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Premessa - La questione dell'abbassamento della pressione fiscale, non dobbiamo preoccuparci se finisce inevitabilmente per alimentare uno scontro ideologico, semplicemente perchè lo è. Per questo motivo è bene capire quali siano le posizioni in campo, quali le conseguenze di tale azione economico-ideologica sui cittadini e il sistema in genere, cosa ti tolgono, cosa ti danno in cambio se veramente è la panacea di tutti i mali, cosa si cela dietro il facile slogan "meno tasse per tutti", chi ci guadagna davvero, quale meccanismo fa guadagnare più una fascia di popolazione piuttosto che un'altra. Come vedete la questione non è semplice, ne è risolvibile nell'idiozia <<noi siamo buoni perchè le diminuiamo, gli altri no perchè le vogliono>>. Innanzitutto vediamo di distinguere tra tasse, imposte e pressione fiscale. Le prime non sono progressive, sono eguali davvero per tutti e non tengono conto del reddito. Tra queste anche se sembra una bestemmia, con buona pace dei fiscalisti ci ho sempre messo l'IVA. E' vero che essa è definita come imposta ma è anche vero che non tiene conto del reddito. Tanto il povero quanto il ricco, se comprano un chilo di mele, pagano la stessa IVA. Se si considera che ci sono alcune categorie che possono detrarla, ecco che essa finisce per gravare per intero tutta sulle spalle di una parte di popolazione, piuttosto che un'altra. Come vedete qui già si capisce come sia complesso il discorso sulla fiscalità e come essa possa originare a volte distorsioni o piccole ingiustizie.
Le imposte invece sono progressive e gravano in base al reddito. La pressione fiscale possiamo banalmente riassumerla come la somma di tutte le imposte e le tasse che gravano su ciascun cittadino. Capirete subito quindi che, abbassare le imposte e poi lasciar aumentare le tasse, sia un tipico esempio di come si possa manipolare anche nel campo fiscale. E' quello che è accaduto in questi anni. Il primo modulo fiscale del governo viene annullato, per quel poco che dava, dall'aumento di tasse locali (ICI, Ticket) causa tagli agli enti locali stessi, che si sono ritrovati senza sufficienti risorse; tagli che poi servivano alla fine per finanziare lo stesso primo modulo sull'IRPEF. Compresa per sommi capi quindi la distinzione tra tasse e imposte e i giochi a cui si presta il loro disinvolto uso, passiamo a spiegare a cosa servono e che cosa sono. Servono per finanziare i servizi, questo è noto a tutti ma non a tutti è noto cosa rappresentino effettivamente. Ebbene le tasse (per comodità generalizzo con il termine tasse qualche volta) non sono altro che una forma di ridistribuzione del reddito, ovvero del PIL inteso come somma di redditi, per questo motivo nel nostro regime fiscale diventa importante il discorso della progressività. La progressività è introdotta per una questione di equità sociale. Cioè chi più guadagna deve concorrere in misura proporzionale al reddito alla fiscalità generale per finanziare i servizi erogati dalla collettività attraverso l'Ente giuridico Stato, che non è un vecchio signore dispettoso ma noi stessi. La discussione quindi su meno o più tasse da questo punto di vista è aria fritta. Sissignore. Tanto chi vuole abbattere la pressione fiscale, quanto chi vuole mantenerla su determinati livelli, mirano solo alla ridistribuzione di ricchezza, solo che lo fanno in forme diverse. I punti semmai e qui poco viene spiegato, sono trovare il giusto mix per evitare che esse siano eccessivamente alte e che il loro gettito venga ben gestito da una saggia amministrazione. Anche perchè amministrare saggiamente, vuol dire perfezionare la ridistribuzione del reddito stesso. Insomma in questo paese clientele e favoritismi sono stati scambiati per ridistribuzione da qualche mente furba. Un cattivo servizio, incompleto e carente, corrisponde ad una cattiva ridistribuzione del suddetto. Sarò terribilmente tecnico nel mio editoriale questa domenica ma cercherò di essere più chiaro possibile. Da questo che ho scritto quindi, si deduce che sulle tasse le chiacchiere in libertà non esistono. Esse hanno uno scopo e sono pura ricchezza ridistribuita. Non c'è quindi nessuna rapina, lo Stato non è un tipo bizzarro che la mattina si sveglia e ci preleva i soldi per se stesso ma se male amministra questi soldi, ci rende un cattivo servigio.
La ridistribuzione attraverso la riduzione fiscale - Occorre quindi capire la differenza che passa tra i due modelli di ridistribuzione. Il primo modello liberale, viene oggi estremizzato dal neo-liberismo. In pratica mira all'abbassamento più possibile (lasciamo stare per ora le teorie estremiste dell'Americans for tax reform) delle tasse, in particolare dei ceti abbienti. In base a questo i ricchi sono stimolati ad investire e quindi a creare lavoro, il resto della popolazione avendo più reddito sono portati ad aumentare i consumi allegramente. In teoria ciò è vero, nella pratica è relativo come tutte le cose. Questo metodo inizia a prendere piede negli USA, dopo la rivolta californiana delle tasse appunto. Ne fa la sua bandiera Regan (da cui regan-economics). Il problema è che Regan riuscì a favorire principalmente le fasce alte della popolazione e creò le basi della disparità sempre più crescente tra la minoranza più facoltosa della popolazione e il resto. Il welfare iniziò ad essere pesantemente eroso, oggi contiamo ben 42 mln di americani senza assistenza sanitaria ad esempio. Il metodo però funzionò per portare fuori dalle secche l'economia USA ma quello che aiutò fu più che altro la personalità del presidente, grande comunicatore e spanditore di ottimismo e gli USA all'inizio degli anni '80 ne avevano gran bisogno. Dal punto di vista macro i risultati, come ricorda anche in questi giorni della celebrazione della sua morte il New York Times, furono modesti. La crescita americana oscillava intorno al 2.5%, il deficit esplose e molti americani si videro ridurre i servizi. Per contro la spesa individuale degli stessi si elevò. La spesa sanitaria USA è più elevata che da noi rispetto al PIL. Qui quindi sorge la prima complicazione del meccanismo. Ad un certo punto ridistribuire la ricchezza individualmente è conveniente per la fascia media della popolazione ? Economicamente parlando fino ad un certo punto no. Concorrere collettivamente ad una spesa è meno oneroso che concorrervi individualmente. Innanzitutto perchè nel primo caso è garante lo Stato, che può anche emettere titoli di debito per coprire le spese. Nel secondo caso sei garante tu stesso che hai accesso al credito in virtù del tuo reddito e della tua solvibilità. Chi non ha reddito o non ne ha a sufficienza, resta tagliato fuori da un sistema dove la ridistribuzione avviene attraverso il reddito stesso, per cui lo Stato si disimpegna dall'erogare taluni servizi. Abbassare le tasse si ma cosa tagli quindi ? Potrò poi accedere facilmente a dei servizi privati, come lo posso ora che sono pubblici ? Non sono domande sulla lana caprina ma domande che ciascuno di noi si deve fare ad ogni punto percentuale di restituzione fiscale che ci promettono. Perchè risparmiare 100 sulle imposte, non vuol dire che quei 100 bastino a pagarmi privatamente lo stesso servizio. Veramente i dati dimostrano che non lo è mai stato. Non è quindi nemmeno vero l'automatismo meno tasse uguale più consumi. I cittadini una volta percepito che dovranno pagarsi privatamente determinati servizi o altri che pur rimanendo pubblici, lo sono parzialmente e quindi devi egualmente concorrervi come privato, si vedranno costretti a utilizzare il risparmio fiscale per fare le formiche della situazione. Lo dimostra il fatto che nei paesi dove la pressione fiscale è stata sensibilmente ridotta, il risparmio tende a zero e ci si indebita sia per consumi sia anche per mandare i figli alle università. Ridurre le tasse quindi è una specie di sciagura ? Certo che no, il beneficio sull'economia è palese e non c'è bisogno di nessuna dimostrazione per provarlo. Il problema semplicemente è se ci sia una possibilità per non degenerare anche nell'altro senso, cioè in avere una riduzione fiscale evocata come la Madonna Pellegrina che crea invece disastri sociali come in USA e Robin Hood al contrario, oppure prendere atto che per avere un'economia più flessibile dobbiamo lasciarci dei cadaveri lungo la strada. Personalmente conoscendo pro e contro di entrambe i sistemi di ridistribuzione, sono cauto e non penso a nessun potere taumaturgico. Ecco l'importante è sapere come funzionano i due sistemi. Molto algidamente.
La ridistribuzione attraverso la spesa pubblica - Il sistema invece di ridistribuzione attraverso la spesa pubblica, è quello che meglio conosciamo. Tale sistema sembrerebbe avere il suo limite, nella degenerazione della spesa stessa che richiede sempre più risorse e quindi maggiore peso fiscale. Ma perchè la spesa pubblica aumenta ? Sono tanti i motivi. Se lo Stato si mette a fare l'imprenditore anche di panettoni, come era l'Italia fino a qualche anno fa, le rivendicazioni salariali tendono a divenire più esose, i politici per non perdere il consenso devono cedere alle pressioni di piazza. C'è poi l'aumento della popolazione, l'aumento della popolazione anziana, il clientelismo e la corruzione, che nel nostro caso ha trovato fertile terreno sempre a causa delle aziende pubbliche suddette ma anche negli appalti e le commesse pubbliche. Quello che è importante quindi, è togliere dalle mani dello Stato le grandi aziende, che muovono anche grandi appetiti. Ma anche aziende decotte. Qua il dramma sta però nel dover mandare a casa un sacco di gente. Come vedete ridurre la spesa pubblica significa anche avere costi sociali. Questi lavoratori potranno trovare occupazione altrove ma non sempre è così, anzi quasi mai se si tratta di cinquantenni. Poniamo che lo Stato resti solo erogatore di servizi, anche qui bisogna vedere quali di essi possono essere dati ai privati e quali forse meglio di no. Sulla sanità e sulla scuola ad esempio, personalmente ho sempre ritenuto di utilizzare una buona dose di prudenza. Essendo servizi primari che innanzitutto caratterizzano il livello di civiltà di una società, nel momento in cui si esclude da essi qualcuno, abbiamo per così dire, una momento "da terzo mondo". In effetti è nel terzo mondo che abbiamo l'esclusione della gente dai servizi primari come quelli sanitari e della scuola. Spesso si dimentica questo elementare concetto. Io infatti mi sono sempre chiesto come negli USA riescano a sopportare che il 12% delle loro popolazione viva per quanto riguarda la sanità, una condizione da piccolo terzo mondo. Ma riallacciandomi alla questione generale di rete del welfare, sempre negli USA al progressivo avanzamento di politiche ridistributive individuali, sono esplose le spese carcerarie, mettendo in seria difficoltà i bilanci degli Stati Federali. Dal punto di vista degli anziani invece, abbiamo una condizione per molti che da noi sarebbe impensabile. Molti anche alle venerande età di 80 o 90 anni, sono costretti a lavorare per garantirsi medicinali, si tratta quindi di gente anche con qualche patologia. Tutto questo da noi non esiste o meglio anche da noi c'è molta indigenza e molti casi di famiglie indigenti, segno che anche la redistribuzione mediante il fisco, non ottiene poi effetti benefici diffusi per tutti. La redistribuzione mediante il walfare, crea solo condizioni nelle quali non abbiamo fenomeni di esclusione enormi e palesi e comunque anche il più morto di fame ha il suo pronto soccorso disponibile ma tutto ciò costa. Il welfare non è assistenzialismo è creare un opportunità e chi all'improvviso ha un problema. Abbassare le imposte, significa capire cosa si andrà a tagliare di tutto questo.
La riforma - Bisogna quindi farsi i conti della serva e prendere il discorso molto seriamente. Tutto sta nel valutare il "costo opportunità" della cosa, fin dove spingersi. Perchè tutto ha un costo, anche abbassare le tasse. E' un costo sociale, non immediatamente quantificabile o meglio visibile, finchè non dispiega le sue conseguenze. Ho parlato prima delle spese carcerarie USA, che mettono in difficoltà i bilanci. Bilanci che fino a ieri erano invece messi in difficoltà dal walfare diffuso. Questo dimostra semplicemente che l'equazione dell'economia non può appunto mai pendere da una parte o dall'altra. E' un'equazione. A questo punto tanto valeva avere difficoltà per garantirsi almeno una rete sociale decente, che ritrovarsi le carceri piene o la criminalità degli "esclusi" dilagante. A chi è convenuto ? Purtroppo a qualcuno è convenuto, al famoso 1% più ricco che ha visto crescere il proprio patrimonio negli anni. Qui allora entriamo nel merito della discussione. Il meccanismo dell'imposizione fiscale è squisitamente matematico. Il gioco sta tutto lì. Ed è in base ad esso che si ottiene maggior beneficio per una o l'altra fascia di popolazione. A tal proposito non mi è sembrato vero poter utilizzare proprio alcune tabelle di simulazione sulla riforma Tremonti che sostituirà, è bene ricordarlo, l'IRE con l'attuale IRPEF e le detrazioni con le deduzioni (quest'aspetto già operativo con il primo modulo) su cui ha lavorato l'Onorevole Massimo Baldini, di Forza Italia sottosegretario alle comunicazioni, per cui non mi si può dire di aver preso dati di parte. Nel nostro caso il gioco sta tutto nella fascia della no tax area. Tale fascia gioca un ruolo chiave; da essa infatti oltre a dipendere la strada che prenderà la maggior parte del beneficio, dipenderà anche l'entità del calo del gettito per lo Stato e quindi la quantità di tagli che esso farà. Dallo studio si deduce che il maggior beneficio va, nell'ipotesi a due aliquote, ai ceti più ricchi se la fascia no tax area rimane quella attuale, ovvero il range 3000-7500 (metto il range per comodità, perchè ciascuna categoria ha la sua no tax area). Viceversa se essa viene alzata nel range 4000-9000 euro. In questo secondo caso però, lo Stato vede un aumento del calo del gettito fiscale fino a 28 mld di euro. Quindi dovrà tagliare più servizi. Bel dilemma. Se adottiamo il primo caso, favoriamo una minoranza più ricca, lo Stato farà i suoi bei tagli e alla fascia maggioritaria della popolazione arriverà un beneficio mediocre. Nel secondo caso abbiamo una redistribuzione più equa ma lo Stato sarà costretto a tagliare più spesa. A tutto questo aggiungo io anche l'aspetto del sistema delle deduzioni, che sapete per sommi capi, vanno a diminuire man mano che il reddito sale. Anche qui è intuibile che giocando su esse in concomitanza con la no tax area, si potrebbe anche rendere vano l'effettivo risparmio fiscale dovuto all'abbassamento dell'aliquota. Mi spiace dover dire che questo giochino è stato utilizzato con il primo modulo della riforma fiscale, per cui è vero quello che dice il governo (a prescindere dalla cifra) che tot milioni di famiglie hanno imposte più basse, lo si vede dall'aliquota non serve uno scienziato ma con le deduzioni ha mantenuto e, ahimè, in taluni casi anche leggermente alzata la pressione fiscale dell'IRPEF. Questo riferito alle fasce medie ovviamente, cioè l'80% dei contribuenti più o meno.
Conclusione - Mi sembra di poter concludere dicendo almeno 3 cose. Primo non esiste e ora lo intuite anche voi, una abbassamento delle imposte miracolistico. Ha un costo anche esso ovvero è un passaggio ad un diverso sistema ridistributivo e quindi ha i suoi pro e contro. Secondo entrano in gioco diversi fattori matematici, per cui lo Stato con determinate fasce può dare con una mano ma pareggiare con l'altra. Alla fine il peso può scaricarsi in misura maggiore tutto su una fascia piuttosto che su un'altra. Resta inteso che abbattere seccamente l'aliquota più alta è già di per se un ridistribuire il peso della spesa pubblica nelle fasce più basse. Ecco perchè per compensare questo, la spesa pubblica va ridotta, quindi sanità, scuola ecc ... Non esistono in economia miracoli ma solo quadrature dei conti e strumenti. Se il governo dice che lascerà invariata la spesa, vuol dire che scaricherà tutto sul deficit o si illuderà che la ripresa prossima ventura dia tanto di quel gettito fiscale da pareggiare i conti. Io ritengo questa tesi simil reganiana, tanto devastante per le casse dello Stato, quanto idiota e che alla fine verremo chiamati a pagare il conto; infatti Regan fu costretto a riaumentare le tasse ma agì su quelle a ruolo (prevalenza fasce medio e medio-basse), non sul reddito (prevalenza fasce medio-alte) e diede avvio al disastro del welfare americano attuale. E' un fatto che lo stesso Stato della California, da dove è partita la rivolta fiscale, ad un certo punto con un referendum populista, impone si di non aumentare le imposte ma di tenere il livello dei servizi stabile. Pura demagogia. Ecco perchè la California oggi affoga nei debiti. La caduta del gettito dovuta alla recessione del 2000 ha fatto il resto. Come vedete con la matematica si può fare ben poca demagogia. L'abbassamento delle tasse sul breve porta beneficio ma sui lungo termine esso può risultare rovinoso se fatto con puro spirito ideologico e di classe. Questo dibattito sugli effetti sul lungo termine, oggi che Bush sta agendo egualmente sulla leva del deficit, è già aperto in USA tra gli economisti e la ripresa attuale, non sta portando tutte queste quantità bibliche di denaro allo Stato tanto che le proiezioni del debito per i prossimi anni sono allarmanti. Terzo punto, occorre sempre chiedersi al netto dei servizi tagliati quanto effettivamente vado a guadagnarci con la riduzione delle imposte. In questo caso gli esempi storici non ci vengono incontro. Se si calca troppo la mano quello che prima era un costo collettivo, diventa individuale come già accennato. In economia il costo individuale di un servizio è sempre superiore a parità di quantità di servizio stesso erogato. Tanto è vero che la spesa sanitaria americana in rapporto al PIL, è nettamente superiore alla nostra. Bisogna poi aggiungere il fattore della presenza del privato. Giustamente esso cerca il profitto. Quanto o cosa si può quindi tagliare e mettere in mano ad un privato, scaricando sulla collettività i servizi più pessimi e meno profittevoli ? Insomma c'è parecchia carne al fuoco e spero di avervi dato qualche buono spunto. Innanzitutto spero di avervi messo in guardia dalla facile aria fritta che si sparge quando si tocca questo tema.
Le tabelle delle simulazioni sono visibili sul sito del CAPP, Centro Analisi Politiche Pubbliche: http://www.capp.unimo.it/SimuleffettriformaIRPEF_MB.pdf
Le imposte invece sono progressive e gravano in base al reddito. La pressione fiscale possiamo banalmente riassumerla come la somma di tutte le imposte e le tasse che gravano su ciascun cittadino. Capirete subito quindi che, abbassare le imposte e poi lasciar aumentare le tasse, sia un tipico esempio di come si possa manipolare anche nel campo fiscale. E' quello che è accaduto in questi anni. Il primo modulo fiscale del governo viene annullato, per quel poco che dava, dall'aumento di tasse locali (ICI, Ticket) causa tagli agli enti locali stessi, che si sono ritrovati senza sufficienti risorse; tagli che poi servivano alla fine per finanziare lo stesso primo modulo sull'IRPEF. Compresa per sommi capi quindi la distinzione tra tasse e imposte e i giochi a cui si presta il loro disinvolto uso, passiamo a spiegare a cosa servono e che cosa sono. Servono per finanziare i servizi, questo è noto a tutti ma non a tutti è noto cosa rappresentino effettivamente. Ebbene le tasse (per comodità generalizzo con il termine tasse qualche volta) non sono altro che una forma di ridistribuzione del reddito, ovvero del PIL inteso come somma di redditi, per questo motivo nel nostro regime fiscale diventa importante il discorso della progressività. La progressività è introdotta per una questione di equità sociale. Cioè chi più guadagna deve concorrere in misura proporzionale al reddito alla fiscalità generale per finanziare i servizi erogati dalla collettività attraverso l'Ente giuridico Stato, che non è un vecchio signore dispettoso ma noi stessi. La discussione quindi su meno o più tasse da questo punto di vista è aria fritta. Sissignore. Tanto chi vuole abbattere la pressione fiscale, quanto chi vuole mantenerla su determinati livelli, mirano solo alla ridistribuzione di ricchezza, solo che lo fanno in forme diverse. I punti semmai e qui poco viene spiegato, sono trovare il giusto mix per evitare che esse siano eccessivamente alte e che il loro gettito venga ben gestito da una saggia amministrazione. Anche perchè amministrare saggiamente, vuol dire perfezionare la ridistribuzione del reddito stesso. Insomma in questo paese clientele e favoritismi sono stati scambiati per ridistribuzione da qualche mente furba. Un cattivo servizio, incompleto e carente, corrisponde ad una cattiva ridistribuzione del suddetto. Sarò terribilmente tecnico nel mio editoriale questa domenica ma cercherò di essere più chiaro possibile. Da questo che ho scritto quindi, si deduce che sulle tasse le chiacchiere in libertà non esistono. Esse hanno uno scopo e sono pura ricchezza ridistribuita. Non c'è quindi nessuna rapina, lo Stato non è un tipo bizzarro che la mattina si sveglia e ci preleva i soldi per se stesso ma se male amministra questi soldi, ci rende un cattivo servigio.
La ridistribuzione attraverso la riduzione fiscale - Occorre quindi capire la differenza che passa tra i due modelli di ridistribuzione. Il primo modello liberale, viene oggi estremizzato dal neo-liberismo. In pratica mira all'abbassamento più possibile (lasciamo stare per ora le teorie estremiste dell'Americans for tax reform) delle tasse, in particolare dei ceti abbienti. In base a questo i ricchi sono stimolati ad investire e quindi a creare lavoro, il resto della popolazione avendo più reddito sono portati ad aumentare i consumi allegramente. In teoria ciò è vero, nella pratica è relativo come tutte le cose. Questo metodo inizia a prendere piede negli USA, dopo la rivolta californiana delle tasse appunto. Ne fa la sua bandiera Regan (da cui regan-economics). Il problema è che Regan riuscì a favorire principalmente le fasce alte della popolazione e creò le basi della disparità sempre più crescente tra la minoranza più facoltosa della popolazione e il resto. Il welfare iniziò ad essere pesantemente eroso, oggi contiamo ben 42 mln di americani senza assistenza sanitaria ad esempio. Il metodo però funzionò per portare fuori dalle secche l'economia USA ma quello che aiutò fu più che altro la personalità del presidente, grande comunicatore e spanditore di ottimismo e gli USA all'inizio degli anni '80 ne avevano gran bisogno. Dal punto di vista macro i risultati, come ricorda anche in questi giorni della celebrazione della sua morte il New York Times, furono modesti. La crescita americana oscillava intorno al 2.5%, il deficit esplose e molti americani si videro ridurre i servizi. Per contro la spesa individuale degli stessi si elevò. La spesa sanitaria USA è più elevata che da noi rispetto al PIL. Qui quindi sorge la prima complicazione del meccanismo. Ad un certo punto ridistribuire la ricchezza individualmente è conveniente per la fascia media della popolazione ? Economicamente parlando fino ad un certo punto no. Concorrere collettivamente ad una spesa è meno oneroso che concorrervi individualmente. Innanzitutto perchè nel primo caso è garante lo Stato, che può anche emettere titoli di debito per coprire le spese. Nel secondo caso sei garante tu stesso che hai accesso al credito in virtù del tuo reddito e della tua solvibilità. Chi non ha reddito o non ne ha a sufficienza, resta tagliato fuori da un sistema dove la ridistribuzione avviene attraverso il reddito stesso, per cui lo Stato si disimpegna dall'erogare taluni servizi. Abbassare le tasse si ma cosa tagli quindi ? Potrò poi accedere facilmente a dei servizi privati, come lo posso ora che sono pubblici ? Non sono domande sulla lana caprina ma domande che ciascuno di noi si deve fare ad ogni punto percentuale di restituzione fiscale che ci promettono. Perchè risparmiare 100 sulle imposte, non vuol dire che quei 100 bastino a pagarmi privatamente lo stesso servizio. Veramente i dati dimostrano che non lo è mai stato. Non è quindi nemmeno vero l'automatismo meno tasse uguale più consumi. I cittadini una volta percepito che dovranno pagarsi privatamente determinati servizi o altri che pur rimanendo pubblici, lo sono parzialmente e quindi devi egualmente concorrervi come privato, si vedranno costretti a utilizzare il risparmio fiscale per fare le formiche della situazione. Lo dimostra il fatto che nei paesi dove la pressione fiscale è stata sensibilmente ridotta, il risparmio tende a zero e ci si indebita sia per consumi sia anche per mandare i figli alle università. Ridurre le tasse quindi è una specie di sciagura ? Certo che no, il beneficio sull'economia è palese e non c'è bisogno di nessuna dimostrazione per provarlo. Il problema semplicemente è se ci sia una possibilità per non degenerare anche nell'altro senso, cioè in avere una riduzione fiscale evocata come la Madonna Pellegrina che crea invece disastri sociali come in USA e Robin Hood al contrario, oppure prendere atto che per avere un'economia più flessibile dobbiamo lasciarci dei cadaveri lungo la strada. Personalmente conoscendo pro e contro di entrambe i sistemi di ridistribuzione, sono cauto e non penso a nessun potere taumaturgico. Ecco l'importante è sapere come funzionano i due sistemi. Molto algidamente.
La ridistribuzione attraverso la spesa pubblica - Il sistema invece di ridistribuzione attraverso la spesa pubblica, è quello che meglio conosciamo. Tale sistema sembrerebbe avere il suo limite, nella degenerazione della spesa stessa che richiede sempre più risorse e quindi maggiore peso fiscale. Ma perchè la spesa pubblica aumenta ? Sono tanti i motivi. Se lo Stato si mette a fare l'imprenditore anche di panettoni, come era l'Italia fino a qualche anno fa, le rivendicazioni salariali tendono a divenire più esose, i politici per non perdere il consenso devono cedere alle pressioni di piazza. C'è poi l'aumento della popolazione, l'aumento della popolazione anziana, il clientelismo e la corruzione, che nel nostro caso ha trovato fertile terreno sempre a causa delle aziende pubbliche suddette ma anche negli appalti e le commesse pubbliche. Quello che è importante quindi, è togliere dalle mani dello Stato le grandi aziende, che muovono anche grandi appetiti. Ma anche aziende decotte. Qua il dramma sta però nel dover mandare a casa un sacco di gente. Come vedete ridurre la spesa pubblica significa anche avere costi sociali. Questi lavoratori potranno trovare occupazione altrove ma non sempre è così, anzi quasi mai se si tratta di cinquantenni. Poniamo che lo Stato resti solo erogatore di servizi, anche qui bisogna vedere quali di essi possono essere dati ai privati e quali forse meglio di no. Sulla sanità e sulla scuola ad esempio, personalmente ho sempre ritenuto di utilizzare una buona dose di prudenza. Essendo servizi primari che innanzitutto caratterizzano il livello di civiltà di una società, nel momento in cui si esclude da essi qualcuno, abbiamo per così dire, una momento "da terzo mondo". In effetti è nel terzo mondo che abbiamo l'esclusione della gente dai servizi primari come quelli sanitari e della scuola. Spesso si dimentica questo elementare concetto. Io infatti mi sono sempre chiesto come negli USA riescano a sopportare che il 12% delle loro popolazione viva per quanto riguarda la sanità, una condizione da piccolo terzo mondo. Ma riallacciandomi alla questione generale di rete del welfare, sempre negli USA al progressivo avanzamento di politiche ridistributive individuali, sono esplose le spese carcerarie, mettendo in seria difficoltà i bilanci degli Stati Federali. Dal punto di vista degli anziani invece, abbiamo una condizione per molti che da noi sarebbe impensabile. Molti anche alle venerande età di 80 o 90 anni, sono costretti a lavorare per garantirsi medicinali, si tratta quindi di gente anche con qualche patologia. Tutto questo da noi non esiste o meglio anche da noi c'è molta indigenza e molti casi di famiglie indigenti, segno che anche la redistribuzione mediante il fisco, non ottiene poi effetti benefici diffusi per tutti. La redistribuzione mediante il walfare, crea solo condizioni nelle quali non abbiamo fenomeni di esclusione enormi e palesi e comunque anche il più morto di fame ha il suo pronto soccorso disponibile ma tutto ciò costa. Il welfare non è assistenzialismo è creare un opportunità e chi all'improvviso ha un problema. Abbassare le imposte, significa capire cosa si andrà a tagliare di tutto questo.
La riforma - Bisogna quindi farsi i conti della serva e prendere il discorso molto seriamente. Tutto sta nel valutare il "costo opportunità" della cosa, fin dove spingersi. Perchè tutto ha un costo, anche abbassare le tasse. E' un costo sociale, non immediatamente quantificabile o meglio visibile, finchè non dispiega le sue conseguenze. Ho parlato prima delle spese carcerarie USA, che mettono in difficoltà i bilanci. Bilanci che fino a ieri erano invece messi in difficoltà dal walfare diffuso. Questo dimostra semplicemente che l'equazione dell'economia non può appunto mai pendere da una parte o dall'altra. E' un'equazione. A questo punto tanto valeva avere difficoltà per garantirsi almeno una rete sociale decente, che ritrovarsi le carceri piene o la criminalità degli "esclusi" dilagante. A chi è convenuto ? Purtroppo a qualcuno è convenuto, al famoso 1% più ricco che ha visto crescere il proprio patrimonio negli anni. Qui allora entriamo nel merito della discussione. Il meccanismo dell'imposizione fiscale è squisitamente matematico. Il gioco sta tutto lì. Ed è in base ad esso che si ottiene maggior beneficio per una o l'altra fascia di popolazione. A tal proposito non mi è sembrato vero poter utilizzare proprio alcune tabelle di simulazione sulla riforma Tremonti che sostituirà, è bene ricordarlo, l'IRE con l'attuale IRPEF e le detrazioni con le deduzioni (quest'aspetto già operativo con il primo modulo) su cui ha lavorato l'Onorevole Massimo Baldini, di Forza Italia sottosegretario alle comunicazioni, per cui non mi si può dire di aver preso dati di parte. Nel nostro caso il gioco sta tutto nella fascia della no tax area. Tale fascia gioca un ruolo chiave; da essa infatti oltre a dipendere la strada che prenderà la maggior parte del beneficio, dipenderà anche l'entità del calo del gettito per lo Stato e quindi la quantità di tagli che esso farà. Dallo studio si deduce che il maggior beneficio va, nell'ipotesi a due aliquote, ai ceti più ricchi se la fascia no tax area rimane quella attuale, ovvero il range 3000-7500 (metto il range per comodità, perchè ciascuna categoria ha la sua no tax area). Viceversa se essa viene alzata nel range 4000-9000 euro. In questo secondo caso però, lo Stato vede un aumento del calo del gettito fiscale fino a 28 mld di euro. Quindi dovrà tagliare più servizi. Bel dilemma. Se adottiamo il primo caso, favoriamo una minoranza più ricca, lo Stato farà i suoi bei tagli e alla fascia maggioritaria della popolazione arriverà un beneficio mediocre. Nel secondo caso abbiamo una redistribuzione più equa ma lo Stato sarà costretto a tagliare più spesa. A tutto questo aggiungo io anche l'aspetto del sistema delle deduzioni, che sapete per sommi capi, vanno a diminuire man mano che il reddito sale. Anche qui è intuibile che giocando su esse in concomitanza con la no tax area, si potrebbe anche rendere vano l'effettivo risparmio fiscale dovuto all'abbassamento dell'aliquota. Mi spiace dover dire che questo giochino è stato utilizzato con il primo modulo della riforma fiscale, per cui è vero quello che dice il governo (a prescindere dalla cifra) che tot milioni di famiglie hanno imposte più basse, lo si vede dall'aliquota non serve uno scienziato ma con le deduzioni ha mantenuto e, ahimè, in taluni casi anche leggermente alzata la pressione fiscale dell'IRPEF. Questo riferito alle fasce medie ovviamente, cioè l'80% dei contribuenti più o meno.
Conclusione - Mi sembra di poter concludere dicendo almeno 3 cose. Primo non esiste e ora lo intuite anche voi, una abbassamento delle imposte miracolistico. Ha un costo anche esso ovvero è un passaggio ad un diverso sistema ridistributivo e quindi ha i suoi pro e contro. Secondo entrano in gioco diversi fattori matematici, per cui lo Stato con determinate fasce può dare con una mano ma pareggiare con l'altra. Alla fine il peso può scaricarsi in misura maggiore tutto su una fascia piuttosto che su un'altra. Resta inteso che abbattere seccamente l'aliquota più alta è già di per se un ridistribuire il peso della spesa pubblica nelle fasce più basse. Ecco perchè per compensare questo, la spesa pubblica va ridotta, quindi sanità, scuola ecc ... Non esistono in economia miracoli ma solo quadrature dei conti e strumenti. Se il governo dice che lascerà invariata la spesa, vuol dire che scaricherà tutto sul deficit o si illuderà che la ripresa prossima ventura dia tanto di quel gettito fiscale da pareggiare i conti. Io ritengo questa tesi simil reganiana, tanto devastante per le casse dello Stato, quanto idiota e che alla fine verremo chiamati a pagare il conto; infatti Regan fu costretto a riaumentare le tasse ma agì su quelle a ruolo (prevalenza fasce medio e medio-basse), non sul reddito (prevalenza fasce medio-alte) e diede avvio al disastro del welfare americano attuale. E' un fatto che lo stesso Stato della California, da dove è partita la rivolta fiscale, ad un certo punto con un referendum populista, impone si di non aumentare le imposte ma di tenere il livello dei servizi stabile. Pura demagogia. Ecco perchè la California oggi affoga nei debiti. La caduta del gettito dovuta alla recessione del 2000 ha fatto il resto. Come vedete con la matematica si può fare ben poca demagogia. L'abbassamento delle tasse sul breve porta beneficio ma sui lungo termine esso può risultare rovinoso se fatto con puro spirito ideologico e di classe. Questo dibattito sugli effetti sul lungo termine, oggi che Bush sta agendo egualmente sulla leva del deficit, è già aperto in USA tra gli economisti e la ripresa attuale, non sta portando tutte queste quantità bibliche di denaro allo Stato tanto che le proiezioni del debito per i prossimi anni sono allarmanti. Terzo punto, occorre sempre chiedersi al netto dei servizi tagliati quanto effettivamente vado a guadagnarci con la riduzione delle imposte. In questo caso gli esempi storici non ci vengono incontro. Se si calca troppo la mano quello che prima era un costo collettivo, diventa individuale come già accennato. In economia il costo individuale di un servizio è sempre superiore a parità di quantità di servizio stesso erogato. Tanto è vero che la spesa sanitaria americana in rapporto al PIL, è nettamente superiore alla nostra. Bisogna poi aggiungere il fattore della presenza del privato. Giustamente esso cerca il profitto. Quanto o cosa si può quindi tagliare e mettere in mano ad un privato, scaricando sulla collettività i servizi più pessimi e meno profittevoli ? Insomma c'è parecchia carne al fuoco e spero di avervi dato qualche buono spunto. Innanzitutto spero di avervi messo in guardia dalla facile aria fritta che si sparge quando si tocca questo tema.
Le tabelle delle simulazioni sono visibili sul sito del CAPP, Centro Analisi Politiche Pubbliche: http://www.capp.unimo.it/SimuleffettriformaIRPEF_MB.pdf