LE BARCHE NEL PORTO SONO AL SICURO, MA NON PER QUESTO SONO STATE COSTRUITE

Roma - «Nessuna Costituzione può impedire all'Italia di uscire dall'Europa, come prevede l'articolo 50 del Trattato fondativo dell'Ue per ogni Stato membro.
Il problema è quale strada seguire, se questa fosse la volontà popolare».

Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale ed ex ministro della Giustizia, analizza le conseguenze della Brexit e le radici dell'euroscetticismo,
rafforzato dal voto inglese, nel nostro come in altri Paesi del continente.

Professore, anche in Italia sarebbe possibile un referendum consultivo come quello della Gran Bretagna?

«Si potrebbe ripercorrere la strada dell''89 con una legge costituzionale per indire un referendum che allora fu per rafforzare la nostra presenza nell'Ue e ora sarebbe per uscirne.
In realtà la Costituzione oggi vigente non impedisce esplicitamente di seguire la via di una legge ordinaria per un referendum».

Cambia qualcosa con la legge Boschi?

«La riforma costituzionale ha cercato di allargare l'uso dello strumento referendario, introducendo appunto il referendum consultivo, mentre era previsto solo quello abrogativo,
dalle cui materie sono esclusi i trattati internazionali (articolo 75).
Per un referendum sul Sì o No all'Europa ci vorrebbe quindi una legge costituzionale che non abrogherebbe trattati o leggi europei ma conterrebbe un input politico che il parlamento dovrebbe tradurre in pratica».

Lei si è schierato per il No alla riforma: se fosse bocciata, dunque, un referendum per via ordinaria sarebbe più facile?

«La mia posizione critica sulla legge Boschi è nota. Credo che un referendum consultivo sull'uscita dall'Europa si troverebbe comunque di fronte lo scoglio dell'articolo 75 e rischierebbe di essere dichiarato inammissibile dalla Consulta, proprio perché la Carta esclude il voto popolare su trattati internazionali. Il precedente dell''89 farebbe testo, ma forse la legge costituzionale non basterebbe».

Allora, quale sarebbe la via maestra?

«Una modifica della Costituzione, non preceduta da un referendum consultivo, per consentire appunto di abbandonare l'Ue.
In questo caso, sarebbe il parlamento a prendere atto della volontà popolare e tradurla in legge costituzionale, se la condivide».
 
Centrato il perchè ed il percome.....


Come spiega la Brexit e questa voglia di referendum in Europa?

«Credo che sia stato un errore portare avanti l'allargamento a 28 Paesi dell'Europa e contemporaneamente la riforma delle istituzioni europee, fissando i principi e gli equilibri cui tutti i membri dovevano uniformarsi.
Ci siamo illusi che si potesse avere una Bce senza un ministero dell'Economia europeo e una presidenza del Consiglio che determinassero le politiche dell'Unione.
Queste ultime di fatto sono state delegate soprattutto ai tecnici, tra l'altro con un eccesso di burocratizzazione e la gente si è sentita lontana.
Europa vuol dire non solo mercato, ma anche diritti: mentre la crisi greca ha messo in crisi il primo, l'immigrazione ha messo in crisi i secondi.
L'immigrazione ha svelato l'incapacità di gestire i flussi non solo come un'emergenza ma come un fenomeno strutturale, da affrontare in un quadro di rispetto dei diritti fondamentali
Così, si è esasperato il clima e si sono moltiplicate le richieste di uscita dall'Ue, di ricostituzione dei confini, di ritorno agli egoismi nazionali».

Un'Europa lontana dai cittadini, troppo invasiva nella loro vita e nella sfera di governo dei singoli Stati?

«Un'Europa dominata dalle autorità finanziarie, dalle banche centrali e dalle agenzie di rating, che impongono riforme strutturali anche in campi dove non dovrebbero entrare.
La Corte costituzionale tedesca, sul trattato di Lisbona, anche recentemente ha ricordato che le manovre della Bce non violano i trattati Ue,
ma l'identità, le competenze e le prerogative del parlamento tedesco (e quindi dei singoli parlamenti nazionali), vanno rispettate».
 
Tutti gli anti-referendum, da ieri stanno inondando le pagine dei quotidiani italiani versando litri di inchiostro contro la maggioranza di inglesi che hanno votato a favore dell'addio all'Ue.

Difensori della democrazia solo quando fa comodo a loro. Quando il "Popolo" (così l'ha chiamato Saviano) vota secondo le loro indicazioni, le loro analisi, i loro intendimenti.
Molti dei vari Severgnini e Saviano sono arrivati a dire che su cose come la brexit il "popolo non dovrebbe votare". Forse perché non è intelligente come loro.

Mentana contro gli anti-brexit

A pensare a richiamare all'ordine gli intelletò è stato però Enrico Mentana.
Il quale su Facebook ha coperto di ridicolo quanti in si sono dilettati nella delegittimazione di un voto popolare che, per quanto brutto, deve comunque essere rispettato.

"Una cosa deve essere chiara - scrive Mentana sui social - si può criticare anche aspramente Cameron che usando l'arma del referendum ha finito per esserne travolto.
Ma è proprio fuori dall'idea di democrazia criticare la scelta dell'elettorato britannico: quando si da la parola al popolo sovrano se ne accetta il responso, e si riflette.
Vista dal Regno Unito evidentemente l'Unione Europea non è così seducente. A Bruxelles e nelle altre capitali bisogna per prima cosa prendere atto.
E sapere che l'Europa o cambia o sarà archiviata da altri responsi popolari".

Ieri Roberto Saviano, per citarne uno, aveva criticato il "Popolo", colpevole di aver votato Brexit così come di aver portato Hitler al Reich.

Perché i referendum vanno bene, benissimo, quando legalizzano l'aborto, quando bloccano il nucleare, quando fanno comodo ad alcuni.

Se questi perdono, invece, fanno schifo. È questo succede quando la democrazia piace solo a parole. Ma non nella pratica.
 
:(

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