Val
Torniamo alla LIRA
Si mangia il panino ? Lo si paga. Punto.
Alternativa ? L'hanno trovata gli esercenti. Prezzi maggiorati.
In fin dei conti, chi ci guadagna?
Nel caso dei bandi per i rimborsi pasto ai dipendenti della pubblica amministrazione
(che rappresentano un terzo del mercato tra uffici Inps, Inail, ministeri ecc.)
c'è un solo soggetto che può dire di avere un reale tornaconto:
la Consip, la centrale acquisti della pubblica amministrazione.
Approfitta dei super sconti e riduce la spesa annuale di almeno 350 milioni all'anno.
E va benissimo poiché si tratta di risparmio pubblico.
«Ma non è giusto risparmiare sulle spalle di esercenti privati, con una tassa occulta» sostiene Roberto Calugi,
direttore generale della Fipe, la federazione italiana che rappresenta i locali aperti al pubblico,
che ha appena avviato l'iniziativa «Sos buoni pasto» per mettere fine alle anomalie del sistema.
L'unico punto di forza dell'esercente è infatti quello di spezzare la catena e rifiutare i buoni alla cassa.
Con il rischio, però, di perdere i clienti.
Lo stesso meccanismo delle gare pubbliche è stato clonato nelle gare ad invito indette dai privati (banche e aziende)
replicando un giochino di sconti sempre più azzardato.
Dal canto loro anche le società che emettono i buoni pasto sono preoccupate:
ovviamente sono in attivo, ma anche a loro comincia a stare stretto il meccanismo e rischiano di pagare le conseguenze della protesta dei ristoratori.
«Rileviamo un continuo peggioramento di questo mercato - aggiunge Emanuele Massagli,
presidente dell'Anseb, associazione delle società che emettono i ticket -
Non c'è futuro se si scaricano le difficoltà sugli esercizi.
La speranza è che la prossima gara pubblica, in cui la Consip metterà sul piatto 1 miliardo di euro, segni un miglioramento e non il primo passo di un peggioramento».
A spiegare la logica della morsa che si è venuta a creare è Ferruccio Borsani, direttore generale business division della Qui! Group,
la società di ticket più criticata dai ristoratori e nel mirino delle polemiche degli ultimi mesi.
Tutto si gioca sui ritardi dei pagamenti, che creano malcontento fra tutti i giocatori della partita pausa pranzo.
La Qui! Group è accusata di aver accumulato ritardi di oltre un anno nel rimborsare gli esercenti,
cioè nel tradurre in denaro i loro ticket cartacei. «Ma anche noi abbiamo parecchie difficoltà - spiega Borsani -
perché a sua volta la pubblica amministrazione ci paga dopo 60 giorni e con notevole ritardo.
Servono condizioni simmetriche di pagamento: se la Consip ci pagasse dopo una settimana, tutto cambierebbe.
Ora dobbiamo anticipare i soldi e ovviamente le nostre casse non sono infinite».
Da un mese a questa parte la società sta cercando di ricucire i rapporti con i ristoratori
nel tentativo di mantenere oliato un ingranaggio che, se mai dovesse saltare, creerebbe danni pesanti.
«Stiamo verificando ogni singola situazione - spiega Borsani - a cominciare dagli esercenti più piccoli,
che sono quelli maggiormente in difficoltà, e pagheremo in tempi rapidi».
Diversamente, il blocco dei ristoratori, manderebbe gambe all'aria tutti.
Alternativa ? L'hanno trovata gli esercenti. Prezzi maggiorati.
In fin dei conti, chi ci guadagna?
Nel caso dei bandi per i rimborsi pasto ai dipendenti della pubblica amministrazione
(che rappresentano un terzo del mercato tra uffici Inps, Inail, ministeri ecc.)
c'è un solo soggetto che può dire di avere un reale tornaconto:
la Consip, la centrale acquisti della pubblica amministrazione.
Approfitta dei super sconti e riduce la spesa annuale di almeno 350 milioni all'anno.
E va benissimo poiché si tratta di risparmio pubblico.
«Ma non è giusto risparmiare sulle spalle di esercenti privati, con una tassa occulta» sostiene Roberto Calugi,
direttore generale della Fipe, la federazione italiana che rappresenta i locali aperti al pubblico,
che ha appena avviato l'iniziativa «Sos buoni pasto» per mettere fine alle anomalie del sistema.
L'unico punto di forza dell'esercente è infatti quello di spezzare la catena e rifiutare i buoni alla cassa.
Con il rischio, però, di perdere i clienti.
Lo stesso meccanismo delle gare pubbliche è stato clonato nelle gare ad invito indette dai privati (banche e aziende)
replicando un giochino di sconti sempre più azzardato.
Dal canto loro anche le società che emettono i buoni pasto sono preoccupate:
ovviamente sono in attivo, ma anche a loro comincia a stare stretto il meccanismo e rischiano di pagare le conseguenze della protesta dei ristoratori.
«Rileviamo un continuo peggioramento di questo mercato - aggiunge Emanuele Massagli,
presidente dell'Anseb, associazione delle società che emettono i ticket -
Non c'è futuro se si scaricano le difficoltà sugli esercizi.
La speranza è che la prossima gara pubblica, in cui la Consip metterà sul piatto 1 miliardo di euro, segni un miglioramento e non il primo passo di un peggioramento».
A spiegare la logica della morsa che si è venuta a creare è Ferruccio Borsani, direttore generale business division della Qui! Group,
la società di ticket più criticata dai ristoratori e nel mirino delle polemiche degli ultimi mesi.
Tutto si gioca sui ritardi dei pagamenti, che creano malcontento fra tutti i giocatori della partita pausa pranzo.
La Qui! Group è accusata di aver accumulato ritardi di oltre un anno nel rimborsare gli esercenti,
cioè nel tradurre in denaro i loro ticket cartacei. «Ma anche noi abbiamo parecchie difficoltà - spiega Borsani -
perché a sua volta la pubblica amministrazione ci paga dopo 60 giorni e con notevole ritardo.
Servono condizioni simmetriche di pagamento: se la Consip ci pagasse dopo una settimana, tutto cambierebbe.
Ora dobbiamo anticipare i soldi e ovviamente le nostre casse non sono infinite».
Da un mese a questa parte la società sta cercando di ricucire i rapporti con i ristoratori
nel tentativo di mantenere oliato un ingranaggio che, se mai dovesse saltare, creerebbe danni pesanti.
«Stiamo verificando ogni singola situazione - spiega Borsani - a cominciare dagli esercenti più piccoli,
che sono quelli maggiormente in difficoltà, e pagheremo in tempi rapidi».
Diversamente, il blocco dei ristoratori, manderebbe gambe all'aria tutti.