l'inferno fiscale in Italia

Il sistema fiscale ha superato ogni limite di sostenibilità?
La politica fiscale è adeguata, specialmente in questo momento di crisi?
La BCE e la Commissione Europea ci stanno dando immediato sostegno, come dovrebbe essere?
Ne parliamo con lo specialista in Diritto Tributario Fabio Ghisleri:
MA QUANTE TASSE PAGHI? Fabio Ghiselli
MA QUANTE TASSE PAGHI? Fabio Ghiselli
 
Partite IVA e precari: lo sfogo
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Da partita iva, sopravvissuta non so come, a decenni di sterminio fiscale e crollo delle vendite, voglio ringraziare, in maniera commossa, questo impareggiabile governo, per il fantastico supporto della mirabile somma di 600 € una tantum e per il rinvio del versamento F24 al 31 maggio.
Questo si che è proteggere le PMI e aiutare con forza gli autonomi! Ora si che possiamo programmare un età dell’oro, ho già prenotato barca e vacanza ai tropici, con tanto di bandiera tricolore, s’intende e chitarra per suonare l’inno.
Il fatturato è completamente a zero, ma, per pagare affitto, spesa e tutto il resto, ....
Devi pagare le rate della macchina o dei beni strumentali? C’è “sta minchia”
Devi pagare dipendenti e fornitori? Tranquillo, ricorri a “sta minchia”
L’attività è chiusa o ferma e non sai come vivere? Nessun problema, paghi con “sta minchia”.

Sono dei buoni tricolore, al centro c’è la faccia (il culo) di Conte, ai lati quella di Di Maio e di Gualtieri.
Dall’altro lato del buono ci sono invece le fattezze di Salvini, Meloni e Berlusconi, che ci ha tenuto ad esserci, prima di fuggire in esilio con la sua nuova mignot………fiamma.

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Li ringraziamo tutti sentitamente, i primi soprattutto per l’ardire di parlare di “modello Italia”, che il mondo segue con ammirazione, mentre ci elargiscono questa miseria che sa di estrema unzione, quando invece la Germania ha messo sul piatto liquidità illimitata per le proprie imprese e una immediata pioggia di 550 miliardi (venti volte più di sti scienziati).
I secondi per continuare a sparare fragnacce h 24, senza minimamente accennare alle uniche cose che ci salverebbero nell’immediato, cioè banca di Stato pubblica e il lancio definitivo nel cesso dei parametri di Maastricht.
Se il virus ha un solo lato buono, è proprio quello di rappresentare un occasione unica e irripetibile, per mandare a fare in culo austerità, parametri, euro e troika, di fronte alla catastrofe altrimenti certa.
Ma nessuno dei nostri “Prodi” la prende minimamente in considerazione.
Voi però state tranquilli, continuate a suonare, a cantare, a dire che saremo più forti di prima, proprio mentre ci stanno prendendo le misure per la bara.
Un ultimo consiglio: alle finestre non attaccate le bandiere o gli arcobaleni, attaccate le mutande.
Così quelle, forse, ve li ritroverete. Almeno eviteremo il raccapricciante spettacolo delle mani avanti e dietro.

Marco Palladino 17/3/2020
 
Partite IVA e precari: lo sfogo
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Da partita iva, sopravvissuta non so come, a decenni di sterminio fiscale e crollo delle vendite, voglio ringraziare, in maniera commossa, questo impareggiabile governo, per il fantastico supporto della mirabile somma di 600 € una tantum e per il rinvio del versamento F24 al 31 maggio.
Questo si che è proteggere le PMI e aiutare con forza gli autonomi! Ora si che possiamo programmare un età dell’oro, ho già prenotato barca e vacanza ai tropici, con tanto di bandiera tricolore, s’intende e chitarra per suonare l’inno.
Il fatturato è completamente a zero, ma, per pagare affitto, spesa e tutto il resto, ....
Devi pagare le rate della macchina o dei beni strumentali? C’è “sta minchia”
Devi pagare dipendenti e fornitori? Tranquillo, ricorri a “sta minchia”
L’attività è chiusa o ferma e non sai come vivere? Nessun problema, paghi con “sta minchia”.

Sono dei buoni tricolore, al centro c’è la faccia (il culo) di Conte, ai lati quella di Di Maio e di Gualtieri.
Dall’altro lato del buono ci sono invece le fattezze di Salvini, Meloni e Berlusconi, che ci ha tenuto ad esserci, prima di fuggire in esilio con la sua nuova mignot………fiamma.

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Li ringraziamo tutti sentitamente, i primi soprattutto per l’ardire di parlare di “modello Italia”, che il mondo segue con ammirazione, mentre ci elargiscono questa miseria che sa di estrema unzione, quando invece la Germania ha messo sul piatto liquidità illimitata per le proprie imprese e una immediata pioggia di 550 miliardi (venti volte più di sti scienziati).
I secondi per continuare a sparare fragnacce h 24, senza minimamente accennare alle uniche cose che ci salverebbero nell’immediato, cioè banca di Stato pubblica e il lancio definitivo nel cesso dei parametri di Maastricht.
Se il virus ha un solo lato buono, è proprio quello di rappresentare un occasione unica e irripetibile, per mandare a fare in culo austerità, parametri, euro e troika, di fronte alla catastrofe altrimenti certa.
Ma nessuno dei nostri “Prodi” la prende minimamente in considerazione.
Voi però state tranquilli, continuate a suonare, a cantare, a dire che saremo più forti di prima, proprio mentre ci stanno prendendo le misure per la bara.
Un ultimo consiglio: alle finestre non attaccate le bandiere o gli arcobaleni, attaccate le mutande.
Così quelle, forse, ve li ritroverete. Almeno eviteremo il raccapricciante spettacolo delle mani avanti e dietro.

Marco Palladino 17/3/2020
Buongiorno! Sono la Lega e per me il COVID19 esiste: https://legaonline.it/emergenzacovid19.
Lega - Salvini Premier > Piani e proposte > Emergenza Coronavirus
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LETTERA DI UN NEGOZIANTE/ “Se il dl Cura-Italia non cambia, le microimprese chiudono”
Il decreto “cura Italia” del governo ha adottato misure del tutto inadeguate, dice un piccolo imprenditore del settore moda. Ecco perché
21.03.2020, agg. alle 09:12
Lettera firmata
Gent.mo direttore,

allo scopo di consolidare o rivedere le convinzioni maturate in queste ore a proposito del decreto “cura Italia” del Governo, come titolare di una microimpresa con un negozio del settore moda, ho voluto consultare ancora una volta il mio commercialista sperando in chiarimenti per i quali lo avevo sollecitato già in precedenza.

La sua risposta, tra il serio e il faceto, è stata: “L’unica cosa che so è di non sapere… Sono proprio ora in una diretta streaming della durata di 6 ore con l’ordine dei commercialisti. Siamo alla seconda ora e posso dirti che nemmeno loro ci stanno capendo molto”. Ieri nel tardo pomeriggio ho telefonato al mio valente e solerte consulente del lavoro per capire se la mia impresa può accedere o meno alla cassa integrazione. La sua risposta è stata: “Scusami ma sono a pag 25 del decreto, sto cercando di capirlo, ti faccio sapere al più presto”. Sono passate più di 24 ore e ancora non mi ha chiamato; certo non per pigrizia.

Tutto ciò può dare plasticamente la misura del problema.

Ciò che so è frutto delle mie ricerche sul web, ma è evidente che non vi siano certezze. E questo è già un gran bel problema. La questione è fumosa ed ampia, difficile non debordare nella sterile polemica. Mi limiterò ad alcuni dati dal mio piccolo ma concreto osservatorio che evidentemente sfuggono ai più, sperando con ciò di contribuire ad una maggiore consapevolezza della posta in gioco.

Prendiamo un pezzo della realtà economica italiana: il settore moda, abbigliamento, calzature e accessori; a conti fatti proprio un bel settore. Proviamo a contare quanti negozi sono coinvolti solo nella nostra zona e consideriamo la totalità dei punti vendita per tutta la lunghezza dello Stivale. Ci si può fare un’idea “spannometrica” di quanto sia ampia la popolazione coinvolta. Ma questa è solo la punta dell’iceberg. Immaginiamo poi di moltiplicare il numero dei negozi per il numero dei suoi dipendenti, verrà fuori un numero assolutamente ragguardevole. Se infine esaminiamo le aziende fornitrici di tutti i negozi e lo moltiplichiamo per dipendenti e titolari, viene fuori un popolo.

Cosa sta succedendo? Accade che il Governo ritiene, magari a ragione, di dover chiudere tutte le attività non necessarie, dunque tutti i negozi del settore. Va da sé che in queste imprese non vi siano più entrate mentre non cessano le uscite. Servirebbero delle misure di sostegno. A fronte di misure per il mio settore assolutamente non adeguate alla gravità del momento, la domanda è: ma questi sanno come funziona un’impresa e nello specifico un’attività commerciale? Parrebbe proprio di no.

E allora: come opera il 99% delle attività commerciali? Dai provvedimenti non presi è evidente che si ritiene che un’impresa detenga di suo un cospicuo capitale e lo investa nell’acquisto delle merci che poi rivenderà. Non è così. L’impresa acquista le merci che paga di norma dopo 30-60-90-120 giorni. Quindi: acquista e vendendo paga fornitori, utenze, affitti, dipendenti, contributi, Iva, tasse e finanziamenti.

Cosa accade dunque se un’attività chiude per 15-30-45-60 giorni? Il rubinetto si chiude mentre il secchio rimane bucato e presto si prosciuga. Tradotto: le aziende rimangono senza liquidità, vanno in sofferenza immediata e chiudono a stretto giro. Qualcuno dopo 15 giorni, altri dopo 30, i più virtuosi dopo 3 mesi o poco più. Idea: andiamo in banca e chiediamo un finanziamento per superare il momento! Peccato che le banche stanno chiudendo i rubinetti, proprio in queste ore in cui servirebbe maggior apertura alle imprese.

Aggiungo che lo scenario, di cui sopra, accade in un momento di crisi del settore che si trascina ininterrottamente dal 2007-08 circa. Molte aziende erano già sul filo del rasoio e si reggevano a fatica.

Torniamo alle moltiplicazioni di fantasia. Quanti tra titolari e dipendenti saranno interessati al triste scenario che sembra delinearsi? Un piccolo esempio: io e i miei 3 dipendenti moltiplicato per il numero di familiari; se salta la mia impresa vanno in crisi 15 persone. Una proiezione a livello nazionale può dare la misura di quanto sia seria la situazione.

Cosa ha pensato il Governo a sostegno di un comparto così ampio e cruciale per la nostra economia?
Rinvii inutili di certe imposte e pannicelli caldi di varia natura. La comune percezione è quella di uno Stato che ci sta abbandonando a noi stessi.
È una scelta folle e irresponsabile, ma è una scelta.

Conte dà per scontato che ogni impresa abbia riserve finanziarie per pagare dipendenti e contributi pur in assenza di incassi prolungati. Egli ritiene altresì che ogni piccolo imprenditore, fra cui molti di start-up recenti, abbiano risorse proprie che consentano loro di mangiare senza incassare. Presume poi che si possa chiudere un’impresa senza giocarsi credibilità, affidabilità in banca, capitali propri, possibilità di un nuovo lavoro; come fosse il gioco del Monopoli.

Si parla di sostegno da 600 euro a circa 300mila partite Iva, in questo caso non riguarda il mio settore. E per le altre?
Autorevoli esponenti hanno ipotizzato il “click day” in cui chi prima clicca vince il sostegno, gli altri: peggio per loro.


Che dire poi rispetto alle somme complessive stanziate, 10-20 volte inferiori a quelle dei nostri partner/competitor europei?

Dare giudizi in queste ore è come sparare sulla Croce Rossa. Meglio confidare in un aggiustamento in corso d’opera.

È incredibile, infine, constatare che chi ha contribuito enormemente ad ingigantire il dramma (“non chiudiamo le frontiere, abbracciamo un cinese, l’Italia non si può fermare…”), dimostrando in maniera incontrovertibile di non averci capito nulla, sia lo stesso che ora dovrebbe tirarcene fuori con un’apertura di credito illimitata a fronte di un disastro certo e di proporzioni epiche.

Concludo ricordando che l’aver abusato #andràtuttobene è una vera sciocchezza. [è la litania simile a quella di Monti:"siamo in fondo al tunnel"]

“La speranza non è la stessa cosa dell’ottimismo. Non si tratta della convinzione che una certa cosa andrà a finire bene, ma della certezza che quella cosa ha un senso, indipendentemente da come andrà a finire (V. Havel)”. Una certezza che può venire solo da Cristo presente. Questa mi sorregge in queste ore e non vacilla nemmeno davanti agli scellerati provvedimenti del Governo.

(Giuseppe Zappasodi)
LETTERA DI UN NEGOZIANTE/ “Se il dl Cura-Italia non cambia, le microimprese chiudono”
 
braccio armato del fisco bazooka da 8 milioni di cartelle fiscali
contro italiani gia' distrutti economicamente e dal virus

 
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Spese contate due volte. Questo Redditometro non è costituzionale
13 Giugno 2021 - 17:00
Il contribuente trattato come un pollo da spennare. E c'è il problema dei ricorsi

Il redditometro che l'Agenzia delle entrate applicava prima del 2018 era una misura di fiscalismo arbitrario, che violava le norme costituzionali. Era, per usare una terminologia coniato da Einaudi, un'attuazione del principio dell'«imposta grandine». Infatti esso si basava sul principio che il redditometro del fisco vale in prima istanza. Il contribuente ha l'onere della prova contro il fisco; il rapporto di parità fra fisco e contribuente è quindi violato. Il cittadino non è sovrano, è suddito del governo: il fisco è sovrano, non l'elettore che paga le tasse, per far funzionare governo, di cui sostiene il costo, per riceverne i servizi pubblici.
Quel redditometro non ha nulla a che fare con il redditometro che io - ministro Finanze - creai nel 1983, che era invece uno strumento a tutela del contribuente, ossia l'opposto di questo. Esso si basava sul principio che la dichiarazione del contribuente, quella dei redditi, dell'Iva, dei beni patrimoniali, eccetera vale sino a prova contraria. Il fisco poteva adottare un accertamento induttivo, come con un suo redditometro, solo dopo avere dimostrato, con una analisi delle dichiarazioni dei contribuenti, che esse sono prive dei documenti richiesti, son contraddittorie, che i registri sono in disordine, eccetera.


L'articolo 53, primo comma, della Costituzione, afferma che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva». Qui «tutti» vuol dire, ovviamente «tutti quelli che beneficiano delle spese pubbliche», o «tutti gli elettori», il che è, in pratica, quasi la stessa cosa.
Se è il redditometro del fisco che prevale sulla dichiarazione del singolo contribuente, vi è una violazione dell'articolo 3 della Costituzione, in relazione all'articolo 53 primo comma. Per l'articolo 3 ognuno ha la sua personale capacità contributiva, in quanto, «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali, davanti alla legge». I cittadini, in democrazia, sono persone, non un gregge. Il redditometro da poco abrogato, data l'inversione dell'onere della prova, considerava il soggetto medio probabile non la persona. E violava il diritto alla privatezza, perché alcuni dei suoi molti parametri, frugavano nella vita personale.
I miei parametri erano 5 o 6 e tutti di pubblico dominio: come i collaboratori domestici, il possesso di automobili, di aereo mobili, di cavalli, di imbarcazioni, di immobili, di quote di società. Inoltre, io per evitare cointegrazioni fra parametri fra loro correlati, non li usavo tutti insieme. Impiegavo solo quello maggiore, ma nell'ipotesi minimale, per prudenza. Ora, il governo che ci sta liberando dal Covid, non può far rinascere il virus del fiscalismo, aggiungendo alla pressione fiscale esosa, anche questa altra stortura, ovvero tortura.
Accanto all'accertamento c'è il contenzioso tributario ossia il diritto del contribuente a far valere le sue ragioni contro quelle del fisco, con la regola che esiste da tempo e che non è stata abrogata del cosidetto solve et repete, prima devi pagare e poi ricorrere. Detto in latinarum, per darle una patina di validità teorica. Il contribuente prima paga l'imposta accertata, poi ricorre. Se l'accertamento del fisco prevale su quello del contribuente, lui deve pagare e sperare che la decisione sia veloce e a suo favore.
Non è possibile restaurare il redditometro abrogato, senza fare una riforma tributaria equa. Il contribuente non è un pollo da spennare.
 
Il ministero dell’Economia ha messo nero su bianco una proposta di riforma della riscossione coattiva per provare a scalare la montagna dell’arretrato, buona parte del quale, ammette lo stesso ministero, è ormai da considerare inesigibile. Una delle proposte è rendere maggiormente incisivi gli strumenti che sono a disposizione del Fisco, a cominciare da un uso più incisivo delle banche dati sui conti correnti per effettuare dei pignoramenti mirati ai debitori del Fisco”, scrive il “Messaggero“. Secondo il quotidiano, in un documento del ministero si parlerebbe della necessità di analizzare i conti correnti in quanto “buona parte dei pignoramenti non raggiunge alcun risultato, perché i conti correnti dei debitori sottoposti a pignoramento non sono capienti o, addirittura, non hanno un saldo attivo”. Il fisco, dunque, potrebbe effettuare un accesso massivo all’Anagrafe dei rapporti finanziari, in modo da verificare in anticipo, evitando attività manuali, quali dei soggetti iscritti a ruolo (18 milioni in tutto) siano intestatari di rapporti finanziari capienti per procedere ai conseguenti pignoramenti”.

Scandagliare i conti di tutti, dunque, per beccare i pochi che evadono e che svuotano i conti su cui lo Stato va a pignorare. “Il Fisco, insomma, vorrebbe essere autorizzato a un accesso immediato ai conti correnti di 18 milioni di debitori, per pignorare quanto dovuto per le cartelle”, conclude il giornale.


da Il Covid come Arma di Distrazione di Massa
 

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