I COMMEDIANTI
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- di Cesare Allara -
L’Italia è ormai in default, tutti lo sanno, ma si guardano bene dal dichiararlo apertamente. Non c’è bisogno di essere laureati in Economia e Commercio per comprendere che l’Italia non riuscirà mai ad azzerare l’enorme debito accumulato, il terzo o il quarto nel mondo, neanche vendendo il Trentino-Alto Adige alla Germania o la Valle d’Aosta alla Francia.
Essendo ormai fallita, l’Italia è passata in amministrazione controllata e ha perso qualsiasi rimasuglio di sovranità.
Non ci vuole un acume particolare per accorgersi che le misure che i curatori fallimentari Trichet e Draghi ci hanno dettato non sono diverse da quelle imposte alla Grecia e agli altri paesi del gruppo dei PIGS (maiali, Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna).
E’ evidente che queste misure, definite dal professor Luciano Gallino “una scelta regressiva dal punto di vista sociale, civile e giuridico”
non potranno che aggravare la recessione, impedire la sospirata crescita economica, e quindi moltiplicare all’infinito il pagamento del debito con relativi interessi. L’Italia è perciò ormai completamente nelle mani di cravattari europei e di magliari nostrani e oriundi.
Da un punto di vista di classe si può affermare che sono in atto in Europa dei golpe liberisti che mirano a eliminare ciò che resta del welfare state e di quelle norme costituzionali che ancora ostacolano il totale dominio dei mercati sulla politica.
Di fronte a queste imposizioni che cancellano del tutto l’indipendenza del nostro paese, tutte le forze politiche italiane, complici in egual misura del disastro di cui sopra, in un gioco delle parti che sarebbe comico se non fosse fatto sulla pelle della maggioranza del popolo italiano, si sono preoccupate solo di dimostrare al proprio elettorato di riferimento di averne difeso gli interessi e/o di averne preservato i privilegi, o almeno di averci provato.
Così, ad esempio, Umberto Bossi prima della manovra tuonava: “Finché c’è la Lega, le pensioni dei lavoratori non si toccano”, salvo poi dover ammettere barando: “Pensioni salve, ma ci sono dei sacrifici”.
Come sempre però, la palma d’oro per la faccia tosta (per usare un eufemismo) tocca ai leader del PD. Bisogna ammettere che il compito del PD non è facile, occorrono doti notevoli di equilibrismo dialettico: perché da una parte il PD deve sposare appieno le richieste di Confindustria per andare al governo dopo Berlusconi, e contemporaneamente deve mantenere la fiducia, il voto, delle vittime designate di Confindustria, cioè di coloro che da queste e dalle successive manovre economiche saranno gli unici fortemente penalizzati. In passato, al PD bastava agitare lo spauracchio di Berlusconi al governo, oppure usare a sproposito e strumentalmente l’antifascismo (Berlusconi fascista) o chiamare il “popolo della sinistra” alla difesa della Costituzione nata dalla Resistenza dopo essersi schierato completamente con Marchionne e con la globalizzazione capitalista.
Questa volta, in occasione della manovra di luglio, Bersani è andato oltre, riesumando addirittura la parola “classista”, abolita da almeno vent’anni dal lessico degli ex comunisti pentiti: “Una manovra spudoratamente classista che colpisce i deboli e non produce riforme”(Corriere della Sera del 15 luglio).
Da notare la lingua biforcuta: le riforme cui accenna Bersani sono esattamente quelle richieste da Confindustria, che attraverso le liberalizzazioni (le famose lenzuolate) faranno dilagare la precarietà del rapporto lavorativo a scapito di quello in cui i diritti dei lavoratori sono in qualche modo ancora garantiti.
Mentre Bersani è costretto a bilanciare le frasi, il portavoce ufficiale di Montezemolo e di Confindustria, Pierferdinando Casini, è esplicito.
La manovra annunciata è iniqua perché colpisce le famiglie e il ceto medio: “E’ una stangata che la gente per bene non si meritava”. Per Casini occorre abolire il contributo di solidarietà che colpisce quel ceto medio che non ha nulla a che vedere con le grandi ricchezze: “Se noi riteniamo una grande ricchezza un italiano che guadagna 4.000 euro o poco meno al mese, ha la moglie che non lavora e due figli a carico, abbiamo un’idea particolare del Paese”.
Al posto del contributo di solidarietà occorre riformare le pensioni: “E’ positivo che le donne lavorino fino ai 65 anni, ma condivido l’idea di Savino Pezzotta di introdurre un quoziente, perché una donna che ha fatto tre figli merita una corsia preferenziale”. Invece di diminuire le risorse per la sicurezza dei militari in Afghanistan, abolire tutte le province liguri esclusa quella di Genova, “io avrei preferito alzare l’IVA piuttosto che imporre tante scelte inique. Mezzo punto vale tre miliardi, mica uno scherzo”.
L’intervista al leader dell’UDC è molto interessante (la si può leggere tutta a pag. 6 del Corriere della Sera del 15 agosto)
perché Bersani, quello che accusa Berlusconi di avere approntato una manovra classista, non vede l’ora di allearsi con l’UDC per cacciare lo stesso Berlusconi. La stessa cosa dicasi per Nichi Vendola, stessa pietanza di Bersani, ma in salsa poetica.
Vale la pena infine di ricordare anche che l’UDC dovrebbe far parte di quella “alleanza democratica” prevista nel programma politico di Diliberto sempre col nobile intento di liberare l’Italia da Berlusconi.
Preso in contropiede dal Pierferdy,
Silvio Berlusconi non ha esitato a reclamare la propria innocenza: “Non sono l’uomo delle tasse”, e
subito ha annunciato che il contributo di solidarietà verrà abolito o sarà riservato ai super ricchi. Da notare che alcuni esperti avevano già fatto notare che il contributo del 5% e del 10% richiesto ai redditi superiori a 90 mila e 150 mila euro,
era in realtà solo un anticipo in quanto detraibile fiscalmente dai redditi. Ma Berlusconi aveva provveduto già precedentemente a mettere al riparo una parte cospicua del suo elettorato. Come ha spiegato un anonimo dipendente della Agenzia delle Entrate in una lettera al direttore de La Stampa il 10 agosto, il governo ha diminuito le “risorse destinate all’attività di prevenzione e contrasto all’evasione fiscale”, non ha rimpiazzato il personale che va in pensione, ha diminuito i controlli (da 220.000 a 175.000), e infine “un decreto impedisce di effettuare più di un controllo nei confronti di uno stesso soggetto entro sei mesi!
Ciò significa che un esercente ‘beccato’ a non emettere scontrini, dopo il controllo avrà sei mesi di franchigia durante i quali potrà fare come gli pare (e per sospendere un’attività occorrono quattro verbali positivi …)!
Per finire questa breve carrellata, vale la pena notare che, paradossalmente ma neanche troppo, la posizione più di “sinistra” dell’intero arco parlamentare, è stata quella espressa a più riprese
da Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona, che prima della manovra, durante la trasmissione televisiva “In Onda”, si è chiesto perché bisogna essere costretti a privatizzare a tutti i costi delle aziende municipalizzate che producono utili per i Comuni che sono già stati penalizzati dai tagli del governo. Ha quindi parlato apertamente di patrimoniale sulle ricchezze suscitando la scomposta reazione di Francesco Rutelli che ha replicato stizzito che queste cose si fanno e non si dicono. Poi non ancora soddisfatto, sul Corriere della Sera del 13 agosto, ha aggiunto “Voglio capire se si privilegiano le rendite o i redditi. Io preferisco salvaguardare i redditi: non per bolscevismo. E’ che le rendite non producono ricchezza. Sono i redditi che fan girare l’economia”.
Il grande inganno perpetrato ai danni del popolo italiano da questa classe politica di tragici commedianti, senza eccezione alcuna, sta nel far credere che una volta raggiunto al più presto il pareggio di bilancio, il nostro paese potrà finalmente tornare a cavalcare le “magnifiche sorti e progressive” che il capitalismo ci propone. Non è assolutamente così, perché una volta pareggiate le uscite con le entrate, obiettivo che sono pronto a scommettere costerà ancora qualche altra “correzione” alle correzioni delle correzioni della manovra, se saremo sopravvissuti a questo primo bagno di sangue, dovremo provvedere a dimezzare il debito come previsto dagli accordi europei. La cosa vergognosa è che anche tutta la stampa, senza eccezione alcuna, trascura intenzionalmente questa notizia.
A questo punto è di prammatica la classica domanda: “Che fare?” Ovviamente non ho alcuna strategia da proporre in questo caldo pomeriggio di Ferragosto. L’unica mossa conseguente a quanto affermato nei primi due paragrafi, e cioè che l’Italia è nelle mani degli strozzini, sarebbe quella di neutralizzarli, cioè nazionalizzare le banche, risolvendo così almeno in parte il problema del debito. Una mossa del genere ovviamente non sarà mai compiuta dalle forze politiche presenti in parlamento, e neppure da quelle della sinistra ex parlamentare che altrimenti non sarebbero più ammesse nella sacra alleanza antiberlusconiana.
Manca del tutto una forza popolare capace di catalizzare lo scontento popolare per questa e per le future manovre che ormai stanno diffondendo precarietà lavorativa ed erodendo il benessere anche di fette consistenti di ceto medio – basso. Al momento non riesco ad immaginare altro che sommosse popolari, magari sui ticket, del tipo di quelle successe in Campania per la questione dei rifiuti, anche perché, nel ceto medio – basso italiano c’è ancora da erodere tanta parte della ricchezza accumulata dalla generazione precedente.
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