Le catastrofi sui mercati hanno pertanto le stesse, identiche caratteristiche dei terremoti:
-accadono con distribuzione irregolare
-accadono ovunque (su qualunque asset class)
-magnitudo e durata sono imprevedibili
-sono ipotizzabili (area) ma non esattamente prevedibili (timing)
-in caso di «falsa chiamata» scatta la sindrome del pastore (Esopo: “al lupo, al lupo!”)
-quando accadono, non si è mai preparati e la reazione non è mai razionale
-creano danni che si riparano solo col tempo
-alcuni danni sono irreparabili
-creano per lungo tempo successivo una ipersensibilita’ che spesso sfiora la psicosi collettiva
Pur sapendo perfettamente tutto questo, l’investitore continua ad operare con la «tattica dello struzzo»: non vedo il pericolo, quindi non c’e’. Manca quasi completamente il concetto di
assicurazione sistematica al rischio
se non per le strategie di opzioni, che rappresentano un costo aggiuntivo. Queste semplici osservazioni portano a una prima, importante conclusione. Esistono «due mercati», o meglio due approcci ai mercati:
- il primo e’ discrezionale > quindi non regolamentato > quindi soggetto a variabili cangianti e all’emotivita’ di chi lo pratica
- il secondo e’ non discrezionale > regolamentato > metodico > orientato all’efficienza > del tutto non emotivo
La lezione di un secolo di storia dei mercati e in special modo degli ultimi 15 anni dovrebbe far comprendere quale sia la strada corretta, specie se si intende perseguire la preservazione e crescita del patrimonio, da cui dipendono spesso molte variabili del futuro, con la stessa consapevolezza con cui l’amministratore di una buona e solida azienda gestisce le risorse finanziarie dell’azienda stessa: con oculatezza, attenzione, controllo del rischio, valutazione della controparte, sfruttamento delle opportunità.
Un esempio di questo tipo di approccio – solo apparentemente “passivo” – è il “PORTAFOGLIO PERFETTO” di Browne, di cui ho parlato ampiamente in un post precedente.
La logica che i mercati sono costretti a riallocare rapidamente le risorse al proprio interno (il termine «il mercato è sottopesato di equity», ad esempio, è un totale nonsenso: in qualunque dato momento, esiste sempre un possessore per qualunque titolo – azionario o obbligazionario – in circolazione).
Questo crea un equilibrio dinamico che, sfruttato sistematicamente in un modello di asset allocation ben bilanciato, riduce enormemente la volatilità e migliora la redditività = aumento di EFFICIENZA. L’applicazione di un algoritmo che evita strutturalmente i grandi (e inevitabili) drawdown dei mercati, migliora ulteriormente l’EFFICIENZA e quindi crea ALFA, cioè valore aggiunto. Pertanto, per un investitore che abbia altre attività e altri interessi, il piano migliore anche in termini di convenienza, di tempo e di costi, è un portafoglio diversificato, decorrelato, unito a un algoritmo che riesca a controbilanciare le inevitabili fasi di debolezza di ciascuna componente.
(presentazione BLOOMBERG-SIAT “Esempio di costruzione di «Alfa» in un modello multi-asset, attraverso l’utilizzo di strumenti tecnici quantitativi”).
Nessuno puo’ prevedere il futuro e nessuno puo’ quindi sapere dove e quando colpirà il prossimo “terremoto finanziario”: tuttavia, se non altro osservando i grafici pubblicati sopra, qualche indizio sul “dove” c’è. Tra l’altro, una conferma del crescente disequilibrio che si sta creando viene dal grafico della Leva Finanziaria sul NYSE, ormai a poca distanza (pochi mesi?) dai livelli del 2000 e del 2007. Da adesso in avanti la volatilità aumenterà: picchi sempre piu’ alti, intervallati da “valli” di apparente tranquillità rialzista.