Liti su Fazio e manovra, Siniscalco lascia
dal Corriere della Sera:
Liti su Fazio e manovra, Siniscalco lascia
Il premier pensa all’interim, ma c’è l’ipotesi Tremonti. Fatale l'ultimo scontro con il governatore della Banca d'Italia
ROMA - Dissenso su «quasi» tutto. Domenico Siniscalco ha rassegnato ieri le sue dimissioni da ministro dell’Economia.
Con una lettera a Silvio Berlusconi, ieri pomeriggio, dopo un lungo colloquio con il premier e il sottosegretario alla Presidenza, Gianni Letta, al quale sono seguiti in serata numerosi contatti tra i leader della maggioranza.
Attaccato dalla Lega Nord e dall’Udc per la posizione durissima presa contro il Governatore della Banca d’Italia, poi sulla Finanziaria, sempre dall’Udc e dalla Lega, il tecnico Siniscalco ha gettato la spugna.
È il secondo ministro dell’Economia a rimettere l’incarico nel corso della legislatura.
Prima di lui era successo a Giulio Tremonti, ora accreditato per la sua successione.
A meno che, come già accaduto, il ministero non sia assunto ad interim da Berlusconi. Magari con deleghe operative al viceministro Giuseppe Vegas, e un incarico di rappresentanza internazionale allo stesso Tremonti.
Le voci di dimissioni si erano rincorse per tutta la giornata, e per il vero erano state smentite in tarda serata dallo stesso Siniscalco. Tanto che aveva scelto di passare la serata fra amici a guardare in televisione la partita Roma- Parma.
Non è andata, invece, come il tecnico Siniscalco, ieri retrocesso a semplice «ragioniere» dal ministro leghista Roberto Calderoli, pensava che potesse risolversi l’ennesima bufera politica.
L’ultimo scontro con il Governatore gli è stato fatale, come lo era stato per il suo predecessore Tremonti. Forse ancor di più dell’ostilità di una parte consistente della maggioranza alla Finanziaria.
E del mancato appoggio da parte del premier, che ha vissuto quasi con fastidio molte iniziative di Siniscalco. Dalla determinazione con cui ha attaccato Fazio, per finire con la vicenda della Rai.
Resta adesso da capire se Siniscalco andrà o meno a Washington per il Fondo Monetario. Le dimissioni sono state formalizzate a Berlusconi, ma non tutto è ancora chiaro. Devono essere accettate, e c’è da considerare l’atteggiamento che potrebbe avere il Quirinale, nell’imminenza della legge finanziaria, alla cui presentazione in Parlamento mancano appena otto giorni.
Mario Sensini
22 settembre 2005
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da Repubblica:
Siniscalco: "Basta immobilismo, Tornerò a fare il professore"
ROMA - "Mi dimetto per l'assoluto immobilismo del governo. Il problema non è Fazio, ma chi è incapace di risolvere il problema. Per questo non sono amareggiato: sono scandalizzato". È sera quando Domenico Siniscalco non è più il ministro dell'Economia. Anche lui come il suo predecessore Giulio Tremonti, ha gettato la spugna dopo uno scontro istituzionale clamoroso con il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio. Ha consegnato la lettera di dimissioni a Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli, poi, a Palazzo Chigi, ha spiegato le sue ragioni a Fini e a Letta.
Hanno provato a convincerlo a ripensarci. "No, torno a Torino a fare il professore", ha replicato in un'atmosfera gelida.
Il ministro ritorna solo "tecnico", diverso dai politici con cui ha convissuto poco più di un anno. Fino a Fazio. Può finalmente sfogarsi, salutando i suoi più stretti collaboratori. "Fazio - attacca - è quel mostro istituzionale, extra-repubblicano, perché qualcuno gli permette di esserlo". È per questo che le dimissioni non sono contro Berlusconi. Ma contro l'anomalia di un sistema nel quale "nessun è in condizione di dire che il governatore non ha più la fiducia del governo".
Era quello che Siniscalco aveva chiesto al Consiglio dei ministri del 3 agosto, in piena bagarre per le intercettazioni della magistratura. Ma lì Berlusconi non c'era. Colpito da una improvvisa tonsillite... Il governo rimase zitto. E allora Siniscalco, qualche giorno dopo, scrisse la sua prima lettera (ufficiale e protocollata) al premier. Ma ancora nulla. "La verità è che sono due visioni del mondo. E questo Paese, in questo momento, ha bisogno del massimo di credibilità. Questa vicenda - davvero - ha colpito direttamente al cuore la credibilità del nostro sistema finanziario".
Lo vedremo da oggi a Washington: Raghuram Rajan, capo economista dell'Fmi, davanti a 160 Paesi, parlerà solo della perdita di reputazione dell'Italia. Non di altro, purtroppo. E a Washington, invece, ci sarà - diceva uno stretto collaboratore del ministro - "l'uomo più screditato della comunità finanziaria internazionale".
La Finanziaria c'entra poco, nella scelta di Siniscalco. Anche se c'entra. Perché l'attacco di ieri dei fazisti (dal collaudato Ivo Tarolli al new comer Roberto Calderoli) non a caso è partito proprio dalla Finanziaria, con quella strana distribuzione di Tarolli delle ipotesi tecniche della Ragioneria ai giornalisti in Parlamento.
Tutte soluzioni tecniche, tutte senza alcun vaglio politico del ministro del Tesoro. Tutte usate per attaccare il ministro. Tanto che solo poco arriverà il fuoco leghista: "La Finanziaria non va riscritta, va scritta", gridava Roberto Calderoli, ministro del Carroccio, mentre il collega Roberto Maroni andava a fare visita a Via Nazionale, uscendone soddisfatto. "Abbiamo parlato delle cose nostre, istituzionali".
"E io - ragionava Siniscalco - me ne vado per Fazio ma anche per una Finanziaria elettorale". Che lui, l'ex ministro tecnico, non avrebbe mai sottoscritto. "E poi, la Finanziaria è pronta, è scritta. Ce l'hanno tutti e chi afferma il contrario sa di dire il falso".
Ce l'ha con i fedelissimi del governatore, Siniscalco. E i silenzi dei Palazzi. "Ma come - insiste - Fazio (dice proprio così l'ex ministro pensando a Tarolli, ndr) Fazio attacca la Finanziaria e nessuno dice niente. In giro vedo solo pigmei da gran premio. E tanta ambiguità".
Siniscalco ha capito che doveva accelerare al sua scelta (aveva già detto "o io o lui") quando si stava stringendo la morsa sul suo dicastero. A Letta e Fini ha spiegato che "ogni materiale ha una prova di torsione". "Può reggere - ha insistito - ma fino ad un certo punto. E quando si rompe, si rompe. Io ho superato il punto di rottura".
Gli ha ridetto che già nella prima lettera era chiaro ciò che bisognava fare. Da una parte le pressioni dei mercati internazionali, dall'altra i silenzi dei Palazzi romani. "La seconda lettera (quella di ieri, ndr) non è negoziabile". Non c'è alternativa alle dimissioni se non farsi stritolare da qui alle elezioni. "E poi: cosa potevo negoziare? Un posto da deputato nel collegio del Piemonte Sud? No, non mi interessa. Questa è stata la mia forza da ministro del Tesoro. No - ripete anche con i suoi - torno a fare il professore a Torino. Davvero non ne potevo più: un giorno mi dicevano che erano d'accordo con me, il successivo che però non si poteva fare nulla, poi nulla, infine mi chiedevano scusa".
Siniscalco ha provato a salvare la credibilità dell'Italia, ci ha messo la sua faccia all'ultima riunione dell'Ecofin di Manchester. "Perché - dice - nei Paesi normali i governatori della banche centrali hanno 45 anni e quando arriva la telefonata del governo, scattano". Questo Paese non piace al tecnico Siniscalco. "Ho chiesto in tutti i modi di impedire i danni. Ma l'ambiguità continua. Vedo incontri, messaggi. Cose che non capisco, ma che ci sono. E allora meglio tagliare corto. No, non mi piace un Paese nel quale una grande banca straniera per venire ad investire i suoi soldi deve chiedere il permesso di Luigi Grillo. No, non ci voglio stare".