TOBIN TAX: imposta di bollo sulle transazioni finanziarie, solita sudditanza nei confronti delle banche
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Scritto il
24 ottobre 2012 alle 07:38 da
Agata Marino
QUELL’IMPOSTA DI BOLLO COSÌ INIQUA E DISTORSIVA
Parliamo di Tobin Tax facendo un piccola riflessione
Hanno aumentato le accise sulla benzina e l’italiano medio a ridotto l’utilizzo della macchina, ora mettono tasse sui nostri
risparmi… cosa può succedere?
Il dato che emerge è oggettivo e difficilmente giustificabile sul piano dell’equità:
il governo dimostra una certa sudditanza nei confronti delle banche e delle compagnie assicurative.
C’era la necessità lo scorso dicembre di fare cassa, e questa imposta permette di raggiungere l’obiettivo in modo assolutamente efficace.
Tuttavia mostra in modo evidente, la sua iniquità, perchè colpisce proporzionalmente in modo più pesante i piccoli risparmi e percentualmente diminuisce all’aumentare della base imponibile (investimenti/patrimoni).
Mostra in modo altrettanto evidente una discriminazione dei cosi detti “strumenti finanziari”, al punto di diventare, forse, suscettibile di impugnazione per illegittimità costituzionale. Cambiando, ma di poco, l’oggetto….(mi riferisco all’imposta sostitutiva da applicare agli interessi maturati su titoli) cosa dire del trattamento di favore riservato ai titoli rappresentativi del debito pubblico (bot btp e cct) che vedono le cedole assoggettate all’aliquota del 12,50% contro una aliquota del 20% applicata alle obbligazioni corporate?
Dato che molti paesi finanziariamente più sviluppati dell’Italia non intendono minimamente seguirci su questa strada (la tassa sarà operativa dal prossimo gennaio ma non verrà adotta né negli USA né in Asia né in UK), gli scambi dei valori mobiliari colpiti dalla nuova tassa si riverseranno su altri mercati, più opachi e difficili da tassare (quali quelli su cui si opera “Over The Counter”) sottraendo ulteriore ricchezza dal nostro paese.
Dato che la nuova imposta avrà aliquote identiche per tutti i mercati, centralizzati o meno (OTC) ma colpirà solo gli intermediari italiani e non quelli stranieri per le azioni di emittenti nazionali, è evidente che:
1. James Tobin qui non c’entra per nulla trattandosi piuttosto di una nuova forma di “falso ideologico” fiscale finalizzato ad accrescere a dismisura il gettito senza diminuire con vigore la spesa pubblica e
2. muovendosi in coda alla Francia (che peraltro sta adottando una formula applicativa molto diversa da quella prospettata per l’Italia) a favore di questa nuova imposta, il nostro Governo compie un ulteriore errore
: presume un gettito che – come per moltissime altre ridicole gabelle nostrane – deluderà ancora le aspettative (a fronte di un gettito previsto di circa un miliardo di euro, potrebbe generare “solo” 175 milioni dal mercato cash e 50 milioni dal mercato dei derivati sul mercato ufficiale italiano),
aggraverà di costi ed incombenze gli operatori e gonfierà ulteriormente i costi frizionali della nostra inefficiente macchina amministrativa.
Effetti collaterali certi: impoverisce i risparmiatori già colpiti sulle attività “classiche” del paese, titoli governativi ed immobili; discrimina il nostro sistema finanziario a favore delle piazze estere (“surprise, surprise London again!”); aggrava gli effetti prociclici recessivi sulla nostra economia.
….e la chiamano Tobin Tax!
Ora vi inserisco l’interessante articolo sul medesimo argomento di
Alberto Foà di LaVoce da leggere!!
Il decreto “salva Italia” ha introdotto una imposta di bollo su conti correnti, polizze,prodotti e strumenti finanziari. Si tratta di una mini-patrimoniale, che però divide in due categorie il mondo degli investimenti.
Favorendo chi affida i propri risparmi a banche e assicurazioni e penalizzando fortemente il settore dei fondi comuni di investimento.
La norma oltre a essere distorsiva della concorrenza è anche iniqua perché regressiva. Ed è destinata a provocare, nel prossimo futuro, conseguenze negative sul panorama finanziario del paese.
Il decreto “salva-Italia” e il successivo decreto attuativo della legge, del maggio 2012, hanno introdotto una
mini-patrimoniale, cioè un prelievo annuale sugli investimenti finanziari.
Le norme che regolano il prelievo, però, sono inique, distorsive della concorrenza e destinate a provocare, nel prossimo futuro, conseguenze negative sul panorama finanziario del paese, penalizzando fortemente il settore dei
fondi comuni di investimento a tutto vantaggio di banche e assicurazioni.
DUE CATEGORIE DI RISPARMIATORI
Cosa prevedono le norme sull’imposta di bollo?
Stabiliscono:
1) un prelievo annuo dell’
1,5 per mille su prodotti e strumenti finanziari con un importo minimo di euro 34,2 (per il solo 2012, si applica un’aliquota dell’1 per mille e una soglia massima di 1.200 euro);
2) un prelievo annuo su conti correnti bancari e postali e sulle polizze rivalutabili (cosiddette polizze ramo I), diversamente dagli altri strumenti finanziari, forfettariamente fissato a euro
34,20; l’imposta non viene applicata in caso di giacenza media annua inferiore a 5mila euro.
In sintesi, il mondo degli investimenti viene diviso in due: coloro che depositano i propri risparmi in banca, presso le Poste o in una polizza assicurativa rivalutabile versano un’
imposta forfettaria di 34,2 euro e sono esentati dal pagamento in caso di giacenza annua inferiore a 5mila euro.
Dall’altra parte, coloro che investono in fondi d’investimento e Sicav (società di investimento a capitale variabile), in una gestione patrimoniale, in una polizza unit-linked, in un conto deposito o investono direttamente in titoli obbligazionari o azionari, detenendoli in un deposito amministrato,
subiscono il pieno impatto della mini-patrimoniale pagando un’aliquota annua dell’1,5 per mille senza alcuna soglia di esenzione.
L’IMPATTO SUI PATRIMONI PICCOLI E GRANDI
Impatto sui
piccoli patrimoni: l’imposta è regressiva. Per patrimoni inferiori a 22.800 euro (o 34.200 euro, per il primo anno di applicazione), l’imposta viola il principio della proporzionalità, nonostante il decreto attuativo parli esplicitamente di criterio di proporzionalità, e sposta la clientela verso il sistema bancario. Un risparmiatore che detenga
100 euro in un fondo o Sicav (caso tipico all’inizio di un piano di accumulo) dovrà comunque pagare l’imposta minima di 34,2 euro, pari a una aliquota annua del
34,2 per cento: più che di un’imposta, parliamo di una confisca. Anche un risparmiatore che detenga
mille euro in un fondo o Sicav, paga un’imposta di bollo pari a 34,20 euro, e sarà dunque assoggettato a un’ aliquota annua del
3,42 per cento. Per contro, un risparmiatore che detenga fino a 5mila euro sul proprio conto corrente bancario, presso il BancoPosta o in una polizza rivalutabile non paga alcuna imposta di bollo.
Impatto su
patrimoni più grandi: un risparmiatore che detenga 100mila euro in fondi, Sicav, gestioni patrimoniali o polizze unit-linked paga un’imposta di bollo di 150 euro; un risparmiatore che detenga lo stesso ammontare in conti correnti bancari o postali o in una polizza rivalutabile paga 34,20 euro. Il milionario che ha i soldi in conto corrente o al BancoPosta paga un’imposta di bollo forfettaria di euro 34,20 e il milionario che ha investito i propri risparmi in fondi d’investimento o Sicav pagherà, nel 2013,
1.500 euro di imposta.
TRE EFFETTI NEGATIVI
Quali sono i principali effetti negativi dell’imposta di bollo così strutturata? Distorsione della concorrenza; regressività dell’imposta; forte penalizzazione degli intermediari finanziari non bancari.
Distorsione della concorrenza: le norme favoriscono chiaramente l’uso dei conti correnti bancari e postali nonché le polizze rivalutabili a discapito di fondi d’investimento, Sicav, gestioni patrimoniale, conti deposito e altre forme di risparmio assicurativo: stupisce che proprio il Governo presieduto da Mario Monti, che si era fatto vanto dei suoi successi come commissario europeo alla Concorrenza, abbia potuto strutturare in questo modo l’imposta di bollo. Vale la pena di ricordare che il 16 maggio l’Autorità garante della concorrenza e dei mercati ha inviato ai presidenti di Camera, Senato e del Consiglio una lettera nella quale segnala le forti distorsioni concorrenziali che conseguono all’applicazione dell’imposta di bollo in modo differente per strumenti analoghi.
Come ha sostenuto Francesco Giavazzi nell’editoriale sul Corriere della Sera di domenica 7 ottobre: “(…) èproprio a questo che serve un governo tecnico: compiere scelte che sono nell’interesse del Paese senza dovere tener conto di questo o quell’interesse particolare (…). Ad esempio, per favorire la nascita di imprese innovative occorre ridurre il peso delle banche nella nostra economia e far sì che si sviluppino soggetti finanziari diversi che abbiano i fondi e le competenze per fare crescere imprese nuove”.
Più in generale, la norma costituisce un forte incentivo fiscale a convogliare il risparmio verso strumenti che consentono a
banche e assicurazioni di potenziare il loro ruolo di intermediari del risparmio nazionale, a scapito di forme di investimento mediante le quali il risparmiatore può scegliere dove dirigere i propri risparmi: al pubblico non è noto come vengono investiti i soldi dei correntisti, mentre fondi d’investimento, gestioni patrimoniali o polizze unit-linked sono tenuti alla rendicontazione alla clientela.
Regressività dell’imposta: basta fare due semplicissimi conti per apprezzare quanto la norma sia fortemente
regressiva e tanto più
iniqua quanto più il valore del patrimonio si abbassa sotto i 22.800 euro (cioè per la stragrande maggioranza dei risparmiatori): siamo di fronte a un mostro fiscale che agisce come un Robin Hood a rovescio.
Forte penalizzazione degli intermediari finanziari non bancari: è sufficiente rilevare che la mediana dell’investimento degli oltre 6 milioni di risparmiatori italiani in organismi di investimento collettivo del risparmio è di circa
10mila euro per rendersi facilmente conto di quali implicazioni avrà tale manovra.
(1)
L’80 per cento dei clienti dei fondi comuni italiani ha un patrimonio investito inferiore ai 22.800 euro, la soglia al di sotto della quale l’imposta di bollo sale oltre l’aliquota dell’1,5 per mille e diventa sempre più regressiva mano a mano che scende il valore del patrimonio a cui viene applicata. Se non se ne accorgerà prima (o se non preavvisato dal suo consulente allo sportello),
il piccolo risparmiatore pagherà nel 2012 un’aliquota sensibilmente superiore all’1,5 per mille ed è molto probabile ritenere che dall’anno successivo sposterà i propri risparmi su un conto corrente o al BancoPosta. Insomma, il settore dei fondi d’investimento perderà una parte cospicua dei propri clienti per un provvedimento che non consentirà, di fatto, di raggiungere gli obiettivi di gettito stabiliti (ma tanto sarà un problema del prossimo Governo…). Raddoppiando l’Iva sulle vetture rosse non si aumenta il gettito, si smette di vendere vetture rosse.
Ma perché sorprendersi ?
Non è certamente la prima volta che bruciano posti di lavoro e competenze professionali per un pugno di dollari.
* Alberto Foà è presidente della AcomeA sgr spa, società di gestione del risparmio.
(1) I fondi comuni nel portafoglio delle famiglie italiane nel 2010, Quaderni di ricerca Assogestioni 1/2012.