Ok l'articolo è scritto da due professoroni calibro 90....
Però non c'è proprio niente da eccepire??
Professoroni senz'altro. Buona regola però, è guardare da dove provengono, da chi sono pagati e di che "scuola" economica siano i Soloni; facenti parte, non a caso, di quell'intelligencija economica imperante in occidente fautrice, ovviamente senza responsabilità essendo cooptata nei circoli buoni, di tesi talmente generiche da non essere mai falsificabili, ma impastata di quell'humus culturale legittimente le politiche economiche e le deregolamentazioni in ambito finanziario che, tra consumismo a debito e algoritmi applicati alla leva finanziaria, hanno condotto diritti a questa crisi.
Ho letto l'articolo e non mi ha convinto per niente.
Un paio di considerazioni banali ed una premessa. La premessa è che, in qualsiasi campo, estrapolare dal contesto un dato postulando il contesto come inerte significa, come minimo, mistificare l'analisi dando l'impressione di una straordinaria chiarezza dietro la quale sta solo un'astrazione riluttante a considerare la concretezza del mondo reale.
Prima considerazione, sull'efsf come sussidio dalla Germania alla Grecia: si sostiene, nell'articolo, che consentire alla Grecia di finanziarsi a tassi inferiori a quelli di mercato violerebbe la clausola di non salvataggio nell'area euro. Ed in ogni caso, sia che la Grecia fallisca, sia che si salvi, vi sarebbe cmq un danno per il contribuente tedesco nel senso di un trasferimento di risorse, ai creditori dell'efsf nel primo caso, direttamente ai greci nel secondo. Nel secondo caso il ragionamento non regge perchè il rischio sul tds greco non rimane lo stesso in caso di intervento europeo o senza questo. Dunque il contribuente tedesco non può accampare diritti su mancati guadagni dato che, in assenza di respiratore artificiale, la Grecia sarebbe fallita da tempo. Sul primo punto devo dedurre che, per gli autori, l'alternativa da percorrere, rigorosamente liberista, ovvero buttare a mare la Grecia, avrebbe rappresentato quantomeno un gioco a somma zero per i tedeschi. Ora, si astrae qui da tutte le interconnessioni che la sola presenza di una moneta comune genera nel sistema finanziario europeo. Il contagio era nei fatti e sin dall'inizio: pensare che, fatte fuori Grecia, Portogallo e Irlanda, invece Italia e Spagna (e dunque Fra), non ne avrebbero risentito era illusorio - a controprova che se non vi è garante di ultima istanza disposto anche a monetizzare il debito (come non possono fare oggi le banche nazionali) lo stesso equivale a carta straccia. Ma quali sono i costi per il contribuente tedesco? Prima ipotesi, lasciamoli fallire: occorre allora considerare il prezzo da pagare per il salvataggio del sistema finanziario tedesco: se l'euro ha accentuato il moral hazard le banche tedesche ne hanno fatto buon uso e la tensione sui periferici non rimane senza effetto sulla salute dei loro bilanci - per non parlare, nel caso di sgretolamento della moneta unica, della conseguenza di ritrovarsi debito in ndm e assets almeno in parte in monete piigs. Certo, per i tedeschi sarebbe cmq più accettabile buttare i soldi in Commzbk, Db, Lbk varie piuttosto che sacrificarli nel Club Med. Occorrerebbeperò che l'economia tedesca non subisse contraccolpi pesanti sull'export; o che la borsa tedesca, rifugio per investitori, in seguito all'allargamento della tensione sui debiti italiano e spagnolo non stornasse con decisione.Forse meglio allora la seconda ipotesi, ovvero prendere tempo, provare a ripulire le banche nazionalie farla pagare ai paesi indisciplinati. Eppure la ricetta teutonica dell'uso del frustino sadico della deflazione come punizione necessaria da consegnare all'indignata opinione pubblica tedesca in cambio dell'attuazione di piani di "salvataggio" sempre emergenziali e dunque inefficaci, può saziare il populismo, ma non spinge l'economia. Insistere sull'imposizione di durissimi ed irrealistici programmi di controllo del debito o di rientro del deficit è controproducente proprio per i paesi più indebitati - e la Germania non può essere un modello, nè per la Gre, nè per L'Ita, nè per La Spa: a situazioni diverse si devono applicare soluzioni diverse, a maggior ragione se in assenza di transfert fiscali e sotto l'ombrello moneta unica, salvo accettare l'unione. La conseguenza ricorrente, dopo un sollievo iniziale, è la puntuale ricaduta nelle tensioni del debito, esacerbate dal fattore tempo. Il rifiuto di agire in modo immediato e consistente per tutelare i debiti dei Piigs ha prodotto, come esito, un ulteriore rallentamento dell'area euro con probabile ricaduta nella recessione dovuta certo in parte rilevante alla stagnazione Usa e agli stress inflattivi degli emergenti, ma anche alle tensioni finanziarie interne e allo smodato uso di manovre recessive in contesto di stagnazione. Quanto giova questo al contribuente tedesco?
Seconda considerazione, sull'emissione di eurobond. Da dove vengono considerazioni così puntuali sui tassi futuri di questi titoli? Dunque, ad un'analisi superficiale:
- la situazione complessiva del debito in Europa è migliore di quella degli Usa;
- i rendimenti dei T-bond sono ai minimi storici;
- gli Usa vengono da 2 round di Qe
- gli emergenti vogliono diversificare le riserve in dollari
- l'euro, in un contesto di riduzione delle tensioni sui debiti di Italia e Spagna, tenderà ad apprezzarsi sul dollaro;
- gli ytm delle bei sono superiori di poco ai bund (ca 60bp mi pare sul trentennale) e l'eurobond, stando alle stesse previsioni di Zingales-Perotti potrebbe scontare 30-40bp in meno come premio di liquidità
Da dove deriva allora la certezza che il costo per il servizio del debito tedesco aumenterebbe - e soprattutto che la stabilizzazione finanziaria non ne compenserebbe ampiamente il danno? Il tasso atteso per un'emissione comune non è banalmente la media ponderata dei tassi a cui si finanziano oggi gli stessi paesi che la compongono, perchè con l'emissione cambierebbe radicalmente il contesto.
Un velo pietoso va poi posto sul paragone fra un'eventuale emissione congiunta di debito italo-argentino in seguito al fallimento dei sudamericani e all'emissione dell'eurobond per la Germania: ancora una volta il contesto è un'opzione, ma sono le ragioni senza senso di chi non ha ragioni.
Concludendo, è chiaro che non vi sono facili vie d'uscita, o, meglio, che la via d'uscita non può che essere collettiva. E non significa negare responsabilità chiare e pesanti, soprattutto nel caso di un paese come l'Italia che oggi si trova nella burrasca del debito per colpe integralmente proprie, avendo buttato l'occasione dell'entrata nell'euro per svolgere riforme essenziali. Una tutela europea è necessaria e correttamente poco si fidano gli europei "nordisti" dei "sudisti": ne hanno diritto. Occorrono passaggi complessi, occorre una visione condivisa dell'Europa - oggi inesistente - e una capacità progettuale che ora, agli occhi degli cittadini, non ha legittimità. Si è perso, per consunzione, il senso profondo di un'unità degli europei in un'architrave economica troppo limitata e ormai, per molti versi, opprimente.
Tuttavia ciò non significa essere esonerati dall'analizzare la portata sistemica, non specifica, del problema e non autorizza, soprattutto, a diffondere dati fuorvianti con la pretesa oggettività e il certificato di garanzia di qualche università ben foraggiata. L'Europa esiste e l'integrazione finanziaria è già ad un punto di non ritorno: al di là dell'analisi con questo dato di fatto occorre fare i conti. Se si studiano i costi per il contribuente tedesco di un bailout o di un'emissione congiunta di debito, ha senso farlo solo paragonandoli a quelli stimati di una disintegrazione monetaria. Ha senso farlo valutando quelli connessi al salvataggi del sistema bancario nazionale, leveraggiato fino ad oltre 50x1. Ha senso farlo simulando i costi di una pesante recessione in Europa conseguente una crisi. Ma non ha senso farlo strizzando l'occhio al fantomatico Contribuente Tedesco, che un pò come l'Uomo non si è mai visto e, con l'astuzia di assecondarne l'istinto primario, avallare la posizione, a volte anche interessata, di chi vede nel fallimento dell'Europa il suo destino inesorabile, salvo nascondere agli europei stessi l'impoverimento economico, geopolitico e culturale che ne seguirebbe