IL DUBBIO NON E' PIACEVOLE, MA LA CERTEZZA E' RIDICOLA

Forse tutto ciò che Roberto Speranza sognava
— prima che l’incarico al ministero e il coronavirus irrompessero nella sua e soprattutto nelle nostre vite —
era iscriversi alla Scuola Holden e diventare uno scrittore celebre.

Uno di quei sogni nel cassetto giovanili, che da adulto metti da parte per oggettiva incapacità e zero argomenti.

Poi arriva il virus che cambia il corso della Storia e tu, proprio in quel momento e chissà come,
ti ritrovi a ricoprire l’incarico di ministro della Salute del primo Paese dopo la Cina ad essere piagato dal Covid nel marzo del 2020.

Ed i vecchi sogni dello studentello della Luiss proveniente dalla Basilicata,
quello che a occhio e croce nessuno invitava alle feste, bussano dal cassetto in cui erano riposti.

Racconterò la pandemia e sarò il protagonista del mio stesso romanzo, cosa mai può andare storto?
A occhio e croce, tutto.


Non potremo mai dire con certezza se sia andata effettivamente così,
ma con certezza possiamo discutere dei contenuti del suo Perché guariremo – dai giorni più duri a una nuova idea di salute,
uscito nel 2020 per Feltrinelli e ritirato a tempo di record dal commercio.

Inizialmente poteva sembrare un libro destinato a rimanere negli annali dell’editoria
più per la sua travagliata storia editoriale e per le giustificazioni addotte dal ministro per spiegarne il ritiro dagli scaffali
(«non avrebbe avuto tempo per promuoverlo», così grosso modo suonava la narrativa del ministero:
e che voleva, andarne a fare i reading alla Basilica di Massenzio?), che non per i contenuti.

Finché i suddetti contenuti non sono venuti allo scoperto.

Sì perché per fortuna nostra — e per sfortuna del Ministro che aveva tentato di nascondere lo sporco sotto il tappeto —
la distribuzione globale del testo lo ha fatto finire nei magazzini internazionali di Amazon,
ed è così che abbiamo potuto leggerlo dopo averlo ordinato da Amazon Spagna.



Dal punto di vista stilistico, si tratta di un libro piuttosto sciattarello,
orfano di un robusto editing necessario a lenire la cortina fumosa degli slanci di vuota retorica tanto amata dai politici.

Ed anche per epurare certi intimismi che immagino l’autore ritenesse essenziali e poetici,
ma che stringi stringi risultano del tutto fuori luogo, pedanti e poverissimi in termini narrativi e linguistici.

Diciamo poi che — visto il tema incontrovertibilmente tragico — interpolare considerazioni,
decisioni e narrazioni dei momenti più drammatici con le partite della Roma
o altre amenità pseudo-biografiche non appare una idea di buon gusto.


D’altronde, quando si eccede con la autoreferenzialità si rischia sempre di scadere nel grottesco o nel ridicolo.


Come quando, in un impeto di furente decisionismo, Speranza ci dice, non senza accenti di vergogna,
di aver dovuto — addirittura — battere i pugni sul tavolo nel corso di una infuocata riunione.
Rimanendo dolorante per due giorni. Vero maschio alpha.

O come quando il ministro scrive «sono nervoso al pensiero di qualsiasi aggregazione di più di due persone,
mi turba persino veder passare le automobili per strada»,
forse con l’intento di farci empatizzare con il suo lato umano, di cui oggettivamente a nessuno frega nulla.


Ma se dovessimo buttarla là per comprendere le vere motivazioni del ritiro dal commercio,
direi che così, a occhio, potremmo puntare sulla convinzione che
il ministro nutriva di aver sconfitto il virus e di aver imposto, a livello mondiale, un autentico modello Italia.

Lo scrive nero su bianco.

E invece, come oggi sappiamo, il virus non è stato sconfitto e l’Italia
— con i suoi morti, la sua sanità al collasso, il suo vecchio piano vaccinale-barzelletta,
a base di primule e di ritardi strutturali, con la sua economia devastata — tutto è stata fuorché un esempio da seguire.


E c’è poi un altro aspetto che deve aver consigliato una qualche prudenza al Ministro,
ed a farlo optare sia pur a malincuore per il ritiro del testo: la visione complessiva della pandemia come un’opportunità.

Una ghiotta opportunità per la sinistra, chiaro.

Lo spiega bene nell’ultimo capitoletto, significativamente titolato Il ritorno della sinistra,
dove vengono riesumati Greta Thunberg, le sardine e viene caldeggiata candidamente
l’ipotesi di rifondare un’egemonia culturale della sinistra — come se peraltro già non esistesse!


E tra una citazione di Papa Francesco,

una imbarazzante pagina dedicata a Barbara D’Urso e a Maria Venier
— arruolate mediaticamente per mettere la nazione in riga e far capire alla gente come comportarsi nel cuore della pandemia —

gli accordi con Twitter e con Facebook per la condivisione di notizie certificate dal ministero della Salute sul Covid
(esatto, ora sapete per quale motivo ogni volta che appare una notizia sul virus appare anche quel fastidioso banner),

reminiscenze del sempiterno Erasmus dai vaghi accenti hippie che però fanno tanto film di Verdone,

Speranza ci dice che il dramma del coronavir
us avrebbe rimesso la narrazione della sinistra in consonanza con lo spirito dei tempi e con il vento della storia.


I cantori del lockdown eterno in Speranza hanno trovato il loro assoluto profeta e sommo ideologo;
gran parte delle pagine sono una elegia a quanto giuste siano state le chiusure,
a quanto «ben ponderate e amate dalla popolazione».

Qui si consuma una delle pagine più agghiaccianti del testo:

quella in cui, parlando delle motivazioni sottese alla scelta di recludere tutta Italia nel marzo e nell’aprile del 2020,

Speranza ci dice che era «necessario non lasciar pensare agli Italiani che vi fossero Regioni dove si stava meglio».


Del tutto imbarazzante, vista con gli occhi dell’oggi,
anche la lode sperticata per le doti decisionistiche di Domenico Arcuri,
a cui il Ministro lascia addirittura il suo ufficio presso il centro polifunzionale della Protezione Civile,
dedicandogli delle pagine di intensa partecipazione emotiva, con tanto di dialoghi.


Sappiamo tutti come è finita.

E che dire di quelle che il ministro rubrica come «futili polemiche» riguardo la trasparenza sui verbali del Cts?


Alla oggettiva mancanza di empatia per le sofferenze degli italiani mostrata in questi ultimi mesi da Speranza,
vorremmo poter dire di averci fatto il callo: ma dà ancora più fastidio leggerla qui, nero su bianco,
candeggiata da una deriva pseudo-emotiva in cui i drammi vengono elencati quasi più per rinforzare il vigore enfatico delle misure adottate,
piuttosto che per reale partecipazione al dramma di quei mesi.


Ma il tutto si risolve in una costante auto-assoluzione del ministro,
sempre confortato dai commenti positivi di qualche passante per strada o dai commenti sui social.


Insomma: a metà tra auto-apologia e memoir pandemico, il libro di Speranza suona, letto oggi,
come un involontario, postumo atto di accusa all’arroganza di quel governo che dapprima minimizzò tutto,
tra un «abbraccia un cinese» e un aperitivo ai Navigli,
e poi cercò di farsi passare come modello universale di contrasto efficace al coronavirus.

Imbarazzante, certo.

Ma anche da far venire una tremenda rabbia.


E a modo suo un libro prezioso, che testimonia la pericolosità assoluta di certi approcci del tutto ideologici e slegati dalla realtà dei fatti.
 
Ahahahahahahah se pure un pidino pensa..........


La Campania ha deciso di non procedere alla vaccinazione per fasce d’età,
una volta completate le vaccinazioni degli over 80 e della popolazione “fragile”.

L’input a procedere in base al criterio d’età era arrivato nei giorni scorsi dal Commissario per l’emergenza Covid Figliuolo,
tramite un’ordinanza.

Proprio a Figliuolo il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca ha comunicato la sua decisione.

Queste le dure parole di De Luca riportate da ‘La Stampa’:

“La Campania è stata una Regione tra le più rigorose d’Italia, ma una cosa è il rigore altro è la stupidità“.

Ancora De Luca :

“Ho appena finito di parlare con il commissario Figliuolo
a cui ho detto che una volta completati gli ultra ottantenni e i fragili noi non intendiamo procedere per fasce di età”.

Il governatore della Campania ha aggiunto:

“Dedicheremo la struttura pubblica a curare i fragili e le persone anziane
ma lavoreremo anche sui settori economici perché se decidiamo di andare avanti solo per fasce di età,
quando avremo finito le fasce di età l’economia italiana sarà morta”.



La presa di posizione di De Luca:

“Abbiamo bisogno di tutelare la salute, ma anche di dare il pane alla gente.
La nostra linea è diversa da quella che ha scelto il governo:
tutela delle persone fragili, ma anche rilancio delle attività economiche“.
 
I contanti oggi rappresentano una forma di libertà che mette in grave crisi i governanti.

La libertà, con tutti i suoi comportamenti imprevedibili e incontrollabili, pare una vera piaga sociale,
da cui il Covid dà finalmente l’opportunità di guarire:

guarire dalla democrazia e dallo Stato di diritto, liberandoci per sempre dei diritti umani.


Non parliamo di salute.

Chi studiasse la salute nelle sue branche più moderne e accreditate, come la psiconeuroendocrinoimmunologia,
realizzerebbe in tempo zero che le mostruose e continue privazioni di libertà e di arbitrio
come quelle che stiamo vivendo costituiscono un danno senza precedenti per la salute di popoli interi.

Qualunque misura legittimata da sedicenti esperti medico-scientifici,
come toglierci il sole,
l’affetto dei cari,
il diritto di essere cittadini nel mondo,
ha l’effetto certo ed immediato di nuocere alla salute,
in cambio di promesse ipotetiche e certamente non scientifiche,
come vediamo studiando le fonti (inesistenti) delle loro affermazioni,
quand’anche non bastasse l’evidenza dei fatti.


I medici che denunciano questo abominio vengono ridicolizzati,
censurati e falciati dai propri ordini professionali,
come consuetudine dei totalitarismi verso ogni forma di resistenza.


Il marketing della menzogna non ha bisogno di cose difficili.


Basta far leva sulle paure profonde (la morte)

e sul senso di colpa (se non fai come ti dico, i tuoi cari moriranno).


Gioca la sua parte anche il senso di inadeguatezza (non puoi capire se non sei esperto)

e di falsa autorità (se c’è una legge, ci sarà un buon motivo).



La nota fondamentale però è sempre la confusione:

incessanti messaggi contraddittori e ai limiti dell’assurdo, disorientano e quindi paralizzano il cittadino.


L’assurdo, d’altronde, è stato ampiamente superato con misure vessatorie
che, a detta degli stessi promotori, hanno solo un senso “simbolico”.


Alberto Villani, membro del Comitato Tecnico Scientifico:

“l’obbligo di indossare la mascherina all’aperto è un richiamo.
Non importa se scientificamente ha senso oppure no”.


Corriere.it, 7 ottobre 2020


Coprifuoco in Lombardia, Attilio Fontana:

“Iniziativa simbolicamente importante”

Rete 4, 19 ottobre 2020


Covid, l’immunologa Viola:

«Il coprifuoco non ha una ragione scientifica ma cambiamo il nostro modo di vivere».


Il Mattino, 4 novembre 2020


Oltre l’assurdo, abbiamo visto limitare la libertà dei popoli senza nemmeno il pretesto della salute.


Una delle chiavi di lettura di questa situazione è una guerra in atto sul fronte economico.

Se proviamo per un attimo a ipotizzare una competizione tra grandi e piccoli concorrenti sul mercato,
attuata con l’ausilio della politica, improvvisamente spariscono dal quadro incoerenze e sbavature.

Non servono nemmeno le ipotesi di complotto, basta guardare i fatti:
senza legittimazioni sanitarie plausibili e “oltre l’assurdo”,
DPCM dopo DPCM l’economia delle persone reali è in via di cancellazione,
i negozi chiudono a cascata, mentre poche società già immense,
stanno accentrando ulteriori enormi quote di mercato.

Il “sostegno” del governo è un falso clamoroso,

gli “aiuti” alle attività sono stati ridicoli, e quelli promessi dall’Europa lo saranno altrettanto,
essendo vincolati non al salvataggio di negozianti e PMI,
ma ad un piano di digitalizzazione e transizione tecnologica,
secondo un modello che ci conferma l’intenzione del governo di promuovere una “società non sociale”,
in cui il commercio tra esseri umani cambierà connotazione, probabilmente perdendo l’attributo “tra esseri umani”.


Il Word Economic Forum di Davos sulla quarta rivoluzione industriale ha previsto un grande reset,
provvidenzialmente accelerato dal fenomeno Covid,
trionfalmente caldeggiato dai pochi potenti fortemente allergici alle libertà costituzionali.



Col grande reset, insieme ad alcuni problemi fondamentali dell’economia moderna,
sarà risolto definitivamente il problema delle libertà individuali,
grazie a un meccanismo di controllo sociale senza errori.

Si prevedono una completa finanziarizzazione dell’economia,
la fine della proprietà privata
e, ovviamente, la scomparsa del denaro contante.


Finché esisterà il denaro contante, infatti, i cittadini avranno la possibilità di autodeterminarsi
e di scambiare i propri beni senza il permesso di nessuno e soprattutto, senza sottostare ad alcun ricatto sociale.


I pagamenti elettronici impoveriscono sistematicamente l’economia delle persone reali,
senza alcun vantaggio se non un’effimera comodità.


Parlare del denaro elettronico come un sistema di prevenzione dall’evasione fiscale è semplicemente grottesco,

dato che l’evasione avviene a norma di legge da parte delle grandi società basate all’estero.



Permane invece l’accanimento contro i piccoli commercianti e le PMI italiane,
attaccate da un sistema di tassazione deleterio e,
in quanto avente l’effetto di disincentivare l’iniziativa economica, persino incostituzionale.


Dopo il grottesco, ritorniamo all’assurdo.

Dato che il cashless non prende piede nel nostro Paese,

in cui, nonostante tutto, è ancora presente qualche grammo di buon senso,

ecco arrivare il Comitato Tecnico Scientifico che, nel rispetto delle consuetudini,

senza avere cura di mostrare la minima prova scientifica delle proprie elucubrazioni,

potrebbe arrivare a proibire ai commercianti, già in asfissia totale da mancata apertura,

di accettare pagamenti in contanti.



Ci auguriamo che nessuno dei commercianti possa né voglia cadere in questa ennesima truffa di sistema.
e che, piuttosto che sottostare a un simile abominio, si decida di ritornare al baratto.
 
Non sapendo cosa dire, i giornalai si affidano alle "infiltrazioni".
E sul corrierone niente un articolo. Ahahahahahahah


Centro di Roma blindato e vie di accesso a Montecitorio chiuse
per le migliaia di cittadini arrivati da ogni parte d’Italia alla manifestazione organizzata da IoApro.

Imprenditori, commercianti, ristoratori, proprietari di palestre messi in ginocchio da 14 mesi di restrizioni
hanno bissato la protesta andata in scena martedì scorso per contestare le chiusure imposte dal governo.

Parola d’ordine: riaprire subito per poter ricominciare a lavorare,
un diritto costituzionale negato da mesi nel nome di una fantomatica «sicurezza» dal Covid
che ha relegato in un angolo tutte le altre emergenze: economica e sociale in primis.


Una giornata partita col piede sbagliato e che si è conclusa anche peggio:

già stamattina le forze dell’ordine avevano bloccato ristoratori ed esercenti autonomi alla stazione di Termini

e nei vari snodi di accesso alla Capitale, impedendo loro di prendere parte alla manifestazione.


Per non parlare della decisione della questura di Roma, arrivata ieri sera all’ultimo momento,
di negare l’accesso alla piazza di Montecitorio ai manifestanti.

Le forze dell’ordine hanno quindi chiuso tutti gli ingressi che portano alla piazza di Montecitorio,
e ai manifestanti non è rimasto altro da fare che ripiegare prima a San Lorenzo in Lucina, e poi a piazza San Silvestro.

Tra le tante realtà e sigle presenti con striscioni e tricolori anche CasaPound, che ha esposto la scritta: «La paura di morire non ci sta facendo vivere».


Sono state proprio le tartarughe frecciate, guidate dal consigliere del X Municipio Luca Marsella,
a staccarsi per prime dalla manifestazione, seguite dal resto dei manifestanti:

obbiettivo, raggiungere Montecitorio in modo pacifico e in accordo con Mohamed ‘Momi’ El Hawi,
34 anni, ristoratore di Firenze e leader di IoApro.

Il corteo ha però incontrato il muro dei poliziotti in tenuta antisommossa.


«Con i ristoratori di #ioapro abbiamo provato a raggiungere Montecitorio in modo pacifico ma ci è stato detto che la piazza era interdetta.
A quel punto i manifestanti sono stati respinti dalla polizia», ha twittato Luca Marsella.

«Siamo parte integrante della protesta al fianco di #ioapro e non accettiamo strumentalizzazioni.
Tra noi ci sono madri, padri, lavoratori ed anche ristoratori ed abbiamo il diritto di stare in piazza», ha dichiarato ai microfoni dei giornalisti.

«Nessuno può impedirci di manifestare pacificamente. Perché non possono essere calpestati i diritti degli italiani.
Chi ha strumentalizzato non è chi è in piazza oggi. E’ chi ha chiuso le piazza, chi ha fermato interi pullman ai caselli autostradali».


Momi si è poi ammanettato simbolicamente chiedendo alle forze dell’ordine di far passare i manifestanti,
mentre decine di persone esasperate domandavano di poter far sentire le proprie ragioni.

Quando infine sembrava essere raggiunto un accordo tra il corteo e le forze dell’ordine,
si sono verificati alcuni scontri con fumogeni e bombe carta lanciati da soggetti isolati
che tentavano di forzare il blocco e che poco avevano a che fare con le istanze portate in piazza.

La polizia ha respinto con alcune cariche di alleggerimento.

I manifestanti si sono poi diretti a piccoli gruppi verso largo Flaminio dove hanno bloccato il traffico per alcuni istanti.


In serata, il consigliere Luca Marsella ha ribadito la totale estraneità di CasaPound agli scontri andati in scena nel pomeriggio.

«Raccontate la verità», così ha twittato rivolgendosi a una certa stampa,
«CasaPound era sì in piazza ma non a lanciare petardi o cercare lo scontro.
Abbiamo chiesto alle forze dell’ordine di farci arrivare in piazza Montecitorio.
Ma non ci è stato consentito perché evidentemente anche il diritto a manifestare è stato abolito».

«Un’ultima cosa: se ogni volta in piazza c’è solo CasaPound al fianco degli italiani abbandonati, non è mica colpa nostra.
Nessuno vieta di stare in piazza ai partiti, ai parlamentari, ai centri sociali e soprattutto a quella sinistra che una volta si diceva al fianco del popolo».

















 
A forza di ingurgitare cibo, riempirci le tasche di soldi e fare indigestione di soddisfazioni,
sia come cittadini che come imprenditori, siamo diventati così obesi, pesanti e ingombranti
da non riuscire a stare assieme in una piazza. Sarà per questo che ci vietano di protestare.

Sì, siamo noi, i ristoratori: la categoria, o per meglio dire la casta, di quelli che da sempre hanno lucrato,
di quelli che hanno guadagnato a sazietà nel tempo del bengodi e sono ormai più grassi delle vacche grasse che hanno munto per decenni.

Siamo quelli che hanno contestato senza averne titolo, e per questo sono stati a loro volta contestati.

Lo so, suona un po’ assurdo, ma è quello che è successo.

La visione distorta della realtà e la diffidenza verso il prossimo
che quindici mesi di pandemia ci hanno inculcato stanno dando i loro frutti avvelenati, creando il più assurdo dei paradossi:

chi sta chiuso in casa, compresso dalle restrizioni e impegnato nella sua ormai cronica eversione da tastiera,
si schiera contro chi osa scendere in piazza, magari per manifestare un analogo dissenso.


È la guerra tra poveri che prende piede. E non è tutto.

C’è un totale ribaltamento di ottica, per cui chi sta seduto sul sofà,

con al collo la sua mordida pashmina (la kefia è ormai “out”)

e spreca energie a digitare sul tablet è un vero democratico,

rappresentante gli interessi del popolo,

mentre chi scende in piazza a reclamare i suoi diritti è di per sé un fascista,

un sovranista, un pericoloso negazionista pronto a essere arruolato o strumentalizzato dalle frange della destra estrema.



Ecco, io credevo di essere un ristoratore, incazzato e di sinistra,
ma grazie ai leoni di internet che mi hanno aperto finalmente gli occhi
ho scoperto di essere un evasore, un complottista e pure un fesso manipolato da quelli là.

Vedete, ho confessato subito il reato d’evasione, così magari il social-giudice di turno mi concede il beneficio del patteggiamento.

Ma il lusso di andare a strillare in Piazza Montecitorio, quello proprio no, non me lo posso prendere:
con la fedina fiscale lurida che mi ritrovo, non vorrò mica azzardarmi a manifestare?

Quindi non mi posso incazzare, se no sono un complottista,
e non posso protestare davanti ai palazzi della politica
perché mi trovo accomunato a quelli che rimpiangono il fez e l’orbace.

Incredibile.

Eppure, ve lo assicuro, incazzato lo sono parecchio. Senza essere fascista.

E questo tipo di comunicazione orgogliosamente imbracciata dalle vestali fanatiche dell’ordine costituito,
fatta di arroganza e supponenza, di informazioni deformate e tendenziose,
alla mercè di un regime esterofilo della peggior risma, mi fa terribilmente schifo.


Personalmente sono stato presente a due manifestazioni di piazza.

Durante la prima, animata da una ventina di adolescenti che non facevano niente di eccessivo
a parte accendere fumogeni tricolore ed esprimere al megafono la loro (discutibile quanto si vuole) lettura del periodo,
ho assistito a cariche di tutte le forze dell’ordine, a piedi e con mezzi pesanti;

ho visto disperdere un gruppuscolo di ragazzini con un blindato spara-acqua degno della parata del 2 giugno.

La seconda dimostrazione a cui ho partecipato è quella di qualche giorno fa davanti alla Camera dei Deputati.

In entrambi i casi, la voce stentata di chi cercava di protestare è stata silenziata

dai fragorosi rutti di quei comunicatori imborghesiti a caccia di like.

Loro, a far cronaca, mica c’erano; eppure, a giudicare dal livore che hanno esternato contro i manifestanti,

c’è da credere che fossero in prima linea, forse ben mimetizzati tra quelli con il casco e il manganello.



Lasciamo perdere il trattamento riservato dal Governo (adesso ne contiamo due, senza differenze sostanziali) alla nostra categoria.

Lasciamo perdere l’incertezza che regna sovrana su quando e come riaprire e la paura che ho di non poter aspettare più a lungo.

Lasciamo perdere la preoccupazione e il senso di responsabilità che tutti avvertiamo nei confronti delle moltissime famiglie
la cui sorte dipende dalla nostra attività (e quando scrivo dipende parlo di sopravvivenza, cazzo!).


Ma quando leggo che in piazza c’era una frangia minoritaria di una categoria che prima ha negato il Covid
e poi ha preteso di aprire contro ogni logica e legge, allora mi incazzo come una bestia.


Mi avveleno innanzitutto con me stesso, perché in quell’ideale di libertà
che era per solito sbandierato dal popolo della sinistra io ci ho creduto davvero.


Mi avveleno con te che, celandoti dietro un velo di conformismo da pollici in su,
sputi veleno contro chi, a differenza di tanti opinionisti da salotto,
il problema lo ha vissuto e lo ha gestito fin dall’inizio.

Io la mascherina la porto da un mese prima del lockdown.

Anzi, portavo pure i guanti e la visiera da decespugliatore,
mentre questi fenomeni radical-drink alzavano i calici in faccia
a chi provava a sollevare l’impellenza di una questione dannatamente scomoda.

Certo, lor signori si sono poi ricreduti e hanno iniziato anche loro a pigliare la cosa sul serio.

Ma come?

Puntando il dito sul rompipalle, sul dissidente, sull’untore di turno,
su chi non si accodava alla retorica melensa dei loro post acchiappa-clic,
sempre macabri e patetici e spesso non del tutto veritieri.



Vedere le coppie di anziani col casco CPAP che si sfiorano la mano dai rispettivi letti d’ospedale può toccarmi il cuore,
ma non chiarisce di una virgola i meccanismi di diffusione del contagio,
né spiega il motivo per cui i ristoranti sono stati bollati a priori come luoghi di proliferazione del virus.

E io mi sono pure allineato.

Non ho mai preso le cose in barzelletta, ho sempre chiuso quando me lo hanno imposto e aperto (poco) quando si poteva,
ho visto la morte molto da vicino e ho respirato il tanfo che si lascia dietro.

Ma non mi sono mai fatto cullare dalla vostra arroganza comunicativa.

La pandemia in Italia non è quella che ci avete raccontato.

I ristoratori italiani non sono come li avete descritti.

Chi scende in piazza va sempre rispettato.

Spero di poter leggere, possibilmente presto, qualcosa di meglio della vostra ignobile immondizia.
 
Da questa mattina, domenica 11 aprile, Oana Chiper si è incatenata di fronte al suo bar a Colico, il White Life.




La clamorosa azione pubblica intende protestare contro l’ennesimo provvedimento di chiusura
per violazione delle norme anti Covid che il locale ha ricevuto, ieri
- da parte delle forze dell’ordine – il terzo dall’inizio di quest’anno.


Nonostante la pioggia battente la titolare 40enne continua nella sua eclatante manifestazione di dissenso.

“Il lavoro è dignità, non carità”, è una delle scritte su un foglio affisso sull’insegna del White life bar a Colico
che dal 10 aprile e fino a mercoledì 14 rimarrà chiuso per violazione norme contenimento Covid-19


“Domenica il sindaco Monica Gilardi è passata da me e mi ha convocata in municipio per stamattina alle 9, per parlare con lei.
Sono andata e mi ha ascoltata, poi mi ha fissato un appuntamento per mezzogiorno con il Prefetto di Lecco.
Devo dire che ho trovato un uomo molto comprensivo e solidale nei miei confronti,
che ha ascoltato le mie domande e ha capito il motivo della mia protesta”.


“So benissimo che le leggi vanno rispettate e che devono essere uguali per tutti.
Il motivo della mia protesta è stato il fatto che non riesco a capire perché se fuori da un bar un cliente non può sostare per bere un caffè,
fuori da una farmacia o un supermercato invece le persone possono rimanere tranquillamente a chiacchierare”.
 
La frase di George Orwell, scritta tanti anni fa, è ancora attuale.

Con il lockdown ci impediscono di fare di tutto.

Ballare, distrarci, andare al bar e persino protestare:
la via italiana all’inferno è fatta di contraddizioni e regole assurde.

Ma ormai ci stiamo abituando a qualsiasi cosa.

Ci stiamo abituando all’inferno orwelliano
 
Hai un problema col vicinato?

Non sopporti quelli del piano di sopra perché sono sovranisti?

La vicina dell’appartamento a fianco non te la dà e in più non mette la mascherina?

Ai Parioli c’è un bar che fa i caffè anche a chi non è del Pidì?

Chiama AleGassmann.

È lui, il giustiziere al tonno, l’uomo che fa per te.

L’Homo Piddinus Geneticus s’incarica di mantenere l’ordine costituito: law, order and mask.

Piacendosi molto, non resiste alla sirena della vanità da social e si vanta delle sue prodezze,
al che viene sommerso da raffiche di vaffa (vi ricorda qualcuno?).

Ecco l’ultima di una valorosa serie:

“… sai quelle cose di condominio quando senti in casa del tuo vicino, inequivocabilmente il frastuono di un party con decine di ragazzi?…
hai due possibilità: chiamare la polizia e rovinarti i rapporti col vicino, ignorare e sopportare, scendere e suonare…”.

E saremmo già a tre, di possibilità; ma AleGassmann fa solo teatro, almeno su Twitter,
lui ha già deciso e difatti una riga dopo: “Fatto il mio dovere. Fiero.”.


Punteggiatura futurista a parte, ma lui non è un letterato, è ereditiero d’arte,
il dovere secondo AleGassmann sarebbe quello di segnalare.

Lui chiama la polizia, gnegnegne, perché nella casa di condominio c’è un party “con decine di ragazzi”,
ma che appartamenti hanno i vicini di AleGassmann?

Manieri?

E lui – mancherebbe, come diceva Franca Valeri – fa il dovere suo.

Chi fa la spia non è figlio di Maria ma è figlio del Pidì.

Lui se ne vanta, si ritiene così cittadino modello, signora mia.

Non è la prima volta, pure a Capodanno se non ricordiamo male,
ci fu “una cosa di condominio” e lui ci informò d’aver fatto il suo.

È pur sempre lo stesso che non tollera gli smascherati per strada,
quello che tuona cento volte al giorno contro chi non si allinea alla dittatura psicosanitaria, assai poco sanitaria.

Va beh che col lockdown di tempo ne rimane, come cantava Lucio Dalla.


L’Homo Piddinus è così:
trinariciuto sotto la mascherina,
fedele alla linea,
sensibile alle direttive di Partito,
ossequiente al diktat del Politburo scientifico.
Sensibile alla delazione.
Mai deflettere di un milionesimo di millimetro.

Mai farsi prendere da un dubbio residuo:
se il Partito dice che bisogna star tappati, si dà la caccia all’untore;
se domani il Partito – “contrordine, compagni!” – stabilirà che star tappati è di destra, è negazionista, è irresponsabile,
si andrà a bussare porta per porta a chi non collabora, per stanarlo.

Poi puoi chiamarti come ti pare, far l’attor giovine, lo storico militante (e dilettante),
la giornalista necessaria, il conduttore di partito, ma sei sempre la stessa cosa:
quell’insofferenza per chi non si costringe, per chi si ostina a difendere una libertà corrosa da 14 mesi di rinunce stupide quanto inutili.

Avere AleGassmann come vicino di casa dev’essere una gran rottura di coglioni, altro che rovinarsi i rapporti.


Consacrato com’è al dovere civico, immaginiamo che AleGassmann non si limiterà a segnalare i giovinastri festaioli del piano di sopra o di sotto,
il compito di un bravo giustiziere è quello di girare per le città a caccia di assembramenti non autorizzati:

quindi cumuli di spacciatori più o meno esotici,

rapper mascalzoni che per lanciare il nuovo brano organizzano rivolte in cui attaccano gli sbirri,
così poi possono tirarsela da vittime della periferia disagiata,

mezzi pubblici farciti di umanità che si scatarra addosso, roba così.


Oppure potrebbe aggirarsi, in calzamaglia come Cattivik, per i presìdi vaccinali di tutta Italia dove, secondo le ultime rilevazioni,
in duemilionisettecentomila si son già siringati senza avere i fatidici 80 anni ma sgusciando tra le impalpabili categorie preferenziali.

Non è qualcosa che grida vendetta, caro Nostromo?

Ma poi, perché limitarsi al quarto stato smascherato, perché non salire di rango e andare a segnalare la combriccola del Roby,
tutto quel giro che dal comunismo italiano arrivava a quello del Celeste Impero,
e che a sospetto della magistratura combinava affari spregiudicati col Dragone,
e giù mascherine tossiche, respiratori micidiali, tamponi farlocchi,
e a quel punto forse ti spieghi perché il Ricciardi diceva “grazie Cina”, e i Ranieri Guerra, e gli Arcuri, e i piani pandemici fantasma, eccetera.

Roba che come fa a sfuggire al moralismo profilattico di AleGassmann.

Invece niente.

Neanche una spiata, un rigurgito, un twittino indignato.

Sarà che quando uno ha fatto il suo dovere, poi è in pace con se stesso e non si cura di minima immoralia,
c’è di peggio signora mia, c’è la movida da piani alti da stroncare.


Tutto molto tetro, questa repubblica sovietica fondata sulla segnalazione,
sentili sentili ‘sti schifosi, mamma guarda come si divertono, adesso li aggiusto io, chiamo il 113 e non ci penso più.

E la polizia arriva e poi non si sente più niente, silenzio di lockdown, e AleGassmann è appagato,
è fiero e può annunciarlo urbi et orbi via Twitter.

Però c’è modo di rendergli la pariglia e qui ci rivolgiamo ai disperati vicini di AleGassmann, per i quali trasudiamo solidarietà:
munitevi di microspie, cornetti acustici, bicchieri poggiati sulla parete, quello che vi pare, e restate in ascolto:
prima o poi dovrete pur sentirlo andare al cesso, piantare un chiodo, spostare un mobile.

A quel punto, partite come saette col numero antirumore e speditegli i gendarmi in casa.

Se la capisce, uno a uno e palla al centro.

Se non la capisce, insistete ogni volta che respira.

Alla fine, o si mette zitto e buono o trasloca.

Quantomeno, vi sentirete anche voi fieri d’aver fatto il vostro dovere.
 
Atroce dubbio.


Anziana guarita dal Covid viene vaccinata dopo solo un mese e muore.

Un’anziana è morta tre ore dopo aver ricevuto il vaccino Pfizer.

La donna di 83 anni, ricoverata in una Rsa della provincia di Rimini, si era ammalata di Covid,
ma era guarita e ora per la sua morte il figlio ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica.

Secondo quanto riportano i quotidiani riminesi, l’83enne, sofferente anche di altre patologie gravi,
aveva contratto il Covid, risultando positiva il primo dicembre, con sintomi lievi ed era guarita:
ventuno giorni dopo era uscita dall’isolamento senza essere sottoposta a tampone molecolare.

Lo riporta il Messaggero.


A gennaio, il 15, l’anziana donna è stata vaccinata e dopo tre ore è deceduta per cause che i medici
– secondo l’esposto presentato dall’avvocato Luca Greco che rappresenta il figlio –
non possono escludere né confermare che abbiano un legame con l’immunizzazione.

I familiari chiedono anche di chiarire come mai all’anziana sia stato somministrato il vaccino nonostante il poco tempo passato rispetto all’infezione.
 

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