Gli obbligazionisti e il peso del burden sharing
In inglese si dice che il diavolo sta nei dettagli. E di diavoletti ce ne sono molti nascosti tra i dettagli dell’allegato al Dl n. 237 del 23 dicembre 2016, il cosiddetto “Salva Risparmio” o “Salva Banche”.
Tradurre in semplice linguaggio finanziario le acrobazie verbali del testo giuridico del Dl non è facile. Il testo diventa più chiaro solo dopo averlo disboscato dai vari richiami giuridici e normativi. Ma solleva molte perplessità.
Da tutta la vicenda del Monte dei Paschi è arduo capire chi ci guadagnerà o perderà, e quanto, anche perché sarà il mercato a deciderlo quando le azioni saranno nuovamente trattate in borsa. Non è invece difficile capire chi ci guadagnerà o perderà in termini relativi a seguito dell’intervento dello Stato. E sta tutto scritto lì, nell’appendice al decreto legge.
In sintesi ci guadagneranno tutti, dai vecchi azionisti, agli investitori istituzionali e soprattutto i piccoli investitori in obbligazioni subordinate, che nel caso del Monte Paschi sono ben 42 mila, con buona pace della “ripartizione degli oneri” o “burden sharing”. L’unico che ci rimette è lo Stato, ovvero i contribuenti. È questo l’inevitabile prezzo per evitare rischi per la stabilità finanziaria? A ben vedere, si poteva decidere diversamente.
Limitare le perdite per i piccoli investitori era necessario. Tuttavia, ci si chiede se il rimborso pieno dell’intero valore nominale andava fatto per tutti gli investitori privati e per l’intero ammontare, come di fatto avverrà. Ma la cosa che rende più perplessi è il trattamento riservato agli obbligazionisti istituzionali e agli attuali azionisti.
Iniziando da questi ultimi, a voler ben interpretare le intenzioni di chi ha scritto la formula, vi è un parametro che dovrebbe definire la ripartizione degli oneri. È un “fattore di sconto” che si applica al prezzo delle nuove azioni rispetto al prezzo medio dell’azione nelle trenta sedute precedenti al DL, ma nel caso del Monte Paschi questo si annulla. Di conseguenza, il prezzo teorico delle nuove azioni è uguale a quello delle vecchie. Tanto sarà il mercato a decidere: che importa? E invece no. Importa eccome, perché questo prezzo determina i rapporti relativi tra vecchi e nuovi azionisti, compresi gli obbligazionisti convertiti.
Forse nella logica del Dl si voleva evitare un’ulteriore penalizzazione nel caso in cui il totale del nuovo capitale superi di dieci volte la capitalizzazione attuale, lasciando che sia l’effetto diluizione a penalizzare i vecchi azionisti.
Ma la diluizione di fatto non ci sarà. La diluizione del capitale si ha quando l’azienda vale molto più del capitale versato. In altre parole la torta viene suddivisa tra più azionisti e quindi il suo valore viene diluito. Tuttavia, se il valore teorico dell’azione è vicino a zero, un’iniezione di capitale non genera alcuna diluizione per gli azionisti esistenti. Anzi, è un vero e proprio regalo.
Si potrebbe argomentare che nel recente passato il prezzo era particolarmente depresso perché scontava un pesante burden sharing, che di fatto non ci sarà. Ma si potrebbe anche argomentare che il recente valore di mercato delle azioni rifletteva il valore dell’opzione sul portafoglio junior dei crediti in sofferenza che avrebbero dovuto essere cartolarizzati da Atlante. Al netto di questo valore, il prezzo delle azioni sarebbe probabilmente stato vicino a zero.
Passando agli obbligazionisti, si può ritenere che l’escamotage di far rimborsare l’investitore privato alla banca e non allo Stato per evitare le cause legali legate alla commercializzazione dei titoli sia un buon espediente per evitare il burden sharing dell’articolo 32 della Direttiva europea sul bail-in. L’escamotage si giustifica con la necessità di evitare i rischi per la stabilità finanziaria, che se si materializzassero avrebbero un costo altissimo per l’economia italiana. Questo è un obiettivo condivisibile, e non soltanto nell’ottica politica o elettorale che ha prevalso sino ad ora.
Ma quello che più sorprende è il trattamento riservato agli obbligazionisti istituzionali. Questi investitori godranno di un grande beneficio dall’intervento pubblico poiché il valore delle obbligazioni da loro possedute passerà da un valore intorno a 50 a 75, anche se ovviamente bisognerà vedere come tratterà la nuova azione. Un bel regalo di Natale per qualche investitore!
Per quanto detto, non c’è traccia di burden sharing. Anzi, ci sono regali per tutti tranne che per il contribuente, che sopporta tutti i costi per garantire la stabilità finanziaria.
Mi chiedo quindi se questa formula passerà il vaglio della Commissione e della Bce, e cosa accadrebbe se il Mef fosse costretto a riscriverla.
Infine, sarebbero tante le lezioni da trarre da tutta questa vicenda, ma una più di altre. Nella maggior parte dei paesi è vietata la vendita di obbligazioni subordinate ai clienti della stessa banca emittente. Questa è un’anomalia italiana ed è tra i tanti, troppi, conflitti di interesse che ancora esistono nel Paese. Per di più sino a non molto tempo fa, vi era addirittura un trattamento fiscale di favore rispetto ai depositi. Per evitare il rischio di dover mettere poi a posteriori delle toppe con i soldi dei contribuenti, sarebbe opportuno che il legislatore bandisse da subito questa pratica, avvantaggiandosi dell’attuale generosa politica di finanziamento a lungo termine della Bce e, in caso di bisogno, anche della possibilità ora offerta dal Dl di aggiungere la garanzia statale alle emissioni obbligazionaria delle banche. Prevenire è meglio di curare.
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