Articolo da condividere al 1000 per cento
Sprofondato, a Capodanno. Dopo essere stato chiuso per sicurezza.
Costo: 13 milioni.
In queste tre frasi si può racchiudere la beffa del viadotto Palermo-Agrigento, “regalo” per l’anno nuovo dell’Italia di quelli vecchi, a imperitura memoria del fatto che non bastano movimenti, annunci e buoni propositi per cambiare un paese in cui il malaffare è la drammatica realtà quotidiana.
Un paese che non ha saputo fare i conti né con la realtà né con le sfide della modernità, rimanendo ancorato a un sistema quasi feudale di regalie e favori, sistema che è cresciuto come un cancro e si è fatto normalità quando normalità non era, poiché non solo illegale, ma a-politico, anti-econimico, anti-moderno.
Ma allora come ha fatto a prosperare nonostante tutto? Perché oggi ci troviamo a dover scegliere se mandare avanti aziende o freelance, non essendo in grado di supportare tutti, anche grazie a quegli evasori oggetto del contestato provvedimento “congelato” dalla maggioranza?
Perché siamo ridotti così?
Siamo ridotti così perché quel sistema lo abbiamo usato anche noi. Anche se, quando lo abbiamo fatto, a noi sembrava piccolo. Un aiuto per trovare lavoro, una via facile per la visita all’Ospedale, e via dicendo. In fondo per sopravvivere, bisognava fare così.
O forse così era più facile fare.
E anno dopo anno, favore dopo favore, il cancro è diventato così grosso che, emerso, è risultato straniante: la mafia di Roma, strade che crollano dopo 10 giorni, provvedimenti senza padre e intere generazioni costrette a combattere fra loro.
Ma noi dove eravamo?
Mentre tutto ciò accadeva, come ci ribellavamo a questo sistema?
Quando abbiamo detto “no” nella vita reale, e non solo condividendo un link indignato di Facebook?
Scandalizzarsi oggi per l’estremizzazione di cose che conoscevamo tutti, e ora sono solo diventate giganti, è quantomeno ipocrita.
E francamente simili schiaffi in faccia non solo ce li meritiamo, ma probabilmente ci servono.
Perché a Capodanno su quella strada non c’era nessuno, per fortuna.
Ma vogliamo davvero aspettare il morto per capire che questo Paese non cambierà mai se non cambiamo prima noi che ci abitiamo dentro?