Spike V
Forumer storico
Boss ragazzini nei palazzi della droga
NAPOLI — Lo svedese non lascia passare nessuno. Lo svedese fa il suo lavoro di guardiano, si alza dal secchio sul quale è seduto in via Gerusalemme Liberata, angolo via Miracolo a Milano. «Voi qui dentro non potete entrare, è meglio se ve andate subito », intimamentre perquisisce con lo sguardo l’interno dell’auto, come fosse un carabiniere. È il suo collega sull’altro lato della strada che lo chiama «svedese», sarà perché è biondo, alto e smilzo. È inutile dirgli cosa stai cercando. È inutile insistere, perché lo svedese—vent’anni al massimo—alza la felpa blu per mostrare il «ferro» e ripetere che da qui non si passa.
Qui è Terzo mondo, nel senso del rione che fa da cerniera tra Secondigliano e Scampia. È sabato sera, ore 21.30, a Napoli e nel resto d’Italia la gente esce per strada, cammina, entra nei bar. Tra questi palazzacci grigi non si può. Le strade non sono di tutti. Solo di alcuni. A ogni incrocio c’è un guardiano e una macchina parcheggiata di traverso, per costringere chi arriva a rallentare, fermarsi. Andarsene via non basta, c’è sempre un’altra auto che ti segue fino ai bordi di Secondigliano, finché non sei fuori, lontano dalle case dei boss e dal mercato che devono proteggere.
A parte «loro» non c’è nessuno sui marciapiedi. Soltanto un gruppo di ragazzi in coda davanti a un’inferriata a maglie strette che delimita il perimetro di un altro edificio in via Gerusalemme Liberata. Aspettano il loro turno per la «pallina», l’equivalente di un grammo di cocaina, che da queste parti ha il prezzo più basso dell’universo, 10-12 euro a dose. Il meccanismo è semplice e collaudato: dall’altra parte del cancello lo spacciatore prende i soldi, si allontana di poco per farsi passare la coca attraverso una finestra, anch’essa chiusa con una grata, e poi la porta al ragazzo che aspetta. Il percorso con la droga in mano è di una decina di metri, in territorio protetto, al chiuso. Se arriva un’auto sospetta, si sbarra il cancello esterno e ci si nasconde con calma nella pancia del palazzo.
Senza parlare di cocaina non si può raccontare quel che succede a Napoli. E la cocaina che arriva fin nei quartieri del centro parte sempre e ancora da Scampia, da questi palazzi.
Un anno fa: 57 morti in due mesi, il risultato del Vietnam scoppiato tra il clan dei Di Lauro e gli «scissionisti ». Teste tagliate, madri uccise, corpi scempiati dalle torture prima del colpo di grazia. Il «lasciamo che si ammazzino tra loro », sentimento molto diffuso tra cittadini e forze dell’ordine, si mischiò allo stupore per tanta atrocità. Scampia e Secondigliano finirono molto in alto nei notiziari della sera, arrivarono tanti poliziotti e promesse di ogni genere. Il 16 settembre 2005 venne arrestato il boss dei boss Paolo Di Lauro. Ancora qualche delitto e poi la tregua, tutto in pochi giorni. Sipario su Scampia.
Oggi: Lucia (il nome è di fantasia per motivi facilmente comprensibili) è nel suo piccolo appartamento di fronte al «blocco H». Tormenta con le mani un blister di psicofarmaci e racconta la sua vita quotidiana che gira intorno a un figlio «addormentato» da salvare: «È molto peggio di prima. Adesso ci sono i ragazzini che fanno i capi. Vogliono fare paura, e ci riescono bene». Scampia ha il record italiano per consumo pro capite di psicofarmaci, dicono al Presidio sanitario locale. Lucia è una donna di 45 anni, suo figlio Mauro (nome di fantasia) ne ha tredici. Racconta: «È amico di altri ragazzi che sono figli di "quelli". A loro, i padri hanno regalato computer e telefonini con video, e anche quelle macchine che si possono guidare senza patente. Mauro mi chiede perché io non posso averli? "Quelli" glieli regalano, lui torna a casa tutto contento. Gli danno dei soldi, pure, per vestiti alla moda e motorino. Un giorno smettono e gli chiedono di cominciare a guadagnarseli ». Il resto della storia sta in Mauro che è appena uscito dal carcere minorile e sta nascosto, mentre Lucia si aggira per le stanze dove l’altro giorno sono arrivati con mazza da baseball e due spranghe a spaccare tutto, perché il ragazzo non ha saldato i suoi debiti. «Io gli sto sempre addosso, ma lui ha occhi per vedere. E vede che qui comandano soltanto "loro", loro hanno i soldi, loro decidono a chi darli, lo Stato qui sono loro». A Secondigliano e Scampia, dati della Cgil locale, tre abitanti su quattro non fanno nulla, una percentuale superiore del 30 per cento a quella dell’intera Campania, l’unica regione nella quale il tasso di occupazione non è salito, anzi, è leggermente sceso, dal 44 al 43% nel primo trimestre 2006.
I due cortili del «blocco H» di Scampia sono un supermercato della droga all’aperto e all’ingrosso. I palazzi con le grate servono al piccolo spaccio, qui si entra dal primo spiazzo di cemento e si esce con l’auto dall’altro, senza mai scendere. Fanno tutto «loro». Una notte soltanto a Scampia e la mappa dei palazzi dove si vende la droga assume contorni netti e precisi. Tutti sanno. Una notte soltanto a Scampia e non si vede un’auto della Polizia in giro. Eppure tutti sanno. Ogni tanto, quando l’attenzione dei media si alza, c’è qualche prudente arresto, ma ai margini del rione. Finito il bagno di sangue, il «Sistema» è tornato fare ciò che faceva anche in quei giorni ad alta sorveglianza. Presidia un territorio che sente suo e che gli serve come roccaforte italiana del traffico di droga, condiziona ogni singolo movimento delle persone che ci vivono. Nel «blocco H» e nelle famose «Vele» paga gli inquilini, interi palazzi comprati per essere vedette, magazzinieri, ausiliari, in una parola: complici. A Scampia lo Stato è arrivato, ha guardato e se n’è andato, dice amaro Giovanni Corona, il magistrato che arrestò Paolo Di Lauro. «Continua a non esserci nulla. Serve la prevenzione, ma sui nascituri, perché chi ha oggi 5-6 anni è già perso ».
Applicato a Napoli, il genere apocalittico e ultrapessimista trova sempre terreno fertile. Ma l’ottimismo è ormai merce rara anche in chi per mestiere deve coltivare la speranza, come don Fabrizio Valletti, gesuita sessantenne che guida la parrocchia di Santa Maria, in via Ghisleri, nel cuore di Scampia. L’unica chiesa in Italia che sembra un bunker, con la porta blindata e le gabbie di ferro per tenere lontano gli indesiderati. Qualcosa a Scampia c’è: una rete di volontariato che produce piccole cose buone come il centro di formazione per il lavoro e la cultura «Hurtado» dei gesuiti. Don Valletti le chiama «piccole palme nel deserto», ma aggiunge di non credere che sortiranno un effetto: «Qui manca tutto, compresa la libertà individuale. La gente non è padrona della propria vita, in un anno la situazione è peggiorata. Al Sistema camorristico andrebbe opposto un altro sistema, quello dello Stato. Che alternativa diamoa ragazzi che sanno di poter scegliere soldi facili e sporchi? Nessuna». Non ci sono locali, non ci sono cinema, le distanze sono enormi, almeno mezz’ora per raggiungere la stazione delmetrò. Ma se cedi la vita ai clan, puoi accomodarti in uno dei tanti circoli privati costruiti abusivamente dai clan: piscine riscaldate, solarium, sale multivision e stanze da biliardo. Ne hanno sequestrato uno quattro giorni fa.
Il religioso chiede scusa del suo umore nero. È che ha avuto una cattiva giornata. Marito e moglie sono corsi in chiesa a chiamarlo. Nel palazzo dove vivono, i guardiani hanno fiutato un allarme. Come sempre in questi casi, hanno chiuso i cancelli. Chi è dentro ci rimane, chi è fuori pure, fino a nuovo ordine. Il figlio piccolo della coppia era rimasto in cortile, da solo. La donna ha chiamato i pompieri per tagliare i lucchetti. Sono gesti di ribellione che si pagano. Il padre si è nascosto in chiesa. Dice don Valletti che è brutto vedere un uomo piangere di paura. Anche se a Scampia capita spesso.
Enzo d’Errico
Marco Imarisio
18 settembre 2006
NAPOLI — Lo svedese non lascia passare nessuno. Lo svedese fa il suo lavoro di guardiano, si alza dal secchio sul quale è seduto in via Gerusalemme Liberata, angolo via Miracolo a Milano. «Voi qui dentro non potete entrare, è meglio se ve andate subito », intimamentre perquisisce con lo sguardo l’interno dell’auto, come fosse un carabiniere. È il suo collega sull’altro lato della strada che lo chiama «svedese», sarà perché è biondo, alto e smilzo. È inutile dirgli cosa stai cercando. È inutile insistere, perché lo svedese—vent’anni al massimo—alza la felpa blu per mostrare il «ferro» e ripetere che da qui non si passa.
Qui è Terzo mondo, nel senso del rione che fa da cerniera tra Secondigliano e Scampia. È sabato sera, ore 21.30, a Napoli e nel resto d’Italia la gente esce per strada, cammina, entra nei bar. Tra questi palazzacci grigi non si può. Le strade non sono di tutti. Solo di alcuni. A ogni incrocio c’è un guardiano e una macchina parcheggiata di traverso, per costringere chi arriva a rallentare, fermarsi. Andarsene via non basta, c’è sempre un’altra auto che ti segue fino ai bordi di Secondigliano, finché non sei fuori, lontano dalle case dei boss e dal mercato che devono proteggere.
A parte «loro» non c’è nessuno sui marciapiedi. Soltanto un gruppo di ragazzi in coda davanti a un’inferriata a maglie strette che delimita il perimetro di un altro edificio in via Gerusalemme Liberata. Aspettano il loro turno per la «pallina», l’equivalente di un grammo di cocaina, che da queste parti ha il prezzo più basso dell’universo, 10-12 euro a dose. Il meccanismo è semplice e collaudato: dall’altra parte del cancello lo spacciatore prende i soldi, si allontana di poco per farsi passare la coca attraverso una finestra, anch’essa chiusa con una grata, e poi la porta al ragazzo che aspetta. Il percorso con la droga in mano è di una decina di metri, in territorio protetto, al chiuso. Se arriva un’auto sospetta, si sbarra il cancello esterno e ci si nasconde con calma nella pancia del palazzo.
Senza parlare di cocaina non si può raccontare quel che succede a Napoli. E la cocaina che arriva fin nei quartieri del centro parte sempre e ancora da Scampia, da questi palazzi.
Un anno fa: 57 morti in due mesi, il risultato del Vietnam scoppiato tra il clan dei Di Lauro e gli «scissionisti ». Teste tagliate, madri uccise, corpi scempiati dalle torture prima del colpo di grazia. Il «lasciamo che si ammazzino tra loro », sentimento molto diffuso tra cittadini e forze dell’ordine, si mischiò allo stupore per tanta atrocità. Scampia e Secondigliano finirono molto in alto nei notiziari della sera, arrivarono tanti poliziotti e promesse di ogni genere. Il 16 settembre 2005 venne arrestato il boss dei boss Paolo Di Lauro. Ancora qualche delitto e poi la tregua, tutto in pochi giorni. Sipario su Scampia.
Oggi: Lucia (il nome è di fantasia per motivi facilmente comprensibili) è nel suo piccolo appartamento di fronte al «blocco H». Tormenta con le mani un blister di psicofarmaci e racconta la sua vita quotidiana che gira intorno a un figlio «addormentato» da salvare: «È molto peggio di prima. Adesso ci sono i ragazzini che fanno i capi. Vogliono fare paura, e ci riescono bene». Scampia ha il record italiano per consumo pro capite di psicofarmaci, dicono al Presidio sanitario locale. Lucia è una donna di 45 anni, suo figlio Mauro (nome di fantasia) ne ha tredici. Racconta: «È amico di altri ragazzi che sono figli di "quelli". A loro, i padri hanno regalato computer e telefonini con video, e anche quelle macchine che si possono guidare senza patente. Mauro mi chiede perché io non posso averli? "Quelli" glieli regalano, lui torna a casa tutto contento. Gli danno dei soldi, pure, per vestiti alla moda e motorino. Un giorno smettono e gli chiedono di cominciare a guadagnarseli ». Il resto della storia sta in Mauro che è appena uscito dal carcere minorile e sta nascosto, mentre Lucia si aggira per le stanze dove l’altro giorno sono arrivati con mazza da baseball e due spranghe a spaccare tutto, perché il ragazzo non ha saldato i suoi debiti. «Io gli sto sempre addosso, ma lui ha occhi per vedere. E vede che qui comandano soltanto "loro", loro hanno i soldi, loro decidono a chi darli, lo Stato qui sono loro». A Secondigliano e Scampia, dati della Cgil locale, tre abitanti su quattro non fanno nulla, una percentuale superiore del 30 per cento a quella dell’intera Campania, l’unica regione nella quale il tasso di occupazione non è salito, anzi, è leggermente sceso, dal 44 al 43% nel primo trimestre 2006.
I due cortili del «blocco H» di Scampia sono un supermercato della droga all’aperto e all’ingrosso. I palazzi con le grate servono al piccolo spaccio, qui si entra dal primo spiazzo di cemento e si esce con l’auto dall’altro, senza mai scendere. Fanno tutto «loro». Una notte soltanto a Scampia e la mappa dei palazzi dove si vende la droga assume contorni netti e precisi. Tutti sanno. Una notte soltanto a Scampia e non si vede un’auto della Polizia in giro. Eppure tutti sanno. Ogni tanto, quando l’attenzione dei media si alza, c’è qualche prudente arresto, ma ai margini del rione. Finito il bagno di sangue, il «Sistema» è tornato fare ciò che faceva anche in quei giorni ad alta sorveglianza. Presidia un territorio che sente suo e che gli serve come roccaforte italiana del traffico di droga, condiziona ogni singolo movimento delle persone che ci vivono. Nel «blocco H» e nelle famose «Vele» paga gli inquilini, interi palazzi comprati per essere vedette, magazzinieri, ausiliari, in una parola: complici. A Scampia lo Stato è arrivato, ha guardato e se n’è andato, dice amaro Giovanni Corona, il magistrato che arrestò Paolo Di Lauro. «Continua a non esserci nulla. Serve la prevenzione, ma sui nascituri, perché chi ha oggi 5-6 anni è già perso ».
Applicato a Napoli, il genere apocalittico e ultrapessimista trova sempre terreno fertile. Ma l’ottimismo è ormai merce rara anche in chi per mestiere deve coltivare la speranza, come don Fabrizio Valletti, gesuita sessantenne che guida la parrocchia di Santa Maria, in via Ghisleri, nel cuore di Scampia. L’unica chiesa in Italia che sembra un bunker, con la porta blindata e le gabbie di ferro per tenere lontano gli indesiderati. Qualcosa a Scampia c’è: una rete di volontariato che produce piccole cose buone come il centro di formazione per il lavoro e la cultura «Hurtado» dei gesuiti. Don Valletti le chiama «piccole palme nel deserto», ma aggiunge di non credere che sortiranno un effetto: «Qui manca tutto, compresa la libertà individuale. La gente non è padrona della propria vita, in un anno la situazione è peggiorata. Al Sistema camorristico andrebbe opposto un altro sistema, quello dello Stato. Che alternativa diamoa ragazzi che sanno di poter scegliere soldi facili e sporchi? Nessuna». Non ci sono locali, non ci sono cinema, le distanze sono enormi, almeno mezz’ora per raggiungere la stazione delmetrò. Ma se cedi la vita ai clan, puoi accomodarti in uno dei tanti circoli privati costruiti abusivamente dai clan: piscine riscaldate, solarium, sale multivision e stanze da biliardo. Ne hanno sequestrato uno quattro giorni fa.
Il religioso chiede scusa del suo umore nero. È che ha avuto una cattiva giornata. Marito e moglie sono corsi in chiesa a chiamarlo. Nel palazzo dove vivono, i guardiani hanno fiutato un allarme. Come sempre in questi casi, hanno chiuso i cancelli. Chi è dentro ci rimane, chi è fuori pure, fino a nuovo ordine. Il figlio piccolo della coppia era rimasto in cortile, da solo. La donna ha chiamato i pompieri per tagliare i lucchetti. Sono gesti di ribellione che si pagano. Il padre si è nascosto in chiesa. Dice don Valletti che è brutto vedere un uomo piangere di paura. Anche se a Scampia capita spesso.
Enzo d’Errico
Marco Imarisio
18 settembre 2006