le difficoltà dei BRICS

Il futuro è dell’India. New Delhi sorpassa la Cina (e riscrive i Brics?)​

Di Gianluca Zapponini | 11/12/2023-
Economia

Il Paese guidato da Narendra Modi ormai viaggia su ritmi di crescita tra il 6 e il 7%, quasi doppi rispetto a quelli della Cina. E anche per i prossimi due anni non ci sarà gara, specialmente se Pechino non risolverà i suoi atavici problemi

Più che un Dragone, un elefante. Sono mesi che l’India ha il fiato sul collo della Cina, ormai avvitata in una crisi sia di fiducia, sia finanziaria. E alla fine, dopo svariati tentativi di sorpasso, adesso è tutto nero su bianco: New Delhi ha il passo più svelto di Pechino. Il risultato sarà una progressiva riscrittura della geografia dei Brics, fino ad oggi trainati per l’appunto da Pechino (qui l’intervista a Giulio Tremonti). I numeri raccontano una verità che a Xi Jinping non può piacere e cioè di una nazione, quella guidata da Narendra Modi, ormai al massimo dei giri e per questo in piena ascesa.

Di sicuro, la mappa della crescita mondiale sta per cambiare. Secondo un recente rapporto di Goldman Sachs, l’equilibrio del potere economico globale cambierà radicalmente nei prossimi decenni. Gli analisti ritengono che l’Asia potrebbe diventare il maggior contribuente al Pil mondiale, superando le tradizionali potenze economiche raggruppate nei mercati sviluppati, come gli Stati Uniti, il Giappone o i Paesi europei.
 
come isolare sempre di più l'eurozona; chi depositerà i suoi denari da noi? per me nessuno! Troppo rischioso essere derubati
e secondo voi gli arabi o i cinesi ci venderanno il petrolio o le loro terre rare per la cartastraccia dell'euro che in un amen la Commissione li ruba come i pirati inglesi? stanno seguendo le orme degli aschenaziti.....

L’Europa di nuovo a pesca di beni russi. La rete attorno a bond e titoli​

Di Gianluca Zapponini | 12/12/2023-
Economia
L’Europa di nuovo a pesca di beni russi. La rete attorno a bond e titoli

Tramonta l’ipotesi di tassare gli asset congelati al Cremlino, ora l’obiettivo sono i margini generati dai bond emessi dalla Banca centrale russa. Per monetizzare fino a 15 miliardi da girare all’Ucraina

L’Europa è pronta a fare suoi circa 15 miliardi di euro dagli oltre 200 miliardi di asset congelati alla Russia, all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Soldi che Bruxelles vuole girare direttamente a Kyiv, per finanziare la ricostruzione del Paese. Come raccontato nei giorni scorsi da Formiche.net, in questi giorni la Commissione europea esaminerà alcune proposte utili a monetizzare parte dei beni confiscati a Mosca.
Di tentativi, in questi quasi due anni di guerra, ce ne sono stati ma sono tutti falliti per cavilli legali.

Ora però un piano c’è e potrebbe essere quello buono. Tutto per scremare fino a 15 miliardi di euro a beneficio dell’Ucraina. L’idea sarebbe quella di agire direttamente sui depositari che detengono i titoli e bond della Banca centrale russa, i quali grazie agli interessi applicati, generano profitti. [come dire: se negli anni passati un italiano ha comperato bond russi e li ha depositati in una banca europea..... viene derubato? non così se li ha trasferiti in una banca turca]
I quali, potrebbero essere spostati su conti separati. Questa sarebbe la prima fase. Poi scatterebbe la seconda, nella quale i profitti verrebbero trasferiti direttamente nel bilancio comune dell’Ue per aiutare a sostenere l’Ucraina.
La proposta riguarderebbe solo i proventi derivanti dalle attività della Banca centrale russa e la Commissione stima che ciò genererebbe fino a 3 miliardi di euro all’anno, o 15 miliardi di euro tra il 2023 e il 2027. Le misure riguarderebbero principalmente Euroclear, un depositario con sede in Belgio che detiene circa 191 miliardi di euro di asset sovrani russi, la quota maggiore immobilizzata in Occidente.

Sembra essere così tramontata l’ipotesi di tassare gli stessi beni, come emerso nelle settimane scorse. Di sicuro, la situazione si è sbloccata, dopo mesi di tentativi a vuoto. I dubbi, fin qui emersi, ruotavano soprattutto attorno alla proposta spagnola, che mirava a una tassazione, ancora piuttosto generica, degli asset. Madrid, più nel dettaglio, aveva stimato che i profitti derivanti dalle riserve congelate della Banca centrale russa nei Paesi dell’Ue potessero generare da 15 a 17 miliardi di euro per Kyiv entro il 2027, la stessa cifra che si può ottenere con il piano poc’anzi menzionato.

Piano, quello originario, che aveva suscitato scetticismo da parte di alcuni governi, tra cui Francia e Germania, nonché da parte della stessa Banca centrale europea, che teme ancora oggi che possa causare instabilità nella valuta dell’euro. Va ricordato come nell’Ue sono stati bloccati 200 miliardi della Banca centrale russa, più 30 miliardi appartenenti agli oligarchi. La prima cosa che a chiunque verrebbe in mente di fare è confiscare brutalmente quei soldi e spedirli sul conto della banca centrale ucraina. In realtà la questione è molto più delicata per motivi legali e di stabilità finanziaria. Ma ora è tempo di riprovarci.
 
Energia Eterna gli scienziati nucleari russi hanno lanciato una reazione chiusa
Maurizio Blondet 14 Dicembre 2023

RIA Novosti​

Vladislav Strekopytov
Recentemente, nel settore dell’energia nucleare, si è verificato un evento che può essere paragonato solo alla creazione di una macchina a moto perpetuo: il quarto propulsore della centrale nucleare di Beloyarsk con il reattore a neutroni veloci BN-800 è stato completamente convertito all’innovativo combustibile MOX. In pratica, ciò significa l’inizio dell’implementazione di un ciclo chiuso del combustibile nucleare su scala industriale. Leggete le prospettive che ciò apre nell’articolo di RIA Novosti.

Reattori veloci e lenti
Il cuore di ogni centrale nucleare è il reattore nucleare. Questo è un dispositivo in cui avviene una reazione a catena controllata di fissione di nuclei pesanti. Il primo di questi dispositivi – CP-1, chiamato Chicago Pile-1 – fu costruito nel 1942 negli Stati Uniti da scienziati dell’Università di Chicago sotto la guida di Enrico Fermi. Consisteva in blocchi di grafite, tra i quali si trovavano sfere di uranio naturale e il suo biossido. I neutroni veloci che apparivano dopo la fissione dei nuclei dell’isotopo dell’uranio-235 furono rallentati dalla grafite alle energie termiche, e quindi causarono nuove fissioni.
Il primo reattore F-1 in URSS e in Europa iniziò a funzionare nel dicembre 1946 a Mosca , nel Laboratorio n. 2 dell’Accademia delle Scienze dell’URSS (ora Centro di ricerca dell’Istituto Kurchatov ). Il progetto per crearlo è stato diretto da Igor Kurchatov .
Nella fase iniziale, tutti i reattori erano sperimentali o di tipo militare, cioè progettati per produrre plutonio di tipo militare dal combustibile di uranio. Nel 1951, gli Stati Uniti tentarono per la prima volta di utilizzare il calore ottenuto nel circuito di raffreddamento di un reattore sperimentale per la produzione di energia. E nel 1954, nell’URSS fu costruita la prima centrale nucleare al mondo con una capacità di cinque megawatt: la centrale nucleare di Obninsk nella regione di Kaluga . Anche il direttore scientifico del progetto era Kurchatov e il capo progettista del reattore era Nikolai Dollezhal.
L’edificio in cui si trova il reattore della prima centrale nucleare di Obninsk al mondo. La centrale nucleare è stata disattivata nel 2002; l’edificio attualmente ospita il Museo dell’energia nucleare.

I reattori come l’SR-1, dove la fissione avviene sotto l’influenza di neutroni lenti, sono chiamati termici. E le installazioni nel cui nucleo non sono presenti moderatori di neutroni sono chiamate reattori a neutroni veloci. La stragrande maggioranza delle centrali nucleari nel mondo oggi utilizza reattori del primo tipo.
“Fin dall’inizio, i padri fondatori hanno capito che i reattori “veloci”, in cui i neutroni provocano immediatamente una fissione ripetuta, hanno i loro vantaggi. E il principale è la capacità di produrre nuovo combustibile”, afferma il vicedirettore dell’Istituto di fisica nucleare e Tecnologia dell’Università Nazionale di Ricerca Nucleare MEPhI Dottore in Scienze Fisiche e Matematiche Georgy Tikhomirov – Ci furono tentativi di costruire dispositivi di questo tipo, ma negli anni ’50 e ’60, l’energia nucleare si mosse lungo il percorso dello sviluppo di reattori a neutroni termici: sono più facili da produrre, sono più economici, sono più facili da controllare. Tuttavia, i reattori a neutroni veloci non sono mai stati dimenticati. In URSS, hanno creato una catena di prototipi a bassa potenza, che in seguito è culminata nella costruzione dei reattori della serie BN: BN -350, BN-600 e poi BN-800. Progetti simili furono realizzati negli USA, Francia, Germania, Giappone, ma lì non andarono avanti per vari motivi, soprattutto economici: sono molti gli elementi che portano all’aumento dei prezzi dell’energia, ma c’erano anche difficoltà tecnologiche: noi le abbiamo superate e abbiamo creato dispositivi affidabili e potenti. Ora altri paesi stanno imparando dalla nostra esperienza: reattori simili vengono costruiti in Cina e India”.

Una risorsa inesauribile

Solo un isotopo naturale può effettuare efficacemente la fissione interagendo con i neutroni: l’uranio-235. Ce n’è pochissimo nel minerale di uranio – circa lo 0,7%, e le sue riserve adatte per un’estrazione economicamente efficiente sono limitate. Pertanto, gli scienziati sono alla ricerca di modi per creare isotopi artificiali che supportino la reazione a catena. Il più promettente è il plutonio-239. Si forma nello stesso reattore della centrale nucleare quando un neutrone viene catturato dall’uranio-238, che costituisce la maggior parte del combustibile dell’uranio.
Il combustibile nucleare esaurito contiene circa l’1% di uranio-235 (residuo incombusto) e circa la stessa quantità di plutonio appena formato. Il riutilizzo di questi isotopi, anche nello schema classico con reattori a neutroni termici, consentirebbe, secondo gli scienziati, di risparmiare fino al 30% di uranio.
Quando i reattori a neutroni veloci saranno inclusi nello schema, sarà teoricamente possibile creare un processo in cui il materiale fissile prodotto artificialmente coprirà completamente le esigenze delle centrali nucleari e la necessità di estrarre l’uranio scomparirà, se non per sempre, almeno per molti. anni. I fisici lo chiamano ciclo del carburante chiuso.
Cicli del combustibile dell'energia nucleare

© Infografica

“L’AIEA pubblica regolarmente rapporti dai quali risulta chiaro che i reattori termici esistenti possono funzionare per circa 150 anni utilizzando le riserve di uranio esistenti. Cioè, non possiamo parlare di sviluppo su larga scala in questa direzione. E se chiudiamo il ciclo del combustibile nucleare, se impariamo a riciclare il combustibile nucleare e a riutilizzarlo, la questione delle materie prime per l’energia nucleare sarà risolta per le prossime migliaia di anni”.
L’essenza dell’idea è che nei reattori a neutroni veloci il fattore di riproduzione del materiale fissile è maggiore di uno.

 
Se dovessi spiegare a una classe di studenti cosa siano i Brics, quali le conseguenze della loro collaborazione e del loro sempre crescente ampliamento, utilizzerei questo grafico

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Se invece dovessi spiegare alla medesima classe il significato di sanzioni europee, utilizzerei quest’altro grafico.

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E sapete quale sarebbe la parte divertente? A differenza soltanto di un mesetto fa, quasi nessuno mi taccerebbe di propaganda filo-russa. Persino uno come Massimo Giannini ha ammesso che l’economia russa ha dimostrato una resilienza che nessuno si attendeva.
Traduzione simultanea, game over. La narrativa è cambiata.
Certo, ora Volodymr Zelensky si è recato alla Casa Bianca e ha permesso a Joe Biden di rinviare un pochino l’ammissione dell’ovvio. Ma la realtà è questa. Gli Usa hanno guadagnato tutta la quota di mercato Ue persa dalla Russia con le sanzioni, l’Europa ha dovuto affrontare costi altissimi e rischiose operazioni di re-shoring diplomatico fra Stati Uniti, Africa e Golfo. Mentre la Russia ha semplicemente rimpiazzato l’Ue con Cina e India. E il surplus vola. Soldi per la guerra. Che l’Ucraina rischia di non avere più, invece.

Certo, relegare i Brics a club da Terzo Mondo è molto chic. La Cina? Un gigantesco retrobottega in cui si produce chincaglieria. L’India? Un Paese di mendicanti, ancorché mistico e affascinante. La Russia, poi, è il moderno impero del Male, peggio della vecchia Urss. Peccato che al club da Terzo Mondo da gennaio si uniranno Brasile e Arabia Saudita. Certo, uscirà l’Argentina. Paese in cui non c’è più un soldo, come ha ammesso pubblicamente il neo-presidente nel suo discorso di insediamento. A occhio e croce, i Brics ci guadagnano. E non poco.
 
CHE strano pensavo che la guerra contro lo Yemen fosse combattuta per gli interessi dell?a'Arabia Saudita e adesso salta fuori che la guerra la vogliono i soliti guerrafondai americani aschenaziti che come al solito utilizzano un linguaggio orwelliano

Ryad ha detto no agli USA​

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Tra i paesi che seguiranno ubbidienti il padrone ameriCano nelle avventure contro gli Houthi: Regno Unito, Bahrein, Canada, Francia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Seychelles e Spagna.
Con quali armi, Crosetto? Le abbiamo date tutte all’Ucraina dove sono state distrutte. Con quali combustibili ?

In Medio Oriente l’Egemone non fa più paura​

La risposta degli Houti:..
Mohammed al-Houthi: “L’America ha ripetutamente cercato una comunicazione diretta con la Repubblica dello Yemen a Sana’a, ma questa è stata respinta. Non siamo onorati di comunicare direttamente con gli assassini dei bambini dello Yemen e di Gaza
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Prima reazione dello Yemen alla creazione di una nuova coalizione anti-Houthi:
“Attraverso i vostri errori scoprirete cosa può fare lo Yemen.
Lo Yemen dispone di missili balistici a lungo raggio che potrebbero spazzare via il Bahrein dalla faccia della terra in un istante”.
Dalla Siria: ASSAD: “La cosa più terrificante per Israele è che il mondo conosce la sua realtà terroristica, quindi la battaglia di oggi è la battaglia della verità. Il prezzo della resistenza è inferiore al prezzo della resa, e la resistenza oggi difende tutti i paesi arabi e difende la Siria anche.”
Il Pentagono non è la più grande forza militare al mondo. E’ solo il più obeso




Il Pentagono : una frode da trilioni di dollari​

Scritto da Scott Ritter,
Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha fallito il suo sesto audit annuale consecutivo, ma il denaro dei contribuenti continuerà a finire in quel canale.
Recentemente, il Pentagono ha ammesso di non poter rendere conto di trilioni di dollari di denaro dei contribuenti statunitensi, avendo fallito un massiccio audit annuale per il sesto anno consecutivo.
Il processo consisteva in 29 audit secondari dei vari servizi del Dipartimento della Difesa e solo sette sono stati superati quest’anno, senza alcun miglioramento rispetto all’ultimo. Questi audit hanno iniziato ad avere luogo solo nel 2017 , il che significa che il Pentagono non ne ha mai superato uno con successo.
Il fallimento di quest’anno ha fatto notizia, è stato commentato brevemente dai media mainstream, e poi altrettanto velocemente dimenticato da una società americana abituata a riversare denaro nel buco nero della spesa per la difesa.
Il bilancio della difesa degli Stati Uniti è grottescamente elevato, i suoi 877 miliardi di dollari fanno impallidire gli 849 miliardi di dollari spesi dalle prossime dieci nazioni con le maggiori spese per la difesa. Eppure, il Pentagono non può rappresentano pienamente i 3,8 trilioni di dollari in attività e i 4 trilioni di dollari in passività accumulati a spese dei contribuenti statunitensi, apparentemente in difesa degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Mentre l’amministrazione Biden chiede 886 miliardi di dollari per il bilancio della difesa del prossimo anno (e il Congresso sembra pronto ad aggiungere altri 80 miliardi di dollari a tale importo), l’apparente indifferenza del collettivo americano – governo, media e pubblico – di fronte a quanto quasi 1 trilione di dollari in denaro dei contribuenti i dollari che verranno spesi la dicono lunga sulla natura complessivamente fallimentare dell’establishment americano.
Gli audit, tuttavia, sono un trucco da contabile, una serie di numeri su un registro che, per la persona media, non corrispondono alla realtà. Gli americani si sono abituati a vedere grandi numeri quando si tratta di spesa per la difesa e, di conseguenza, anche noi ci aspettiamo grandi cose dai nostri militari. Ma il fatto è che l’establishment della difesa statunitense somiglia sempre più fisicamente ai numeri sui libri mastri che i contabili hanno cercato di far quadrare – semplicemente i conti non tornano.
Nonostante abbia speso circa 2,3 trilioni di dollari per una disavventura militare ventennale in Afghanistan, il popolo americano ha assistito in diretta televisiva all’ignominiosa ritirata da quella nazione nell’agosto 2021. Allo stesso modo, un investimento di 758 miliardi di dollari nell’invasione del 2003 e nella successiva occupazione decennale dell’Iraq è andato a sud quando gli Stati Uniti sono stati costretti a ritirarsi nel 2011 – per poi tornare nel 2014 per un altro decennio di caccia all’Isis, di per sé una manifestazione dei fallimenti dell’impresa irachena originaria. Nel complesso, gli Stati Uniti hanno speso più di 1,8 trilioni di dollari per il loro incubo ventennale in Iraq e Siria.
Questi numeri sono incredibilmente grandi, così grandi da diventare privi di significato per la persona media. L’impresa di difesa statunitense è così massiccia che è letteralmente una missione impossibile parlare di pareggio dei conti. Il popolo americano potrebbe essere disposto a scrollarsi di dosso uno o due errori contabili. Ma il bilancio della difesa equivale alla potenza militare americana e alla percezione del valore nazionale che si traducono in nozioni di eccezionalismo americano.
Il nocciolo della questione è che il nostro approccio sprezzante alla spesa per la difesa ha portato a frodi su vasta scala. Al popolo americano è stata venduta una lista di beni: un esercito in grado di proiettare il potere in tutto il mondo per sostenere il cosiddetto “ordine internazionale basato su regole” su cui è stata premessa la nozione di eccezionalismo americano. A quanto pare, l’esercito americano è vuoto quanto i numeri sui registri del Pentagono. Il popolo americano ha acquistato un apparato incapace di combattere e vincere una grande guerra contro qualsiasi potenziale avversario schierato contro di esso. Non siamo riusciti a sconfiggere Al Qaeda, ISIS e i talebani. E non siamo in grado di sconfiggere né la Cina né la Russia, per non parlare di potenze regionali come la Corea del Nord e l’Iran. Eppure continueremo semplicemente a investire, in modo apparentemente incondizionato, in questa impresa, aspettandoci in qualche modo che un sistema che non può superare un audit produca in qualche modo magicamente un risultato diverso nonostante il fatto che noi, il popolo americano, non stiamo facendo nulla per chiedere un risultato del genere.
In breve, il budget della difesa è l’equivalente del “pay-to-play,” in cui il popolo americano paga il governo degli Stati Uniti per produrre i risultati necessari a sostenere il loro esagerato senso di autostima.
Noi americani siamo così abituati a essere i più grandi e cattivi prepotenti sulla scena globale che presumiamo che semplicemente versando denaro in un sistema che ha prodotto i risultati desiderati per più di settant’anni potremmo far continuare i bei tempi.
Ma quando assegni denaro a un sistema che è stato lasciato condizionato per funzionare senza responsabilità, non sorprenderti quando la scintillante villa sulla collina che pensavi di acquistare si rivela poco più che un castello di carte.

Posted in I pezzi miei
 
L’impero americano accolla a noi europei sempre più le spese per mantenere la sua espansione declinante

Comunque, almeno, la UE è riuscita a isolare Putin:​

L’ Arabia Saudita entra ufficialmente nella piattaforma dei BRICS,che ora comprende i maggiori esportatori di petrolio. Anche L’Iran è diventato ufficialmente membro del gruppo delle economie emergenti #Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). Con l’Iran anche Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Etiopia ed Egitto. Contemporaneamente, la #Russia ha assunto la presidenza pro-tempore
Si registra un boom sorprendente nelle esportazioni europee di automobili e camion verso gli Emirati Arabi Uniti. Tranne – ovviamente – il fatto che questo boom è iniziato subito dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina. Non è necessario essere uno scienziato missilistico per sapere che questa roba andrà in Russia. L’UE non fa nulla… L’unico modo per impedire alla Russia di acquistare beni, data la dispersione del commercio globale, è impedire alla Russia di guadagnare così tanto denaro dalle esportazioni di energia. Ecco perché il tetto massimo del prezzo del petrolio del G7 è l’approccio giusto. Tagliare il flusso di denaro…
Qui c’è costui, Goldman Sachs e Fondo Monetario, che si lamenta pure:
Si registra un boom sorprendente nelle esportazioni europee di automobili e camion verso gli Emirati Arabi Uniti. Tranne – ovviamente – il fatto che questo boom è iniziato subito dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina. Non è necessario essere uno scienziato missilistico per sapere che questa roba andrà in Russia. L’UE non fa nulla...
 

L’alternativa russa allo SWIFT funziona collega 20 paesi.​

L’alternativa russa allo SWIFT funziona​

Maurizio Blondet 26 Gennaio 2024

collega 20 paesi.​

Quando nel 2022 l’Occidente ( e in prima fila la UE con la più grave delle sue sanzioni”) tagliò la Russia da sistema SWIFT – la piattaforma di messaggistica con sede in Belgio che connette migliaia di istituzioni finanziare di tutto il mondo per i trasferimenti di denaro online – contavano di aver inflitto un danno decisivo all’economia russa; le carte di credito russe per esempio non funzionavano…
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Un periodo di difficoltà ha dovuto certo essrsi prodotto inizialmente. Ma va ricordato che la Banca di Russia aveva lanciato il sistema SPFS già nel 2014. La decisione è stata presa di fronte alle minacce – già ventilata allora – di disconnettere Mosca dalla rete SWIFT in seguito all’annessione della Crimea, che è stata la risposta russa al colpo di stato orchestrato dagli Stati Uniti (Maidan, ricordate? La sottosegretaria di Satto VictoRia Nuland (Nudelman in Kagan) Spiegò al Congresso che aveva speso 4 miliardi di dollari per finanziare il golpe antirusso).
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il sistema di pagamento internazionale SPFS
, l’analogo russo di SWIFT, è ora disponibile in venti paesi., dove viene accettato normalmente
L’analogo russo della rete SWIFT conta attualmente 557 partecipanti, secondo il primo vice governatore della banca centrale russa Vladimir Chistyukhin.
In totale sono 557 le banche e le imprese che hanno stabilito collegamenti con il sistema, di cui 159 estere. A parte queste cifre, sono disponibili poche informazioni. La banca centrale russa non comunica i volumi.

Fra i 20, vanno sicuramente annoverati Cina, India, Emirati Arabi Uniti, Turchia e Singapore, bollati dall’Occidente come “paesi lavanderie di denaro” perché improvvisamente hanno aumentato le importazioni di petrolio russo dopo l’invasione dell’Ucraina, contemporaneamente aumentando le esportazioni di prodotti raffinati verso i “paesi con price cap” che hanno sanzionato il petrolio russo, tra cui Unione Europea, Australia, Giappone, Regno Unito, Canada e Stati Uniti. Stranamente, l’UE è stata il maggiore importatore di questi prodotti raffinati, seguita dall’Australia. E la maggior parte dei prodotti riciclati viaggia su navi europee.

Va segnalata la crescita anche dell omologo cinese – il CIPS (China International Payment System) – Il sistema di pagamento internazionale della Cina conta 1.484 banche partecipanti, di cui 139 direttamente, situate in 113 paesi e regioni di tutto il mondo.
Nel 2023, il CIPS ha facilitato transazioni per 123 trilioni di yuan. Ciò equivale a 17,2 trilioni di dollari.

Lo si confronti con la rete SWIFT il cui volume annuale di transazioni è di circa 150.000 miliardi di dollari. Più di 11.000 istituti finanziari in più di 200 paesi e regioni utilizzano SWIFT.

I partecipanti che interagiscono direttamente con l’SFPS russo pagano una commissione fissa di 0,8-1,0 RUB (meno di 0,02 dollari) per messaggio.
Il Ministro degli Affari Esteri ha dichiarato giovedì che “l’ambizione della Russia è chiara: sradicare ogni dipendenza dai meccanismi finanziari, bancari e logistici controllati o influenzati dai nostri colleghi occidentali”.
A dicembre Putin si è rallegrato del fatto che le transazioni internazionali in valute nazionali stessero sempre più sostituendo il dollaro, arrivando al punto di descrivere il sistema finanziario occidentale come “tecnologicamente obsoleto”.

fonte: Azione Transnazionale

L'alternativa russa allo SWIFT funziona
Immagine fuori testo (o forse no)
 
Perché ci odiano di Marco Travaglio Da quando la Nato e i suoi trombettieri decisero che Putin aveva le ore contate perché stava per morire, o era già morto (i famosi sosia), o era in default, o stava per essere destituito, o aveva perso la guerra in Ucraina, l’autocrate russo non è mai parso così saldo, mentre quasi tutti i capi di governo che lo davano per finito sono caduti come birilli: Draghi, Johnson, Truss, Rutte, Sanna Marin, Morawiecki, Ódor, e i superstiti Biden, Scholz e Macron non se la passano granché bene.
Da quando l’Impero del Bene occidentale ha annunciato di avere isolato l’Impero del Male russo-cinese e si prepara alla terza guerra mondiale per sbaragliarlo, Mosca e Pechino non hanno mai avuto tanti amici dal crollo del Muro di Berlino.

I Brics si allargano sempre di più e progettano una nuova moneta contro il dollaro. E ora, grazie ai crimini di Netanyahu e ai balbettii di Biden e della presunta Europa, l’Iran aumenta la sua influenza e il Mar Rosso è preda dei pirati Houthi, che si divertono pure a esibire i loro fotomodelli sulla stampa occidentale guadagnando simpatie, soprattutto da quando l’astuto Impero del Bene li rende pop in tutto l’Islam (e non solo) chiudendo gli occhi e la bocca sui crimini israeliani e bombardando lo Yemen (strepitoso il contrappasso degl’inglesi che combattono la nuova pirateria immemori di quella vecchia dei loro sir Drake e sir Morgan).

Intanto in Africa i cinesi comprano terre su terre e i russi allargano la loro influenza anche dopo la morte (presunta) di Prigozhin: a Nord l’alleanza con Haftar in Libia (dove progettano nuove basi militari), a Sud quella col Sudafrica, al Centro il patto con la Repubblica Centrafricana, a sua volta alleata con l’Uganda, e il fronte delle tre giunte golpiste anti-occidentali in Niger, Mali e Burkina Faso che han cacciato i francesi al grido di “Viva Putin”. Un odio sempre più inestinguibile contro l’Occidente si leva dal Sud e dal Centramerica, dall’Africa, dal Medio Oriente e dal resto dell’Asia e si butta fra le braccia del neocolonialismo russo e cinese. Non perché sia meglio del nostro, ma perché il nostro ha lasciato pessimi ricordi e non facciamo nulla per farli dimenticare. Anzi, perseveriamo con guerre guerreggiate ed economiche che ci rendono ancor più odiosi. Una leadership americana ed europea lungimirante si interrogherebbe sullo tsunami di odio e cambierebbe approccio per arginarlo. Invece il nostro piccolo mondo antico, sempre più isolato, declinante e spopolato, si arrocca sulla difensiva contro i “barbari” e s’illude di isolarli a suon di bombe e sanzioni. Regalando ogni giorno nuovi proseliti al nemico. Come il soldato della barzelletta: “Capitàno, ho preso dieci prigionieri!”; “Bravo, portali subito qui”; “Eh, ma non mi lasciano venire!”.
 

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