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Forumer storico
Morgan Stanley pretese il suo bottino esercitando la clausola di rottura sul contratto derivato, si seppe che il Tesoro «deteneva contratti derivati per coprire 160 miliardi di debito, ossia il 10% dei titoli di Stato in circolazione
da Rivelazione: siamo come la Grecia (di Maurizio Blondet) | Rischio Calcolato
Rivelazione: siamo come la Grecia (di Maurizio Blondet)
27 giugno 2013 Di Maurizio Blondet
Nota di Rischio Calcolato: Questo post è tratto dalla rivista on-line EffediEffe sito di informazione a cui consigliamo caldamente un abbonamento (50€ spesi benissimo).
Addio progetto Letta di mobilitare qualche miliardo per «il lavoro dei giovani», un alleviamento dell’Iva o dell’Imu. Erano tutti sogni, ed abbiamo dovuto apprenderlo dal Financial Times: il nostro Tesoro ha un «buco» di forse 8 miliardi, la cifra che Letta stava cercando senza riuscirci, creata in segreto dai suoi «tecnici» sopraffini per truccare i conti pubblici, in modo da farci apparire in grado di «entrare nell’euro». Il trucco risale agli anni ’90, ed ha avuto certo la benedizione di Romano Prodi.
Nel ’95, il deficit italiano era del 7,7%; doveva essere ridotto a meno del 3%.
Nel ’98, infatti, bussammo alla porta dell’euro con il 2,7% di deficit: miracolo! In regola!
Fummo ammessi nella moneta unica, e i politici italioti festeggiarono. Tutti quanti. Silvio Berlusconi, anziché eccepire, si entusiasmò a punto da regalare ad ogni italiano (ricordate?) una piccola calcolatrice per facilitarvi il cambio Euro-Lira; poi tornò ai suoi bunga-bunga. Una cima, un genio.
Ora si scopre che il «miracolo» era fatto a caro prezzo, inventando con banche straniere prodotti derivati complicatissimi che (dice il Financial Times) hanno «consentito al Tesoro di scaglionare i pagamenti dovuti alle banche straniere su un periodo più lungo ma, in alcuni casi, a termini più svantaggiosi per l’Italia».
Il segreto necessitò di una pezza nel 2012: vi si prestò il governo Monti, cercando di nascondere agli italiani la verità. Senza riuscirci: l’Italia, si ricorderà, costretta a rivelare che aveva pagato a Morgan Stanley 2,57 miliardi di euro, dopo che la banca aveva esercitato una clausola sui contratti derivati che avevano per oggetto swap su tassi di interesse e swap option concordati con l’Italia nel 1994.
Per Repubblica, «La ristrutturazione dei derivati nel 2012 è collegata all’esigenza delle banche (una ventina delle solite: le tre grandi italiane, le principali europee e le maggiori d’affari anglosassoni) di ridurre ilrischio Italia. In sostanza la crisi ha portato gli istituti specialisti in titoli di Stato a presentare il conto dei vecchi derivati. Ed è qui che emerge una perdita potenziale di 8,1 miliardi».
Ma non bastano 8 miliardi.
Sempre per Repubblica, «c’è poi l’anomalia degli swap rinegoziati a un prezzo “off market”, cioè con una forte perdita iniziale per l’erario. Anomalia probabilmente dovuta al fatto che i contratti originari erano in realtà prestiti mascherati che il Tesoro è oggi costretto a rimborsare a caro prezzo».
Chi era stato a fare quegli affari pessimi, da cretini disonesti, da venditori di tappeti? Silenzio. Vietato chiedere. Omertà totale dei «tecnici» al governo e dei «tecnici» intoccabili a Bankitalia. Unico indizio, l’inspiegabile trasferimento-promozione, da parte di Mario Monti, di Anna Maria Tarantola, la strapagatissima altissima dirigente di Bankitalia, da Bankitalia alla strapagatissima presidenza Rai.
Adesso, ilFinancial Times ci dice che nell’occasione in cui Morgan Stanley pretese il suo bottino esercitando la clausola di rottura sul contratto derivato, si seppe che il Tesoro «deteneva contratti derivati per coprire 160 miliardi di debito, ossia il 10% dei titoli di Stato in circolazione».
Abbiamo fatto finta di avere i conti a posto, mentre sforavamo del 10%, ossia per 160 miliardi: una bomba ad orologeria nei nostri conti, tenuta segreta dall’omertà. Solo adesso ci viene detto che direttore del Tesoro, all’epoca, era Mario Draghi: il responsabile del trucco, il grande genio e venerato maestro da tutti i giornalisti italioti. Il nome intoccabile non è mai stato fatto: lo fa il Financial Times, indicando come corresponsabili Vincenzo La Via (capo del dipartimento debito), e Maria Cannata, head of the Treasury’s debt management agency. Tre pagatissimi, espertissimi «tecnici»: idioti e disonesti insieme, che dovrebbero – semplicemente – essere in galera per alto tradimento.
Vincenzo La Via
Ma silenzio, non si può dire. Sono i competentissimi tecnici. I Venerati Maestri. Che ci hanno portato a questa disastrosa situazione nel segreto. «Solo una manciata di dirigenti italiani, presenti e passati», dice il Financial Times, «hanno chiara la situazione complessiva, secondo fonti governative». I politici non sapevano.
Tutto avvenne a loro insaputa. Forse non capivano.
Se non capite bene quel che è successo, non siete i soli. Ma vi basti la conclusione: lorsignori hanno fatto lo stesso trucco della Grecia, per entrare nell’euro senza averne le condizioni di bilancio giuste. Dovevamo starne fuori, ma avevano una gran fretta di farci entrare, lorsignori. Ci vietarono persino di discuterne: «complottisti, fascisti, antisemiti, tacete!». Ecco il risultato.
Siamo noi la Grecia, dieci volte più grossa.
Già prima della ultima rivelazione, ce l’aveva detto Mediobanca: «L’Italia è a alto rischio di insolvenza. Nei prossimi sei mesi dovrà chiedere aiuti all’Unione europea… Rischia il default come in Argentina».
Oggi i nodi vengono al pettine e rivelano l’ovvio: lo Stato italiano è insolvente e fa finta di non esserlo. Si chiama bancarotta fraudolenta.
Facciamo un po’ di conti sul tovagliolo di carta: ai 90 miliardi di euro annui che dobbiamo pagare di interessi sul debito di 2000 miliardi, si deve aggiungere il debito – 50 miliardi, forse più – che le amministrazioni pubbliche hanno verso i fornitori privati, ossia le ditte italiane: debiti che già si sa non verranno onorati se non in minima parte. Del resto, quando mai i parassiti pubblici onorano un debito, un contratto stipulato coi cittadini? Mai, non sia mai.
Ma continuiamo i conti. Lorsignori hanno preso l’impegno, preso con la UE, di ridurre il debito italiano dal 120% (oggi verso il 140%) del Pil, al 60%: a botte di 50 miliardi l’anno che ci devono togliere dalle tasche di noi contribuenti, in aggiunta ai 90 di interessi passivi che già ci tolgono. Ma ce la farà, lo Stato, a torchiarci fino a questo punto? Abbiamo appena appreso, da Attilio Befera (altro competentissimo tecnico) che la sua agenzia non riesce a riscuotere 545 miliardi, già messi in conto come tributi dovuti: cifra assolutamente impossibile, irreale, da fantasy. Al massimo, con tutta la forza coattiva pubblica a sua disposizione, Befera riesce a far pagare l’11-12% delle somme messe a ruolo.
Dunque lo Stato, il settore pubblico intero, è insolvente. Insolvente in modo colossale rispetto agli impegni prese, e alle sue stesse pretese fiscali ormai inesigibili. Ciò si assomma all’insolvenza delle banche, rovinate per essersi riempite di titoli pubblici che – ora che il rendimento richiesto dai mercati riprende a salire, e i decennali rendono ormai il 4,7% – si stanno svalutando nelle casseforti (sono titoli vecchi, che danno meno interesse: se li vuol realizzare, la banca deve venderli con adeguato sconto).
Insomma, insolvenza su insolvenza. Bancarotta su bancarotta. Centinaia di miliardi che si aggiungono ai 2 trilioni del debito pubblico. Con l’attuale situazione, nemmeno gli interessi riusciamo a pagare; figurarsi tutti i buchi che saltano fuori a sorpresa.
Se ci fosse qualcuno ancora con la testa sul collo in qualche poltrona di potere in Italia, ne trarrebbe le logiche conclusioni. Che sono quelle proposte dall’economista comunistoide Guido Viale su Manifesto(guardate a cosa siamo ridotti): «Unica soluzione, ristrutturare il debito».
Ristrutturare il debito, ossia ripudiarne una parte consistente (30-50%) per alleggerirne l’onere per la Stato e i contribuenti, e rinegoziarne le scadenze e gli interessi, scegliendo per esempio di non pagarlo alle banche estere. È una pura e semplice necessità, se si vuole scongiurare la distruzione totale della nostra economia che ancora funziona, e alla fine il default totale comunque inevitabile, alla greca, nel prossimo – e inevitabile – futuro.
Contestualmente, dice Viale, uscire dall’euro. Uscita «che probabilmente si verificherà in ogni modo, come conseguenza dello sfascio di tutto l’edificio dell’Ue a cui ci sta portando la sua governance» di idioti e criminali.
Capito? Questa è la sola soluzione. «Si tratta di operazioni complesse» dice Viale, ed è il meno che si possa dire: si tratta di mesi di difficoltà di tipo «bellico» per la popolazione, ma al termine delle quali c’è la luce e la speranza.
Ma naturalmente, nessun governo italiota lo farà. Nessun tecnico Bankitaliota la proporrà, né è semplicemente capace di farlo. Nessun politico ne avrà il coraggio. Sono tutti coalizzati per tenerci nell’euro, e farci pagare gli interessi sul debito, più tutti i buchi che hanno fatto con la loro incompetenza in segreto. Il che significa: ci imporranno un prelievo patrimoniale da lacrime e sangue. Una Imu moltiplicata sulle case, capannoni e fabbriche e campi, e una ruberia sui depositi bancari: di quelle da far sembrare Giuliano Amato un frugale passerotto. E il bello è che tutto questo non basterà.
Comunque vada, ci portano a fare la Grecia. Perché, altrimenti, la classe tecnico-politica dovrebbe ammettere di aver sbagliato tutto, di aver commesso enormi disonestà, di averci legato a destini altrui, di averci svenduto per una ideologia ed interessi anti-nazionali, saccheggiandoci inoltre per mantenere la classe di tre milioni di parassiti pubblici, a loro contigua. E questo, non l’ammetteranno mai.
A voi le conclusioni sul da fare, cittadini. Se siete ancora cittadini.
da Rivelazione: siamo come la Grecia (di Maurizio Blondet) | Rischio Calcolato
Rivelazione: siamo come la Grecia (di Maurizio Blondet)
27 giugno 2013 Di Maurizio Blondet
Nota di Rischio Calcolato: Questo post è tratto dalla rivista on-line EffediEffe sito di informazione a cui consigliamo caldamente un abbonamento (50€ spesi benissimo).
Nel ’95, il deficit italiano era del 7,7%; doveva essere ridotto a meno del 3%.
Nel ’98, infatti, bussammo alla porta dell’euro con il 2,7% di deficit: miracolo! In regola!
Fummo ammessi nella moneta unica, e i politici italioti festeggiarono. Tutti quanti. Silvio Berlusconi, anziché eccepire, si entusiasmò a punto da regalare ad ogni italiano (ricordate?) una piccola calcolatrice per facilitarvi il cambio Euro-Lira; poi tornò ai suoi bunga-bunga. Una cima, un genio.
Ora si scopre che il «miracolo» era fatto a caro prezzo, inventando con banche straniere prodotti derivati complicatissimi che (dice il Financial Times) hanno «consentito al Tesoro di scaglionare i pagamenti dovuti alle banche straniere su un periodo più lungo ma, in alcuni casi, a termini più svantaggiosi per l’Italia».
Il segreto necessitò di una pezza nel 2012: vi si prestò il governo Monti, cercando di nascondere agli italiani la verità. Senza riuscirci: l’Italia, si ricorderà, costretta a rivelare che aveva pagato a Morgan Stanley 2,57 miliardi di euro, dopo che la banca aveva esercitato una clausola sui contratti derivati che avevano per oggetto swap su tassi di interesse e swap option concordati con l’Italia nel 1994.
Per Repubblica, «La ristrutturazione dei derivati nel 2012 è collegata all’esigenza delle banche (una ventina delle solite: le tre grandi italiane, le principali europee e le maggiori d’affari anglosassoni) di ridurre ilrischio Italia. In sostanza la crisi ha portato gli istituti specialisti in titoli di Stato a presentare il conto dei vecchi derivati. Ed è qui che emerge una perdita potenziale di 8,1 miliardi».
Ma non bastano 8 miliardi.
Sempre per Repubblica, «c’è poi l’anomalia degli swap rinegoziati a un prezzo “off market”, cioè con una forte perdita iniziale per l’erario. Anomalia probabilmente dovuta al fatto che i contratti originari erano in realtà prestiti mascherati che il Tesoro è oggi costretto a rimborsare a caro prezzo».
Chi era stato a fare quegli affari pessimi, da cretini disonesti, da venditori di tappeti? Silenzio. Vietato chiedere. Omertà totale dei «tecnici» al governo e dei «tecnici» intoccabili a Bankitalia. Unico indizio, l’inspiegabile trasferimento-promozione, da parte di Mario Monti, di Anna Maria Tarantola, la strapagatissima altissima dirigente di Bankitalia, da Bankitalia alla strapagatissima presidenza Rai.
Adesso, ilFinancial Times ci dice che nell’occasione in cui Morgan Stanley pretese il suo bottino esercitando la clausola di rottura sul contratto derivato, si seppe che il Tesoro «deteneva contratti derivati per coprire 160 miliardi di debito, ossia il 10% dei titoli di Stato in circolazione».
Abbiamo fatto finta di avere i conti a posto, mentre sforavamo del 10%, ossia per 160 miliardi: una bomba ad orologeria nei nostri conti, tenuta segreta dall’omertà. Solo adesso ci viene detto che direttore del Tesoro, all’epoca, era Mario Draghi: il responsabile del trucco, il grande genio e venerato maestro da tutti i giornalisti italioti. Il nome intoccabile non è mai stato fatto: lo fa il Financial Times, indicando come corresponsabili Vincenzo La Via (capo del dipartimento debito), e Maria Cannata, head of the Treasury’s debt management agency. Tre pagatissimi, espertissimi «tecnici»: idioti e disonesti insieme, che dovrebbero – semplicemente – essere in galera per alto tradimento.
Ma silenzio, non si può dire. Sono i competentissimi tecnici. I Venerati Maestri. Che ci hanno portato a questa disastrosa situazione nel segreto. «Solo una manciata di dirigenti italiani, presenti e passati», dice il Financial Times, «hanno chiara la situazione complessiva, secondo fonti governative». I politici non sapevano.
Tutto avvenne a loro insaputa. Forse non capivano.
Se non capite bene quel che è successo, non siete i soli. Ma vi basti la conclusione: lorsignori hanno fatto lo stesso trucco della Grecia, per entrare nell’euro senza averne le condizioni di bilancio giuste. Dovevamo starne fuori, ma avevano una gran fretta di farci entrare, lorsignori. Ci vietarono persino di discuterne: «complottisti, fascisti, antisemiti, tacete!». Ecco il risultato.
Siamo noi la Grecia, dieci volte più grossa.
Già prima della ultima rivelazione, ce l’aveva detto Mediobanca: «L’Italia è a alto rischio di insolvenza. Nei prossimi sei mesi dovrà chiedere aiuti all’Unione europea… Rischia il default come in Argentina».
Oggi i nodi vengono al pettine e rivelano l’ovvio: lo Stato italiano è insolvente e fa finta di non esserlo. Si chiama bancarotta fraudolenta.
Facciamo un po’ di conti sul tovagliolo di carta: ai 90 miliardi di euro annui che dobbiamo pagare di interessi sul debito di 2000 miliardi, si deve aggiungere il debito – 50 miliardi, forse più – che le amministrazioni pubbliche hanno verso i fornitori privati, ossia le ditte italiane: debiti che già si sa non verranno onorati se non in minima parte. Del resto, quando mai i parassiti pubblici onorano un debito, un contratto stipulato coi cittadini? Mai, non sia mai.
Ma continuiamo i conti. Lorsignori hanno preso l’impegno, preso con la UE, di ridurre il debito italiano dal 120% (oggi verso il 140%) del Pil, al 60%: a botte di 50 miliardi l’anno che ci devono togliere dalle tasche di noi contribuenti, in aggiunta ai 90 di interessi passivi che già ci tolgono. Ma ce la farà, lo Stato, a torchiarci fino a questo punto? Abbiamo appena appreso, da Attilio Befera (altro competentissimo tecnico) che la sua agenzia non riesce a riscuotere 545 miliardi, già messi in conto come tributi dovuti: cifra assolutamente impossibile, irreale, da fantasy. Al massimo, con tutta la forza coattiva pubblica a sua disposizione, Befera riesce a far pagare l’11-12% delle somme messe a ruolo.
Dunque lo Stato, il settore pubblico intero, è insolvente. Insolvente in modo colossale rispetto agli impegni prese, e alle sue stesse pretese fiscali ormai inesigibili. Ciò si assomma all’insolvenza delle banche, rovinate per essersi riempite di titoli pubblici che – ora che il rendimento richiesto dai mercati riprende a salire, e i decennali rendono ormai il 4,7% – si stanno svalutando nelle casseforti (sono titoli vecchi, che danno meno interesse: se li vuol realizzare, la banca deve venderli con adeguato sconto).
Insomma, insolvenza su insolvenza. Bancarotta su bancarotta. Centinaia di miliardi che si aggiungono ai 2 trilioni del debito pubblico. Con l’attuale situazione, nemmeno gli interessi riusciamo a pagare; figurarsi tutti i buchi che saltano fuori a sorpresa.
Se ci fosse qualcuno ancora con la testa sul collo in qualche poltrona di potere in Italia, ne trarrebbe le logiche conclusioni. Che sono quelle proposte dall’economista comunistoide Guido Viale su Manifesto(guardate a cosa siamo ridotti): «Unica soluzione, ristrutturare il debito».
Ristrutturare il debito, ossia ripudiarne una parte consistente (30-50%) per alleggerirne l’onere per la Stato e i contribuenti, e rinegoziarne le scadenze e gli interessi, scegliendo per esempio di non pagarlo alle banche estere. È una pura e semplice necessità, se si vuole scongiurare la distruzione totale della nostra economia che ancora funziona, e alla fine il default totale comunque inevitabile, alla greca, nel prossimo – e inevitabile – futuro.
Contestualmente, dice Viale, uscire dall’euro. Uscita «che probabilmente si verificherà in ogni modo, come conseguenza dello sfascio di tutto l’edificio dell’Ue a cui ci sta portando la sua governance» di idioti e criminali.
Capito? Questa è la sola soluzione. «Si tratta di operazioni complesse» dice Viale, ed è il meno che si possa dire: si tratta di mesi di difficoltà di tipo «bellico» per la popolazione, ma al termine delle quali c’è la luce e la speranza.
Ma naturalmente, nessun governo italiota lo farà. Nessun tecnico Bankitaliota la proporrà, né è semplicemente capace di farlo. Nessun politico ne avrà il coraggio. Sono tutti coalizzati per tenerci nell’euro, e farci pagare gli interessi sul debito, più tutti i buchi che hanno fatto con la loro incompetenza in segreto. Il che significa: ci imporranno un prelievo patrimoniale da lacrime e sangue. Una Imu moltiplicata sulle case, capannoni e fabbriche e campi, e una ruberia sui depositi bancari: di quelle da far sembrare Giuliano Amato un frugale passerotto. E il bello è che tutto questo non basterà.
Comunque vada, ci portano a fare la Grecia. Perché, altrimenti, la classe tecnico-politica dovrebbe ammettere di aver sbagliato tutto, di aver commesso enormi disonestà, di averci legato a destini altrui, di averci svenduto per una ideologia ed interessi anti-nazionali, saccheggiandoci inoltre per mantenere la classe di tre milioni di parassiti pubblici, a loro contigua. E questo, non l’ammetteranno mai.
A voi le conclusioni sul da fare, cittadini. Se siete ancora cittadini.