L'inversione dei tassi di lungo periodo

Fleursdumal

फूल की बुराई
L’inversione dei tassi di lungo periodo

da www.usemlab.com

(19/07/03) L’evento più importante delle ultime quattro settimane è senza dubbio il rialzo dei tassi di interessi a lungo termine che ha colpito i titoli di stato su tutti i principali mercati mondiali. Il movimento è partito inizialmente dai titoli giapponesi per estendersi, subito dopo il tredicesimo taglio dei tassi di interesse di Alan Greenspan, al mercato americano e, in misura leggermente inferiore, anche a quello europeo (il differenziale tra il decennale USA e tedesco si è infatti ridotto dagli oltre 30 basis points fino a un minimo, toccato in settimana, di soli 2 bp).

Quella appena trascorsa è stata per il mercato dei bond una delle peggiori settimane degli ultimi anni. Era dal 1998 che sui titoli di stato americani non si assisteva a una giornata così negativa come quella vissuta il 15 luglio. Martedì, quasi facendosi beffe delle affermazioni di Greenspan (“la FED continuerà a mantenere una politica altamente accomodante fintanto che sarà necessario per raggiungere una soddisfacente ripresa economica”), i tassi di interesse di lungo termine americani hanno accelerato il proprio rialzo con perdite che per il future sul bond trentennale hanno sfiorato i 3 punti pieni. Possiamo vedere nel seguente grafico l’andamento del tasso di interesse a dieci anni durante il corso del 2003.



Rendimento del decennale americano, gennaio 2003 - oggi

La fase di ribasso dei tassi compresa tra inizio maggio a metà giugno potrebbe a questo punto rappresentare il blow off finale di un mercato toro durato circa venti anni, ovvero l’ultima temporanea aberrazione di un mercato forzato dalla mano “visibile” della banca centrale. Come avevamo visto, infatti, tra maggio e giugno si era realizzato quello strano decoupling tra mercato azionario e mercato obbligazionario, entrambi lanciati al rialzo secondo una inconsueta correlazione positiva.

Schiacciati oltremodo dalla politica monetaria della banca centrale americana, dai forti acquisti oltreoceano, e soprattutto dai ripetuti riferimenti di Alan Greenspan riguardo alle improbabili minacce deflazionistiche, i tassi a lungo termine avrebbero pertanto vissuto tra maggio e giugno la loro fase tanto esplosiva e irrazionale quanto fu l’ascesa del Nasdaq verso quota 5000.

Come è di norma per ogni picco estremo di mercato, il rimbalzo dei tassi è stato più violento del ribasso che lo aveva preceduto: nel giro di un mese (contro il mese e mezzo impiegato per scendere) i tassi sono tornati ai livelli di inizio maggio, dove per ora, incontrando una notevole resistenza, si sono arrestati. Da un minimo del 3.07% dei tassi a dieci anni, il rendimento del decennale USA è tornato poco sotto il 4% con un picco raggiunto durante la settimana del 4.08%. Un incremento complessivo di quasi un punto percentuale. E’ probabile che nelle prossime settimane si abbia una parziale correzione dell’ultimo movimento, seguita poi da una fase di ulteriore aumento dei tassi in grado di confermare la fine del lungo mercato bull dei titoli di stato.

Con i tassi a breve inchiodati dalla politica monetaria accomodante della banca centrale americana, il rialzo dei tassi di lungo periodo si è tradotto anche in un aumento dello steepening di curva. Il rapido aumento dell’inclinazione della curva dei tassi è ben visibile osservando il grafico del differenziale USA 2-10 anni:



Spread 2-10 anni dei rendimenti dei titoli di stato USA

Dopo avere speso gran parte dell’ultimo anno in un range tra i 200 e i 240 punti tale differenziale si è spinto questa settimana oltre i 240 punti, resistenza già testata diverse volte, per chiudere sopra i 250 punti, ovvero sui massimi storici dell’ultima decade. In passato avevamo ritenuto molto probabile l’eventualità che si verificasse questo fenomeno. Se infatti i tassi a breve sono strettamente guidati dalla politica monetaria della banca centrale, e rimangono inchiodati sui minimi storici dalla persistenza di una crescita economica anemica, quelli a lungo termine sono meno direttamente controllabili e soggetti, nel medio-lungo termine, alle forze di mercato. Quelle che dopo diversi mesi sembrano finalmente essersi ribellate con successo al giogo della FED.

E’ solo attraverso l’aiuto di una esplicita politica di moral suasion imperniata intorno ai timori di deflazione che Alan Greenspan è stato in grado di trascinare così in basso i rendimenti di lungo termine. Ciò è servito a garantire ai mercati finanziari quel livello di massima liquidità effettivamente sperimentata negli ultimi mesi che ha spinto al rialzo ogni genere di asset finanziario in una sorta di massiccia bolla globale della liquidità, come l’abbiamo definita. Purtroppo, tale politica, lungi dall’avere un effetto positivo sull’economia (se non esclusivamente nel breve periodo), ha avuto il risultato di spingere ancora una volta gli investitori verso decisioni di investimento estremamente pericolose, tese a cercare il massimo rendimento con il minimo riguardo verso il rischio implicito. Ovviamente non ci riferiamo solo ai flussi di capitale che hanno raggiunto i titoli di stato con le scadenze più lunghe, che come visto hanno già subito i primi inevitabili danni, ma anche a quelli che si sono riversati con la solita vecchia esuberanza verso tutta la vasta gamma di obbligazioni corporate (in particolare i junk bonds) e quelli che, dimenticando troppo facilmente la bolla scoppiata nel 2000, sono tornati a inseguire le quotazioni ancora estremamente sopravvalutate del mercato azionario.

Se tutte le bolle speculative sono destinate a scoppiare con largo danno per gli investitori che ne hanno rincorso in maniera temeraria i prezzi, questa volta, a differenza del 2000, e per gentile concessione della politica monetaria della FED, siamo di fronte a ben tre bolle di asset che rischiano di causare più danni di allora: quella obbligazionaria, quella immobiliare e sebbene (e per fortuna) non ai livelli del 2000, ancora una volta quella azionaria.

Gli operatori del mercato dei titoli di stato valutano, meglio di quanto facciano gli operatori del mercato azionario, molte variabili, tra cui le aspettative relative alla ripresa economica, quelle inflazionistiche e il rischio di credito dell’emittente. Chi pensa che il rialzo attuale dei rendimenti di lungo termine sia anticipatore, coerentemente al rialzo del mercato azionario, di una ripresa economica, molto probabilmente sta commettendo un grossolano errore. Il rialzo corrente dei tassi infatti, a nostro avviso sta finalmente segnalando un aumento del rischio implicito nei titoli di stato americano riconducibile all’elevato deficit pubblico (siamo a 455B di dollari stimati per il 2003) e all’elevato deficit delle partite correnti (quasi 500B). Esso potrebbe anche essere indicatore di ulteriore inflazione, sia quella che da diversi anni è chiaramente riscontrabile nell’aumento degli aggregati monetari e creditizi, ma anche quella, comunemente intesa come aumento generico dei prezzi al consumo, che da qualche tempo si è tornati a riscontrare nella vita di tutti i giorni, nonostante gli indici dei prezzi al consumo riescano molto abilmente a riportare il contrario.

Non solo, in un ambiente altamente speculativo, dove l’economia si mantiene in un delicato equilibrio tra recessione e crescita anemica proprio grazie all’enorme liquidità disponibile sui mercati finanziari, un rialzo dei tassi di lungo termine rischia di prosciugare parte di quella liquidità e far precipitare velocemente l’economia dalla parte della recessione. Il primo settore ad essere colpito da un rialzo dei tassi è infatti proprio quello immobiliare. Negli ultimi tre anni l'apprezzamento del valore della casa ha rappresentato per gli americani un bancomat dal quale prelevare denaro a volontà, ovviamente a fronte di nuovo debito, al fine di sostenere i propri consumi e il proprio insostenibile tenore di vita, quello standard of living che Greenspan in replica al congressman Bernard Sanders ha tenuto a sottolineare, dimenticandosi purtroppo di definirne con adeguata cura le vere fonti, ovvero l’eccessivo ricorso al debito che da un paio di decadi caratterizza pesantemente il bilancio del cittadino americano medio.

L’entità dei prossimi movimenti dei rendimenti e le ripercussioni degli stessi nel settore immobiliare saranno quindi molto interessanti da seguire. Quanto accaduto nell’ultimo mese potrebbe rivelarsi lo scoppio irreversibile della bolla del mercato obbligazionario al quale potranno facilmente seguire sia lo scoppio della bolla immobiliare che, quindi, lo scoppio della echo-bubble del mercato azionario rigonfiatasi in questi ultimi mesi. Tale evento metterà alla prova decisiva i vari inflazionisti che guidano le economie di oggi e che alla sbornia di credito degli anni novanta hanno prescritto negli ultimi tre anni una cura basata sugli stessi ingredienti (sempre eccesso di credito e di moneta). Nonostante l'euforia finanziaria degli ultimi mesi dal punto di vista economico viviamo indubbiamente in tempi sempre più interessanti benché, purtroppo, sempre più pericolosi.

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non credi ci possa essere un rimbalzo anche cospicuo del t-bond e quindi di riflesso del bund? se lasciano crollare i future e quindi lasciano alzare rialzare i tassi in questo modo si annullerebbe la politica monetaria della fed e della bce almeno in parte....
 
oggi il bund è più forte del T-bond , che sta rompendo il minimo dell'altro giorno e sta andando sotto i 111 , verso mezzogiorno mi son giocato uno spread tra i due long di Bund e short di T-bond , chiuso troppo presto , a tenerlo di più si sarebbe andati in bel gain
 
Fleursdumal ha scritto:
oggi il bund è più forte del T-bond , che sta rompendo il minimo dell'altro giorno e sta andando sotto i 111 , verso mezzogiorno mi son giocato uno spread tra i due long di Bund e short di T-bond , chiuso troppo presto , a tenerlo di più si sarebbe andati in bel gain

baaaa ho raccattato un po' di euro con il primo long...sul secondo sto pagando pegno ma ha fatto un candelozzo rosso senza senso e senza volumi....sta seguendo il t-bond mi sa......ma mi pare eccessivo come movimento e pure il t-bond deve rimbalzare......prima o poi
 
ma che è?? di nuovo correlazione con l'azionario...giu' bond giu' indici su bond su indici.....blaaa con l'azionario cosi' il t-bond ed il bund dovrebbero e dico dovrebbero rimbalzare almeno un po'....ma niente da fare....ok vado a vedere se riesco a chiudere un contrattino discretamente. l'atro mi sta tappando il loss di questo maaaaa
 
dalla sempre preziosa solita usemlab

La chiamata al bluff di Greenspan
(21/07/03) A differenza degli ultimi lunedì, la riapertura dei mercati è stata oggi molto pesante, soprattutto e ancora una volta per i titoli di stato americani. Il future sul bond trentennale ha quasi ricalcato la pessima performance di martedì scorso, con una perdita di oltre due punti e mezzo. In un balzo di quasi un quarto di punto, il tasso a dieci anni ha raggiuntoil 4.21%, che se per la media storica degli ultimi anni è ancora un livello decisamente basso tuttavia rappresenta il livello più alto del 2003. Lo spread 2-10 anni è arrivato fino ai 260 punti, sfondando il precedente massimo di 253 punti registrato la settimana scorsa e mettendo in difficoltà tutti quegli operatori che non si erano ancora sciolti dalle strategie di “carry trady” tanto profittevoli fino a un mese fa: prendere a prestito sul tratto breve della curva per investire su quello lungo.

Difficile anche per l’inflazionista più convinto del proprio futuro successo giustificare questo ennesimo rialzo dei tassi come il segnale inequivocabile della solita improbabile ripresa economica (la quarta in arrivo dal 2000). Il ribasso odierno del mercato azionario, secondo quella stessa correlazione positiva ai bond che tra maggio e la prima metà di giugno aveva spinto contemporaneamente al rialzo obbligazioni e azioni, ne è una conferma. La discesa del dollaro e la salita dell’oro la prova del nove.

Chi cerca delle spiegazioni più esaustive e ragionevoli ai movimenti dei Treasury americani deve pertanto guardare oltre lo spin positivo dei soliti noti. In questo caso, infatti, la recente azione dei tassi di interesse, confermata dall’estensione di oggi, porta con sé ben poco di positivo, se non proprio nulla.

Tra gli articoli disponibili in rete una delle migliori interpretazioni su quanto accaduto al mercato dei tassi è quella offerta, ed esposta in due articoli, da John Mauldin. Il primo articolo porta la data del 13 luglio ed è intitolato “Poker at the Federal Reserve”. Il secondo, più recente, dal titolo “The Most Unlikely Action” risale invece allo scorso 19 luglio.

Nel pezzo del 19 Mauldin scrive:

“Last week I compared this week's Greenspan testimony to the last card dealt in a Texas

Hold'Em poker game. If Greenspan did not confirm to the bond market the substance (read bluff) of recent speeches by members of the Federal Reserve, bond traders would call the bluff and rates would jump back up. He didn't and they did”.

“La scorsa settimana ho paragonato la testimonianza di Greenspan all’ultima carta giocata nel poker texano. Se Greenspan non avesse confermato al mercato dei bond la sostanza (leggi: il bluff) delle recenti dichiarazioni (sulla deflazione, ndt) dei membri della Federal Reserve, i bond trader avrebbero chiamato il bluff e il tassi sarebbero schizzati al rialzo. Greenspan non ha confermato e loro hanno chiamato il bluff.

Secondo Mauldin, cioè, l’azione dei Treasury sta dichiarando che gli operatori, dopo le parole che hanno accompagnato l’ultimo taglio dei tassi e dopo quelle pronunciate nel corso della testimonianza tenuta da Greenspan la settimana scorsa, hanno cessato di credere alle capacità della banca centrale (in realtà un bluff giocato sulla Moral Suasion) di riuscire a trattenere o a spingere ulteriormente i tassi di lungo periodo su livelli artificialmente bassi.

In altre parole, il mercato ha scoperto il bluff di Greenspan riguardo alle minacce deflazionistiche che avrebbero forzato la FED a manipolare attivamente al ribasso i tassi di lungo periodo e ha cominciato a riprezzare correttamente le conseguenze negative della attuale politica monetaria estremamente accomodante: una ripresa anemica e di breve durata accompagnata da squilibri sempre più insostenibili in termini di (per citarne solo alcuni): ampio deficit delle partite correnti, ampio deficit fiscale, eccessiva speculazione giocata sul crescente effetto leva permesso dal complesso sistema della finanza strutturata (nel quale rientra naturalmente tutto il business legato al refinancing dei mutui).

Greenspan in effetti si è fatto chiamare il bluff in maniera quasi ingenua. Forse come dice Mauldin, alla FED hanno pensato che il corrente rialzo dei tassi sarà di breve durata, modesto e comunque innocuo per l’economia. Oppure la mossa di Greenspan potrebbe effettivamente dimostrarsi come uno dei peggiori interventi verbali degli ultimi anni.

Solo il tempo sarà in grado di fare chiarezza. Nessuno è dotato di sfere di cristallo. Ma se veramente l’azione di questi ultimi giorni dimostrata dal mercato dei titoli di stato americani fosse il segnale definitivo del primo vero atto di sfiducia a Greenspan da parte del mercato, dopo anni di intoccabile reputazione come infallibile stregone dell’economia, non si potrebbe escludere entro qualche mese una destabilizzante evoluzione dei mercati simile a quella maturata nel lontano 1987. Un contesto allora per certi versi molto differente ma per altri sicuramente analogo a quello di oggi, come per l’appunto un ambiente economico ricco di pesanti squilibri (ben più gravi oggi di allora), caratterizzato dal rialzo dei tassi (sebbene oggi solo quelli di lungo periodo) e da una debolezza strutturale del dollaro.

Lo Staff
 
fleu....se puoi e vuoi questi commenti li puoi postare sul post del bund almeno riuniamo il tutto...comunque ieri sui minimi il tbond lo hanno comprato bene e non escludo il rally. stamani il bund sembra addormentato vediamo se perchè ci sono rimasti male del rimbalzo del t-bond. io vendo in area 115,63 se ci arriva vediamo
 
dan puoi farlo anche tu il copia e incolla del brano e metterlo nel post operativo :) , l'ho messo qui per formare un topic di riflessione
 

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