Ciao

, bell'articolo dal Corriere di oggi
Barack non convince Wall Street
Il «Grande Comunicatore» in affanno
La critica di «Newsweek»: usi meno lo stile Università di Chicago e più quello del musical Chicago
Il Tesoro Usa si prepara a rilevare una quota consistente (probabilmente il 40 per cento) del capitale di Citigroup, mentre le complicazioni giudiziarie in vista per Bank of America, l'altro «gigante malato» del sistema creditizio Usa, potrebbero spingere il governo verso un passo analogo. Pochi giorni dopo aver ribadito il suo «no» a nazionalizzazioni delle banche, l'Amministrazione Obama sembra ora accettare come il male minore una temporanea seminazionalizzazione degli istituti più esposti. La crisi continua ad avvitarsi — dopo aver perso oltre il 6% la scorsa settimana, ieri la Borsa ha bruciato un altro 3,5% raggiungendo nuovi minimi — e Obama non riesce a ridare un minimo di fiducia ai cittadini e ai mercati.
Stasera il presidente parla di nuovo all'America, stavolta a reti unificate, e domani inizia lo «stress test» del Tesoro sulle venti maggiori banche del Paese per verificare quali istituti sono in grado di resistere alla tempesta e quali, invece, hanno bisogno di ulteriori interventi di sostegno. Aiuti che — come hanno spiegato ieri il Tesoro, la Federal Reserve e le agenzie federali che sorvegliano il sistema bancario in un insolito comunicato congiunto che dà il senso della drammaticità del momento — non verranno più concessi in cambio di nulla: pur non volendo prendere il controllo diretto delle banche, adesso il governo fa sapere che acquisirà quote di capitale degli istituti in crisi (coi relativi diritti di voto) a fronte delle ulteriori immissioni di capitale che saranno necessarie.
Nemmeno questo è bastato a stabilizzare il mercato: in un primo momento i titoli bancari si sono ripresi, ma il mercato azionario si è poi rimesso al brutto, stavolta trascinato in basso dal peggioramento delle prospettive per diversi titoli industriali. Anche le notizie provenienti dal fronte giudiziario — col capo della procura di New York, Andrew Cuomo, che ha preso di mira il vertice di Bank of America nell'indagine sui 3,6 miliardi di bonus pagati da Merrill Lynch ai suoi dipendenti quando l'istituto già aveva ricevuto ingenti sovvenzioni pubbliche e alla vigilia del suo assorbimento da parte del gigante bancario guidato da Ken Lewis — hanno finito per alimentare il nervosismo.
Per Obama, alle prese con una crisi sempre più grave, piove sul bagnato: c'è chi comincia a parlare di una situazione più grave di quella del 1929, ma in realtà questi paragoni funzionano fino a un certo punto, visto che l'economia contemporanea ha caratteristiche completamente diverse da quelle degli anni Trenta del secolo scorso ed è molto più complessa: 80 anni fa le banche erano molto più piccole, il volume dei mutui-casa era infinitamente minore (anche in rapporto al Pil del tempo), i mercati non erano globali e non esistevano quei titoli derivati che ora sono all'origine dell'«intossicazione» dell'intero sistema finanziario. Anche il mercato del lavoro era molto diverso, il settore pubblico era molto più limitato, non c'era il «welfare». Allora il presidente Roosevelt riuscì a imporre una disciplina da economia di guerra.
Anche Obama sta cercando di reagire con vigore, ma senza forzature. E l'impatto del suo messaggio è ridotto dall'atteggiamento di un Congresso che ha rivoltato la manovra impostata dalla Casa Bianca. A complicare ulteriormente la gestione della crisi si è aggiunta ora la rivolta di sei governatori repubblicani — da quello della South Carolina, Mark Sanford, al «cow boy» Butch Otter che ha in mano le redini dell'Idaho — i quali, pur in difficoltà, hanno deciso per motivi puramente ideologici di rifiutare in tutto o in parte gli aiuti offerti dal governo federale. Per convincerli, più che parlare a reti unificate, Obama dovrebbe probabilmente metterli a confronto con economisti reaganiani come Martin Feldstein, ormai convinti anche loro della necessità di un forte intervento della mano pubblica per spezzare la spirale della recessione.
Obama sta, insomma, incontrando ostacoli politici superiori al previsto, ma ora i «media» cominciano a mettere in discussione anche il suo stile comunicativo. Tutti riconoscono che quello del presidente, peraltro celebratissimo proprio per le sue doti oratorie, è oggi un compito difficilissimo: se fa l'ottimista passa per uno sprovveduto, come John McCain che, a poche settimane dal voto, disse che «i fondamentali dell'economia Usa sono sani»; se si sofferma troppo sulle difficoltà, rischia di deprimere ulteriormente il clima economico. Ma molti notano che il suo atteggiamento sta diventando troppo professorale. E «Newsweek» lo incalza: «Usa di meno lo stile "University of Chicago" e un po' più quello del musical "Chicago"».
Massimo Gaggi
24 febbraio 2009