Val
Torniamo alla LIRA
Ma è proprio in questo periodo di isolamento internazionale e di discredito sotto il profilo dell’immagine che,
tra le sponde del Mediterraneo, emerge comunque un rapporto importante tra Italia e Libia.
Gheddafi, una volta raggiunto il potere, spesso utilizza la retorica anti coloniale
e non a caso uno dei suoi primi provvedimenti riguarda la cacciata degli ultimi italiani presenti nel Paese.
Ma dietro in realtà, il rapporto tra Roma e Tripoli non è mai venuto a mancare.
Proprio il bombardamento del 1986 appare come chiara dimostrazione emblema delle relazioni tra le due sponde del Mediterraneo:
più di un’indiscrezione di quell’anno riporta infatti come sia l’allora presidente del consiglio Bettino Craxi a salvare la vita al rais.
Da Palazzo Chigi il capo dell’esecutivo italiano avrebbe chiamato direttamente la caserma di Bab Al Azizia, avvisando Gheddafi dell’imminenza dell’attacco.
La retorica del leader della Jamahiriya vira spesso verso toni anti italiani, ma nei fatti Italia e Libia vivono quasi in simbiosi.
Dal Paese africano arriva il petrolio, dalla penisola italiana arrivano quei contatti politici ed economici
essenziali per la Libia per rimanere a galla a seguito delle sanzioni internazionali.
I rapporti sono molto stretti anche sul fronte finanziario: Tripoli investe parecchi soldi in Italia,
la banca di investimento e sviluppo acquista azioni della Fiat e, sul versante della difesa, è Roma a contribuire ad un miglior equipaggiamento dell’esercito libico.
Per Gheddafi l’Italia è quasi un’ossessione, sia nel bene che nel male: a volte ricorda, mostrando il braccio,
le ferite riportate dall’esplosione di una mina italiana quando ha ancora sei anni, altre volte invece ha la consapevolezza che senza un rapporto privilegiato con Roma il paese rischia di naufragare.
2004: la fine delle sanzioni e la riabilitazione di Gheddafi
Durante tutti gli anni Novanta, la Libia vive una condizione di emarginazione dal contesto internazionale.
Pur tuttavia, il rais riesce a mostrare al mondo la conclusione dei lavori di quella che considera la sua più grande opera, ossia il “grande fiume artificiale“, inaugurato nel 1991.
Si tratta di un acquedotto che riesce a trasportare l’acqua dal sottosuolo del deserto libico fino alle grandi città del Paese.
Sul piano interno Gheddafi riesce comunque a controllare la situazione economica grazie ai proventi del petrolio,
con i quali fa quadrare i conti e continua nella gestione di un sistema che prevede un non indifferente sistema di welfare per i cittadini.
Dalle protezioni sociali allo sviluppo dell’istruzione, la Libia presenta importanti livelli specie se raffrontati con i vicini africani.
Il nemico principale negli anni ’90 si chiama invece “integralismo islamico”.
Il Raìs si mostra personalmente sempre molto religioso, chiama anche il suo secondogenito Saif Al Islam, ossia spada dell’Islam.
Sotto il profilo politico, ha l’obiettivo di presentare un islam moderato ed uno Stato vicino ai principi laici, come nell’Egitto di Nasser.
L’isolamento delle frange più estremiste e dell’islam ricollegabile ai Fratelli musulmani, ha come contraltare l’uso dell’estremismo per finalità di opposizione al suo governo.
L’islam radicale mette piede soprattutto in Cirenaica, regione che più volte lascia intravedere un certo malcontento per la Jamahiriya.
Sul finire degli anni Novanta Gheddafi opta per una repressione ed una lotta senza quartiere agli estremisti, emettendo nel 1996 anche un mandato di cattura per Osama Bin Laden.
Un nemico che ben presto diventerà comune agli Stati Uniti. Anche per questo lentamente la Libia si avvia ad uscire dalla lista dei cosiddetti “Paesi canaglia”
e Gheddafi da cavallo pazzo del Medio Oriente prova a diventare un interlocutore affidabile.
Una situazione questa che contribuisce a far togliere l’embargo dall’Onu nel 1999 e che, all’indomani dell’11 settembre 2001, permette l’inizio di un dialogo tra Tripoli e Washington.
Si arriva così al 2004. In quell’anno Gheddafi decide di porre fine al suo programma di sviluppo di armi nucleari,
in cambio dell’eliminazione di tutti gli impedimenti di natura economica da parte degli Usa ed anche della Gran Bretagna.
Si tratta della definitiva riabilitazione internazionale del rais.
La Libia attore protagonista del Mediterraneo
Il Paese africano si presenta così come una nazione tutto sommato stabile, dalle tante ricchezze energetiche e con buone potenzialità di sviluppo.
Un mercato quindi che fa gola proprio al centro del Mediterraneo.
Questo Gheddafi lo sa bene e, dopo il 2004, torna ad essere molto attivo sotto il profilo della politica estera ma, questa volta,
cercando intese e relazioni con i paesi più importanti dell’Europa e dell’area mediterranea.
A loro volta, molti Paesi europei provano a penetrare all’interno di un mercato potenzialmente importante ma anche poco esplorato, come quello libico.
Soprattutto la Francia appare molto attiva in questi anni in Libia, con l’Italia che prova a non perdere però la propria posizione di privilegio.
Va letto in questa ottica il trattato di amicizia firmato a Bengasi nel 2008 tra Gheddafi e Silvio Berlusconi, allora presidente del consiglio italiano.
Si garantiscono i contratti e le concessioni dell’Eni, presente in Libia dal 1959, così come l’Italia si impegna del superamento del periodo coloniale
tramite il cosiddetto “grande gesto”, ossia la costruzione dell’autostrada costiera tra Tunisia ed Egitto.
Importanti accordi economici vengono raggiunti comunque con gli stessi Usa, con la Spagna, la Turchia ed altri attori dell’area.
Nel 2009 Gheddafi è anche invitato al G8 organizzato dall’Italia a L’Aquila.
Cambiamenti quindi importanti a livello estero, che richiedono altrettante importanti riforme sotto il profilo interno.
Ed è qui forse che il rais inizia a perdere il controllo della situazione.
Nel suo libro Un ambasciatore nella Libia di Gheddafi, l’ex ambasciatore italiano Trupiano descrive il leader come un personaggio “schiavo del suo stesso mito“.
Tra spinte riformatrici e spinte conservatrici, tra una retorica politica che inizia a non fare breccia più come prima ed annunci di cambiamenti nella realtà non attuati,
Gheddafi sembra iniziare a perdere leggermente contatto con il suo stesso Paese.
Nella Jamahiriya si formano due correnti di pensiero: una più riformatrice, rappresentata dal figlio Saif Al Islam, l’altra invece più conservatrice e fedele ai dettami ideologici del 1969.
Anche all’interno della famiglia Gheddafi non mancano divisioni: Saif prova a presentarsi come innovatore, il quintogenito Mutassim cerca invece di scalare i ranghi della sicurezza nazionale.
In poche parole, la sfida che sembra avere davanti il rais all’indomani dei 40 anni dalla sua presa di potere, è quella di trasformare la Libia in una vera nazione.
Fino a quel momento il collante è dato dagli ideale della rivoluzione e dalla retorica anti coloniale.
Ma le divisioni in tribù permangono, la frammentazione del paese in tante fazioni più fedeli alla propria famiglia che al proprio Paese
è un qualcosa che frena enormemente le trasformazioni di cui il Paese ha bisogno.
L’immobilismo del governo, timoroso di sbilanciarsi troppo verso l’ala riformatrice o conservatrice, sembra far entrare Gheddafi in un vicolo cieco.
Il rais forse è a conoscenza di questa situazione: purtroppo non si saprà mai se avesse escogitato un modo per uscirne fuori
oppure se, al contrario, il leader libico aspettasse semplicemente il corso della storia.
Ma la stessa storia, poco dopo, questa volta è destinata ad essere più veloce dei pur sempre dinamici pensieri di Gheddafi.
2011: l’intervento Nato e la fine di Gheddafi
Non è dato sapere nemmeno se, dopo l’avvio delle proteste nel dicembre 2010 in Tunisia ed Egitto, Gheddafi abbia previsto o meno una simile situazione nel suo Paese.
In tanti ancora oggi si chiedono se, dalla sua residenza di Bab Al Azizia, il Raìs sia rimasto sorpreso od indifferente nel leggere i rapporti che parlano di proteste in Cirenaica nel febbraio 2011.
Quella regione, con l’estremismo islamico, gli dà problemi negli anni Novanta, mentre nel 2006 il Raìs si vede costretto a sparare
per provare a difendere il consolato italiano di Bengasi dai manifestanti che urlano contro l’esposizione delle vignette su Mamometto da parte dell’allora ministro Calderoli.
Fatto sta che, proprio nella sua Bab Al Azizia, già a fine febbraio del 2011 è costretto a tirar fuori tutto il suo repertorio politico
per parlare alla nazione ed invitare i cittadini ad isolare i facinorosi: “Puliremo il paese strada per strada, casa per casa”,
urla con sullo sfondo la statua fatta costruire nel 1986 dove si raffigura una mano che prende in pugno un aereo americano.
Sono giorni terribili a livello personale per Gheddafi. Capisce di aver perso la Cirenaica, di avere nel Paese diverse tribù che provano ad andargli contro ed a destabilizzare il suo stesso esercito.
Nel discorso di fine febbraio, oltre alla retorica politica si intravede l’atteggiamento di una persona che dà fondo alle proprie ultime certezze per provare a cambiare la situazione.
Ma il contesto è destinato a peggiorare. La storia di quei giorni, ci rimanda le accuse (poi rivelatesi false) di fosse comuni di rivoltosi e di repressione spietata da parte dei suoi fedelissimi.
Tanto basta per mettere in piedi, a marzo, una missione a guida Nato su pressing soprattutto francese ed inglese.
Questa volta c’è anche l’Italia. Da Tripoli Gheddafi vede gli aerei occidentali che bombardano il Paese,
una nazione che forse mai tale è stata ma che adesso si va lentamente a disgregare ed a vedere l’avvicinarsi della fine di una lunga era.
Si dice che il 30 dicembre 2006, dinnanzi alle immagini dell’impiccagione di Saddam Hussein, Gheddafi abbia avuto addirittura una reazione isterica.
Come se, in qualche modo, in quell’istante ha immaginato lui al posto dell’ex leader iracheno. A lui è andata anche peggio.
Con un Paese oramai non più controllato e con i beni finanziari sequestrati e congelati, Gheddafi sceglie sì di restare in Libia ma intuisce che oramai è solo questione di tempo.
Ed il 20 ottobre 2011 tutto finisce lì dove è iniziato: a Sirte. Scovato nella sua roccaforte da alcuni ribelli, viene linciato ed ucciso assieme al figlio Mutassim.
Il resto è storia di questi giorni e questi anni, contrassegnati dal caos da cui oggi appare difficile venirne fuori.
tra le sponde del Mediterraneo, emerge comunque un rapporto importante tra Italia e Libia.
Gheddafi, una volta raggiunto il potere, spesso utilizza la retorica anti coloniale
e non a caso uno dei suoi primi provvedimenti riguarda la cacciata degli ultimi italiani presenti nel Paese.
Ma dietro in realtà, il rapporto tra Roma e Tripoli non è mai venuto a mancare.
Proprio il bombardamento del 1986 appare come chiara dimostrazione emblema delle relazioni tra le due sponde del Mediterraneo:
più di un’indiscrezione di quell’anno riporta infatti come sia l’allora presidente del consiglio Bettino Craxi a salvare la vita al rais.
Da Palazzo Chigi il capo dell’esecutivo italiano avrebbe chiamato direttamente la caserma di Bab Al Azizia, avvisando Gheddafi dell’imminenza dell’attacco.
La retorica del leader della Jamahiriya vira spesso verso toni anti italiani, ma nei fatti Italia e Libia vivono quasi in simbiosi.
Dal Paese africano arriva il petrolio, dalla penisola italiana arrivano quei contatti politici ed economici
essenziali per la Libia per rimanere a galla a seguito delle sanzioni internazionali.
I rapporti sono molto stretti anche sul fronte finanziario: Tripoli investe parecchi soldi in Italia,
la banca di investimento e sviluppo acquista azioni della Fiat e, sul versante della difesa, è Roma a contribuire ad un miglior equipaggiamento dell’esercito libico.
Per Gheddafi l’Italia è quasi un’ossessione, sia nel bene che nel male: a volte ricorda, mostrando il braccio,
le ferite riportate dall’esplosione di una mina italiana quando ha ancora sei anni, altre volte invece ha la consapevolezza che senza un rapporto privilegiato con Roma il paese rischia di naufragare.
2004: la fine delle sanzioni e la riabilitazione di Gheddafi
Durante tutti gli anni Novanta, la Libia vive una condizione di emarginazione dal contesto internazionale.
Pur tuttavia, il rais riesce a mostrare al mondo la conclusione dei lavori di quella che considera la sua più grande opera, ossia il “grande fiume artificiale“, inaugurato nel 1991.
Si tratta di un acquedotto che riesce a trasportare l’acqua dal sottosuolo del deserto libico fino alle grandi città del Paese.
Sul piano interno Gheddafi riesce comunque a controllare la situazione economica grazie ai proventi del petrolio,
con i quali fa quadrare i conti e continua nella gestione di un sistema che prevede un non indifferente sistema di welfare per i cittadini.
Dalle protezioni sociali allo sviluppo dell’istruzione, la Libia presenta importanti livelli specie se raffrontati con i vicini africani.
Il nemico principale negli anni ’90 si chiama invece “integralismo islamico”.
Il Raìs si mostra personalmente sempre molto religioso, chiama anche il suo secondogenito Saif Al Islam, ossia spada dell’Islam.
Sotto il profilo politico, ha l’obiettivo di presentare un islam moderato ed uno Stato vicino ai principi laici, come nell’Egitto di Nasser.
L’isolamento delle frange più estremiste e dell’islam ricollegabile ai Fratelli musulmani, ha come contraltare l’uso dell’estremismo per finalità di opposizione al suo governo.
L’islam radicale mette piede soprattutto in Cirenaica, regione che più volte lascia intravedere un certo malcontento per la Jamahiriya.
Sul finire degli anni Novanta Gheddafi opta per una repressione ed una lotta senza quartiere agli estremisti, emettendo nel 1996 anche un mandato di cattura per Osama Bin Laden.
Un nemico che ben presto diventerà comune agli Stati Uniti. Anche per questo lentamente la Libia si avvia ad uscire dalla lista dei cosiddetti “Paesi canaglia”
e Gheddafi da cavallo pazzo del Medio Oriente prova a diventare un interlocutore affidabile.
Una situazione questa che contribuisce a far togliere l’embargo dall’Onu nel 1999 e che, all’indomani dell’11 settembre 2001, permette l’inizio di un dialogo tra Tripoli e Washington.
Si arriva così al 2004. In quell’anno Gheddafi decide di porre fine al suo programma di sviluppo di armi nucleari,
in cambio dell’eliminazione di tutti gli impedimenti di natura economica da parte degli Usa ed anche della Gran Bretagna.
Si tratta della definitiva riabilitazione internazionale del rais.
La Libia attore protagonista del Mediterraneo
Il Paese africano si presenta così come una nazione tutto sommato stabile, dalle tante ricchezze energetiche e con buone potenzialità di sviluppo.
Un mercato quindi che fa gola proprio al centro del Mediterraneo.
Questo Gheddafi lo sa bene e, dopo il 2004, torna ad essere molto attivo sotto il profilo della politica estera ma, questa volta,
cercando intese e relazioni con i paesi più importanti dell’Europa e dell’area mediterranea.
A loro volta, molti Paesi europei provano a penetrare all’interno di un mercato potenzialmente importante ma anche poco esplorato, come quello libico.
Soprattutto la Francia appare molto attiva in questi anni in Libia, con l’Italia che prova a non perdere però la propria posizione di privilegio.
Va letto in questa ottica il trattato di amicizia firmato a Bengasi nel 2008 tra Gheddafi e Silvio Berlusconi, allora presidente del consiglio italiano.
Si garantiscono i contratti e le concessioni dell’Eni, presente in Libia dal 1959, così come l’Italia si impegna del superamento del periodo coloniale
tramite il cosiddetto “grande gesto”, ossia la costruzione dell’autostrada costiera tra Tunisia ed Egitto.
Importanti accordi economici vengono raggiunti comunque con gli stessi Usa, con la Spagna, la Turchia ed altri attori dell’area.
Nel 2009 Gheddafi è anche invitato al G8 organizzato dall’Italia a L’Aquila.
Cambiamenti quindi importanti a livello estero, che richiedono altrettante importanti riforme sotto il profilo interno.
Ed è qui forse che il rais inizia a perdere il controllo della situazione.
Nel suo libro Un ambasciatore nella Libia di Gheddafi, l’ex ambasciatore italiano Trupiano descrive il leader come un personaggio “schiavo del suo stesso mito“.
Tra spinte riformatrici e spinte conservatrici, tra una retorica politica che inizia a non fare breccia più come prima ed annunci di cambiamenti nella realtà non attuati,
Gheddafi sembra iniziare a perdere leggermente contatto con il suo stesso Paese.
Nella Jamahiriya si formano due correnti di pensiero: una più riformatrice, rappresentata dal figlio Saif Al Islam, l’altra invece più conservatrice e fedele ai dettami ideologici del 1969.
Anche all’interno della famiglia Gheddafi non mancano divisioni: Saif prova a presentarsi come innovatore, il quintogenito Mutassim cerca invece di scalare i ranghi della sicurezza nazionale.
In poche parole, la sfida che sembra avere davanti il rais all’indomani dei 40 anni dalla sua presa di potere, è quella di trasformare la Libia in una vera nazione.
Fino a quel momento il collante è dato dagli ideale della rivoluzione e dalla retorica anti coloniale.
Ma le divisioni in tribù permangono, la frammentazione del paese in tante fazioni più fedeli alla propria famiglia che al proprio Paese
è un qualcosa che frena enormemente le trasformazioni di cui il Paese ha bisogno.
L’immobilismo del governo, timoroso di sbilanciarsi troppo verso l’ala riformatrice o conservatrice, sembra far entrare Gheddafi in un vicolo cieco.
Il rais forse è a conoscenza di questa situazione: purtroppo non si saprà mai se avesse escogitato un modo per uscirne fuori
oppure se, al contrario, il leader libico aspettasse semplicemente il corso della storia.
Ma la stessa storia, poco dopo, questa volta è destinata ad essere più veloce dei pur sempre dinamici pensieri di Gheddafi.
2011: l’intervento Nato e la fine di Gheddafi
Non è dato sapere nemmeno se, dopo l’avvio delle proteste nel dicembre 2010 in Tunisia ed Egitto, Gheddafi abbia previsto o meno una simile situazione nel suo Paese.
In tanti ancora oggi si chiedono se, dalla sua residenza di Bab Al Azizia, il Raìs sia rimasto sorpreso od indifferente nel leggere i rapporti che parlano di proteste in Cirenaica nel febbraio 2011.
Quella regione, con l’estremismo islamico, gli dà problemi negli anni Novanta, mentre nel 2006 il Raìs si vede costretto a sparare
per provare a difendere il consolato italiano di Bengasi dai manifestanti che urlano contro l’esposizione delle vignette su Mamometto da parte dell’allora ministro Calderoli.
Fatto sta che, proprio nella sua Bab Al Azizia, già a fine febbraio del 2011 è costretto a tirar fuori tutto il suo repertorio politico
per parlare alla nazione ed invitare i cittadini ad isolare i facinorosi: “Puliremo il paese strada per strada, casa per casa”,
urla con sullo sfondo la statua fatta costruire nel 1986 dove si raffigura una mano che prende in pugno un aereo americano.
Sono giorni terribili a livello personale per Gheddafi. Capisce di aver perso la Cirenaica, di avere nel Paese diverse tribù che provano ad andargli contro ed a destabilizzare il suo stesso esercito.
Nel discorso di fine febbraio, oltre alla retorica politica si intravede l’atteggiamento di una persona che dà fondo alle proprie ultime certezze per provare a cambiare la situazione.
Ma il contesto è destinato a peggiorare. La storia di quei giorni, ci rimanda le accuse (poi rivelatesi false) di fosse comuni di rivoltosi e di repressione spietata da parte dei suoi fedelissimi.
Tanto basta per mettere in piedi, a marzo, una missione a guida Nato su pressing soprattutto francese ed inglese.
Questa volta c’è anche l’Italia. Da Tripoli Gheddafi vede gli aerei occidentali che bombardano il Paese,
una nazione che forse mai tale è stata ma che adesso si va lentamente a disgregare ed a vedere l’avvicinarsi della fine di una lunga era.
Si dice che il 30 dicembre 2006, dinnanzi alle immagini dell’impiccagione di Saddam Hussein, Gheddafi abbia avuto addirittura una reazione isterica.
Come se, in qualche modo, in quell’istante ha immaginato lui al posto dell’ex leader iracheno. A lui è andata anche peggio.
Con un Paese oramai non più controllato e con i beni finanziari sequestrati e congelati, Gheddafi sceglie sì di restare in Libia ma intuisce che oramai è solo questione di tempo.
Ed il 20 ottobre 2011 tutto finisce lì dove è iniziato: a Sirte. Scovato nella sua roccaforte da alcuni ribelli, viene linciato ed ucciso assieme al figlio Mutassim.
Il resto è storia di questi giorni e questi anni, contrassegnati dal caos da cui oggi appare difficile venirne fuori.