Incisioni antiche e moderne: Galleria di immagini

Approfitto dell'occasione per ricordare ancora una volta la

PREGHIERA DEL PITTORE DI ICONE

Preghiera

Insegnami, Signore, ad usare bene il tempo che mi dai per lavorare e ad impiegarlo senza perderlo. Insegnami a far tesoro degli errori passati, senza cadere nello scrupolo che logora. Insegnami a prevedere la stesura della mia icona senza che io mi tormenti, ad immaginare la mia opera senza affliggermi se nasce diversamente.
Insegnami ad abbinare la rapidità con la lentezza, la serenità col fervore, lo zelo con la pace. Insegnami ad iniziare la mia opera perché è qui dove io mi sento più debole. Aiutami all'apice del mio lavoro a tenere stretto il filo della mia tensione. E soprattutto colma TU i vuoti della mia opera. Signore, nell'opera delle mie mani lascia una tua grazia per parlare agli altri e un mio difetto per parlare a me stesso.
Mantieni in me la speranza della perfezione senza la quale io perderei coraggio. Mantieni in me l'impotenza della perfezione senza la quale mi perderei nel mio orgoglio. Purifica il mio sguardo: quello che faccio male non è certo che sia male e quello che faccio bene non è certo che sia bene. Signore non farmi mai dimenticare che qualsiasi sapere è vano eccetto dove c'è fatica. Ogni lavoro senza amore si sperpera e ogni amore è vano se non mi lega a me stesso e agli altri. Tu Signore insegnami a pregare con le mie mani, le mie braccia e tutte le mie forze. Ricordami che l'opera mia ti appartiene e che sono libero di restuirtela donandola. Se lo faccio per profitto io marcirò in autunno come un frutto dimenticato. Se lo faccio per piacere agli altri appassirò alla sera come un fiore. Ma se lo faccio per amore del bene io dimorerò nel bene. È già momento di realizzarla nel bene per la tua Gloria. Amen.


Come si vede, trattasi di un atteggiamento che difficilmente potremmo attribuire ad uno Schifano, un Bacon, un Picasso ... :stop:
 
UKIYOE - 7
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Kitagawa Utamaro (1753-1806)
Per la vastità e la versatilità della sua opera, è da molti considerato come il più importante maestro di stampe giapponesi dopo Hokusai. Utamaro si trasferì dalla natia provincia di Musashi a Edo nel 1775. Fu influenzato soprattutto da Kiyonaga e intorno al 1790 il suo stile si può dire già pienamente formato. Nessun altro maestro dell’ukiyoe ebbe successo quanto lui nel ritrarre beltà femminili. La sua figura d’artista così come la sua esistenza sono legate alla vita dei quartieri di piacere. Spesso con l’impiego limitato di colori, altre volte con una notevole ricchezza cromatica e con l’uso di effetti speciali, sia nei tratti a figura intera che nei busti Utamaro seppe esprimere una profonda analisi della psicologia femminile. Il suo stile divenne dominante e le sue stampe diffuse in modo sempre più elevato. Fu proprio questa diffusione a causarne la ripetitività e la maniera dopo che la morte del suo editore Tsutaya nel 1797 lo privò di un valido aiuto nel selezionare e limitare la produzione. Fu uno dei primi artisti giapponesi ad essere conosciuto in Europa: Toulouse-Lautrec era un suo ammiratore e nel 1893 Edmond de Goncourt pubblicò la sua prima biografia.

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Il canto del guanciale (Utamakura), 1788, ōban.
Questo è il foglio più celebre di un album di dodici scene erotiche prodotto nel 1788 dal più raffinato editore del tempo, Tsutaya Juzaburo. E’ molto castigato rispetto alla stragrande maggioranza degli shunga, che sono invece molto espliciti. Col termine shunga si definisce l’arte erotica delle città giapponesi nel periodo Edo. Tutti o quasi i principali artisti dell’ukiyoe si cimentarono anche in questo genere di stampe, da Moronobu a Utamaro, fino a Hokusai. Molti shunga circolavano in gran numero in stampe di formato economico, pur essendoci al tempo stesso anche opere di buona qualità. Gli studiosi tendono inevitabilmente a concentrarsi su queste ultime, ma va detto che gran parte degli shunga erano immagini stereotipate. Questa grande varietà di immagini veniva definita in vari modi, quali makurae (immagini del guanciale), waraie (immagini esilaranti), kōshokujibon (libri lussuriosi). La loro funzione principale era proprio quella che potete immaginare, e per questo erano pubblicati più spesso in forma di libro, e non di fogli sciolti come per le normali stampe, in modo da essere più facili da maneggiare e, all’occorrenza, da nascondere. Inoltre, anche dopo lo sviluppo delle stampe policrome, gli shunga rimasero in genere monocromi: si tendeva infatti a spendere di meno per la pornografia che per le immagini che venivano mostrate pubblicamente.

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Tre beltà dei giorni nostri: Tomimoto Toyohina, Kita della Naniwaya, Hisa della Takashima, 1792-93, ōban.


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Makeup di sette beltà allo specchio: “Okita”, 1792-93, ōban.
 
Nell'attesa, farei presente che simile, anche se non uguale, è il caso delle icone ortodosse, per le quali l'artista doveva porsi al servizio della divinità, in qualche modo "cercando di sparire", di dimenticare il proprio io, con le sue passioni e i difetti. Se poi si riflette sul fatto che le statue di Michelangelo, un caposaldo dell'individualità nell'arte, non fanno nemmeno pensare al colore, che il colore non era comunque per lui un elemento così importante, che sia i pittori di icone che i giapponesi presentano slanci di colore davvero emozionanti, verrebbe da proporre un dualismo "tanto io e poco colore" vs" passo indietro dell'io e ricchezza del colore". Ma considero ciò una specie di pre-intuizione da verificare.
Attenzione infatti a non farci fuorviare: gli artisti che dipingevano le icone cercavano come dici tu di "sparire", anzi era proprio questo che si richiedeva loro, perché il "sacro" si potesse manifestare loro tramite. Spesso erano monaci ortodossi.
Negli artisti giapponesi, questo effetto di spersonalizzazione non era affatto ricercato, anzi, ogni scuola (ce n'erano tante, un po' come le botteghe dei pittori rinascimentali da noi) cercava di distinguersi in qualche modo dalle altre. Inoltre, ma questo è evidente, il sacro è totalmente assente dai loro intenti. Gli artisti del "mondo fluttuante" rappresentavano al contrario il massimo dell'effimero, come spiegato bene nel brano del Prof. Calza che ho pubblicato qualche giorno fa nell'introduzione. Erano i modaioli dell'epoca (mi viene in mente la definizione "Tokyo da bere"): le geishe dai sontuosi kimono e gli attori del teatro kabuki che essi rappresentavano erano le "celebrità" del loro tempo.
 
Salve. Sarebbe interessante parlaste dell'influenza che le stampe giapponesi hanno avuto sull'arte occidentale. A me viene in mente Toulouse Lautrec , ma credo ci siano anche altri artisti che ne furono influenzati. Io mi fermo qui perchè qui si ferma la mia conoscenza.
Grazie.
 
Salve. Sarebbe interessante parlaste dell'influenza che le stampe giapponesi hanno avuto sull'arte occidentale. A me viene in mente Toulouse Lautrec , ma credo ci siano anche altri artisti che ne furono influenzati. Io mi fermo qui perchè qui si ferma la mia conoscenza.
Grazie.

Beh, se non sbaglio, anche Van Gogh subì il fascino di queste stampe... devo dire che io posseggo un libretto intitolato " Geisha " ed è molto interessante..se mi capita in mano, ne fotografo qualche pagina...
 
Salve. Sarebbe interessante parlaste dell'influenza che le stampe giapponesi hanno avuto sull'arte occidentale. A me viene in mente Toulouse Lautrec , ma credo ci siano anche altri artisti che ne furono influenzati. Io mi fermo qui perchè qui si ferma la mia conoscenza.
Grazie.
Fu un'influenza assai vasta. Mi impegno a trattarla adeguatamente in un prossimo post.
 
UKIYOE - 8
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Kitagawa Utamaro (continua)
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Takashima Ohisa, 1792-93, ōban.
La più celebre beltà di Edo degli anni ’90, lato A e lato B… Le due immagini sono state impresse su un unico foglio di carta quasi trasparente recto e verso, con un registro tale che ciascuna linea e campitura di colore di un lato coincide con una dell’altro, di modo che praticamente nulla traspare di ciascun disegno dall’altra parte.

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Selezione di poemi d’amore: Amore pensieroso, 1793-94 ca., ōban.
Una delle stampe più celebri e più belle di Utamaro. Questa probabilmente è una primissima prova, ancora priva di firma dell’artista, cartiglio col titolo e marchio dell’editore Tsutaya.

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La geisha Kamekichi, 1794, ōban.
 
Ora
va bene che quella dei "cinesi che sono tutti uguali" è una bufala
e adesso che nelle nostre città girano giapponesi, cinesi coreani e quant'altro
veramente ci si rende conto che si distinguono bene, proprio come noi :p
però
questo, gli incisori giapponesi lo sapevano? :piazzista:
No perché
capisco le difficoltà di rendere in xilografia le differenze, magari non mostruose, tra donna e donna,
ma qui
tra la più celebre beltà della città e una cortigiana qualunque
c'è la stessa differenza che c'è tra due pesci rossi presi a caso.
:prr:
 

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