Anch'io, per ragioni religiose, coltivo solo le minusvalenze e scaccio dal portafoglio le plusvalenze appena osano comparire.
Però non sono sicuro di aver capito la proposta.
La riduzione dell'aliquota dal 26 al 23 farebbe guadagnare i risparmiatori (quelli che producono plusvalenze o altri redditi), e fin qui è chiaro.
I redditi diversi accoglierebbero le cedole, i dividendi e le perdite, per cui se qualcuno incassasse 100 euro di cedole e perdesse 80 euro sul trading, pagherebbe le tasse (giustamente) solo su 20.
[Rimane il piccolo dettaglio della doppia imposizione sui dividendi, ma è OT].
Ma poi mi perdo pensando ai redditi diversi (che accolgono proventi da attività commerciali occasionali, plusvalenze da vendite di immobili, proventi da usufrutto... è un quadro della dichiarazione che conosco molto poco).
I redditi diversi, in dichiarazione, finiscono insieme ai redditi ordinari, oppure vengono assoggettati a tassazione separata, quindi con aliquote marginali variabili ma che tendenzialmente sono basate sul reddito complessivo.
E qui sorge il dubbio: per chi dichiara più di 15.000 euro annui, l'aliquota sarebbe più alta rispetto all'attuale 26%.
Vedi l'allegato 669199
Da un lato sarebbe una manovra eticamente giusta.
Oggi, se un pisquano, lavorando come un mulo, ha un reddito di 200.000 euro, paga un'aliquota intorno al 40% mentre chi ricava 200.000 euro dagli investimenti paga solo il 26%, cosa che stona un po' con "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul
lavoro".
Un domani, il pisquano investitore, con i "redditi diversi" compenserebbe minusvalenze e altri ricavi ma, sul netto, sarebbe tassato come il pisquano lavoratore, quindi potenzialmente con un'aliquota molto più alta.
Però mi sembra che l'obiettivo della riforma non sia questo, bensì agevolare i risparmiatori.
Quindi boh.