noi europei (solo una parte a dire il vero) abbiamo imparato dai mazziniani turchi che fosse lecito sterminare un milione e mezzo di persone nel nome della modernità
e che la Turchia non abbia nulla a che fare con l'ISIS è veramente naif considerando che se i facilitatori sono americani, i finanziatori sauditi e qatarioti, tutti la logistica passa attraverso la Turchia
spero che il tuo contrafforte sia presto cantonizzato e i curdi possano finalmente avere il loro paese (ma dubito che gli americani acconsentiranno)
...Per il resto, la connotazione “ideologica” del regime era codificata in sei punti, “le sei frecce di Atatürk” che lo stesso Kemal presentava al congresso del 1931 del Partito Repubblicano del Popolo:
Repubblicanesimo, Nazionalismo, Populismo, Laicismo, Statalismo, Riformismo-Rivoluzionarismo. Saranno queste “sei frecce” (e segnatamente quella del nazionalismo economico indicato come “statalismo”) a determinare la rapidissima uscita della Turchia dall’arretratezza e dalla miseria, e la sua portentosa crescita economica.
Kemal non abbandonava tuttavia la battaglia per la liberazione nazionale della cultura turca, battaglia che anzi corroborava – agli inizi degli anni ’30 – con la creazione di due strumenti di supporto: l’Istituto per la Storia Turca e la Società per la Lingua Turca. Erano proprio questi due enti, con tutta la loro attività e segnatamente con convegni internazionali di studi di alta levatura, a fornire gli elementi necessari all’Atatürk per tracciare il profilo storico, etnico e culturale di una nazione turca assai diversa dal coacervo arabo-islamico-asiatico risultante dalla tradizione ottomana. Kemal elaborava la teoria delle origini sumerico-hittite della popolazione turca, origini che la accomunavano alle grandi civiltà euromediterranee dell’antichità e che la allontanavano dal mondo orientale, origini che
esaltavano la comunanza con la cultura occidentale e respingevano le suggestioni panasiatiche e panislamiche che avevano caratterizzato la società turca ancòra durante il regime dei Giovani Turchi.
Strettamente connessa alla tematica storica era la questione della lingua, sulla quale il regime kemalista era già intervenuto con una prima riforma, quella dell’alfabeto. Bisognava tuttavia andare oltre, e riformare il vocabolario stesso della lingua turca, vocabolario imbastardito da secoli di influenza araba e persiana, al punto che i termini autenticamente turchi ne costituivano – almeno nella lingua “colta” – appena il 25%. Nel 1932 veniva quindi lanciata una
vera e propria epurazione dei vocaboli di origine araba e persiana, il cui uso era vietato inderogabilmente: anche Allah non era più pronunciabile, ed in sua vece si doveva usare l’equivalente turco Tanri. Alla fine di questo processo (siamo ormai nel 1935) si perveniva all’elaborazione di un’unica lingua nazionale turca – il türkceh – che prendeva il posto sia della lingua colta ottomana, sia della lingua parlata che, soprattutto nelle zone più periferiche, presentava in passato differenze dialettali assai ampie e complesse.
Più o meno contemporaneamente, venivano portate a compimento le riforme “civili” iniziate negli anni ’20.
L’emancipazione della donna – per esempio – veniva completata dall’attribuzione dell’elettorato attivo (nel 1932) e di quello passivo (nel 1934).
Ed il Codice Civile veniva completato dall’introduzione dello stato civile e dall’obbligo dei cognomi secondo l’uso europeo. Significativamente, in immediata applicazione di tale provvedimento, il 24 novembre 1934 la Grande Assemblea Nazionale attribuiva ufficialmente a Kemal come cognome quello di Atatürk, Padre dei Turchi.
Parallelamente, cresceva l’attenzione verso le tematiche sociali, esaltate dal rapido arricchimento del paese e dal conseguente innalzamento del tenore di vita della popolazione.
Nel 1936 veniva promulgato un Codice del Lavoro, che – tra l’altro – introduceva la domenica come giornata di riposo settimanale, in luogo del venerdì della tradizione islamica.
Ultime riforme significative erano quelle di sapore totalitario del 1936-37: quella che attribuiva ai prefetti le segreterie provinciali del partito, e quella che modificava la carta costituzionale per accogliervi ufficialmente i postulati politici kemalisti. Così commentava la direzione del Partito Repubblicano del Popolo: «Il Governo ha il dovere di far proprie e di attuare le direttive del Partito, mentre questo ha il compito di assistere in ogni modo e con ogni mezzo il Governo. Lo Stato ha il timone della vita nazionale, il Partito la bussola.»
Le scelte di politica interna, in ogni modo, non influivano minimamente sulle scelte di schieramento internazionale della Turchia kemalista, scelte improntate sempre e soltanto alla difesa dell’interesse nazionale. Così il nostro Giannini sintetizzava lo spirito della diplomazia di Kemal: «Con un gioco di equilibri e di audacie, sfruttando tutti i momenti propizi, è riuscito a creare una Turchia amica di tutti e di nessuno o, meglio, amica solo di sé stessa.»