La striscia di Sorrento – Breve storia dell'austrismo

  • Creatore Discussione Creatore Discussione pb
  • Data di Inizio Data di Inizio

pb

Forumer attivo
La striscia di Sorrento – Breve storia dell'austrismo



Luogocomune - La striscia di Sorrento - palestina - Notizie


C'era una volta una bella penisola, fatta a forma di stivale, che si allungava ridente nel più bel mare del mondo, il Mediterraneo.

La penisola era popolata di pastori, agricoltori e commercianti, quasi tutti ex-beduini in via di urbanizzazione. Non particolarmente colti magari, erano certamente un popolo di gente allegra e calorosa.

Parlavano l’arabo antico, una lingua molto ostica per gli altri popoli, che si adattave invece alla perfezione per loro espressioni gutturali. Vivevano in grande armonia, scambiandosi prodotti agricoli e commerciando da una regione all'altra, in un perfetto equilibrio naturale, risultato di una tradizione millenaria.

Accadde che in posto lontano ebbe luogo una terribile guerra, alla fine della quale furono scoperti dei campi di concentramento, nei quali erano stati sterminati alcuni milioni di esseri umani (sul conto preciso c’è ancora qualche discordanza, ma erano comunque tantissimi, e la cosa non fu bella da vedere).

Questi esseri umani appartenevano ad una tribù particolare, chiamata “austriaci”, derivata dal ceppo dolomitico - quello di Abrahmberger, Isakson a Giacobinovich - e aveva avuto origine proprio nel nord della penisola italica, nella zona compresa fra il Veneto e l’attuale Germania. Questa tribù prendeva il nome dal monte di Astrion, dove il loro Dio gli si era rivelato, che si trova appunto nelle Dolomiti Orientali. Come simbolo sacro gli austriaci usavano la stella alpina, il noto fiore a sei punte che cresce solo in alta montagna. Nelle cerimonie usavano un candelabro a diciotto braccia, più una retrattile, che durante la settimana serviva per appenderci la scodellina di felpa, con la piuma infilata nel mezzo, man mano che i numerosi familiari rientravano dal lavoro.

Nel corso dei secoli però questa tribù era andata disperdendosi nel mondo, per motivi che nessuno è mai riuscito a comprendere fino in fondo.

C'è chi dice che questi austriaci fossero continuamente costretti a fuggire perchè non restavano simpatici a nessuno; altri invece sostengono che questa tribù non sia mai esistita; altri ancora dicono che sia esistita, …

… ma che si trattasse di una tribù diversa dalla loro, poi andata perduta fra le pieghe della storia.

In ogni caso, quelli che avevano scelto di chiamarsi austriaci coltivavano dei particolari libri sacri, nei quali venivano indicati dal loro Dio come il "popolo eletto", e siccome questo Dio sosteneva anche di essere l'unico nell'universo, avevano dedotto senza esitazione di essere i preferiti su qualunque altro essere umano.

E’ quindi possibile che questo abbia generato, nel corso del tempo, qualche momentanea frizione con i popoli che li ospitavano, che invece per qualche motivo si ritenevano uguali a tutti gli altri. Anche perchè questi austriaci non si limitavano a sostenere di essere “preferiti da Dio” in senso metaforico, ma pretendevano di essere trattati in modo diverso in molti aspetti della vita reale: ad esempio, se un non-austriaco – che loro chiamavano, con una sfumatura di disprezzo, “terym” – faceva a botte con un altro terym, nessuno si scomponeva. Se invece un terym si azzardava a picchiare un austriaco – magari perchè gli aveva rubato una gallina - veniva subito accusato di perseguitare la stirpe di Astrion, e si sentiva appioppare il fastidioso appellativo di “antidolomita”.

- Veramente io rivorrei solo la mia gallina!” - urlava il terym, stragonfio di rabbia.

- No! – gli rispondevano gli austriaci, facendo blocco intorno al malmenato - tu l’hai picchiato perchè ce l’hai con noi. Guarda come sanguina. Questa è cattiveria pura!

- *****, è la quinta gallina che mi ruba in tre giorni!

- Non importa. Il fatto è che tu te ne approfitti per picchiarlo, perchè sai che lui è un dolomita. Quindi per punizione la gallina non te la ridiamo, e se ti azzardi a toccarlo di nuovo ti manderemo le maledizioni divine. Dio è dalla nostra parte, non dimenticarlo, e se vogliamo ti facciamo spedire direttamente all’inferno.

Gli austriaci infatti avevano scoperto che nei libri sacri dei terym, leggermente diversi dai loro, era stata aggiunta questa curiosa faccenda dell’inferno, che permetteva ai sacerdoti della religione gemella di controllare masse imponenti con enorme facilità, usandolo come deterrente universale. Nel libro degli austriaci Dio ti mandava al massimo la dissenteria, oppure un’invasione di cavallette, ma la minaccia dell’inferno era chiaramente più efficace, e anche loro ogni tanto se ne approfittavano, per risolvere le piccole dispute con i terym.

Tanto nessuno stava lì a riflettere sul fatto che i libri fossero diversi, ma il Dio che li aveva scritti fosse lo stesso.

A quel punto infatti il derubato – un pò per la paura dell’inferno, un pò perchè magari la gallina era vecchia e malandata – decideva di lasciar perdere, e tornava brontolando a casa sua.

Il problema è che a furia di dargli ragione in quel modo, gli austriaci si sono definitivamente convinti di avere più diritti degli altri, e questo potrebbe aver esacerbato i diversi popoli che li ospitavano, portando ad episodi di intolleranza sempre più vistosi e deplorevoli.

A peggiorare le cose c’era il fatto che gli austriaci, ovunque si trovassero nel mondo, si lamentavano perennemente di non riuscire ad integrarsi con il resto della popolazione, e quando si veniva a sapere che i primi a non volersi mescolare erano proprio loro, la gente si incazzava non poco.

Serviva a poco, a quel punto, mostrare il libro sacro, per far vedere che l’ordine di non mescolarsi agli altri popoli non era un capriccio qualunque, ma veniva direttamente da Dio.

Chissenefrega del tuo libro! - rispondeva urlando il terym - Piagnucoli dal mattino alla sera perchè nessuno ti vuole, poi appena uno di noi si prova ad invitare a cena una delle vostre ragazze, arriva subito il rabbino che la prende a bastonate perchè non vuole che si sposino! (Il rabbino è il tipico sacerdote austriaco, che si distingue per i calzoni di pelle corti sopra il ginocchio, e le lunghe trecce incolte lungo le guance, trafitte qua e là da piccole stelle alpine).

- Ma ti bastono io - urlava furente il terym – altro che libro sacro!

E così gli austriaci dovevano nuovamente far fagotto, e andare umilmente a chiedere ospitalità da qualcun altro.

Prima o poi però la voce si sparse, e ad un certo punto gli austriaci iniziarono a prendere botte ancora prima di arrivare in una nuova città.

- Ma come avranno fatto - si domandavano stupiti, mentre si leccavano le ferite - a sapere che stavamo arrivando?

- Io l’ho sempre detto che dovremmo tagliarci i capelli come tutti gli altri – diceva uno dei più giovani – Con quelle trecce ci riconoscono tutti ormai.

- Non sono i capelli, è la barba – replicava un altro - Nessuno oggi porta delle barbe così lunghe. Le nostre poi sono più rosse di tutti gli altri.

- Secondo me è il cappotto – suggeriva un terzo – Cacchio, è il sette di agosto, ci sono trenta gradi all’ombra, e noi ci presentiamo col colbacco e il cappotto di lana! E’ chiaro che ci cuccano subito, no?

Ma i loro libri sacri dicevano che barba e capelli non si toccano, e che il cappotto va portato tutto l’anno, per cui erano obbligati a trovare un’altra soluzione.

Qualcuno pensò allora di comperare una macchina, per entrare in città facendosi vedere soltanto dal collo in su.

- Nascondiamo la barba sotto una sciarpa – suggerì con malizia - raccogliamo le trecce sotto il cappello, e il cappotto in macchina non lo nota nessuno. Visto da fuori sembra una giacca qualunque.

- Ma siamo in troppi – obiettò un altro – Come facciamo a starci tutti in una macchina sola?

- Entreremo un pò alla volta – rispose il primo – a piccoli gruppi, sette od otto al massimo. Così evitiamo anche di dare nell’occhio. Una volta in città ci disperdiamo fra la folla, e uno di noi torna fuori con la macchina, a prenderne degli altri.

L’idea sembrava buona, e una volta superato il trauma iniziale, per l’acquisto in contanti della macchina a cui furono obbigati dal rivenditore terym, provarono a metterla in pratica. Si accorserò però che, per un motivo o per l’altro, qualcosa finiva sempre per andare storto.

A qualcuno restava impigliata una treccia nella cintura di sicurezza, proprio mentre era fermo al semaforo, a un altro spuntava una stella alpina da sotto il colbacco, mentre parcheggiava tutto sudato nel centro di Viareggio, soffocato dalla sciarpa bollente, sotto lo sguardo incuriosito dei bagnanti, il terzo inciampava nel cappotto mentre cercava di uscire di nascosto dal portapacchi, e alla fine venivano comunque legnati e cacciati, e in più gli bruciavano la macchina nuova di pacca.

Insomma, per gli austriaci ormai la vita era diventata un inferno, e a furia di girovagare si resero conto che ormai la loro reputazione li aveva preceduti dappertutto. Si radunarono quindi in un piccola località della svizzera, per decidere cosa fare del proprio destino.

Furono giorni difficili per tutti. Dalle loro capanne uscivano strazianti lamenti, coperti ogni tanto dalle malinconiche litanie dell’antica tradizione dolomitica.

Ad un certo punto, nel bel mezzo di queste sofferenze, un certo Theodor von Hertzevich schizzò in piedi, colpito da un’idea folgorante:

- Torniamocene a casa! - Disse indicando la finestra davanti a lui.

- Giusto! - Disse un altro - Cosi nessuno ci romperà più le scatole!

- E’ vero, che idea geniale! – aggiunse un terzo.

- Ma… a casa dove, scusate? – domandò un quarto con leggero imbarazzo.

- Ah già ***** – disse il primo, mentre la stanza piombava nel silenzio – Non ci avevo pensato…

- In effetti - commentò un secondo – è da un pò che manchiamo da quelle parti. Quanto sarà, più o meno?

- Ormai sono più di duemila anni, a occhio e croce.

- Minchia! Così tanto siamo stati in giro?

- Oh ragazzi, una diaspora è una diaspora! Mica è una passeggiata qualunque.

- D’accordo, però adesso come facciamo a presentarci….. Qualcuno di voi non ha dietro per caso un vecchio documento, qualcosa che possa dimostrare…

Le teste dondolarono sconsolate, insieme alle treccine bisunte.

- Niente di niente? Nemmeno… chessò, una antica cessione di proprietà, tramandata magari dai bisnonni…

- A quel tempo non c’erano cessioni di proprietà - osservò qualcuno – Ognuno stava a casa sua.

- Ah già, è vero. Qualche antica ricevuta di scambio, allora? Mi sembra che praticassero il baratto, in quel periodo …

- Io ho le fatture del mercatino di Amsterdam - disse uno di loro - Però hanno la data dell’anno scorso, e inoltre sono in fiorini olandesi.

- No, quelle non servono. Nient’altro?

- Io avrei una cartolina del monte di Astrion - disse un altro – Però non so a quanto possa servire: dietro c’è scritto solo “saluti da Astrion”, e basta.

- E’ importante, invece, stai scherzando? Quella mostra chiaramente che veniamo da quelle parti! Tirala fuori intanto, che la mettiamo da parte.

L’austriaco frugò nel suo valigione, estrasse la cartolina e la passò all’amico.

- Ma qui non c’è nemmeno il francobollo! - disse quello esaminandola – Ma chi te l’ha mandata, scusa?

- Mia zia, l’anno scorso. Però me l’ha portata a mano, quando è venuta su a Natale, perchè diceva che le poste costavano troppo.

Tutti lo guardarono con disprezzo.

- E’ per quello che non l’ha nemmeno firmata - aggiunse con un filo di voce, abbassando lo sguardo sul pavimento - sapeva che me l'avrebbe data di persona.

Nel frattempo qualcuno si era accorto che von Hertzovich li stava fissando dal fondo della stanza, con uno strano sorriso sulle labbra.

Quando fu sicuro che tutta l’attenzione fosse rivolta verso di lui, von Hertzovich disse:

- Siete proprio sicuri di non avere niente da mostrare?

Gli altri si guardarono intorno, allargando le mani in segno di sconforto.

- E questo cosa sarebbe, secondo voi? – disse von Hertzovich, prendendo in mano il libro sacro.

Centinaia di sguardi interrogativi lo fissavano pieni di speranza.

Von Hertzovich aprì il grande libro, e lesse a voce alta:

“Ripensando alla sorte subìta dai loro padri che peccarono contro di me, abbandoneranno la loro caparbietà e la loro malizia. Io li ricondurrò nella terra promessa con giuramento ai loro padri, ad Abrahmberger, Isakson a Giacobinovich; essi ne avranno di nuovo il dominio e io li moltiplicherò e non diminuiranno più!”

L’esplosione di gioia si udì persino nelle vallate adiacenti. Gli austriaci ballarono e cantarono per tutta la notte, conoscendo un’allegria che non ricordavano nemmeno nei racconti dei loro antenati.

Era nato l’austrismo, il movimento che da quel giorno si sarebbe adoperato per raccogliere tutti gli austriaci dispersi nel mondo, e riportarli nella terra promessa. Anche quelli che non volessero saperne di tornarci, perchè stavano benissimo là dov'erano.


SECONDA PARTE

Il movimento austrista crebbe con grande successo, anche grazie al fatto che alcuni austriaci lavoravano come fattorini nelle più potenti banche del mondo, e riuscivano sempre a mettere una buona parola per la loro causa, quando incontravano nei corridoi qualche persona importante.

Ottennero così in poco tempo una dichiarazione ufficiale da parte della corona inglese, nella quale veniva certificato di fronte al mondo il loro diritto ad un territorio nazionale.

Rimaneva solo un ultimo problema da risolvere: il loro libro sacro - peraltro molto preciso in mille circostanze – si era dimenticato di indicare dove si trovasse la famosa “terra promessa” di cui parlava. In realtà, la sua descrizione era così vaga, che qualcuno era arrivato a suggerire che si trattasse solo di una metafora, per indicare lo stato spirituale che ci attende dopo la vita terrena.

- Macchè spirituale !!!! – urlarono gli Anziani di Astrion - La terra promessa è chiaramente nelle Dolomiti, dove ebbe origine la nostra stirpe. Lo dice il nostro libro, quel libro è parola di Dio, e quindi dobbiamo rispettarla!

Decisero allora di mandare due emissari in nord Italia, per sondare il terreno con gli abitanti del luogo. Ma quando questi tornarono, avevano notizie tutt’altro che confortanti:

- Hanno detto che se vogliamo possiamo accomodarci nello spazio libero - riferirono gli emissari - Ma di sgomberare loro non se ne parla nemmeno. Dicono che sono lì da mille anni, e che non vedono motivo di andare via.

- Ma voi gli avete mostrato libro sacro? - chiesero gli anziani.

- Certo che gliel’abbiamo mostrato. Ma loro ne hanno tirato fuori un altro, molto simile al nostro, dove però la parte della terra promessa non c’è.

- Come non c’è? Mancherà la pagina, vuoi dire …

- No no, non c’è proprio. O meglio, loro ci hanno detto che non c’è. Sa, è scritto tutto in arabo, mica potevamo verificare.

- Se è scritto in arabo non può essere sacro! E’ chiaro che quel libro è un falso.

- No no, loro dicono che è autentico. Anzi, deve vedere come ci tengono. L’ha scritto un loro profeta, un certo Morpetto…

- Maffetto – lo corresse l’altro emissario.

- Ma quanti libri sacri ci sono? – mormorò qualcuno nelle retrovie.

- Un casino – gli rispose quello accanto, sottovoce – Qui pare che ogni popolo abbia il suo.

- Anche se ci fossero mille libri sacri - sentenziò l’anziano, che li aveva sentiti – c’è un Dio solo! E lui ha detto chiaramente che dobbiamo tornare alla Terra Promessa.

- Anche loro dicono che c’è un Dio solo – disse timido il secondo emissario.

- E’ allora? – gli chiese l’anziano, sempre più irritato.

- Beh, allora … abbiamo dedotto che si trattasse dello stesso dio, che evidentemente si è dimenticato di informarli di quel particolare.

- Comunque - suggerì il primo emissario - lo spazio libero è davvero enorme. Ci sono intere vallate ancora disabitate, e la gente dei luoghi sembra davvero simpatica e ben disposta. Non dovremmo avere grossi problemi a starci tutti comodamente.

- Va beh - dissero gli anziani – non è proprio la stessa cosa, ma intanto portiamoci avanti. Mandiamo qualcuno a stare fra loro, poi col tempo vedremo il da farsi.

Nonostante i grandi spazi, però, deve essere sorto qualche grave problema, perchè man mano che arrivavano i coloni austriaci, la gente del luogo si ritirava frettolosamente dalle zone tutt’intorno.

Gli austriaci dicevano che erano loro ad andarsene spontaneamente. I locali invece li accusavano di angherie di ogni tipo, dicendo che ogni volta che protestavano si sentivano rispondere: “Se non ti piace come ti trattiamo, alza i tacchi e vai altrove. Questa è la nostra terra, e qui facciamo quello che ci pare”.

Dal comportamento degli austriaci, sembrava quasi trapelare un piacere inconscio nel vendicarsi di tutto quello che avevano subito nel corso dei secoli, facendo le stesse cose a qualcun altro.

Nelle vallate locali circolano oggi certe leggende secondo cui gli austriaci avrebbero messo in atto vere e proprie azioni di terrorismo sistematico, radendo al suolo interi villaggi, e obbligando la gente a scappare sotto la minaccia di morte. Da quando però gli austriaci presero il sopravvento nella zona, presero anche in mano il controllo dei dati storici, ed è diventato difficile oggi verificare con precisione quelle accuse.

Di fatto sappiamo che la progressiva colonizzazione portò i locali ad abbandonare le zone più centrali, dal Tirolo al Burgenland, attraversando i valichi alpini e riversandosi nelle vallate del Trentino Alto-Adige. Alcuni di loro si spinsero fino alle prime frange della pianura padana, dando origine alla zona oggi chiamata Cispadania, delimitata dalle rive del Po, che ospita un ibrido di rifugiati tirolesi e italiani originari.

A quel punto, da un giorno all’altro, scoppiò la seconda guerra mondiale, causata da un folle che per qualche motivo si era messo in testa di sterminare tutti gli austriaci, pur essendo – pare – un austriaco lui stesso.

Questo folle si era messo alla caccia spietata di tutti gli austriaci dispersi in Europa, e pare che in certe occasioni abbia avuto l’appoggio dello stesso movimento austrista, che gli passava le informazioni sui nascondigli del loro concittadini, in modo da obbligarli a fuggire verso la terra promessa.

Tanto – dicevano gli austristi - chi non vuole tornare per noi conta meno di una capra, per cui tanto vale che finisca in un campo di concentramento.

Ci fu addirittura un caso in cui una nave carica di austriaci che stavano fuggendo dalla Germania fu respinta dagli americani al porto di Miami, obbligando quei poveracci a tornare indietro. (Non è mai stato chiarito perchè l’America, paese della grande libertà, abbia respinto quel carico umano, pur sapendo a che destino lo stesse condannando. Qualcuno ha suggerito che gli austristi, i cui fattorini nel frattempo avevano trovato lavoro anche nelle grosse banche americane, avessero messo la solita parola buona con il presidente Roosevelt, chiedendogli di mandarli indietro. Questa però è un’altra accusa che resta difficile dimostrare).

In ogni caso, come sappiamo, tutte le guerre sono orribili, e questa fu ancora più orribile delle altre.

Quando finalmente gli americani riuscirono a sconfiggere lo stesso folle che avevano aiutato a salire al potere, e liberarono i pochi austriaci sopravvissuti dagli stessi campi di concentramento a cui li avevano condannati, il mondo trasse un sospiro di sollievo.

Iniziava l’era moderna, piena di allegria e di buona volontà.

Per prima cosa fu stabilita a New York la cosiddetta A.N.I., Associazione Internazionale delle Nazioni, che prese a gran cuore il problema degli austriaci sopravvissuti allo sterminio.

Molti di essi nel frattempo erano affluiti nel territorio d’origine, espandendosi in gran fretta, e creando nuove frizioni con gli abitanti del luogo.

L’A.N.I. decise quindi di mettere le cose in ordine una volta per tutte. Dopo lunghe riunioni, fu solennemente dichiarata la creazione di un vero e proprio stato austriaco, con l’appoggio di quasi tutte le nazioni del mondo.

Fecero eccezione la Svizzera e la Slovenia – ovvero i paesi confinanti - che nel frattempo erano stati invasi dai tirolesi in fuga, e che parlavano anche a nome dei loro confratelli rifugiati in Cispadania.

Ma la loro voce fu sommersa dall’applauso fragoroso che il mondo decretò alla nascita delle due nuove nazioni, purtroppo contigue: il nuovo confine correva lungo la cresta delle Alpi Pennine-Lepontine-Retiche-Carniche-e-Giulie, lasciando a nord la neonata Austria, e a sud una giovane Italia.

Lungo le coste del lago Maggiore era stata creata un’ansa di territorio che arrivava fino a Lodi, in modo da permettere agli austriaci di riprendere possesso della loro capitale storica, Milano.

Appena entrati a Milano, infatti, gli austriaci fecero abbattere tutte le statue dei santi locali, sostituendole con quelle del generale Radetzky, ritratto con il classico casco con il chiodo, sormontato da una vistosa stella alpina.

Gli stati confinanti però, che non avevano riconosciuto la nazione austriaca, la attaccarono militarmente nel giorno stesso dell’inaugurazione, prima ancora che la bandiera con la stella alpina a sei punte venisse issata sul Duomo di Milano, accanto alla Madonnina.

Ma gli austriaci non si fecero cogliere impreparati, e dalle loro sacche da immigrante, piene di calzini sporchi e di patate indurite dalla salsedine, uscirono improvvisamente cannoni, carri armati e jet nuovi fiammanti, che si sbarazzarono in poche ore di eserciti, come quello svizzero o quello sloveno, che di militare avevano soltanto il nome.

Non parliamo poi degli italiani, che non avevano mai conosciuto la guerra, e si erano presentati in battaglia armati di chitarra e mandolino, che cercavano di usare come clava contro i carri armati del nemico. (C’erano anche quelli con la lupara, volendo, ma si trovavano molto più a sud, ed erano difficili da contattare a causa dell’idioma particolare che utilizzavano).

I bergamaschi per l’occasione avevano procurato delle speciali pietre della Val Brembana, che a prima vista sembravano devastanti, ma che si rivelarono troppo friabili all’impatto con l’acciaio corazzato.

Anche le vecchie golette della Repubblica di Venezia, rispolverate per l’occasione, si trovarono in grosse difficoltà nel risalire le acque anguste dei torrenti prealpini, e dovettero alzare bandiera bianca prima ancora di aver esploso un solo colpo di archibugio.

Insomma, la disfatta fu totale, e gli italiani si risvegliarono con gli austriaci che avevano occupato la loro terra fino a Trieste da una parte, e fino a Torino dall’altra. Si erano anche impadroniti delle alture del Monblanc, note per le ricche fonti d’acqua che irrorano tutta la pianura padana.

Nel corso della notte gli austriaci erano anche riusciti a costruire centinaia di case coloniche un pò dovunque in nord Italia.

- Ma come avranno fatto? – si domandavano allibiti gli italiani – Non è che per sbaglio abbiamo dormito per tre mesi?

- No, loro sono fatti così, da sempre. Sanno costuirsi un villaggio intero in mezza giornata, e se lo smontano e portano via in venti minuti, se devono scappare di corsa. E’ la diaspora che li ha abituati.

Nella val Trompia un gruppetto di italiani provò ad avvicinarsi ad un casale che era stato occupato dagli austriaci, ma fu accolto a fucilate. Gli italiani dovettero rassegnarsi a comunicare con gli occupanti urlando nascosti dietro a un trattore.

- Ueh giovanotto - urlò uno degli italiani, con forte accento bergamasco – và che quella è casa mia!

- Cosa ha detto? - urlò l’austriaco appostato sul terrazzino.

- L’ g’ho dit che hela l’è ca’ mea, o porcudìo! – urlò imbestialito il bergamasco.

- Ha detto che quella è casa sua – tradusse l’amico, che era di Milano e si faceva capire bene dall’austriaco.

- Era, casa sua – lo corresse l’austriaco – ma voi ci avete attaccato, e adesso qui abitiamo noi. Così imparate.

- Eeeh ostia, atacàto, adiritùra! – bofonchiò il bergamasco – per quater peder che l’ g’ ù tirà…

- Cosa ha detto? - urlò di nuovo l’austriaco.

- Dice che per quattro pietre che vi ha tirato, non gli sembra il caso di portargli via tutta la casa.

- Non sono le pietre, è il gesto che conta! – rispose l’austriaco.

- Ma chè gesto e gesto, bilòt! – urlò il bergamasco alzandosi in piedi - Vieni qui che te lo faccio vedere io il gesto, deficent d’un deficent!

Per tutta risposta una fucilata gli fischiò sopra la testa, obbligandolo a chinarsi di nuovo dietro al trattore.

- Occhio che quello non scherza – gli disse l’amico.

Ma il bergamasco mise di nuovo fuori la testa, sprezzante del pericolo, e urlò all’austriaco:

- Ueh giùvin, t’è fini de fà el scemu si o no? La g’hu denter la vaca e il caval, e g’hù de daggh de magnà! Va fora di bàl e basta, porcudìo!

- Vorrebbe sapere se ne avete ancora per molto – tradusse il milanese, correggendo leggermente – e chiedeva se nel frattempo può venire a dar da mangiare alla sua mucca e al suo cavallo.

- Non mi fido - rispose l’austriaco – Sappiamo che ci odiate, e aspettate solo la prima occasione per buttarci tutti nel lago.

- Ma quale lago, scusi? Dietro a lei ci sono solo le montagne.

- Lo sapete benissimo di quale lago parlo, non fate i furbi. Voi volete ributtarci tutti nel lago, e noi abbiamo il diritto di difenderci.

Non c’era niente da fare, la nenia millenaria ricominciava daccapo. Non era servito a nulla dargli la terra, dargli le frontiere, dargli le armi per proteggerle.

Evidentemente il senso di persecuzione era entrato nel loro codice genetico, e il fatto di non mescolarsi ad altra gente aveva solo peggiorato le cose, moltiplicandone gli effetti nel tempo, invece di diluirli.

A loro volta, erano ormai condizionati al lamento perenne, che li aveva abituati da secoli ad ottenere privilegi non sempre meritati.

Bastava che uno gli fregasse il parcheggio al supermercato, perchè l’austriaco si buttasse a terra mugolante, richiamando subito l’attenzione di tutti i passanti. Mentre si formava il classico capannello intorno a lui, qualcuno chiedeva:

– Se l’è sucès? L’è un epilètic? (Siamo a Lambrate, nelle vicinanze di Milano, nel cuore del territorio occupato).

- Macchè epilettico - cercava di spiegare l’italiano - Io ho semplicemente parch….

Ma l’austriaco lo interrompeva subito, con una vocina stridula che lacerava i timpani e copriva persino il rumore dei tram:

- Mi ha preso il posto! – ululava puntando il dito come un bambino - Lo sapeva che era mio, l’ho visto prima io! Ma lui l’ha fatto apposta per farmi un dispetto, perchè ha capito che sono austriaco.

- E tu togliti quel ***** di cappotto a sette strati e vestiti come una persona normale - mormorava qualcuno mentre andava via schifato – così stai tranquillo che non ti nota più nessuno.

- Ma poi scusate – aggiungeva un altro, indicando l’italiano - se è arrivato prima lui vuol dire che il posto l’avrà visto prima lui, no? Mica si vede dalle colline, ‘sto parcheggio.

L’austriaco capiva che la situazione si metteva male per lui, e decideva di giocarsi il jolly: estraeva dalla tasca del cappotto la foto del nonno morto ad Auschwitz, mentre urlava all’italiano con tutto il fiato che aveva nei polmoni:

- Antidolomitaaaaaa!

Di colpo si era fatto un gran silenzio. Era come se il tempo si fosse fermato, mentre quell’urlo lancinante riecheggiava all’infinito fra le case.

- Antidolomitaaa!…. Itaaa… Itaaaa…

Le auto scivolavano via discrete, cercando di non fare rumore, e persino i tram sembravano scorrere su rotaie di velluto. Intorno all’italiano si era fatto il vuoto più assoluto. Sul piazzale c’era solo più lui, in piedi di fronte all’austriaco che singhiozzava sul selciato.

Timidamente un uccellino riprese a cinguettare, mentre si udiva in lontananza l’urlo delle prime sirene.

Dieci minuti dopo il piazzale era stato completamente circondato dalla polizia austriaca, mentre le telecamere della CNN riprendevano in diretta l’italiano che veniva portato via in manette, sotto lo sguardo di disprezzo degli austriaci accorsi sul posto. Poco distante i medici soccorrevano l’austriaco piangente, che veniva caricato su una barella, intubato con l’ossigeno e immobilizzato con le classiche protezioni antitrauma fosforescenti. Alcuni fra i presenti si asciugavano le lacrime in un fazzoletto, altri chiamavano a casa con i cellulari, e con sguardo preoccupato dicevano alla famiglia di chiudere bene tutte le porte e le finestre. La barella con l’austriaco veniva infine caricata su un’ambulanza, che si allontanava ululando nella notte.

Il TG della CNN terminava con uno zoom sul colbacco dell’austriaco, che giaceva dimenticato sul selciato, fra due pozze d’olio di rimorchio illuminate in controluce. Una mano caritatevole entrava nell’inquadratura, e appoggiava sul colbacco una piccola stella alpina.

Pubblicità.

La gente in mezzo mondo spegneva il televisore disgustata, mentre qualcuno cominciava a dire che gli italiani sono tutti dei terroristi.

***

Quello che è successo in seguito lo sanno tutti. E purtroppo, man mano che ci si avvicina alla realtà di oggi, passa anche la voglia di scherzare.

Con il perdurare dell’occupazione, gli italiani avevano organizzato una vera e propria guerriglia a tutto campo, nell’intento di cacciare gli invasori da casa loro.

Ma ogni volta che riuscivano a colpire nel segno, non facevano che peggiorare la situazione. Gli austriaci infatti ne approfittavano subito per mostrare al mondo le loro vittime insanguinate. Poi convocavano una grande conferenza stampa, nella quale si appellavano al diritto di difendersi, e ripartivano ad uccidere, distruggere e massacrare con rinnovata ferocia.

Questo non faceva che aumentare la rabbia degli italiani, che a loro volta reagivano con ogni mezzo disponibile, permettendo nuovamente agli invasori di legittimare una nuova ondata di massacri e di conquiste.

Nel frattempo nessuno si domandava per quale motivo gli austriaci avessero il diritto di difendersi, pur trovandosi in terra altrui, mentre gli italiani non avevano nemmeno quello, pur essendo in casa loro.

Grazie a questo malinteso mai risolto, siamo arrivati alla situazione odierna.

L’Italia di oggi è ridotta a un colabrodo, con ampie sacche di territorio circondate da una muraglia di cemento invalicabile, in cui vivono rinchiusi circa sette milioni di italiani.

Per spostarsi da una sacca all’altra occorre un permesso speciale, che gli austriaci concedono solo dopo una lunga attesa, pur avendo ormai schedato tutti i residenti, e dovendo quindi applicare un semplice rinnovo. Una volta ottenuto quello, è necessario affrontare code interminabili ai check-point, sia in entrata che in uscita, per spostarsi da una zona all’altra della stessa nazione. La nostra.

Stessa sorte attende i ragazzi che vanno a scuola in una zona diversa da quella in cui vivono rinchiusi. Con la scusa di tutelare la propria sicurezza, gli austriaci rendono la vita impossibile agli italiani con ogni mezzo disponibile, nel chiaro intento di demoralizzarli e convincerli ad abbandonare per sempre il territorio.

Altri nove milioni di nostri concittadini sono già stati deportati nei campi profughi della Svizzera, oppure rinchiusi in veri e propri campi di concentramento sul nostro territorio. La motivazione data al mondo dagli austriaci è che “se no saremmo in troppi, e per loro la situazione diventerebbe insopportabile”.

Rendendo insopportabile la nostra, invece, hanno risolto il problema alla radice.

Rimane infine la striscia di Sorrento, una sacca isolata a sud di Napoli, nella quale ribolle una folla di quasi due milioni di italiani, stipati in un fazzoletto di terra di pochi chilometri quadrati.

Rinchiusi come topi da laboratorio, tenuti da mesi senz’acqua, senza luce, senza cibo, e senza nemmeno le medicine più essenziali, vengono lentamente portati all’esasperarazione, per consentire – grazie al solito meccanismo perverso - la loro completa epurazione.

Sono ormai meno di venti milioni gli italiani rimasti sul territorio.

Tutti gli altri, dei cinquanta iniziali, sono morti o fuggiti all’estero.

Di fronte a questa furia devastante, il mondo sembra ridotto all’impotenza, e anche quando prova in qualche modo a reagire, si ritrova di fronte ad un muro di cemento.

Qualche tempo fa, ad esempio, fu letteralmente raso al suolo uno dei più grandi campi profughi del paese, durante un rastrellamento degli austriaci che dicevano di cercare dei terroristi nascosti fra la gente. Lo scandalo mondiale fu tale che l‘A.N.I. mandò una commissione internazionale per verificare l’accaduto, ma gli austriaci negarono l’ingresso ai suoi membri, mentre i loro bulldozer ricoprivano in gran fretta i segni del massacro.

Dove fino a ieri giocavano allegri i nostri bambini, oggi è una spianata anonima di cemento. Ma i bambini non li ha portati via nessuno. Sono ancora tutti lì, che giocano silenziosi sotto quel cemento.

La stessa sorte attende i nostri connazionali di Sorrento, che proprio in questi giorni stanno vivendo le ore più drammatiche di un’esistenza contrassegnata fin dalla nascita da sofferenze inenarrabili.

Mentre loro lanciano disperati gli ultimi razzi di cui dispongono, gli austriaci continuano imperterriti a mostrare al mondo i danni provocati, per poi reagire con una sproporzione ormai senza più senso.

In tutto questo nessun giornalista si ricorda di far notare che quei razzi vengono lanciati da italiani contro un territorio italiano, per cui basterebbe che gli austriaci tornassero a casa loro, e tutti i loro problemi “di sicurezza” finirebbero all’istante.

Ma evidentemente quei problemi non stanno affatto nella loro sicurezza, e a questo punto dovranno vedersela con l’unico dio dell’universo, il quale gli spiegherà finalmente in modo chiaro cosa volesse dire la sua famosa frase sulla terra promessa.

Massimo Mazzucco


NOTA: QUALUNQUE RIFERIMENTO ALLA NAZIONE AUSTRIACA E AL SUO POPOLO COMPARE SOLO IN SENSO METAFORICO, E NON HA ALCUNA ATTINENZA CON IL MONDO REALE. Se invece altri popoli o nazioni dovessero riconoscersi in quanto descritto, il problema purtroppo non è nostro.


Rabbino austriaco
 

Allegati

  • rabyod-o.jpg
    rabyod-o.jpg
    7,1 KB · Visite: 390
Troppo lungo, chiedo troppo se mi sottolinei le parti salienti?


Non ci sono punti salienti è solo un racconto umoristico sulla storia d'Israele.

Se hai poco tempo c'è una storia più breve e più concisa scritta nientemeno da Fiamma Nait e Deborah Firenstein

(Si ride per non piangere sulla stupidità sionista)



La vera storia d'Israele.

La vera storia d'Israele

Caro, simpatico popolo italiano (un bacino a Oriana!), siamo due nonne israeliane. Proprio come voi, viviamo in villette a schiera con i nanetti nel giardino e le telecamere sopra i cancelli. Proprio come voi, mandiamo i nostri nipotini a lezione di pianoforte e di nuoto, sapeste come sono vispi! E proprio come voi, purtroppo, abbiamo tanti extracomunitari: la nostra vita sarebbe un piccolo paradiso, se non ci fossero loro.

Voi non sapete come stanno veramente le cose qui, perché noi non siamo bravi come gli extracomunitari a fare pubbliche relazioni. Sappiamo tutti come vanno le cose in Italia, dove sei reti TV su sei appartengono ai comunisti. Sappiamo anche quello che succede tutti i giorni al “Corriere della Sera”: come i terroristi pakistani, travestiti da venditori di fiori, entrano nel ristorante sotto la sede del giornale e mettono il sonnifero nel cibo dei redattori che stanno cenando, mentre i loro compari tunisini, fingendo di vendere accendini, entrano direttamente dentro le redazioni, inserendo nei computer notizie false, degne di Goebbels.

Insomma, da voi regna sovrana e incontestata la più becera propaganda antisemita. E per rispondere, noi due abbiamo deciso di scrivere la vera storia d’Israele. Una storia obiettiva e non di parte. Ve la raccontiamo in breve, perché anche noi nonnine abbiamo molto da fare: adesso Fiamma sta stirando i pantaloni di quel birichino di Avi, mentre io devo spolverare sotto i centrini.

Tutto è cominciato il 21 marzo del 2.044 avanti era volgare, quando D-o ha convocato nel suo ufficio il nostro bis-bis-bisnonno, assieme a un notaio. Hanno stilato un documento con cui D-o ha regalato l’intero Medio Oriente al nostro avo. Gli arabi e i comunisti fanno finta di non saperlo, ma sono bravi a mentire: le loro sono bugie degne di Streicher. Infatti, D-o, che non per niente è quello che è, aveva previsto tutto: fece giurare a tutti sulla Bibbia, mica quella in ebraico che non la capisce nessuno, ma sulla King James Version in inglese, che l’inglese lo capiscono tutti. Anche quelli di noi che sono atei – perché Israele è una democrazia laica, non lo sapevate? – sanno che il Contratto è vero. E se lo capisce anche uno che a D-o non ci crede, quei fanatici di musulmani che passano metà giornata con il sedere per aria a pregare dovrebbero capirlo a maggior ragione.

La terra è di D-o e lui ne fa quello che vuole, non vi pare? Ma un sacco di gente ci è rimasta male. Erano gelosi per via del petrolio e delle benedizioni e dei datteri, che se li prendevano tutti gli ebrei, e a loro niente. Così tre giorni dopo il Contratto, il Mufti di Gerusalemme si è riunito con i suoi camerati in una birreria e ha fondato l’Antisemitismo. Il Mufti era un tedescone di Schweinfurt che trincava dalla mattina alla sera, ma all’epoca andava in giro con una curatissima barba a riccioli di tipo assiro.

Il Mufti diffuse il suo farneticante credo di odio in tutto il mondo, ed è grazie a lui che oggi, purtroppo, gli antisemiti sono tanti. Molti ci chiedono, come si fa a riconoscere un antisemita? Già la domanda di per sé è un po’ antisemita, ma la risposta comunque è semplice, non vi potete sbagliare. Se qualcuno pensa che gli ebrei siano diversi dagli altri per qualche motivo, si tratta chiaramente di antisemitismo: e che, ci avete presi per extraterrestri? Anche se qualcuno pensa che gli ebrei siano come tutti gli altri esseri umani, si tratta lo stesso di antisemitismo: e che, siamo così banali? Ci volete assimilare, per caso?

A quei tempi, Eretz Yisrael era l’unica democrazia in Medio Oriente, con tanto di re, di nome Salomone. C’erano allevamenti estensivi con mucche biologiche, le banane sugli alberi, piste ciclabili ed ecoincentivi per tutti, ed enormi parchi giochi, che avrebbero fatto invidia a Disneyland. L’unico pericolo era quello di cadere in un fiume di latte e miele, grosso come il Po, restando invischiati.

Solo che alle frontiere premeva un miliardo e duecentomilioni di arabi, gelosissimi di tutte le cose belle che avevamo. Un giorno sono entrati e hanno rotto tutto. Mica vogliamo sembrare razziste, però è un fatto che gli arabi sono stupidi, e quindi anche quella volta, non ce l’avrebbero mai fatta, se alla testa delle legioni arabe non si fosse messo il Mufti di Gerusalemme, travestito da centurione romano, con tanto di gonnellino.

Voi lo sapete come sono gli arabi, li avete anche voi in casa: ci misero meno di un secolo a trasformare la Terra Promessa in un deserto. Ma mica un bel deserto a colori, con le dune. No, un deserto tutto grigio e piatto, proprio come la pista di Linate, senza le righe bianche.

Per duemila anni, è rimasto così. Vuoto. Anche i gabbiani che arrivavano dal mare sorvolavano la terra, per dieci metri sì e no, e poi scappavano terrorizzati. Ogni tanto, gli arabi dall’altra parte della frontiera tiravano sassi sulla pista, sperando di beccare un ebreo, ma non c’era nessuno da colpire. Questo è perché gli arabi tirano sassi per abitudine, però non sono abbastanza evoluti da guardare mentre lo fanno.

Un giorno, all’inizio del Novecento, un gruppo di ebrei avventurosi ha preso un demolitore e ha cominciato a perforare l’asfalto che ricopriva il terreno. Sudavano sotto il sole, ma avevano il coraggio dei grandi progetti. E la fortuna, o meglio D-o, fu dalla loro parte: a mezzo metro di profondità, l’asfalto finiva, e sotto c’era – Eureka! - una rigogliosa terra che sembrava la provincia di Treviso. E nemmeno un extracomunitario in vista.

Vi potete immaginare come l’hanno presa gli arabi. Infatti, erano tutti accampati appena fuori dalla Terra Promessa, mantenuti a spese della Civiltà Occidentale. All’inizio si sono limitati a ululare, a gridare Allahu Akbar e a bruciare bandiere americane, sotto gigantografie di Hitler, Pol Pot e Agnoletto. Gli psicologi e gli etnologi hanno confermato che queste sono le attività più conformi al particolare tipo di cervello che hanno gli arabi; e se hanno fatto un po’ di città in passato, era solo un tentativo di sublimare i loro desideri – ancora impossibili da soddisfare – di dare fuoco alle bandiere USA.

Insomma, appena oltre il Giordano, un miliardo e duecentomilioni di fanatici in una gigantesca bolgia, che la propaganda terzomondista chiama “campo profughi”: non è vero che scappavano, stavano cercando di entrare in Israele!

Lasciati da soli, gli arabi dopo un po’ si sarebbero stancati e sarebbero andati a chiedere l’elemosina o fare la pipì altrove. Però c’era il Mufti di Gerusalemme, travestito questa volta da mufti di Gerusalemme, e un gruppo di consiglieri tedeschi, rimasti indifferenti alla seconda guerra mondiale e alla distruzione della Germania, incorruttibili nonostante la CIA e l’Unione Sovietica se li contendessero all’asta.

Il Mufti diceva, “butteremo gli ebrei a mare!” Questo piaceva molto agli arabi, perché loro si eccitano quando vedono tanti cadaveri. Ma c’era il trucco: il Mufti in realtà sapeva benissimo che a raccogliere gli ebrei ci sarebbero stati aerei e navi, che li avrebbero riportati in Europa. Ora, l’antisemitismo esiste ovunque. Cosa vi credete, che i contadini del Laos quando fumano l’oppio non sognino di uccidere ebrei, o che gli Yaqui di Sonora, ogni volta che vendemmiano il peyote, non si sentano superuomini di pura razza ariana? Ma l’antisemitismo aumenta ancora di più quando gli ebrei ci sono veramente: se l’Europa si fosse ripopolata di ebrei, in breve tempo sarebbe diventata nazicomunista per reazione, e il Mufti si sarebbe impossessato del mondo.

Il progetto del Mufti fallì, almeno al primo tentativo. Con le nude mani, quaranta contadini-poeti misero in fuga a suon di schiaffoni sette milioni di arabi, armati di alabarda spaziale con puntatore laser. Alla fine della guerra, il miliardo e duecentomilioni di arabi si accampò di nuovo appena fuori di Eretz Yisrael, fingendosi vittime per farsi dare i soldi dall’ONU. Ora l’ONU è un organismo mantenuto dai contribuenti di tanti paesi; per quanto riguarda l’Italia, dall’onesto e laborioso lavoratore padano. Quando c’era la dittatura cattocomunista in Italia, i commissari politici andavano di casa in casa raccogliendo le tasse per diffondere il maoismo e i cliché antisemiti nel mondo, e per mantenere gente oziosa a Sabra e a Chatilla.

Ma oggi il Mufti cerca di nuovo di distruggere lo stato d’Israele. Ha mandato in giro per il mondo squadre di agit prop, di islam prop e di nazi prop che hanno diffuso il mito dell’esistenza di un “popolo palestinese”. Di notte, la Luftwaffe sorvola Israele, paracadutando non solo topi e vipere transgeniche, ma anche le temibili mamme-bomba, capaci di produrre fino a due arabi ogni nove mesi, come ha documentato uno straordinario reportage di “Libero”.

Saddam sta per occupare gli Stati Uniti, la più antica democrazia del mondo. In tutto il mondo, terroristi curdi travestiti da arabi e terroristi arabi travestiti da curdi stanno sbarcando dagli scafi, per distruggere l’Occidente colpevole di amare la libertà. Bertinotti blatera ogni giorno gli stereotipi antisemiti del “popolo deicida”. I pacifisti marciano in formazione militare sotto i ritratti di Stalin, preparando la resa dell’Occidente. I no global e i comunisti in toga rossa inneggiano alla razza ariana, e si permettono di insultare le multinazionali. O tempora, o mores! Purtroppo, come se non bastasse vivere in un mondo abitato da sei miliardi di antisemiti, ci sono anche gli ebrei odiatori di se stessi, degni eredi di Marx e dei kapò, che fanno finta che gli extracomunitari viaggino in giro per il mondo solo perché cercano lavoro, “poverini”, dicono loro...

Ma c’è sempre speranza. Esistono persone meravigliose come Oriana Fallaci, a cui queste due nonnine mandano un secondo tenero bacino. O come Mario Borghezio, che ha capito quanto sia pericoloso il farneticante razzismo antisemita e antiitaliano degli immigrati, e quanto sia importante salvare la nostra civiltà giudaicocristiana, basata sui diritti umani, la ragione, la verità e l’amore per il prossimo. Però a Mario il bacino non lo mandiamo.

Ma ora dobbiamo andare a dare da mangiare ai nostri dobermann. Si chiamano Schutzi e Schatzi e sono proprio dei tesori.

Vi vogliamo tanto bene.

Debby e Fiammy
 
Ho chiesto ad un conoscente talmudico perchè le nonnine non hanno mandato il bacio a Mario Borghezio,la sua risposta è stata lapidaria quanto enigmatica:

Per la thorah i maiali sono animali impuri.:eek::eek:,anche se alle volte utili.
 
la svizzera é raramente tenera con israele, ma oggi leggo:

............

DIETRO GAZA IL CHIARO COPIONE DI TURCHIA E IRAN
GERARDO MORINA
L'abbordaggio, finito nel sangue, della nave turca Mavi Marmara da parte dei commando navali israelia­ni ha avuto un duplice effetto:
non solo quello di offrire l'ope­rato di Israele al ludibrio me­diatico e politico mondiale, ma soprattutto quello di creare un forte diversivo per l'opinione pubblica e le diplomazie inter­nazionali.

È proprio ciò che Turchia e Iran desideravano perché sono ora questi due Paesi a tentare di scrivere il co­pione del dopo-blitz israeliano nelle acque di Gaza. Un copio­ne che entrambi vogliono sten­dere con la voce di aspiranti nuovi padroni, ognuno dei due alla ricerca di un'egemonia re­gionale.
L'essenza del loro gio­co sta pertanto nel tentativo di assumersi il predominio del­l'area mediorientale, voluta­mente a spese di Israele e Sta­ti Uniti. E quale miglior modo per raggiungere tale obiettivo che lanciare una crociata con­tro lo Stato ebraico approfit­tando dell'attacco israeliano alla flottiglia? L'ansia di protagonismo avvol­ge la Turchia, il Paese che ha fi­nanziato e armato la «Freedom Flotilla».

Lontano da Gerusa­lemme e vicino a Teheran.
La svolta turca
icon_rolleyes.gif
icon_rolleyes.gif

ha coinciso con l'ascesa al potere di Giustizia e sviluppo (AKP), il movimento filoislamico di cui fanno parte sia il premier Erdogan sia il presidente della Repubblica Abdullah Gül. E non è una no­vità il fatto che il governo di An­kara intenda allontanarsi dal­le posizioni di Washington co­me da quelle israeliane.

Si ri­corderà infatti come nel 2003 Erdogan impedì alle truppe USA di entrare in Iraq attraver­sando il territorio turco.
E co­me nel 2008 lo stesso Erdogan criticò duramente Peres per la campagna su Gaza.
Grazie al­la fiducia nei propri mezzi, usando l'economia turca come «soft power» e l'AKP come por­tabandiera, Ankara vuole oggi allargare la propria influenza sulla regione mediorientale.
Lo fa chiedendo di partecipare al­le decisioni che riguardano i confini del suo vecchio impe­ro, aspirando a ricoprire un ruolo nei colloqui di pace tra Israele e la Siria, consideran­do prioritaria la questione di Gaza e aprendo una trattativa con l'Iran sul dossier nucleare.

Il tutto in base ad una logica di protago­nismo che però, a differenza dell'Iran, non contiene in origine un approccio necessariamente antisemita.
Anche Teheran ricerca infatti un'ege­monia regionale, ma poggiando sui pre­supposti del suo fondamentalismo.
La luce negativa del riflettore si è ora spo­stata su Israele?
L'Iran ne è ben lieto perché non a caso il dramma della Ma­vi Marmara si è consumato lo stesso giorno in cui l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) aveva fat­to circolare due durissimi rapporti su Teheran e Damasco.
E se il blitz israelia­no non fosse avvenuto, oggi il mondo continuerebbe a parlare degli Stati Uni­ti che continuano a premere per una quarta serie di sanzioni contro l'Iran da parte del Consiglio di sicurezza del­l'ONU, soluzione che gode dell'appog­gio di Francia e Gran Bretagna e, secon­do Washington, anche di Cina e Russia.
O continuerebbe a parlare della dichia­razione firmata da Iran, Brasile e Tur­chia in cui Teheran si impegna ad ac­cettare uno scambio di uranio arricchi­to con l'estero. O, soprattutto, del fatto che Teheran sta proseguendo le attivi­tà di arricchimento dell'uranio nono­stante le ripetute messe in guardia del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Uni­te e tre serie di sanzioni.

L'attualità gioca invece in favore di Te­heran, soddisfatta che agli occhi del mondo lo «Stato canaglia» non sia che Israele, lo stesso Paese che l'Iran vor­rebbe cancellare dalle carte geografi­che.
E va da sé che Teheran sfrutti que­sto nuovo vento, annunciando di invia­re proprie navi per sfidare il blocco israeliano di fronte alle coste di Gaza.
Già nei giorni scorsi il premier israelia­no Benjamin Netanyahu aveva spiega­to che una delle finalità del blocco ma­rino è di impedire che Gaza si trasformi in un «porto iraniano» da cui in futuro transitino armamenti, consiglieri mili­tari e combattenti in sostegno alle già minacciose milizie di Hamas. «Ormai è chiaro - ha osservato da parte sua il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini - che Teheran vuole il control­lo di Gaza.
E l'invio di navi iraniane ver­so la Striscia è un segnale alla comuni­tà internazionale».

Un segnale preciso del potere che Teheran intende instau­rare. Al di là e al di sopra della pura cau­sa palestinese. Che finisce così col di­ventare secondaria rispetto ai sogni di egemonia iraniani.
Gerardo Morina
corrieredelticino,oggi
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto