglio per prevenire vendite da panico. Una delle maggiori banche francesi ha chiuso tre dei suoi fondi per lo stesso motivo. La Banca Centrale Europea perciò ha iniettato 130 miliardi di dollari per sostenere le banche rimaste senza liquido, perché i loro investimenti americani n on rendono più nulla».
«Di conseguenza, gli investitori stranieri si liberano dei dollari. Ciò deprezza ulteriormente il dollaro. E soprattutto, aumenta il prezzo che il nostro governo - che ha preferito indebitarsi anziché tassare - deve pagare per fornirsi di denaro per le sue spese».

A cominciare dalle spese belliche: gli USA sono trasformati, per volontà degli ideologici trotzkisti neocon, da «Welfare State» in «Warfare State», lo Stato della guerra permanente, della rivoluzione permanente per diffondere la «democrazia».
Tra queste spese belliche primeggiano gli «aiuti», almeno 3 miliardi di dollari l'anno, per il bellicismo insaziabile israeliano.
Ora, mancano i soldi persino per Giuda e il suo «regno» del terrore e della minaccia.
Finalmente un effetto collaterale benefico della grande crisi incombente.
E alquanto ironico.

Maurizio Blondet
http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2209&parametro=
 
L’epilogo è ancora lontano
di Charlie Minter - 27/08/2007
http://www.smarttrading.it/default.asp?idlingua=1&idContenuto=3615



Le turbolenze finanziarie non sono ancora terminate.
La situazione del mercato immobiliare continua a peggiorare e la Fed interverrà con un taglio dei tassi ufficiali soltanto quando si svilupperà una situazione che gli investitori non apprezzeranno affatto.
Le cattive notizie continuano ad affluire ad un ritmo incessante e non verranno meno in tempi brevi: è prevedibile che fallimenti e insolvenze continuino a salire nel prossimo anno se non nei prossimi due, con i soggetti finanziati che incontreranno crescenti difficoltà sui mutui accesi con rate ridotte inizialmente, e che ora sono riviste al rialzo. Gli investitori in derivato sul credito hanno prezzato il relativo valore in base a modelli che hanno fallito miseramente e ora fronteggiano la triste prospettiva di una drastica revisione al ribasso.
Se i fondi gestiti da quelle che erano ritenute le menti più brillanti di Goldman Sachs e Bear Stearns hanno sofferto pesanti perdite, chissà quanti hedge fund saranno costretti ad uscire allo scoperto nei prossimi tempi. Come annoto qui in basso le difficoltà del mercato non sono una semplice reazione emotiva, ma affonda le radici nei fondamentali del mercato stesso.

La scorsa settimana Lehman ha annunciato che sta liquidando la divisione di erogazione dei mutui,
mentre la Accredited Home Lenders ha annunciato che cesserà di aprire nuove posizioni negli Stati Uniti.
Inoltre Capital One ha affermato che chiuderà la sua Greenpoint, attiva nei mutui, quando sarà rilevata dalla North Fork bank.
Almeno 90 compagnie in USA hanno sospeso l’operatività o si sono messe sul mercato dall’inizio del 2006, e il processo sembra accellerare.
La Challenger, Gray & Christmas rileva che dall’inizio dell’anno ci sono stati 40.000 licenziamenti nel settore, inclusi 25.000 annunciati soltanto dall’inizio del mese. Inoltre altri 20.000 sono stati annunciati dalle compagnie edili.
La National Association of Realtors ha ammesso che il numero dei membri calerà quest’anno per la prima volta in un decennio.
La FDIC ha annunciato il più consistente incremento di pagamenti di rate di finanziamento in ritardo degli ultimi 17 anni.
Qualche giorno fa Toll Brothers ha ammesso che le condizioni di accesso al credito più restrittive restringeranno il numero dei potenziali acquirenti. Il CEO Robert Toll ha affermato: “il problema della liquidità del mercato dei mutui e i maggiori oneri possono dissuadere alcuni clienti dal concludere l’accordo, mentre altri potrebbero trovare più difficoltosa la vendita delle proprie abitazioni”. E cita i più bassi livelli di traffico e il più elevato tasso di cancellazione degli ultimi vent’anni.
In un’intervista alla CNBC, il CEO di Countrywide Angelo Mozillo si è mostrato egualmente pessimista circa il quadro del settore immobiliare: “non vedo la luce in fondo al tunnell”. A chi gli ha chiesto se fosse prevedibile una recessione ha risposto: “penso di sì. Non posso credere che di fronte ad un simile livello di insolvenze e di fallimenti, non ci possano essere serie ripercussioni sia sulla psicologia degli americani, sia sulle loro finanze. Mi sembra di aver già visto questo film, e il finale è sempre una qualche forma di recessione”.

In aggiunta John Lipsky, il numero due del FMI, ha avuto qualcosa da dire sull’economia globale. A proposito delle recenti oscillazioni di mercato ha affermato “ciò inciderà sicuramente sulla crescita. Un significativo numero di istituzioni finanziarie impattate dalla crisi non sono statunitensi”. E ha aggiunto che non ci sarà un’agevole via d’uscita alla crisi a causa dell’incertezza sui danni che ricadranno sulla crescita: “ciò creerà un seguito, il che vuol dire che occorrerà un po’ di tempo ai mercati finanziari per ripristinare un normale livello di volatilità”.
A mio avviso i problemi del mercato azionario e del credito non sono basati su una semplice reazione emotiva o sulla paura, ma affondano profondamente le radici nei fondamentali. E’ sempre più evidente che le turbolenze del settore immobiliare presto si ripercuoteranno sulla spesa dei consumatori e sul resto dell’economia. La scelta della Fed di ridurre il tasso di sconto, anziché il tasso sui Fed fund, assieme alle recenti dichiarazioni del presidente della Fed di Richmond indicano che la banca centrale si sta concentrando in primo luogo sul ripristino della fiducia, e che il tasso sui Fed fund non sarà toccato fino a quando non si assisterà ad un significativo rallentamento dell’economia. Se questa minaccia non sarà evidente in occasione della riunione del 18 settembre, i mercati potrebbero prendere male la decisione di mantenere i tassi invariati.
D’altro canto il tipo di dati macro negativi che indurrebbero la Fed a tagliare sarebbero decisamente preoccupanti per coloro che sostengono che l’economia è ancora in buona salute. Per cui penso che un bear market primario sia già incominciato e che, pur ammettendo occasionali rally, il trend di fondo sia ora negativo.
 

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