Italia: Default annunciato

qualcuno comincia a far di conto e capire ......

Supertassa sui Bot: su 10mila euro
si perdono tre quarti del reddito

Ecco gli effetti dell'aumento dell'imposta di bollo sui conti titoli. Colpiti soprattutto i piccoli risparmiatori. Allarme degli operatori: operazione miope, si rischia la fuga dai titoli di Stato di GIULIANO BALESTRERI

020254332-2e093d95-23bc-489e-8622-75b06a7e8ada.jpg


MILANO - Fuga dai titoli di Stato. Più che il remake di "Fuga da Alcatraz", rischia di essere l'effetto della manovra 2011-2014 che ridurrà al minimo la rendita di Bot, Cct e Btp, soprattutto per i piccoli risparmiatori.

Un'operazione "miope, di breve periodo" secondo gli addetti ai lavori perché "a queste cifre - spiega un operatore - gli italiani dovrebbero preferire i fondi comuni aperti sperando in rendimenti migliori. E, in effetti, fare peggio sarebbe difficile".
Soprattutto se il capitale del piccolo risparmiatore non supera i 10mila euro.
Una cifra che se investita oggi in Bot rende 152,5 euro netti l'anno (il rendimento lordo è al 2,14%), ma che dopo il decreto scenderà a 66,7 euro (con una perdita del 56,3%).
E nel 2013 calerà addirittura a 36,7 euro (-76%).

Un effetto legato al progressivo aumento del bollo d'imposta sul dossier titoli, che aumenterà subito da 34,2 a 120 euro per arrivare a 150 nel 2013. Con il paradosso che a rimetterci sarebbero proprio i piccoli risparmiatori, perché con l'aumentare dell'esposizione finanziaria l'impatto dell'imposta si diluisce.
E così 25mila euro investito che oggi valgono 432,3 euro netti, sono pronti a scendere 346,5 dopo la manovra (-20%) e a 316,5 euro nel 2013 (-27%).

Sopra 50mila euro, poi, nei piani dell'esecutivo, c'è un nuovo scoglio: la tassazione sale a 120 euro subito dopo l'approvazione del decreto e a 380 euro dal 2013. Con un'evidente sperequazione tra chi può investire tanto e chi no. Più si sale, meno è forte l'incidenza dell'imposta.

E così la mossa del governo rischia di trasformarsi in un'arma a doppio taglio perché i titoli di Stato sono lo strumento principe per finanziare il proprio debito. In questo modo, invece, il rischio è proprio quello di allontanare i propri finanziatori. Ecco perché - a giudizio di molti - la proposta del governo pare una mossa ancorata esclusivamente al breve periodo. Anche perché autorevoli fonti bancarie contestano i numeri presentati nella relazione tecnica della manovra.

Secondo il ministero dell'Economia, che cita una ricerca Eurisko, il 26% dei correntisti avrebbe un conto titoli (oltre 10 milioni i conti). A queste cifre l'incremento dell'imposta di bollo a 120 euro per il 2011 e il 2012 e a 150 euro per i depositi sotto i 50mila euro dal 2013 (380 euro per i depositi con valore superiore), determinerebbe un incremento del gettito nell'arco dei prossimi quattro anni di 8,8 miliardi.

Eppure sono proprio le fonti bancarie a spiegare che i conti titoli sono meno, circa 8 milioni dove sono depositati 236 miliardi di euro in titoli di Stato per un ammontare medio di 29mila euro. A queste cifre lo sforzo richiesto ai piccoli risparmiatori arriverebbe, a regime, un miliardo di euro solo per Bot, Btp e Cct. A meno che la stretta non spinga le famiglie verso altre scelte. L'ultima incognita è legata alla tassazione delle rendite fiscali. La finanziaria non le tocca, ma la legge delega non esclude di portare l'aliquota dal 12,5 al 20% nel prossimo triennio. Senza alcuna distinzione tra chi specula in Borsa e chi investe i propri risparmi nell'acquisto del debito dello Stato. (06 luglio 2011)
vogliono li soldi di noi pezzenti gratis.......i forconi a cinque punti ........... rottidinatiche
 
per arrivare fino a 1.800 euro per i depositi di titoli

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-07-12/deposito-titoli-bollo-graduale-224659.shtml?uuid=Aaj1lenDhttp://www.ilsole24ore.com/notizie/italia.shtml

Deposito titoli, bollo graduale

di Laura SerafiniCronologia articolo13 luglio 2011Commenti (28)

In questo articolo

Argomenti: Abi






Cambia, ma non troppo, l'imposta di bollo sul deposito titoli. La stretta a carico dei possessori di titoli resta nella sostanza: viene però rimodulata la progressività dell'imposta che sarà uguale per tutti, e pari a 120 euro, nel 2011 e nel 2012.
Dal 2013, però, diverrà progressiva partendo da un minimo di 120 euro per arrivare fino a 1.800 euro per i depositi di titoli «il cui complessivo valore nominale o di rimborso presso ciascuna banca sia superiore a 300 mila euro». L'ipotesi allo studio più accreditata, da trasformare in emendamento alla manovra, ieri sera risultava in questi termini.



L'altra novità è la scelta di applicare l'imposta alle comunicazioni relative ai depositi inviate dagli intermediari finanziari. Non si tratta più, come formulato in un primo momento, dell'incremento dell'imposta di bollo sui depositi, oggi pari a 34,2 euro. Quella, a quanto pare di capire, resta invariata.

Nei fatti si aggiunge un'altra imposta alle comunicazioni. «Per effetto della modifica normativa - si legge nella relazione al nuovo articolo circolata ieri - rimane invariato l'importo dell'imposta di bollo relativa agli estratti conto, mentre si realizza un aumento del tributo nel tempo esclusivamente per le comunicazioni relative ai dossier titoli inviate dagli intermediari». La norma a cui fa riferimento il nuovo articolo (ovvero il Testo unico bancario), in verità, prevede tali comunicazioni (che devono avvenire almeno una volta l'anno) riferendosi ai contratti tra banche e clientela.
Nel caso specifico dei conti correnti, si dice che gli estratti conto possono avere cadenza annuale, semestrale, trimestrale o mensile.

Il nuovo articolo prende a riferimento, per scaglionare i pagamenti dell'imposta, periodicità annuali, su cui si pagano 120 euro, semestrali con 60 euro, trimestrali con 30 euro e mensili con 10 euro. Per l'anno corrente e per il prossimo questo importo vale per tutti.



Dal 2013 le cose cambiano perchè vengono introdotte quattro fasce in base al valore (nominale o di rimborso) dei titoli posseduti in ciascuna banca (e questo fa pensare che l'imposta si applichi sul valore complessivo riconducibile a un soggetto in una banca e non sui diversi dossier posseduti nello stesso istituto).
Si parte da un valore inferiore a 25mila euro sui quali l'imposta si dimezza a 60 euro;



c'è poi una soglia di 100mila euro, per la quale l'imposta resta a 120 euro.


Fra i 100 e i 300 mila euro sale a 720 euro,



per salire a 1800 euro oltre i 300 mila euro.



Il gettito previsto dovrebbe restare invariato rispetto alla precedente formulazione della norma: nei primi due anni l'incasso atteso è pari a 892 milioni l'anno, mentre dal 2013 l'attesa di incasso è pari a 2,362 miliardi(contro 2,354 miliardi stimati in precedenza).
Per calcolare l'incasso i tecnici hanno preso a riferimento i dati di fonte Eurisko, secondo il quale il 26% dei correntisti italiani ha un conto titoli. E ancora: i dati Abi, secondo la quale il numero dei conti correnti in Italia è pari a 40 milioni. Fatte le dovute proporzioni, i deposito titoli destinati a essere intercettati dalla norma sono stimabili in 10,4 milioni; di questi 2,6 milioni sono sotto 25 mila euro; 5,9 milioni tra 25mila e 100 mila euro; 1,45 milioni tra 100mila e 300 mila euro; 450 mila oltre 300mila euro. La fascia destinata a versare un gettito maggiore è quella tra 100 e 300mila euro, dalla quale ci si attende a regime un incasso di 994,4 milioni di euro. La precedente versione prevedeva invece solo due fasce, una sotto 50mila euro e una sopra quella soglia. La relazione allegata al nuovo articolo chiarisce che la modifica proposta «è informata a principi di progressività e ha l'ulteriore obiettivo di ridurre il rischio di spiazzamento degli investimenti in titoli di Stato».
 
Opinione di Michele Boldrin*
La manovra di Tremonti benedice il fallimento dell’Italia

Tasse, tasse e ancora tasse su chi lavora e produce. Michele Boldrin, docente di Economia a Washington, spiega così la sostanza della manovra economica del governo. Niente tagli alla spesa né ai privilegi dei politici. Nessuna idea di crescita per il futuro. Il tutto aggravato dall’unanimismo che ha accompagnato il voto su di un provvedimento che danneggia pesantemente il futuro del paese.
La manovra di Tremonti benedice il fallimento dell?Italia | Linkiesta.it


Dal poco che ci è dato comprendere, il provvedimento confuso approvato giovedì 14 Luglio dal Senato sembra essere sia l’opposto di ciò di cui il paese ha bisogno sia la prova provata che Giulio Tremonti è incapace di mettere in pratica ciò che predica. Che tale incapacità sia dovuta a incompenteza propria o a restrizioni politiche o a una combinazione delle due cose, non fa differenza a fronte della gravità del risultato.


La chiave interpretativa di quanto approvato è semplice: tasse, tasse, tasse e poi ancora tasse su chi lavora e produce. Di tagli della spesa quasi non se ne parla; di eliminazione degli sprechi pubblici e dei privilegi, nemmeno; di razionalizzazioni e riforme per rilanciare la crescita, meno ancora.

Questa cosa, se approvata ed applicata, farà male all’economia italiana per molti anni a venire.

Sono disposto anche a scommettere che non risolverà in nulla e per nulla i drammatici problemi di deficit e debito con cui combattiamo da oramai due decenni.
La ragione per tale predizione è banale: la macchina politico-amministrativa e l’impalcatura economica “peronista” che generano deficit e debito escono intatti, anzi forse rafforzati, da questo provvedimento.

Sottolineiamo anzitutto la natura raffazzonata del medesimo, che è venuto mutando forma e natura nell’arco di una settimana in un’atmosfera di emergenza della quale – al di là dei suoi aspetti reali – è opportuno evidenziare anche l’artificialità e l’utilizzo strumentale che ne è stato fatto.

Tutto ciò è rilevante perché, meglio di mille analisi tecniche, prova l’impreparazione con cui il ministro dell’Economia si è presentato all’appuntamento con quello che egli, nel suo aulico affabulare, ha ieri chiamato “destino”. Dopo undici anni di reiterate promesse ed innumerevoli (e costosi) studi, dopo tre anni di assicurazioni che i conti pubblici ed i risparmi degli italiani erano stati messi – con mosse così astute da risultare invisibili oltre che inefficaci – “in sicurezza”, sembrava ragionevole aspettarsi che Giulio Tremonti sapesse almeno cosa fare. In particolare, sembrava legittimo aspettarsi che lui e i suoi profumatamente (anche post-manovra) stipendiati tecnici avessero in tasca una rivoluzionaria riforma della fiscalità e della spesa pubblica che togliesse di mezzo i due massicci che bloccano la crescita economica del paese: spreco della spesa pubblica ed un fisco rapace solo con chi lavora e produce.

Abbiamo avuto solo un gigantesco aumento delle imposte, variamente mimetizzato, su chi lavora, investe e produce. Vi è, anzitutto, la generica delega al governo d’eliminare (sino ad un 20%, nel 2014) detrazioni e deduzioni fiscali a seconda della bisogna. Vale la pena notare che, nel 2009, le deduzioni e detrazioni in questione ammontavano a circa 74 miliardi di euro, il 20% del quale fa almeno 15 miliardi di tasse in più. Vi è poi la tassa patrimoniale, mascherata da imposta di bollo sul deposito titoli, il cui gettito è impossibile stimare perché la misura iniziale è stata ora modificata e soprattutto perché i risparmiatori reagiranno fuggendo da quella particolare forma di risparmio (Amato, nel 1992, fu più astuto: prese di notte dai conti correnti in essere).
Il blocco dell’adeguamento delle pensioni all’indice dei prezzi altro non è se non un’imposta a venire il cui ammontare è uguale al tasso d’inflazione il quale viene deciso in parte dalla Bce e in grossa parte dall’esecutivo che determina prezzi amministrati, Iva ed accise. Le quali, ovviamente, vengono aumentate in modo permanente, ma queste son quisquiglie. Come, forse, può apparire una quisquiglia la riduzione della quota di ammortamento finanziario deducibile: chiedetelo a chi gli investimenti li deve fare e per il quale tale norma altro implica che un aumento delle imposte sugli utili. Consisteva in un aumento, in parte effettivo ed in parte potenziale, d’imposte anche la panzana d’alcuni mesi fa, il cosidetto “federalismo”. Ma la sua potenzialità impositiva si realizza pienamente solo con questa manovra: come penserete faranno fronte gli enti locali al drastico taglio dei finanziamenti statali? Aumentando le imposte locali sino al massimo possibile, ovviamente, ed imponendo tariffe aggiuntive per questo e quell’altro servizio, obbligatorio perchè monopolizzato. La qual cosa ci permette di porci l’interessante domanda teorica: dato che la sanità pubblica viene finanziata a mezzo di imposte sul reddito, l’aumento dei vari “ticket” sulle prestazioni sanitarie consiste in una variazione di prezzo o in una tassa? Fermiamoci qui, anche se le pieghe dell’editto infame ne contiene anche altre di gabelle.
Rimangono intatti tutti i privilegi della casta – apprendiamo con sollievo che Irene Pivetti potrà continuare a godere dei due addetti stampa che le spettano vita natural durante – e tutti i costi dell’apparato centrale dello stato (quella Pubblica amministrazione i cui salari reali sono cresciuti, come ci ha informato l’ultima relazione del Governatore, di circa il 27% in otto anni, mentre quelli di insegnanti ed addetti al settore sanitario pubblico crescevano del 2%).
Le eterne privatizzazioni vengono annunciate ma rimandate al dopo elezioni (per evitare che il sostituto di Milanese non possa più distribuire poltrone nei consigli d’amministrazione che controllano circa 1/5 dell’economia italiana e una percentuale ben maggiore della borsa valori). I circa 40 miliardi di sussidi o contributi alle imprese pure rimangono intoccati ma, per compensare, tale rimane l’Irap, l’imposta più dannosa allo sviluppo economico. Perché mai, in un paese che non cresce da più di un decennio, dovremmo smettere di tassare le imprese produttive e di sussidiare quelle inefficienti? Questo potrebbe provocare crescita economica ed in Italia, ci hanno spiegato, stiamo già meglio degli altri così.
A fronte di questa, per una volta vera, macelleria sociale appaiono sorprendenti le reazioni di quei commentatori che, come nel lontano 1992, si rallegrano d’aver evitato il peggio, mentre il peggio è stato ancora una volta sanzionato. L’idea che un paese come l’Italia possa fare default sul proprio debito è ridicola e la creazione di situazioni di “panico” come quella dei giorni scorsi è solo frutto di una politica razionalmente dissennata che gioca ad ignorare i problemi in modo tale da poter avere, quando questi appaiono drammatici, mano libera per operare senza il controllo dell’opinione pubblica.
La questione è sempre stata, dall’adozione nell’euro in poi, non “se” avremmo fatto default o meno ma di “come” avremmo affrontato la questione deficit e debito. Perché è quel “come” che determina sia la crescita futura, sia la distribuzione del reddito, sia la qualità della vita di noi tutti, sia, infine, la giustizia o l’ingiustizia del sistema in cui viviamo. Il “come” approvato ieri dal Senato con il consenso, implicito o esplicito fa poca differenza, dell’intera casta e la benedizione di Giorgio Napolitano , è uno dei peggiori possibili. Fa amarezza dover ammettere che la miglior sintesi di quanto sta accadendo stia in un titolo del quotidiano spagnolo El Pais: «El senado italiano aprueba el ajuste que golpea a las familias y sube los impuestos - Il senato approva la manovra che colpisce le famiglie e alza le imposte».
*Department of Economics - Washington University in Saint Louis
 
questi politici del partito dei Diversamente Onesti
chioamano il voto con il senso di RESPONSABILITà

ovviamente continuano a derubare noi
e mantengono inalterato i loro privilegi dimostrando di essere ladri e irresponsabili
 
questi politici del partito dei Diversamente Onesti
chioamano il voto con il senso di RESPONSABILITà

ovviamente continuano a derubare noi
e mantengono inalterato i loro privilegi dimostrando di essere ladri e irresponsabili
ma che c'azzecca col sito investire oggi:D:-o sei troopppo comunista:lol::lol:
 
ma che c'azzecca col sito investire oggi:D:-o sei troopppo comunista:lol::lol:
sei sicuro che la politica non c'azzecca con la finanza?
e chi ha deciso di alzare la tassazione sul capital gain?
mio zio?

FInanziaria: Il partito dei (diversamente) onesti all'assalto della finanza etica.




http://crisis.blogosfere.it/2011/07/finanziaria-1-il-partito-dei-diversamente-onesti-allassalto-della-finanza-etica.html



Euro-notes-001.jpg

Nascosta, ci mancherebbe, nella pioggia di emendamenti, commi ed articoli dellla finanziaria c'e' una norma "chiaramente etica", che prevede un bollo annuale di 120 euro sui depositi titoli* presso le banche.
Su OGNI deposito, indifferentemente.
Che vi chiamate, uh uh, Moratti, Agnelli, Berlusconi, Ligresti ed abbiate MILIARDI in titoli, o che vi chiamiate Gonzino De' Gonzis ed abbiate 100 euro di azioni ( è il mio caso, ne ho ESATTAMENTE 101.25 euro) la tassazione sarà di 120 euro.
E' una TIPICA, TIPICISSIMA norma diversamente onesta, che, nel plauso generale dell'opinione pubblica, realizza fini diversamente etici.
Diradatosi il polverone, MILIONI di minuscoli risparmiatori avranno liquidato le loro posizioni ad indubbio vantaggio di quelli più grossi di loro, per i quali 120 euro sono una % insignificante dei dividendi annuali.
Poniamo, per dire, il 5%.
In questo caso avremmo 2400 euro di dividendi, che, con questi chiari di luna, QUANDO vengano deliberati non saranno mia molto olte 1-2% del totale.
QUINDI parliamo di portafogli titoli vicini ai 100.000 - 200.000 euro.
E' OVVIO che le cose NON stiano esattamente cosi, ma è per darvi una idea: un portafoglio titoli da qualche decina di migliaia di euro diventa il MINIMO per continuare a giocare.
Ovviamente, l'ipotesi inziale, quella si, più onesta, prevedeva una tassazione dello 0.5% su ogni transazione finanziaria ma OVVIAMENTE non è passata.
Ma fino a qui niente di nuovo, la strttura del potere italico essendo quella che è. In fondo, per noi catastrofisti, una imposta del genere dovrebbe essere considerata come un'ancora di salvezza per i piccoli risparmiatori, il cosidetto parco buoi, un incentivo ad uscire senza farsi troppo male.
Ma c'e' di peggio.
Una imposta del genere danneggia in modo irreparabile le società ad azionariato diffuso, le cooperative, quelle che hanno partecipazioni ed investitori da poche migliaia di euro. Decine, centinaia di migliaia di loro.
Banca Etica, ad esempio, ha di fronte a se i seguenti numeri:
-35.000 soci
- capitale sociale: 33 milioni.
- imposta di bollo totale ( 35.000*120)= 4.2 milioni di euro.
Pari al 12% del proprio capitale sociale.
Non c'e' bisogno che vi dica che, di questo passo, anche grazie alla bassa redditività tipica di Banca Etica, proprio per il suo statuto che impedisce gli investimenti speculativi, in OTTO ANNI il capitale sociale sarà a zero.
Il Partito dei diversamente onesti ha appena votato una norma che sancisce la fine violenta di MIGLIAIA di analoghe piccole e meno piccole realtà italiane.
Ovviamente nel silenzio di una opposizione imbelle se non imbecille.
*UPDATE: le ultime notizie vedono una rimodulazione complessa che comunque non sposta di molto il punto sostanziale.
Ringrazio Gianni per la segnalazione.
 
I COMMEDIANTI




130Share


- di Cesare Allara -



L’Italia è ormai in default, tutti lo sanno, ma si guardano bene dal dichiararlo apertamente. Non c’è bisogno di essere laureati in Economia e Commercio per comprendere che l’Italia non riuscirà mai ad azzerare l’enorme debito accumulato, il terzo o il quarto nel mondo, neanche vendendo il Trentino-Alto Adige alla Germania o la Valle d’Aosta alla Francia.



Essendo ormai fallita, l’Italia è passata in amministrazione controllata e ha perso qualsiasi rimasuglio di sovranità.


Non ci vuole un acume particolare per accorgersi che le misure che i curatori fallimentari Trichet e Draghi ci hanno dettato non sono diverse da quelle imposte alla Grecia e agli altri paesi del gruppo dei PIGS (maiali, Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna). E’ evidente che queste misure, definite dal professor Luciano Gallino “una scelta regressiva dal punto di vista sociale, civile e giuridico” non potranno che aggravare la recessione, impedire la sospirata crescita economica, e quindi moltiplicare all’infinito il pagamento del debito con relativi interessi. L’Italia è perciò ormai completamente nelle mani di cravattari europei e di magliari nostrani e oriundi.



Da un punto di vista di classe si può affermare che sono in atto in Europa dei golpe liberisti che mirano a eliminare ciò che resta del welfare state e di quelle norme costituzionali che ancora ostacolano il totale dominio dei mercati sulla politica.


Di fronte a queste imposizioni che cancellano del tutto l’indipendenza del nostro paese, tutte le forze politiche italiane, complici in egual misura del disastro di cui sopra, in un gioco delle parti che sarebbe comico se non fosse fatto sulla pelle della maggioranza del popolo italiano, si sono preoccupate solo di dimostrare al proprio elettorato di riferimento di averne difeso gli interessi e/o di averne preservato i privilegi, o almeno di averci provato.



Così, ad esempio, Umberto Bossi prima della manovra tuonava: “Finché c’è la Lega, le pensioni dei lavoratori non si toccano”, salvo poi dover ammettere barando: “Pensioni salve, ma ci sono dei sacrifici”.


Come sempre però, la palma d’oro per la faccia tosta (per usare un eufemismo) tocca ai leader del PD. Bisogna ammettere che il compito del PD non è facile, occorrono doti notevoli di equilibrismo dialettico: perché da una parte il PD deve sposare appieno le richieste di Confindustria per andare al governo dopo Berlusconi, e contemporaneamente deve mantenere la fiducia, il voto, delle vittime designate di Confindustria, cioè di coloro che da queste e dalle successive manovre economiche saranno gli unici fortemente penalizzati. In passato, al PD bastava agitare lo spauracchio di Berlusconi al governo, oppure usare a sproposito e strumentalmente l’antifascismo (Berlusconi fascista) o chiamare il “popolo della sinistra” alla difesa della Costituzione nata dalla Resistenza dopo essersi schierato completamente con Marchionne e con la globalizzazione capitalista.

Questa volta, in occasione della manovra di luglio, Bersani è andato oltre, riesumando addirittura la parola “classista”, abolita da almeno vent’anni dal lessico degli ex comunisti pentiti: “Una manovra spudoratamente classista che colpisce i deboli e non produce riforme”(Corriere della Sera del 15 luglio).

Da notare la lingua biforcuta: le riforme cui accenna Bersani sono esattamente quelle richieste da Confindustria, che attraverso le liberalizzazioni (le famose lenzuolate) faranno dilagare la precarietà del rapporto lavorativo a scapito di quello in cui i diritti dei lavoratori sono in qualche modo ancora garantiti.


Mentre Bersani è costretto a bilanciare le frasi, il portavoce ufficiale di Montezemolo e di Confindustria, Pierferdinando Casini, è esplicito.

La manovra annunciata è iniqua perché colpisce le famiglie e il ceto medio: “E’ una stangata che la gente per bene non si meritava”. Per Casini occorre abolire il contributo di solidarietà che colpisce quel ceto medio che non ha nulla a che vedere con le grandi ricchezze: “Se noi riteniamo una grande ricchezza un italiano che guadagna 4.000 euro o poco meno al mese, ha la moglie che non lavora e due figli a carico, abbiamo un’idea particolare del Paese”.

Al posto del contributo di solidarietà occorre riformare le pensioni: “E’ positivo che le donne lavorino fino ai 65 anni, ma condivido l’idea di Savino Pezzotta di introdurre un quoziente, perché una donna che ha fatto tre figli merita una corsia preferenziale”. Invece di diminuire le risorse per la sicurezza dei militari in Afghanistan, abolire tutte le province liguri esclusa quella di Genova, “io avrei preferito alzare l’IVA piuttosto che imporre tante scelte inique. Mezzo punto vale tre miliardi, mica uno scherzo”. L’intervista al leader dell’UDC è molto interessante (la si può leggere tutta a pag. 6 del Corriere della Sera del 15 agosto) perché Bersani, quello che accusa Berlusconi di avere approntato una manovra classista, non vede l’ora di allearsi con l’UDC per cacciare lo stesso Berlusconi. La stessa cosa dicasi per Nichi Vendola, stessa pietanza di Bersani, ma in salsa poetica.

Vale la pena infine di ricordare anche che l’UDC dovrebbe far parte di quella “alleanza democratica” prevista nel programma politico di Diliberto sempre col nobile intento di liberare l’Italia da Berlusconi.
Preso in contropiede dal Pierferdy, Silvio Berlusconi non ha esitato a reclamare la propria innocenza: “Non sono l’uomo delle tasse”, e subito ha annunciato che il contributo di solidarietà verrà abolito o sarà riservato ai super ricchi. Da notare che alcuni esperti avevano già fatto notare che il contributo del 5% e del 10% richiesto ai redditi superiori a 90 mila e 150 mila euro, era in realtà solo un anticipo in quanto detraibile fiscalmente dai redditi. Ma Berlusconi aveva provveduto già precedentemente a mettere al riparo una parte cospicua del suo elettorato. Come ha spiegato un anonimo dipendente della Agenzia delle Entrate in una lettera al direttore de La Stampa il 10 agosto, il governo ha diminuito le “risorse destinate all’attività di prevenzione e contrasto all’evasione fiscale”, non ha rimpiazzato il personale che va in pensione, ha diminuito i controlli (da 220.000 a 175.000), e infine “un decreto impedisce di effettuare più di un controllo nei confronti di uno stesso soggetto entro sei mesi!

Ciò significa che un esercente ‘beccato’ a non emettere scontrini, dopo il controllo avrà sei mesi di franchigia durante i quali potrà fare come gli pare (e per sospendere un’attività occorrono quattro verbali positivi …)!


Per finire questa breve carrellata, vale la pena notare che, paradossalmente ma neanche troppo, la posizione più di “sinistra” dell’intero arco parlamentare, è stata quella espressa a più riprese da Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona, che prima della manovra, durante la trasmissione televisiva “In Onda”, si è chiesto perché bisogna essere costretti a privatizzare a tutti i costi delle aziende municipalizzate che producono utili per i Comuni che sono già stati penalizzati dai tagli del governo. Ha quindi parlato apertamente di patrimoniale sulle ricchezze suscitando la scomposta reazione di Francesco Rutelli che ha replicato stizzito che queste cose si fanno e non si dicono. Poi non ancora soddisfatto, sul Corriere della Sera del 13 agosto, ha aggiunto “Voglio capire se si privilegiano le rendite o i redditi. Io preferisco salvaguardare i redditi: non per bolscevismo. E’ che le rendite non producono ricchezza. Sono i redditi che fan girare l’economia”.
Il grande inganno perpetrato ai danni del popolo italiano da questa classe politica di tragici commedianti, senza eccezione alcuna, sta nel far credere che una volta raggiunto al più presto il pareggio di bilancio, il nostro paese potrà finalmente tornare a cavalcare le “magnifiche sorti e progressive” che il capitalismo ci propone. Non è assolutamente così, perché una volta pareggiate le uscite con le entrate, obiettivo che sono pronto a scommettere costerà ancora qualche altra “correzione” alle correzioni delle correzioni della manovra, se saremo sopravvissuti a questo primo bagno di sangue, dovremo provvedere a dimezzare il debito come previsto dagli accordi europei. La cosa vergognosa è che anche tutta la stampa, senza eccezione alcuna, trascura intenzionalmente questa notizia.
A questo punto è di prammatica la classica domanda: “Che fare?” Ovviamente non ho alcuna strategia da proporre in questo caldo pomeriggio di Ferragosto. L’unica mossa conseguente a quanto affermato nei primi due paragrafi, e cioè che l’Italia è nelle mani degli strozzini, sarebbe quella di neutralizzarli, cioè nazionalizzare le banche, risolvendo così almeno in parte il problema del debito. Una mossa del genere ovviamente non sarà mai compiuta dalle forze politiche presenti in parlamento, e neppure da quelle della sinistra ex parlamentare che altrimenti non sarebbero più ammesse nella sacra alleanza antiberlusconiana.
Manca del tutto una forza popolare capace di catalizzare lo scontento popolare per questa e per le future manovre che ormai stanno diffondendo precarietà lavorativa ed erodendo il benessere anche di fette consistenti di ceto medio – basso. Al momento non riesco ad immaginare altro che sommosse popolari, magari sui ticket, del tipo di quelle successe in Campania per la questione dei rifiuti, anche perché, nel ceto medio – basso italiano c’è ancora da erodere tanta parte della ricchezza accumulata dalla generazione precedente.


I COMMEDIANTI | metropolis - Rivista Online
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto