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L'olocausto sconosciuto
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Eisenhower, uno dei più grandi farabutti della storia James Bacque, Crimes and ... Read more

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VAE VICTIS

dicevano un tempo

ma questi sono molto più barbari
orribile
 
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1 mar 2015 13:43
CALIFFI DEL RATING – NEL 2011 L’ITALIA PAGÒ SENZA FIATARE 2,5 MILIARDI DI PENALE ALLA MORGAN STANLEY PER IL DOWNGRADING, NONOSTANTE LA BANCA USA FOSSE TRA GLI AZIONISTI DI STANDARD & POOR’S, CHE CI AVEVA BOCCIATO – LA VICENDA RICOSTRUITA AL PROCESSO DI TRANI

- Il Tesoro non chiese nessun parere giuridico sulla possibilità di tutelarsi e la dirigente Maria Cannata sostiene oggi che per l’Italia sarebbe stato “reputazionalmente deleterio” impugnare la clausola con Morgan Stanley… -

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Virginia Piccolillo per “Il Corriere della Sera

L’Italia pagò sull’unghia a Morgan Stanley 2 miliardi e mezzo di euro dopo il declassamento subito da Standard & Poor’s (S&P) il 19 settembre 2011, come previsto, in caso di downgrade, da una clausola di un contratto di finanziamento della banca d’affari statunitense. Malgrado quel declassamento fosse ritenuto dagli esperti ingiusto. Nonostante fossero già iniziate le indagini sui possibili interessi speculativi dell’agenzia di rating S&P, finite poi con un rinvio a giudizio di alcuni dirigenti, attualmente sotto processo a Trani. E a dispetto del fatto che Morgan Stanley fosse tra gli azionisti di Mc Graw Hill, gigante dell’informazione che controlla proprio Standard Poor’s.
IL PM DI TRANI MICHELE RUGGIERO

Le domande dei pm
È grave il quadro che emerge dalle carte aggiuntive appena depositate dal pm Michele Ruggiero relative al processo contro le agenzie di rating S&P e Fitch, che il 5 marzo riaprirà i battenti a Trani. In quel dibattimento i due colossi del rating sono accusati di aver manipolato il mercato generando il panico e alimentando speculazioni ai danni del nostro Paese. La procura di Trani, ha dato seguito all’esposto presentato in molte procure da Adusbef e Federconsumatori (dopo i declassamenti dell’ 8 e 11 luglio 2011 che causarono un tonfo in borsa e portarono il differenziale al massimo storico degli spread tra i Btp e i Bund tedeschi).

E, in sostanza, ora documenta questa sequenza: S&P ha bocciato l’Italia, e proprio in seguito a ciò la banca Morgan Stanley, che in parte la possiede, ha deciso unilateralmente di far valere quella clausola onerosa per il Paese declassato: il nostro. E il Ministero dell’Economia non ha ritenuto di chiedere un parere giuridico sulla possibilità di difendersi da quella clausola. O, almeno, di prendere tempo in attesa di capire la legittimità e trasparenza di quei declassamenti. Perché?
IL PM MICHELE RUGGIERO

«Era tutto chiaro»
Il capo della direzione debito pubblico del Mef, Maria Cannata, si è — come lei dice al pm il 5 maggio 2014 — «sciroppata» la questione. Spiega perchè non si chiese una consulenza finanziaria: «Non c’è bisogno. Abbiamo dirigenti di altissimo livello». Perchè non rinegoziaste, le chiede il pm? «Il mercato una cosa così non la capirebbe», replica, precisando di aver ottenuto che non tutta la somma dovuta, oltre 3 miliardi, venisse liquidata subito.

Perchè non consultare l’avvocatura dello Stato vista la somma importante? «Non c’erano i tempi tecnici». Avvocati esterni? «Quando una cosa è così chiara e netta lo Stato non può permettersi di dire: «Vabbé, adesso vedo se ti applico la clausola o no. Reputazionalmente sarebbe deleterio. È come se uno ricusasse un giudice».
Mario Monti

Al pm che le chiede se le risultasse la partecipazione di Morgan Stanley o altre banche controparti del tesoro in agenzie di rating la dirigente risponde: «Non credo proprio». E sul perchè non si aspettò l’esito delle indagini sulle agenzie di rating conclude: «Non c’è nemmeno una sentenza di primo grado ...».

Il teste Monti
A spiegare l’enigma del perchè si pagò a causa del downgrade che venne criticato aspramente è stato chiamato, come testimone, anche Monti. L’ex premier che secondo retroscena (all’epoca non smentito) fu duro con quella bocciatura che definì «attacco all’Europa», ha ridimensionato quel giudizio, che dice di non aver dato. «Non ero in grado allora, e non sono in grado oggi, di dire se è giudizio corretto o no. E anche se lo avessi detto allora sarebbe stato un giudizio viziato da parzialità», ha spiegato al pm. «Il rating è materia opinabile», ha aggiunto.

Mario Monti
«Scelsi di non criticare S&P perché anche se portava a una conseguenza negativa per l’Italia, quella tripla B, le motivazioni dell’analisi mi davano molto conforto. Perchè sottolineavano come fattore positivo, il caso italiano e la politica che, al governo da due mesi, avevamo messo in atto». Monti non ricorda la questione specifica. E alla richiesta del pm di confermare se a Morgan Stanley vennero liquidati nel decreto Salva Italia i due miliardi e mezzo risponde: «Non sono in grado in questo momento di darle una risposta».

La versione di Tremonti
Indagando sull’attendibilità dei giudizi di rating il pm di Trani ha ascoltato anche l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Soffermandosi sul report diffuso da Moody’s il 6 maggio 2010, in ordine al pericolo di contagio del debito sovrano al sistema bancario italiano. Allarme che, ex ministri come Frattini e Sacconi, definirono infondato e speculativo. «Condivido le posizioni espresse da Banca d’Italia» ha detto Tremonti, alludendo a un comunicato che aveva difeso il sistema bancario. E sul tema del conflitto di interesse delle agenzie di rating ha risposto: «Il grande dibattito è noto a tutti, è molto evidente e trasparente, cosa era il rating prima, e cosa va riformato».
Sergio Iasi e Giulio Tremonti

La Consob non lo sa
Il pm Ruggiero ha provato a chiedere alla Consob notizie su quella sorta di conflitto di interesse della partecipazione azionaria in Standard and Poor’s di Morgan Stanley: la banca d’affari statunitense che ha patteggiato con l’amministrazione Obama una maximulta da 2,6 miliardi di dollari per la vendita di mutui ipotecari che contribuirono ad alimentare ed aggravare la crisi finanziaria esplosa nel 2008. Ma il massimo organo di vigilanza ha rinviato all’Esma (l’Autorità europea di vigilanza su titoli e mercato) che dal 1 luglio 2011 ha assunto le competenza di vigilare sulle società non italiane o con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi Ue», come la statunitense Standard and Poor’s. Ma a confermare quella partecipazione al pm è stata proprio Esma.



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DERIVATI DI STATO": CHI FRUISCE VERAMENTE DELLA COPERTURA DEL RISCHIO?


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1. Ho aggiornato questo post di Poggiopoggiolini annettendovi un commento alla successiva audizione parlamentare della responsabile ministeriale del debito pubblico, in data 26 febbraio 2015, relativa ai contratti in "derivati" stipulati dalla Repubblica italiana.
Quello che "parrebbe" chiaro è che, variandone il "nozionale" (cioè il valore di mercato), tali contratti determinerebbero attualmente una differenza NEGATIVA, -in relazione alla capitalizzazione del flusso in entrata (nelle casse dello Stato) e del flusso negativo in uscita (nelle casse delle banche) -, di circa 42 miliardi.
Questa perdita ("in conto capitale") non sarebbe corrispondente (pare) a un esborso attuale, a meno che la controparte non possa far valere un diritto di recesso (più che di risoluzione), derivante dal contratto volontariamente accettato dal nostro Tesoro. Cioè, in questi casi, la perdita statale viene consolidata in una corrispondente plusvalenza privata.
I casi concreti in cui ciò possa accadere non sono "conoscibili" perchè i relativi contratti sono "secretati" e non resi neppure disponibili al Parlamento.


Inoltre, è senz'altro ammesso, - ma senza precisarne la misura effettivamente erogata annualmente-, che tra i flussi in entrata e quelli in uscita può esservi, di anno in anno, una differenza: quest'ultima, tuttavia, se negativa, non può che implicare una copertura mediante emissione di debito pubblico addizionale.
A quanto poi, questa copertura di "differenziale" negativo, tra flussi in entrata e in uscita, sia corrisposta (nel caso sia stata, COME PARE DAI NOZIONALI ATTUALI, a saldo COMPLESSIVAMENTE NEGATIVO) non è dato sapere.


2. NON APRITE QUELLA PORTA


"Il film che state per vedere è un resoconto della tragedia che è capitata [..]; il fatto che fossero giovani rende tutto molto più tragico, le loro giovani vite furono stroncate da eventi così assurdi e macabri che forse neanche loro avrebbero mai pensato di vivere... per loro [..] si trasformò in un incubo e i fatti [..] portarono alla scoperta di uno dei crimini più efferati della storia .."
(voce narrante all'apertura della proiezione del horror-indi film, regia Tobe Hopper, 1974)
Ci sono abitatori che preferiscono l’horror, altri meno anche quando l’horror è”indi”, cioè indipendente.


Con qualche dubbio che gli invitati avessero storia e cognizione dei fotogrammi proiettati il 10 di febbraio 2015 dalla dr.ssa Maria Cannata, da sempre direttore del debito pubblico del Tesoro del Bel Paese, rititolati, nel remake, "INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI STRUMENTI FINANZIARI", fugacemente interrotti dal “buon cuore” dell'on Capezzone, presidente della VI Commissione Finanze, nelle aule Parlamentari.
Ne rimane, comunque fortunosamente, il copione per quanti ne hanno – sempre più stracchi – la voglia di leggerlo e farne considerazioni per quello che congiunge le piste crittografiche di questo tratto di Storia: la nostra e quella degli altri, tutte interconnesse dall’internazionalismo della finanza.
Sfogliando le pagine, appaiono le figure e, sempre, lo stupore nel verificare che il MI(ni)STERO DELL’ECONOMIA E FINANZA del Bel Paese ricorra alle referenze di US Bloomberg per certificare l’andamento storico dei tassi EURIBOR confrontati ai BOT 6M (ref pag 14), quando le tabule dei Supplementi della BdI potrebbero riportare “imparzialità e attentibilità” istituzionale.










Sarebbero – Alalà al “pellerossa” - da commentare i differenziali del 2007-2008 e i picchi 2011-2012 dei tassi di interesse EURIBOR (l’interbancario soggetto di manipolazione) ed i "richiesti/concessi" delle obbligazioni BOT ma s’aprirebbero litigiosità antiche di comari litigiose separate – consensuale o meno, richiesta/dovuta - tra Banca d’Italia e governo dell Bel Paese.
Ella, tirata per la gonnella, comincia a mostrare qualche lato “approssimativo” del carico finanziario dei contratti OTC conclusi dallo Stato del Bel Paese:
· prodotti “derivatives” Statali: circa € 159,6 mld


o 14% di cross currency swap (assicurazione sulla fluttuazione del rischio di cambio di titoli emessi in valuta estera)
o 72% interest rate swap (assicurazione sulla variazione dell’interesse contrattualizzato FISSO/VARIABILE espressi dal “libero” mercato)
o 12% swaption (opzioni contrattuali tra creditore e debitore per “entrare” nell’applicazione di un tasso d’interesse fisso in un determinato momento al variare del tassi – Linneo non l’aveva ancora censito)
o 2% collaterale di INFRASTRUTTURE SpA (società finaziaria, parte di C.DD.PP., per il finanziamento attraverso obbligazioni, mutui e cartolarizzazioni di opere infrastrutturali pubbliche, )
· prodotti “derivatives” Enti Locali: circa € 25 mld
· aggiornamento dei totali in “rosso”: circa € 36,87 mld (+ € 21 mld rispetto al 2013 .. ahah)
· varie non legate al debito “pubblico”: circa € 3,5 mld 3


I “grigi” tabulati del bollettino statistico n. 6/2015 della BdI riportano in dettaglio il portafoglio in strumenti derivati della Repubblica Italiana.


C’è da credere che agli “auditor” frettolosi, - senza minimamente ridurre il significato del BLITZKRIEG ALLA COSTITUZIONE ITALIANA, (c'è chi lo chiama golpe)-, siano sfuggite POSTILLE, recanti i CONCETTI e i COSTI DI RISOLUZIONE ANTICIPATA UNILATERALE (in english: “additional termination event”) della “contrattualistica” ISDA MASTER ancorata alle valutazione dei “derivatives”.
Il tutto con i voti (=quotazione di mercato) decretati dalle AGENZIE DI RATING; sebbene con qualche conflitto di interesse tra gli azionisti (in comune) degli istituti di credito/fondi di investimento “privati” e delle agenzie. Quella è l’ufficialità internazionale della LEX MERCATORIA& LAW FORM...


Come lo stupore non sarebbe mai troppo nel leggere di VINCOLI e CONDIZIONALITA’ - “break clauses” e “credit events”, ovviamente interconnesse alle categorie del “merito del credito” dagli analisti s/prezzolati delle agenzie di rating- che consentono l’attivazione della risoluzione anticipata con un ragionieristico calcolo.


3. C’è poi da rammentare che - qualche settimana dopo l’insediamento dei "monti...salvatori" - dopo dati e notizie della US SEC nella calza della Befana 2012, gli italiani, tronfi di un natalino silente, hanno sborsato US$ 3,4 md per il pagamento della clausola di risoluzione anticipata, chiesta unilateralmente da Morgan Stanley su contratti “derivatives” conclusi qualche decennio prima dagli allora DG del Tesoro; "monti salvatori" che inviano il “povero” maestro elementare (il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Marco Rossi Doria) a rispondere su interrogazioni parlamentari per avvallare € 60 mld di risorse del Bel Paese erogate per garantire i crediti di “alleati” €urisici.
E la risposta all'interrogazione chiarisce:
"Ad oggi il nozionale complessivo di strumenti derivati a copertura di debito emessi dalla Repubblica italiana ammonta a circa 160 miliardi di euro, a fronte di titoli in circolazione, al 31 gennaio 2012, per 1.624 miliardi di euro. Quindi, il nozionale ammonta, per rispondere alla domanda, a circa il 10 per cento dei titoli in circolazione.
Degli strumenti derivati in essere, circa 100 miliardi sono interest rate swap, 36 miliardi cross currency swap, 20 swaption e 3,5 miliardi degli swap ex ISPA.
I 36 miliardi di euro di nozionale dei cross currency swap corrispondono alla quasi totalità dei titoli emessi nel corso degli anni in valuta non euro, sotto il programma delle missioni internazionali. Pertanto, la quasi totalità delle missioni estere sono state coperte dal rischio valutario.
In data 27 dicembre 2006 l'insieme delle passività contratte da ISPA, sia in forma di titoli sia di mutuo, nonché i contratti derivati a loro associati, sono stati trasferiti, per legge, alla Repubblica.

In particolare, gli interest rate swap presentano un tasso a pagare medio ponderato a carico della Repubblica che è inferiore a quello pagato sul debito di durata comparabile. Con questi swap il Tesoro si è immunizzato, dunque, dai rialzi dei tassi di interesse sulla parte di nozionale interessata, contribuendo all'allungamento della durata finanziaria del proprio debito.
Risulta, peraltro, fuorviante associare ai derivati, nella forma e nelle modalità utilizzate dal Tesoro nell'ambito della gestione del debito pubblico, il concetto di guadagno o perdita. Infatti, coerentemente con la finalità di utilizzo dei derivati e in considerazione del loro limitato ammontare relativo allo stock di debito esistente, per ogni anno si sono verificati - e si verificheranno in futuro - differenziali positivi o negativi tra quanto pagato e quanto incassato, derivanti dall'andamento dei parametri di indicizzazione della gamma variabile (generalmente l'Euribor), che sono riportati annualmente con chiarezza nei documenti statistici ufficiali.
In merito al valore di mercato del «portafoglio derivati» della Repubblica italiana, si precisa che lo stesso è definito come il valore attuale dei flussi futuri scontati al presente e che varia continuamente al variare sia del livello dei tassi di mercato sia della conformazione della curva dei rendimenti. Appare evidente che lo stesso è, quindi, un valore in continuo mutamento, la cui rilevanza per uno Stato sovrano risulta essere limitata.
Qualora un titolo di Stato dopo la sua emissione, a seguito di una diminuzione dei tassi di mercato, si trovasse a presentare un prezzo al di sopra della pari - 100, che è il valore di rimborso e quello a cui viene contabilizzato il debito contratto dallo Stato con la sua emissione -, allora si dovrebbe contabilizzare a tale valore superiore, definendo così un aumento del debito che non corrisponde ad un incremento effettivo dell'impegno dello Stato nei confronti dei creditori.
Specularmente, si verifica l'opposto in caso di aumento dei tassi di mercato.
Appare evidente l'incongruità, dato che il debito è sempre pari a cento, a meno che non si proceda ad un riacquisto pagando il prezzo di mercato sotto la pari.
A differenza di un titolo di Stato, gli swap di tasso d'interesse non sono debiti che devono essere ripagati a scadenza, ma solo scambi di flussi su un nozionale convenzionale, la cui chiusura anticipata può essere effettuata esclusivamente su base volontaria e consensuale, da parte di entrambe le controparti coinvolte, a meno di precise clausole contrattuali che predetermino un evento di chiusura anticipata.
Per quanto riguarda, in particolare, la vicenda relativa alla Morgan Stanley, riportata da alcuni organi di stampa e richiamata nell'interpellanza, si fa presente che, alla fine del 2011 e con regolamento, il Ministero dell'economia e delle finanze, in data 3 gennaio 2012, ha proceduto alla chiusura di alcuni derivati in essere con Morgan Stanley (due interest rate swap e due swaption) in conseguenza di una clausola di «Additional Termination Event» presente nel contratto quadro (ISDA Master Agreement) che regolava i rapporti tra la Repubblica Italiana e la banca in questione.
Tale clausola, risalente alla data di stipula del contratto, nel 1994, era unica e non presente in nessun altro contratto quadro vigente tra il Ministero e le sue controparti, e non è stato possibile, nel corso degli ultimi anni, rinegoziare la stessa.
In virtù di tale clausola, si è proceduto alla chiusura anticipata di alcuni derivati con Morgan Stanley, regolandone il controvalore in 2,567 miliardi senza il coinvolgimento di terze parti.


In merito alle affermazioni ed alle questioni poste a proposito dei cosiddetti "credit default swap" riguardanti la Repubblica italiana come emittente di debito, si riporta una tabella aggiornata al 24 febbraio 2012 (stessa fonte dei dati riportati nell'interpellanza e nei citati articoli di stampa), dalla quale risulterà evidente come non ci sia una particolare rilevanza delle posizioni nette in credit default swap circolanti sul debito italiano, con Paesi come la Francia e la Germania che, oltre ad avere un nozionale dello stesso ordine di grandezza di quello italiano, mostrano un rapporto sul debito esistente maggiore del caso italiano.




PRESIDENTE. L'onorevole Borghesi ha facoltà di replicare.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signor sottosegretario, mi dichiaro in parte soddisfatto e in parte no. In parte soddisfatto perché finalmente abbiamo alcuni dati precisi che il sottosegretario ha elencato e che ci fanno capire che, comunque, il nostro Paese ha un'esposizione in derivati che non è piccolissima: alla fine, parliamo di circa il 10 per cento dell'ammontare complessivo dei titoli e, in un periodo in cui i derivati possono portare a situazione di difficoltà, certamente qualche problema e qualche necessità di monitoraggio immagino che vi sia.
Non sono, invece, soddisfatto della risposta che riguarda la chiusura anticipata e spiego perché.

Quasi sempre in quel tipo di contrattazioni è lasciata la possibilità di una chiusura anticipata e volontaria - quindi dipende dalla volontà delle parti di procedervi - e non dobbiamo dimenticare che in quel particolare momento, un momento molto difficile per il nostro Paese, anche altri Paesi avevano cercato di liberarsi delle posizioni debitorie verso di noi, la Germania, le banche tedesche, in particolare - mi pare - di qualcosa come 7 miliardi di euro, quindi di qualcosa di assolutamente rilevante.
Dunque, l'idea che ci sia stata una chiusura volontaria anticipata della posizione può dare adito a qualche riflessione che tiene conto anche dei soggetti interessati da questa operazione.
Per carità, nessuno pensa che sia un delitto il fatto che il figlio del Presidente del Consiglio lavori per Morgan Stanley e che il capo country manager per Morgan Stanley in Italia sia Domenico Siniscalco, che è stato Ministro dell'economia e delle finanze in un precedente Governo Berlusconi. Lei esclude che ci sia una terza parte, qualcuno parlava di Banca Intesa il cui amministratore delegato oggi è Ministro di questa Repubblica.
Certo, la trasparenza in questi casi è necessaria perché da qui ad un ipotetico conflitto d'interessi - che basta che sia ipotetico per essere negativo - qualche ragionamento dovrebbe pur essere fatto
.



4. Come non rilevare, senza stupore, la divergenza del MARK-TO-MARKET (il valore attuale dei flussi futuri), che definisce la differenza tra il tasso che si paga e il tasso che si riceve, nel corso della durata dell’obbligazione riportata nei grafici successivi (pag 25)

2006




2014








"Madre” di tante guerre in nome della “democrazia”: nel Bel Paese, in Kosovo, in Bosnia, in Siria, in Libia, in Afghanistan, in Iraq ...


5. APPENDICE (alla successiva e "nuova" audizione della dott.ssa Cannata del 26 febbraio 2015, successiva a quella del 10 febbraio):



L’unica cosa certasui derivati sottoscritti dal Ministero dell’Economia è che non c’è certezza su niente. Gli unici veri dati che sono venuti fuori dalla nuova audizione (ieri) della dottoressa Maria Cannata alla Commisione d’indagine parlamentare sono:

a) l’ammontare totale dei derivati sottoscritti dal Tesoro è di 152 miliardi di euro;

b) il mark to market è negativo per 42 miliardi;

c) sono state vendute opzioni sui tassi d’interesse;

d) i parlamentari non hanno e non avranno accesso ai contratti;




In queste quattro verità c’è tuttavia un indizio importante su come si sia sviluppata negli anni la gestione dei derivati della Repubblica italiana.






Il primo dato è che i parlamentari italiani votano un bilancio di cui non conoscono i documenti sottostanti alla sua formazione. Il secondo è che chi ha gestito il debito pubblico sino ad ora è riuscito a produrre una perdita del 30% sul portafoglio dei derivati, un record assoluto se vogliamo credere che i derivati non nascondano in realtà dei prestiti camuffati contratti dallo Stato italiano con le banche.




Il terzo è che la vendita di opzioni non è qualificabile come copertura di rischio: la dottoressa Cannata ha dunque nei fatti smentito il ministro Padoan che tramite il suo portavoce aveva sostenuto che i derivati dello Stato italiano erano stati sottoscritti solo per copertura “come assicurare un’auto contro in rischio di furto ed incendio “ (http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/italia-deriva-ti-padoan-prova-dissociare-contratti-derivati-91416.htm).
In questo caso il Mef ha venduto un’assicurazione a qualcuno, invertendo completamente il senso della copertura.




Quindi o il Ministro ha mentito oppure non era informato dagli uffici competenti, in entrambi i casi conferma un’ampia zona d’ombra sul bilancio dello Stato.






Questa zona d’ombra è stata perpetuata dal diniego dell’accesso agli atti opposto dal Mef ai parlamentari della commissione finanza. La Cannata motiva tale diniego con “possibili giochetti” degli speculatori contro le posizioni del Tesoro.
Francamente con una perdita del 30% sul portafoglio si potrebbe dubitare che uno speculatore riuscirebbe a fare meglio di così.




La dottoressa Cannata dimentica volontariamente che fondi d’investimento e banche d’affari sono piene di ex direttori generali del Tesoro, quindi l’assurdo è che mentre le banche conoscono le posizioni in derivati del Tesoro il Parlamento italiano non le può sapere.
La commissione d’indagine sui derivati finirà così a tarallucci e vino fra un Ministero reticente ed i parlamentari che in realtà non vogliono o non sanno fare le domande giuste."







Me cargo en el amor


è un mondo difficile ..
è vita intensa ..
felicità a momenti ..
futuro incerto


Basta esserne consapevoli
Tiremm innanz... !
 
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1. Ho aggiornato questo post di Poggiopoggiolini annettendovi un commento alla successiva audizione parlamentare della responsabile ministeriale del debito pubblico, in data 26 febbraio 2015, relativa ai contratti in "derivati" stipulati dalla Repubblica italiana.
Quello che "parrebbe" chiaro è che, variandone il "nozionale" (cioè il valore di mercato), tali contratti determinerebbero attualmente una differenza NEGATIVA, -in relazione alla capitalizzazione del flusso in entrata (nelle casse dello Stato) e del flusso negativo in uscita (nelle casse delle banche) -, di circa 42 miliardi.
Questa perdita ("in conto capitale") non sarebbe corrispondente (pare) a un esborso attuale, a meno che la controparte non possa far valere un diritto di recesso (più che di risoluzione), derivante dal contratto volontariamente accettato dal nostro Tesoro. Cioè, in questi casi, la perdita statale viene consolidata in una corrispondente plusvalenza privata.
I casi concreti in cui ciò possa accadere non sono "conoscibili" perchè i relativi contratti sono "secretati" e non resi neppure disponibili al Parlamento.


Inoltre, è senz'altro ammesso, - ma senza precisarne la misura effettivamente erogata annualmente-, che tra i flussi in entrata e quelli in uscita può esservi, di anno in anno, una differenza: quest'ultima, tuttavia, se negativa, non può che implicare una copertura mediante emissione di debito pubblico addizionale.
A quanto poi, questa copertura di "differenziale" negativo, tra flussi in entrata e in uscita, sia corrisposta (nel caso sia stata, COME PARE DAI NOZIONALI ATTUALI, a saldo COMPLESSIVAMENTE NEGATIVO) non è dato sapere.


2. NON APRITE QUELLA PORTA


"Il film che state per vedere è un resoconto della tragedia che è capitata [..]; il fatto che fossero giovani rende tutto molto più tragico, le loro giovani vite furono stroncate da eventi così assurdi e macabri che forse neanche loro avrebbero mai pensato di vivere... per loro [..] si trasformò in un incubo e i fatti [..] portarono alla scoperta di uno dei crimini più efferati della storia .."
(voce narrante all'apertura della proiezione del horror-indi film, regia Tobe Hopper, 1974)
Ci sono abitatori che preferiscono l’horror, altri meno anche quando l’horror è”indi”, cioè indipendente.


Con qualche dubbio che gli invitati avessero storia e cognizione dei fotogrammi proiettati il 10 di febbraio 2015 dalla dr.ssa Maria Cannata, da sempre direttore del debito pubblico del Tesoro del Bel Paese, rititolati, nel remake, "INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI STRUMENTI FINANZIARI", fugacemente interrotti dal “buon cuore” dell'on Capezzone, presidente della VI Commissione Finanze, nelle aule Parlamentari.
Ne rimane, comunque fortunosamente, il copione per quanti ne hanno – sempre più stracchi – la voglia di leggerlo e farne considerazioni per quello che congiunge le piste crittografiche di questo tratto di Storia: la nostra e quella degli altri, tutte interconnesse dall’internazionalismo della finanza.
Sfogliando le pagine, appaiono le figure e, sempre, lo stupore nel verificare che il MI(ni)STERO DELL’ECONOMIA E FINANZA del Bel Paese ricorra alle referenze di US Bloomberg per certificare l’andamento storico dei tassi EURIBOR confrontati ai BOT 6M (ref pag 14), quando le tabule dei Supplementi della BdI potrebbero riportare “imparzialità e attentibilità” istituzionale.










Sarebbero – Alalà al “pellerossa” - da commentare i differenziali del 2007-2008 e i picchi 2011-2012 dei tassi di interesse EURIBOR (l’interbancario soggetto di manipolazione) ed i "richiesti/concessi" delle obbligazioni BOT ma s’aprirebbero litigiosità antiche di comari litigiose separate – consensuale o meno, richiesta/dovuta - tra Banca d’Italia e governo dell Bel Paese.
Ella, tirata per la gonnella, comincia a mostrare qualche lato “approssimativo” del carico finanziario dei contratti OTC conclusi dallo Stato del Bel Paese:
· prodotti “derivatives” Statali: circa € 159,6 mld


o 14% di cross currency swap (assicurazione sulla fluttuazione del rischio di cambio di titoli emessi in valuta estera)
o 72% interest rate swap (assicurazione sulla variazione dell’interesse contrattualizzato FISSO/VARIABILE espressi dal “libero” mercato)
o 12% swaption (opzioni contrattuali tra creditore e debitore per “entrare” nell’applicazione di un tasso d’interesse fisso in un determinato momento al variare del tassi – Linneo non l’aveva ancora censito)
o 2% collaterale di INFRASTRUTTURE SpA (società finaziaria, parte di C.DD.PP., per il finanziamento attraverso obbligazioni, mutui e cartolarizzazioni di opere infrastrutturali pubbliche, )
· prodotti “derivatives” Enti Locali: circa € 25 mld
· aggiornamento dei totali in “rosso”: circa € 36,87 mld (+ € 21 mld rispetto al 2013 .. ahah)
· varie non legate al debito “pubblico”: circa € 3,5 mld 3


I “grigi” tabulati del bollettino statistico n. 6/2015 della BdI riportano in dettaglio il portafoglio in strumenti derivati della Repubblica Italiana.


C’è da credere che agli “auditor” frettolosi, - senza minimamente ridurre il significato del BLITZKRIEG ALLA COSTITUZIONE ITALIANA, (c'è chi lo chiama golpe)-, siano sfuggite POSTILLE, recanti i CONCETTI e i COSTI DI RISOLUZIONE ANTICIPATA UNILATERALE (in english: “additional termination event”) della “contrattualistica” ISDA MASTER ancorata alle valutazione dei “derivatives”.
Il tutto con i voti (=quotazione di mercato) decretati dalle AGENZIE DI RATING; sebbene con qualche conflitto di interesse tra gli azionisti (in comune) degli istituti di credito/fondi di investimento “privati” e delle agenzie. Quella è l’ufficialità internazionale della LEX MERCATORIA& LAW FORM...


Come lo stupore non sarebbe mai troppo nel leggere di VINCOLI e CONDIZIONALITA’ - “break clauses” e “credit events”, ovviamente interconnesse alle categorie del “merito del credito” dagli analisti s/prezzolati delle agenzie di rating- che consentono l’attivazione della risoluzione anticipata con un ragionieristico calcolo.


3. C’è poi da rammentare che - qualche settimana dopo l’insediamento dei "monti...salvatori" - dopo dati e notizie della US SEC nella calza della Befana 2012, gli italiani, tronfi di un natalino silente, hanno sborsato US$ 3,4 md per il pagamento della clausola di risoluzione anticipata, chiesta unilateralmente da Morgan Stanley su contratti “derivatives” conclusi qualche decennio prima dagli allora DG del Tesoro; "monti salvatori" che inviano il “povero” maestro elementare (il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Marco Rossi Doria) a rispondere su interrogazioni parlamentari per avvallare € 60 mld di risorse del Bel Paese erogate per garantire i crediti di “alleati” €urisici.
E la risposta all'interrogazione chiarisce:
"Ad oggi il nozionale complessivo di strumenti derivati a copertura di debito emessi dalla Repubblica italiana ammonta a circa 160 miliardi di euro, a fronte di titoli in circolazione, al 31 gennaio 2012, per 1.624 miliardi di euro. Quindi, il nozionale ammonta, per rispondere alla domanda, a circa il 10 per cento dei titoli in circolazione.
Degli strumenti derivati in essere, circa 100 miliardi sono interest rate swap, 36 miliardi cross currency swap, 20 swaption e 3,5 miliardi degli swap ex ISPA.
I 36 miliardi di euro di nozionale dei cross currency swap corrispondono alla quasi totalità dei titoli emessi nel corso degli anni in valuta non euro, sotto il programma delle missioni internazionali. Pertanto, la quasi totalità delle missioni estere sono state coperte dal rischio valutario.
In data 27 dicembre 2006 l'insieme delle passività contratte da ISPA, sia in forma di titoli sia di mutuo, nonché i contratti derivati a loro associati, sono stati trasferiti, per legge, alla Repubblica.

In particolare, gli interest rate swap presentano un tasso a pagare medio ponderato a carico della Repubblica che è inferiore a quello pagato sul debito di durata comparabile. Con questi swap il Tesoro si è immunizzato, dunque, dai rialzi dei tassi di interesse sulla parte di nozionale interessata, contribuendo all'allungamento della durata finanziaria del proprio debito.
Risulta, peraltro, fuorviante associare ai derivati, nella forma e nelle modalità utilizzate dal Tesoro nell'ambito della gestione del debito pubblico, il concetto di guadagno o perdita. Infatti, coerentemente con la finalità di utilizzo dei derivati e in considerazione del loro limitato ammontare relativo allo stock di debito esistente, per ogni anno si sono verificati - e si verificheranno in futuro - differenziali positivi o negativi tra quanto pagato e quanto incassato, derivanti dall'andamento dei parametri di indicizzazione della gamma variabile (generalmente l'Euribor), che sono riportati annualmente con chiarezza nei documenti statistici ufficiali.
In merito al valore di mercato del «portafoglio derivati» della Repubblica italiana, si precisa che lo stesso è definito come il valore attuale dei flussi futuri scontati al presente e che varia continuamente al variare sia del livello dei tassi di mercato sia della conformazione della curva dei rendimenti. Appare evidente che lo stesso è, quindi, un valore in continuo mutamento, la cui rilevanza per uno Stato sovrano risulta essere limitata.
Qualora un titolo di Stato dopo la sua emissione, a seguito di una diminuzione dei tassi di mercato, si trovasse a presentare un prezzo al di sopra della pari - 100, che è il valore di rimborso e quello a cui viene contabilizzato il debito contratto dallo Stato con la sua emissione -, allora si dovrebbe contabilizzare a tale valore superiore, definendo così un aumento del debito che non corrisponde ad un incremento effettivo dell'impegno dello Stato nei confronti dei creditori.
Specularmente, si verifica l'opposto in caso di aumento dei tassi di mercato.
Appare evidente l'incongruità, dato che il debito è sempre pari a cento, a meno che non si proceda ad un riacquisto pagando il prezzo di mercato sotto la pari.
A differenza di un titolo di Stato, gli swap di tasso d'interesse non sono debiti che devono essere ripagati a scadenza, ma solo scambi di flussi su un nozionale convenzionale, la cui chiusura anticipata può essere effettuata esclusivamente su base volontaria e consensuale, da parte di entrambe le controparti coinvolte, a meno di precise clausole contrattuali che predetermino un evento di chiusura anticipata.
Per quanto riguarda, in particolare, la vicenda relativa alla Morgan Stanley, riportata da alcuni organi di stampa e richiamata nell'interpellanza, si fa presente che, alla fine del 2011 e con regolamento, il Ministero dell'economia e delle finanze, in data 3 gennaio 2012, ha proceduto alla chiusura di alcuni derivati in essere con Morgan Stanley (due interest rate swap e due swaption) in conseguenza di una clausola di «Additional Termination Event» presente nel contratto quadro (ISDA Master Agreement) che regolava i rapporti tra la Repubblica Italiana e la banca in questione.
Tale clausola, risalente alla data di stipula del contratto, nel 1994, era unica e non presente in nessun altro contratto quadro vigente tra il Ministero e le sue controparti, e non è stato possibile, nel corso degli ultimi anni, rinegoziare la stessa.
In virtù di tale clausola, si è proceduto alla chiusura anticipata di alcuni derivati con Morgan Stanley, regolandone il controvalore in 2,567 miliardi senza il coinvolgimento di terze parti.


In merito alle affermazioni ed alle questioni poste a proposito dei cosiddetti "credit default swap" riguardanti la Repubblica italiana come emittente di debito, si riporta una tabella aggiornata al 24 febbraio 2012 (stessa fonte dei dati riportati nell'interpellanza e nei citati articoli di stampa), dalla quale risulterà evidente come non ci sia una particolare rilevanza delle posizioni nette in credit default swap circolanti sul debito italiano, con Paesi come la Francia e la Germania che, oltre ad avere un nozionale dello stesso ordine di grandezza di quello italiano, mostrano un rapporto sul debito esistente maggiore del caso italiano.




PRESIDENTE. L'onorevole Borghesi ha facoltà di replicare.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signor sottosegretario, mi dichiaro in parte soddisfatto e in parte no. In parte soddisfatto perché finalmente abbiamo alcuni dati precisi che il sottosegretario ha elencato e che ci fanno capire che, comunque, il nostro Paese ha un'esposizione in derivati che non è piccolissima: alla fine, parliamo di circa il 10 per cento dell'ammontare complessivo dei titoli e, in un periodo in cui i derivati possono portare a situazione di difficoltà, certamente qualche problema e qualche necessità di monitoraggio immagino che vi sia.
Non sono, invece, soddisfatto della risposta che riguarda la chiusura anticipata e spiego perché.

Quasi sempre in quel tipo di contrattazioni è lasciata la possibilità di una chiusura anticipata e volontaria - quindi dipende dalla volontà delle parti di procedervi - e non dobbiamo dimenticare che in quel particolare momento, un momento molto difficile per il nostro Paese, anche altri Paesi avevano cercato di liberarsi delle posizioni debitorie verso di noi, la Germania, le banche tedesche, in particolare - mi pare - di qualcosa come 7 miliardi di euro, quindi di qualcosa di assolutamente rilevante.
Dunque, l'idea che ci sia stata una chiusura volontaria anticipata della posizione può dare adito a qualche riflessione che tiene conto anche dei soggetti interessati da questa operazione.
Per carità, nessuno pensa che sia un delitto il fatto che il figlio del Presidente del Consiglio lavori per Morgan Stanley e che il capo country manager per Morgan Stanley in Italia sia Domenico Siniscalco, che è stato Ministro dell'economia e delle finanze in un precedente Governo Berlusconi. Lei esclude che ci sia una terza parte, qualcuno parlava di Banca Intesa il cui amministratore delegato oggi è Ministro di questa Repubblica.
Certo, la trasparenza in questi casi è necessaria perché da qui ad un ipotetico conflitto d'interessi - che basta che sia ipotetico per essere negativo - qualche ragionamento dovrebbe pur essere fatto
.



4. Come non rilevare, senza stupore, la divergenza del MARK-TO-MARKET (il valore attuale dei flussi futuri), che definisce la differenza tra il tasso che si paga e il tasso che si riceve, nel corso della durata dell’obbligazione riportata nei grafici successivi (pag 25)

2006




2014








"Madre” di tante guerre in nome della “democrazia”: nel Bel Paese, in Kosovo, in Bosnia, in Siria, in Libia, in Afghanistan, in Iraq ...


5. APPENDICE (alla successiva e "nuova" audizione della dott.ssa Cannata del 26 febbraio 2015, successiva a quella del 10 febbraio):



L’unica cosa certasui derivati sottoscritti dal Ministero dell’Economia è che non c’è certezza su niente. Gli unici veri dati che sono venuti fuori dalla nuova audizione (ieri) della dottoressa Maria Cannata alla Commisione d’indagine parlamentare sono:

a) l’ammontare totale dei derivati sottoscritti dal Tesoro è di 152 miliardi di euro;

b) il mark to market è negativo per 42 miliardi;

c) sono state vendute opzioni sui tassi d’interesse;

d) i parlamentari non hanno e non avranno accesso ai contratti;




In queste quattro verità c’è tuttavia un indizio importante su come si sia sviluppata negli anni la gestione dei derivati della Repubblica italiana.






Il primo dato è che i parlamentari italiani votano un bilancio di cui non conoscono i documenti sottostanti alla sua formazione. Il secondo è che chi ha gestito il debito pubblico sino ad ora è riuscito a produrre una perdita del 30% sul portafoglio dei derivati, un record assoluto se vogliamo credere che i derivati non nascondano in realtà dei prestiti camuffati contratti dallo Stato italiano con le banche.




Il terzo è che la vendita di opzioni non è qualificabile come copertura di rischio: la dottoressa Cannata ha dunque nei fatti smentito il ministro Padoan che tramite il suo portavoce aveva sostenuto che i derivati dello Stato italiano erano stati sottoscritti solo per copertura “come assicurare un’auto contro in rischio di furto ed incendio “ (http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/italia-deriva-ti-padoan-prova-dissociare-contratti-derivati-91416.htm).
In questo caso il Mef ha venduto un’assicurazione a qualcuno, invertendo completamente il senso della copertura.




Quindi o il Ministro ha mentito oppure non era informato dagli uffici competenti, in entrambi i casi conferma un’ampia zona d’ombra sul bilancio dello Stato.






Questa zona d’ombra è stata perpetuata dal diniego dell’accesso agli atti opposto dal Mef ai parlamentari della commissione finanza. La Cannata motiva tale diniego con “possibili giochetti” degli speculatori contro le posizioni del Tesoro.
Francamente con una perdita del 30% sul portafoglio si potrebbe dubitare che uno speculatore riuscirebbe a fare meglio di così.




La dottoressa Cannata dimentica volontariamente che fondi d’investimento e banche d’affari sono piene di ex direttori generali del Tesoro, quindi l’assurdo è che mentre le banche conoscono le posizioni in derivati del Tesoro il Parlamento italiano non le può sapere.
La commissione d’indagine sui derivati finirà così a tarallucci e vino fra un Ministero reticente ed i parlamentari che in realtà non vogliono o non sanno fare le domande giuste."







Me cargo en el amor


è un mondo difficile ..
è vita intensa ..
felicità a momenti ..
futuro incerto


Basta esserne consapevoli
Tiremm innanz... !
 
posted by Maurizio Gustinicchi
PADOAN A TGCOM24 AMMETTE: “abbiamo evitato una manovra da 40 miliardi che avrebbe distrutto l’economia italiana”

Bene, adesso è conclamato, l’euroburocrazia intendeva schiantare la nostra economia e come prima LEPTAS e SAKKOMANNIS, oggi IL SALSICCIAIO e il VERO COMANDANTE IN CAMPO (Padoan) hanno fatto di tutto per MINIMIZZARE l’austerity CONSAPEVOLI CHE AVREBBE DISTRUTTO LA NOSTRA ECONOMIA:
Capite ora come stanno le cose?
Siamo entrati in un tunnel e le nostre migliori risorse (uah uah uah) stanno facendo di tutto per difenderci e restituire al paese un po’ di crescita.
A dire il vero mentre forse la difesa un qualche risultato lo sta conseguendo, per la crescita non se ne parla:

In pratica Confindustria sta spingendo gli investimenti promessi dopo che Renzi gli ha abolito l’articolo 18.
Questa cosa equivale al gioire per le briciole che si ottengono avendo deciso di stare sotto la tavola del padrone. E’ gioire per il nulla, è essere felici di qualche misero decimale che, peraltro, SENZA LA SVALUTAZIONE DELL’EURO NON SI SAREBBE MAI E POI MAI VERIFICATO.
Quello di cui sono colpevoli i dirigenti del PD è di consegnare il paese per decenni alla stagnazione economica che, al primo shock esterno tipo Lehman Brothers, potrebbe tranquillamente trasformarsi nel default dello stivale.
E questo non ce lo meritiamo!

Il miglioramento dell’ordine del decimale ha richiesto:
1) una ipersvalutazione dell’euro;
2) una eccezionale spinta di Confindustria agli investimenti in cambio dell’eliminazione dell’Art. 18;
3) la promessa di un superQE da parte della BCE.

Tanta fatica solamente per qualche misero decimale che ad aprile, EFFETTO TSIPRAS PERMETTENDO, la prossima manovra finanziaria potrebbe eliminare.

“Ad maiora”
(Verso cose più grandi!)
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IL MONDO
ECONOMICS
FORSE È SCIENZA
C'ERA UNA VOLTA
LA NERA
SEI SICURO?
EDITORIALI
TARGET
CRAC DA 7 MILIARDI DI EURO IN BANCA AUSTRIACA HETA, CORRENTISTI DISPERATI

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2 marzo - Il ministero delle finanze austriache non e' in grado di quantificare le perdite che i creditori della Heta, la bad bank del fallito istituto Hipo Alpe-Adria dovranno affrontare dopo che il governo ha deciso ieri, per la prima volta, di applicare il regime di risoluzione (bail in) alla societa'. E' quanto scrive la Bloomberg secondo cui le autorita' di Vienna hanno ribadito che non immetteranno altro denaro pubblico nella Heta. Secondo le norme europee di bail in, arrivate con la vigilanza unica, le perdite per default sono sopportate in prima battuta dai soggetti privati, compresi obbligazionisti e depositanti. Secondo quanto riferisce Reuters, il buco nei conti di questa banca sarebbe di oltre 7 miliardi di euro. Correntisti disperati.
 
LA TROIKA HA SCRITTO LA MAIL DI VAROUFAKIS ALLA TROIKA!
Pubblicato su 2 Marzo 2015 da FRONTE DI LIBERAZIONE DAI BANCHIERI - CM in POLITICA
DI GEORGIOS
comedonchisciotte.org
Un terremoto politico (1) ha scatenato la rivelazione che l'autore della mail di Varoufakis alla Troika con le proposte del governo greco per il raggiungimento di un accordo circa la proroga di 4 mesi del contratto di prestito, e' stato un tal Declan Costello, rappresentante della Commissione alla Troika.


Questo risulta dalle proprietà del documento pubblicato dal Financial Times come si può osservare qui:
epistoli_kostelo.jpg


e qui

epistoli_kostelo11.jpg

specialmente se si tiene conto delle date inerenti alla creazione del pdf relativo.
Si spiega cosi la famosa sterzata (o calata di braghe) del governo Tsipras rispetto alle sue posizioni iniziali anti-troikane, di “orgoglio” e di “dignità” nazionale. Evidentemente questi 4 mesi sono giudicati essenziali per imporre questa sterzata anche all'opinione pubblica.
Nella sua grande maggioranza il popolo greco non ha ancora capito quello che stanno tramando dietro alle sue spalle e ancora crede in buona fede alla buone intenzioni della dirigenza di SYRIZA alla quale vuole anche dare un credito di tempo per “farla finita coi memoranda”.
Non vorrei essere nei loro panni quando si scoprirà l'inganno.
Intanto nei mercati, nei quali ora “regna l'ottimismo”, si sono fatti dei grandi affari con la compravendita dei bond greci, prima svalutati a causa delle posizioni iniziali di Varoufakis e co e poi rivalutati dopo il raggiungimento dell'accordo con la troika. Pardon, ora si dice “istituzioni”.
Georgios
Fonte: www.comeonchisciotte.org
27.02.2015

(1) una piccola parte di siti con l'argomento trattato

http://diadrastiko.blogspot.gr/2015/02/blog-post_519.html
http://www.antinews.gr/Kleidarotrupa/epistoli-baroufaki-dia-xeiros-costello/
https://www.youtube.com/watch?v=CRISBA8aORM
http://www.triklopodia.gr/h-diapragmatefsi-tis-elladas-toys-thesmous-thimizi-tenia-ton-abbot-kai-costello/
http://www.capital.gr/news.asp?id=2238110

Tratto da:Come Don Chisciotte

http://img.over-blog-kiwi.com/0/78/04/34/20150301/ob_47b71b_varoufakis.jpg
 
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mar02

Non è un dirigente dell’Agenzia Entrate a firmare l’accertamento? L’atto è nullo.

Categorie: In Evidenza, Tasse ed imposte


[URL="http://www.salviamogliitaliani.it/non-e-un-dirigente-dellagenzia-entrate-firmare-laccertamento-latto-e-nullo/?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews#"]2[/URL]

di Marco Avv. Mori e Laura Avv. Muzio –
Segnaliamo un’ulteriore possibilità che sembra delinearsi nelle opposizioni avverso gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate. Trattasi di una linea difensiva che trova il pieno supporto della normativa vigente in materia e che dunque desta notevole interesse.
L’eccezione in esame è quella del difetto di attribuzione, cioè della mancanza di potere di firma in capo alla persona fisica che materialmente sottoscrive un accertamento. Utile sapere che capita molto spesso, su Genova ad esempio nella quasi totalità degli accertamenti da noi esaminati, che l’atto impositivo venga sottoscritto da un mero delegato non inquadrato nell’ambito del personale di carriera direttiva dell’Ufficio.
Vediamo le norme di riferimento per la questione che sono fortunatamente molto chiare e non lasciando davvero margine a dubbi.
L’art. 42 comma 1 DPR n. 600/1973 dispone: “Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. L’avviso di accertamento deve recare l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti d’imposta, e deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti articoli che sono state applicate, con distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.
L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non è allegata la documentazione di cui all’ultimo periodo del secondo comma”.
L’art. 21-septies L. n. 241/1990 così stabilisce: E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.”
Da queste due semplici norme comprendiamo quanto segue: gli avvisi di accertamento devono essere sottoscritti o dal capo dell’ufficio che emette l’atto o da un altro impiegato che sia stato delegato dal capo dell’ufficio, ma tale impiegato delegato deve appartenere alla carriera direttiva, in altre parole non può essere un semplice funzionario.
Se manca questo requisito della firma apposta da chi è titolato a farlo la pena è la nullità del provvedimento, poiché viziato da cd difetto assoluto di attribuzione.
Nella prassi, sostanzialmente tutti gli avvisi di accertamento che abbiamo visto fino ad oggi, recano in calce, come indicazione di chi sottoscrive, la seguente dicitura: “Il capo area per delega del direttore provinciale” seguita dal nome di chi materialmente firma, cioè questo fantomatico capo area.
Approfondendo la questione ed esaminando i documenti che Agenzia delle Entrate produce ogni qual volta si solleva la nullità dell’atto per difetto assoluto di attribuzione, siamo giunti spesso a scoprire che il cosiddetto “capo area” che firma l’avviso su delega del direttore provinciale non è affatto un impiegato della carriera direttiva come richiederebbe la norma, ma è più spesso un semplice funzionario per nulla inquadrato a livello direttivo.
Ecco che allora si configura a tutti gli effetti il difetto assoluto di attribuzione con la conseguenza che l’avviso di accertamento andrà annullato anche già soltanto per questo motivo.
Trattandosi di un motivo di nullità dell’accertamento (dunque opponibile in Commissione Tributaria nei tempi brevi di 60 giorni dal ricevimento notifica), il consiglio che possiamo dare è quello di non perdere tempo in verifiche (si faranno successivamente) ed eccepire sempre e comunque l’illegittimità, nullità e/o annullabilità dell’avviso di accertamento ricevuto per violazione degli artt. 42 DPR n. 600/1973 e 21 septies L. 241/1990 per difetto assoluto di attribuzione senza fornire nessuna ulteriore spiegazione.
In questo modo l’ente emittente potrebbe (dovrebbe, onere della prova è dell’Ufficio in caso di firma per delega) produrre anche spontaneamente la documentazione atta a dimostrare la legittimità e la titolarità del potere di firma in capo a chi ha sottoscritto l’atto consentendoci (accade davvero spesso) di scoprire che, in realtà, il delegato alla firma non è un impiegato della carriera direttiva.
Vale la pena di formulare sempre questo motivo di ricorso quando si impugna l’atto ricevuto.
La Cassazione condivide tale impostazione: L’avviso di accertamento è nullo, ai sensi dell’art. 42 del DPR 29 settembre 1973 (omissis…), se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del titolare dell’ufficio, incombe all’Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore e la presenza della delega del titolare dell’ufficio (Cass. Civ. Sez. V, 5.09.2014 n. 18758).
 

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