NON E' COLPA MIA SE IL TORTO CE L'HANNO SEMPRE GLI ALTRI.

Il vaccino l'ho fatto, solo per coprirmi per un ricovero ospedaliero,
ma - non avessi avuto questo problema - chi mi dice che serva a qualcosa ?
Questi ci prendono per il kulo, ma alla grande.
Leggete bene cosa scrive il giornalaio. Buffone


1 Dopo aver ricevuto la prima dose di vaccino ha senso fare il test degli anticorpi per misurare il livello della risposta immunitaria?
Eseguire il dosaggio degli anticorpi dopo la prima dose di vaccino ha scarso significato
sia dal punto di vista biologico sia clinico anche perché il titolo, cioè il valore anticorpale,
non è ancora considerato una «garanzia» di protezione.
Un livello basso di anticorpi dopo la prima dose non indica assenza di protezione
né può influenzare una eventuale decisione circa la somministrazione della seconda dose.

2 E dopo aver completato il ciclo vaccinale è bene fare il test?
Ha poco senso in quanto la protezione non è legata solo agli anticorpi.



3 I guariti devono farlo?
No, per gli stessi motivi.
La protezione dall’infezione non è indotta soltanto dagli anticorpi
ma dalla cooperazione con altri tipi di risposte, come quella cellulare, legata a differenti meccanismi.

4 Che cosa sono i test sierologici o immunologici?
Permettono di misurare la presenza degli anticorpi che il sistema immunitario produce in risposta al virus Sars-CoV-2
e che potrebbero garantire una forma di immunità da una possibile seconda infezione.

5 Quanti test sono in commercio?
Sul mercato sono presenti numerosi test sierologici sia classici sia rapidi.
I primi richiedono alcune ore, devono essere effettuati in laboratorio e da personale esperto:
forniscono risultati di tipo sia qualitativo (presenza o meno di anticorpi) sia quantitativo (quanti ce ne sono).
I rapidi danno risposta in 15 minuti e sono solo qualitativi,
non rilevano in che quantità sono presenti anticorpi e che capacità protettiva possiedono.

6 Un test vale l’altro?
No, nei laboratori privati vengono offerti numerosi test sierologici classici e rapidi, anche con marchio CE.
Mancano però studi di comparazione e validazione clinica.
I dati disponibili indicano una certa variabilità dei risultati tra i differenti sistemi.
In altre parole: non è possibile paragonare i miei valori a quelli di un amico che si è rivolto a un laboratorio differente.
I risultati ottenuti con un metodo non sono sovrapponibili quelli ottenuti con altri metodi.

7 Quanti kit esistono?
Il 10 maggio nell’elenco dei test disponibili nell’Ue aggiornato dal Joint Research Centre comparivano 469 prodotti.
La sensibilità e la specificità dichiarata dalle aziende produttrici possono «non essere indicativi della resa nella vita reale».

8 Che valore hanno?
In un documento pubblicato il 10 maggio per chiarire questi aspetti l’ECDC
(centro europeo per il controllo delle malattie infettive)
ha chiarito il ruolo di questi kit, anche nel timore che i risultati del test sierologico possano essere considerati come documenti
per il rilascio del Digital Green Certificate, il certificato che permetterà di spostarsi fra Paesi.

9 Quali sono le indicazioni?
Secondo ECDC « anche se alcuni test degli anticorpi danno qualche evidenza di una risposta immunitaria
(si tratta di quelli che rilevano la presenza di anticorpi neutralizzanti che fornisce la migliore indicazione di protezione
contro la reinfezione di individui che si erano già infettati una prima volta)
non è noto se il livello degli anticorpi offra sufficiente protezione e quale sia la durata di questa protezione».

10 Anche negli Usa c’è la corsa al test degli anticorpi come in Italia?
Sì, il fenomeno è diffuso tanto che l’agenzia per i medicinali FDA il 19 maggio
ha pubblicato un avviso per dissuadere gli utenti ad abusare di queste verifiche.

Ecco la raccomandazione:

«La FDA ricorda i limiti dei test sierologici nelle persone che hanno ricevuto la vaccinazione.
Possono giocare un ruolo importante nell’identificare persone che possono aver avuto l’infezione da Sars-CoV-2.
Tuttavia non va utilizzato per misurare l’immunità o la protezione contro il Covid-19, specialmente dopo aver ricevuto il vaccino».
 
Questo è un "qualcosa" di più tecnico e concreto.
Sapete perchè la stampa nazionale e gli affabulatori di regime
non vogliono che si facciano i test ?
Perchè molti scoprirebbero di aver fatto il vaccino per nulla,
in quanto - essendo in fase sperimentale - non funziona per tutti.
E quindi cadrebbe il castello di carta messo in piedi.


Ti piacerebbe sapere se sei diventato immune al Covid-19?

Esistono dei modi per scoprirlo, anche se ci sono molte incognite perché non si conosce ancora tutto di questa malattia.

Di recente si è scoperto che quasi un milione e mezzo di italiani hanno sviluppato gli anticorpi.

Sono i risultati ufficiali dell'indagine di sieroprevalenza svolta dal ministero della Salute e dall’Istat
su un campione di 150mila italiani, di cui, però, solo meno della metà si sono sottoposti al prelievo di sangue necessario per le analisi.

È emerso che il 2,5% della popolazione (con punte dell’8% in Lombardia)
è entrata in contatto con il Covid-19, come la presenza degli anticorpi dimostra.

Molti di essi – si stima il 30% – sono rimasti asintomatici, quindi hanno scoperto di essere positivi proprio grazie a questi test.

L’indagine del Governo è servita a capire il livello di immunizzazione raggiunto dalla popolazione;
ma il metodo può essere utilizzato anche “a scopi privati”, da chi è interessato a conoscere non solo se ha avuto già il Coronavirus,
ma anche, e soprattutto, se grazie agli anticorpi ha sviluppato l’immunità, almeno temporanea.

Vediamo quindi cosa è possibile fare per accertare la presenza anche passata della malattia
e per avere la risposta alla domanda sull’immunità.


Gli anticorpi: cosa sono
Gli anticorpi sono la risposta dell’organismo per difendersi da un’infezione:
le armi chimiche prodotte dal corpo per combatterla.

Ciascuna malattia infettiva, dal momento in cui viene contratta,
fa sviluppare queste sostanze e quindi la loro presenza costituisce
un segno rivelatore del fatto che il nostro corpo ha incontrato quello specifico virus.

Ci sono diversi tipi di anticorpi, detti in linguaggio tecnico immunoglobuline e sono suddivisi in categorie:

i più importanti per riconoscere il Covid-19 sono gli IgM,

che vengono prodotti nella fase iniziale dell’infezione e tendono a scomparire dopo alcune settimane,

e gli IgG, che sono prodotti alcuni giorni dopo ma rimangono nell’organismo per un periodo più lungo,

anche se ancora non è ancora chiaro esattamente per quanto (potrebbe trattarsi di molti anni o solo di pochi mesi).


Per questo, diciamo per inciso, l’immunità raggiunta dopo aver contratto la malattia è solo transitoria
e non si può escludere che il soggetto si ammali nuovamente di Covid-19 in futuro.



Come rilevare gli anticorpi: i test
Nel caso del Coronavirus, si può individuare la presenza degli anticorpi attraverso un test sierologico, che inizia con un prelievo di sangue.
Il campione viene analizzato con reagenti chimici in grado di riconoscere le immunoglobuline:
se risultano presenti, questo rivela che il soggetto è entrato in contatto con il virus, anche senza manifestare alcun sintomo.

La positività alle immunoglobuline igM, sarà indicativa di un’infezione ancora molto recente,

quella alle immoglobuline igG, segnalerà invece la presenza di un contatto più risalente nel tempo con il Sars Cov-2.


I due tipi di test sierologici
I test sierologici si suddividono in due tipi principali: quelli quantitativi e quelli qualitativi.

I primi ci dicono soltanto se una persona ha sviluppato gli anticorpi oppure no;
i secondi misurano anche la quantità di anticorpi presenti nell’organismo
e così misurano in maniera più precisa e significativa la risposta anticorpale.

In genere i test qualitativi sono più rapidi e di tipo speditivo:
basta una sola goccia di sangue, che viene prelevata con un “pungidito”
e analizzata da un kit portatile che fornisce l’esito immediato o nel giro di pochi minuti.

I test qualitativi, invece, richiedono un quantitativo di sangue più consistente,
che deve essere ottenuto con un vero e proprio prelievo,
e la sostanza viene analizzata nel laboratorio delle strutture sanitarie.
La risposta, quindi, può arrivare anche dopo alcuni giorni.


I test sierologici sono affidabili?
Il problema maggiore dei test è il loro grado di affidabilità.
Qui anche gli esperti si dividono, perché i prodotti e i metodi di analisi sono molti, più o meno sensibili e precisi.
Così in molti casi esistono margini di errore anche importanti.

Ad esempio, sapere che un test ha una precisione solamente dell’80% non è confortante,
perché sfuggirebbe un caso di positività su 5.

Un’attendibilità sufficiente si raggiunge quando il risultato è sicuro in almeno il 90-95% dei casi,
ma ancora nessun test sierologico è stato ufficialmente validato a questo livello dagli organi nazionali e internazionali competenti.

Non esistono quindi test al 100% attendibili, in grado di garantire una sorta di “patente di immunità”.

Inoltre, bisogna considerare che il test non rileva l’infezione nei primi giorni di insorgenza,
il cosiddetto “periodo finestra” durante il quale il virus è già arrivato ma è ancora in incubazione.

Questo significa, in pratica, che se si fa il test in quel momento si può risultare negativi agli anticorpi pur essendo già infetti.
 
Una volta ricevuto il vaccino, come faremo a sapere se siamo immuni alla covid?

Nell'attuale situazione, la domanda è quantomeno superflua.

Tanto per cominciare, perché per liberarci dalla pandemia occorre comunque vaccinare il maggior numero di persone possibile,
e concentrarsi sull'ampia protezione offerta dai vaccini: tutti quelli approvati finora, anche quelli con efficacia più ridotta.

In secondo luogo, perché anche da immuni non potremmo permetterci di abbassare la guardia finché la maggior parte delle persone non sarà vaccinata.

Conoscere il livello di protezione immunitaria di ciascuno potrebbe però essere utile in una fase successiva,
per valutare se e quando effettuare un richiamo o capire se i vaccinati siano anche protetti contro le varianti del virus.

Come ci si sta muovendo, su questo fronte?




Come spiegato sul New Scientist, alcuni test sierologici rapidi usati per individuare le infezioni naturali da coronavirus
possono tornare utili per rintracciare gli anticorpi prodotti in risposta ai vaccini dopo tre settimane dalla prima iniezione.

i sierologici non bastano.

La maggior parte di questi test ricerca gli anticorpi che rispondono alla proteina Spike e, una volta trovati,
non riesce a distinguere tra anticorpi dovuti al vaccino o conseguenti a un'infezione.


Alcuni, però, ricercano gli anticorpi che riconoscono la proteina virale del nucleocapside che non è contenuta nei vaccini,
e quindi non registrerebbero la presenza di una risposta immunitaria conseguente al vaccino.


Inoltre, i test commerciali hanno comunque un margine di incertezza, con un 10% di responsi "falsi negativi"
(non registrano anticorpi anche dove ci sono), e un 2% di "falsi positivi" (li trovano, ma in realtà non ci sono).

Un altro problema è che i test rapidi sierologici misurano semplicemente la presenza o l'assenza di anticorpi
ma non la loro quantità che diminuisce nel tempo.

Al momento, le uniche persone testate dopo la vaccinazione, sono state registrate per la ricerca
e quindi per capire, per esempio, quanto duri la copertura offerta dai preparati di Pfizer, Oxford-AstraZeneca e Moderna.

Indagini più complete.
In futuro serviranno test rapidi che rivelino il livello di anticorpi nei vaccinati
e la protezione che queste difese offrono contro le varianti del coronavirus.

Alcune compagnie di biotecnologie nel Regno Unito e in Germania stanno lavorando a strumenti diagnostici
che rilevino non solo gli anticorpi neutralizzanti ma anche le altre componenti chiave del sistema immunitario,
come i linfociti T, che prendono di mira direttamente le cellule infettate dal virus,
ed i linfociti B della memoria incaricati di produrre anticorpi indirizzati contro specifiche proteine virali.

Attualmente, questi altri attori immunitari non vengono identificati dai test anticorpali,
ma in futuro sarà fondamentale studiarli per capire quando intervenire con un vaccino di richiamo.



Nel frattempo, neanche i vaccinati dovrebbero comportarsi da immuni.

Finché non saremo usciti dalla fase critica della pandemia è
prudente trattare tutti come persone suscettibili se non alla malattia, almeno al contagio e alla trasmissione.

Non sappiamo, infatti, in che misura i vaccini riducano anche la circolazione asintomatica del virus.

Massima prudenza.


Proprio per questo il Ministero della Salute in Italia ha indicato che anche i vaccinati
entrati in contatto con un positivo debbano mettersi in isolamento fiduciario per dieci giorni,
ed effettuare un tampone di controllo prima di tornare alla vita "normale".

Anche i vaccinati potrebbero infatti risultare positivi, come osservato su alcuni sanitari già immunizzati con covid ma del tutto asintomatici.


E ricordatevi che tutti possono trasmettere il virus.
 
Il 98,4% del personale ospedaliero dell'Ospedale Niguarda di Milano
a cui è stato somministrato il vaccino ad Rna messaggero di Pfizer/BioNtech
ha sviluppato gli anticorpi contro il Covid-19 in maniera molto più consistente rispetto alle attese.


Cosa accade all'1,6%?

È questo il primo risultato dello studio clinico di uno dei campioni più ampi ad oggi in Italia e chiamato "Renaissancè", ossia Rinascimento.

Come riporta l'AdnKronos, il monitoraggio ha preso in esame, tra gennaio e febbraio,
i 2.497 vaccinati sottoposti ad un prelievo di sangue dopo 14 giorni dalla seconda somministrazione
con l'obiettivo di verificare la risposta immunitaria definita "molto alta" e "anche al di sopra delle aspettative",
afferma il Prof. Francesco Scaglione, Direttore del Laboratorio di analisi chimiche e Microbiologia del Niguarda.

A questo punto, però, la domanda sorge spontanea: ma cosa accade a quella percentuale,
seppur minima ed in questo caso dell'1,6%, che non sviluppa anticorpi?

C'è da dire, intanto, che sui 2.497 vaccinati, quattro di essi sono stati definiti "non responder",
non hanno avuto risposta anticorpale perché si tratta di persone
"immunodepresse, con trascorso di trapianti o patologie che implicano l'uso di farmaci che inibiscono la naturale risposta immunitaria".


"Meno anticorpi degli altri"
"Non è che l'1,6% non ha sviluppato anticorpi, ne ha sviluppati in una quantità che è inferiore
ai 2-300 Bau (Binding Antibody Unit, ndr), l'unità di misura internazionale decisa dall'Oms.

Quindi, non hanno risposto con la stessa intensità degli altri", dice il Prof. Scaglione che abbiamo sentito per farci spiegare bene
quali sono le possibile cause di una risposta anticorpale così bassa.

"C'è uno studio in corso di svolgimento da un anno per capire quanto durano nel tempo questi anticorpi
e qual è la loro capacità neutralizzante in modo da dare una dimensione a quelli che hanno risposto di meno,
magari sono immunizzati come tutti gli altri", aggiunge l'esperto.

Per intenderci, quindi, la risposta anticorpale c'è stata ma molto bassa:

dei 2.497 vaccinati, il 62.6% del campione ha avuto una risposta superiore a 2.000 Bau/ml,

il 21.6% tra 1.500 e 2.000 Bau/ml,

l’11.4% presenta un titolo tra 1.000 e 1.500 Bau/ml

e il 4.3% inferiore a 1.000 Bau/ml.

Balza all'occhio, quindi, l'1,6% con soli 2-300 Bau,
pochissimo anche se confrontati con quelli con la percentuale più bassa.


"In paragone è molto bassa, ma allo stato attuale delle conoscenze non sappiamo se è neutralizzante o meno", precisa il Prof. Scaglione.


"C'è una variabilità indivuduale"
I quattro soggetti che non hanno sviluppato gli anticorpi sono immunodepressi e, per questo motivo,
il loro organismo non è in grado di produrre una risposta immunitaria.

Ma nel famoso 1,6%, da cosa dipende il fatto che gli anticorpi siano al minimo?
"La risposta è difficile, probabilmente è genetica:
alcuni soggetti possono sviluppare meno anticorpi o in ritardo rispetto ad altri.

Adesso seguiremo tutti per i prossimi tre mesi, sei mesi ed un anno
per vedere come procedono ma bisogna considerare la variabilità individuale.


Quell'1,6% che ha risposto meno ha avuto una risposta anticorpale in misura nettamente inferiore rispetto al resto della popolazione.
Non so dire se siano protetti oppure no", ci dice il microbiologo.

"Vaccino non va rifatto".
L'1,6% che sviluppa pochi anticorpi dovrà rifare il vaccino?

"Per adesso no, li seguiamo nel tempo e la valutazione che faremo a tre mesi dalla vaccinazione ci dirà cos'hanno:
in teoria potrebbero averli uguali agli altri se avessero un ritardo nella formazione anticorpale".

È una cosa da sottolineare, perché nei prossimi giorni questi soggetti
potrebbero sviluppare una risposta maggiore di quella attuale e temere meno di essere infettati dal virus.

La valutazione che gli esperti hanno fatto al quattordicesimo giorno dipende, biologicamente,
dal picco anticorpale che in alcuni soggetti può avvenire dopo tre o quattro settimane
mentre per altri può avvenire già alla prima settimana, la variabilità biologica è altissima.

"È una materia tutta nuova, la stiamo studiando e trarre conclusioni allo stato attuale è difficile - aggiunge Scaglione -
Però posso affermare che il 98,4% ha un 'high response' cioè risponde ad alti livelli,
l'1,6% a più bassi livelli e quattro soggetti su quasi 2.500 non ha risposto per i motivi che abbiamo detto".



Più esposti alla malattia?
A questo punto un'altra domanda sorge spontanea: chi ha meno anticorpi rimane più esposto al rischio di contrarre il Covid?

La risposta non è così scontata.

"Anche questo non lo posso affermare: se uno ha duemila anticorpi e un altro ne ha cento
non posso dire che quello che ne ha cento sicuramente non è protetto.
Il concetto è questo: per uccidere un uomo ci vuole mezzo grammo di cianuro o un chilo? Ne basta anche mezzo grammo", ci dice il Prof.

L'esempio in questione è calzante perché tutto dipende dalla variabilità genetica
che abbiamo imparato a conoscere anche con il Covid in quei casi in cui molti non si sono ammalati
pur vivendo a contatto con positivi ed altri soggetti, molto giovani, ne hanno invece contratto forme severe.

Anche nel caso degli anticorpi funziona così.

"In futuro sarà fondamentale il cut-off, qual è il titolo anticorpale minimo per essere protetti?
Questo ancora non lo sappiamo, non lo sa nessuno"
.


Il ruolo delle cellule T
Lo studio è appena iniziato:
gli operatori sanitari saranno sottoposti ad ulteriori prelievi a 3, 6 e 12 mesi dalla seconda dose
per monitorare la permanenza della risposta anticorpale nel tempo.

A risultati acquisiti, sarà possibile valutare anche il potere neutralizzante degli anticorpi
per determinare quale possa essere la soglia minima per considerare davvero efficace la protezione contro l’infezione da Sars-Cov-2.

"Andiamo a vedere non soltanto la risposta anticorpale ma anche le cellule T, quelle deputate alla memoria.

Il vaccino del morbillo si fa una volta e non si fa più perché queste cellule conservano la memoria e rispondono subito - ci dice il microbiologo -

Noi vedremo anche questo, se il vaccino può indurre un'immunità molto duratura.


In genere rimangono, abbiamo l'esperienza dell'influenza: facciamo il vaccino ogni anno perché c'è un ceppo mutato.


Bisognerà vedere cosa succede con le varianti"
.
 
Voilà. Ecco un altro tassello che si inserisce nel meccanismo di controllo
e di obbligo alla vaccinazione.


AGI - Servirà il green pass anche in zona bianca
in occasione di feste conseguenti a cerimonie civili o religiose.

Lo precisano Ministero della Salute e Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome
in riferimento a notizie diffuse da alcuni organi di informazione.



In un comunicato è detto quindi che

“le feste conseguenti alle cerimonie civili o religiose, anche al chiuso,
devono svolgersi nel rispetto di protocolli e linee guida adottati
ai sensi dell'articolo 1, comma 14, del decreto-legge n. 33 del 2020
e con la prescrizione che i partecipanti siano muniti di una delle certificazioni verdi Covid-19
di cui all'articolo 9 del decreto-legge n. 52 del 2021 anche in zona bianca,
in quanto previsto dal decreto del governo".


E' precisato inoltre che il comma 2 dell’articolo 9 del DL 65/2021
"si limita a stabilire l’anticipazione della possibilità di tali feste in zona gialla al 15 giugno,
ma restano ferme le modalità di svolgimento indicate nella stessa norma”.
 
Per certificazione verde si intende una certificazione comprovante uno dei seguenti stati:
  • l’avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2
  • la guarigione dall’infezione da SARS-CoV-2 (che corrisponde alla data di fine isolamento, prescritto a seguito del riscontro di un tampone positivo)
  • il referto di un test molecolare o antigenico rapido per la ricerca del virus SARS-CoV-2 e che riporti un risultato negativo, eseguito nelle 48 ore antecedenti.

  • La certificazione verde Covid-19 di avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2
    • viene rilasciata in formato cartaceo o digitale dalla struttura sanitaria o dal Servizio Sanitario Regionale di competenza.
    • Al momento, la validità è dal quindicesimo giorno dopo la somministrazione della prima dose
    • fino alla data prevista per il completamento del ciclo vaccinale (quando sono previste 2 dosi)
    • e di nove mesi dal completamento del ciclo vaccinale.
    • La certificazione verde Covid-19 di avvenuta guarigione da COVID-19,
    • viene rilasciata in formato cartaceo o digitale, contestualmente alla fine dell’isolamento,
    • dalla struttura ospedaliera presso cui si è effettuato un ricovero,
    • dalla ASL competente,
    • dai medici di medicina generale
    • o dai pediatri di libera scelta.
    • Al momento, la validità è di sei mesi dalla data di fine isolamento.
    • La certificazione verde Covid-19 di effettuazione di un test antigenico rapido o molecolare
    • per la ricerca del virus SARS-CoV-2 con esito negativo è rilasciata dalle strutture sanitarie pubbliche,
    • private autorizzate, accreditate, dalle farmacie o dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta che erogano tali test.
    • La validità della certificazione è di 48 ore dal prelievo del materiale biologico.

  • Il decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 prevede,

  • oltre che per comprovate esigenze lavorative o per situazioni di necessità o per motivi di salute,

  • la possibilità di spostamento in entrata e in uscita dai territori collocati in zona rossa o arancione, anche ai soggetti muniti di certificazione verde.

  • Il decreto-legge 18 maggio 2021, n. 65 prevede che dal 15 giugno 2021, in zona gialla,

  • sono consentite le feste conseguenti alle cerimonie civili o religiose, anche al chiuso,

  • nel rispetto di protocolli e linee guida specifiche e con la prescrizione che i partecipanti siano muniti di una delle certificazioni verdi.



  • Le misure di igiene vanno sempre rispettate, in quanto non può essere garantita la totale eliminazione del rischio di prima infezione nei vaccinati



  • o di reinfezione nei guariti, anche a causa della circolazione delle varianti,

  • nè può essere escluso il rischio di trasmissione del virus.

  • Ugualmente, non è escluso il rischio di prima infezione e, conseguentemente, il rischio di trasmissione in chi abbia un tampone negativo.

  • Pertanto, tutti i cittadini devono continuare a:
    • indossare le mascherine
    • rispettare il distanziamento fisico
    • igienizzare frequentemente le mani
    anche se in possesso di una certificazione verde Covid-19.



  • I certificati verdi sono rilasciati in ambito regionale e sono validi solo sul territorio nazionale
  • e fino all’entrata in vigore del Digital Green Certificate, che verrà invece emesso da una piattaforma nazionale,
  • alimentata con i dati trasmessi dalle Regioni, e conterrà un codice a barre bidimensionale (QRcode)
  • per verificarne digitalmente l’autenticità e validità.

  • Sarà necessario per muoversi in Unione Europea

  • oltre a valere sul territorio nazionale per gli spostamenti e le attività per i quali è richiesta certificazione.

 
A futura memoria.


I vaccini contro il Covid-19 sono pericolosi perché causano l’ADE.



Affermazione vera

(LA DIDASCALIA SOPRA EVIDENZIATA AVRA' VALORE DI VERITA' SOLO QUANDO I VACCINI SARANNO STATI TESTATI
FRA QUALCHE ANNO - SE CI SAREMO ANCORA)



Oggi ci dicono :
Non ci sono evidenze scientifiche che i vaccini anti Covid-19 inneschino l'ADE, cioè l’ “Antibody Dependent Enhancement”,

reazione per cui alcuni anticorpi anziché bloccare un virus ne facilitano il suo ingresso nelle cellule.


I vaccini autorizzati (IN EMERGENZA PERCHE' NON TESTATI) dalle autorità competenti – EMA e AIFA -,
che sono attualmente in corso di somministrazione, fanno produrre anticorpi in modo selettivo
contro la proteina “Spike” presente sul coronavirus e la loro azione è volta a bloccare l’ingresso del virus nelle cellule.

I vaccini, quindi, non possono determinare l’ADE
né in coloro che si vaccinano senza aver contratto l’infezione da nuovo coronavirus,
né nelle persone che si vaccinano dopo aver contratto l’infezione.
 
Il vaccino è inutile perché l'immunità dura pochi mesi ed in alcuni casi poche settimane



Affermazione vera

SEMPRE A FUTURA MEMORIA.


Oggi ci dicono :
I dati provenienti dalle sperimentazioni indicano che i vaccini inducono una protezione che dura diversi mesi.

Molti studi sono in corso per avere certezza sulla durata di tale protezione
e sapere se sarà necessario o meno effettuare dei richiami come accade per altre vaccinazioni.
 
Se mi faccio il vaccino anti-SARS-CoV2/COVID19 sono immediatamente protetto dalla malattia


L'azione dei vaccini necessita di un certo periodo di tempo per svolgersi pienamente e fornire la protezione nei confronti del virus.

Gli studi clinici hanno evidenziato un'efficacia protettiva del vaccino anti-COVID19 Comirnaty (Pfizer-BioNTech),
attualmente in somministrazione, pari al 95% dopo una settimana dall'inoculazione della seconda dose.

Già dopo circa 7-14 giorni dalla somministrazione della prima dose
inizia a svilupparsi una certa protezione dal virus,
una protezione che la seconda dose, effettuata dopo 21 giorni dalla prima, rinforza e rende più prolungata ed efficace.

Per quanto riguarda, invece, il vaccino Moderna, autorizzato dall'Aifa il 7 gennaio 2021,
l’immunità si considera pienamente acquisita a partire da due settimane dopo l'inoculazione della seconda dose, che va effettuata a distanza di 28 giorni dalla prima.


Ad ogni modo, anche dopo essersi vaccinati
è importante continuare a prestare attenzione alle regole di prevenzione anti-COVID19
(utilizzo della mascherina, distanziamento fisico, lavaggio frequente delle mani e areazione dei locali).

QUINDI SERVONO A POCO O NULLA.
 
È inutile farsi fare la vaccinazione anti Covid-19 perché il vaccino non uccide il virus e non blocca l'epidemia



Affermazione vera


LA VERITA' E' CHE TRATTANDOSI DI STUDI FATTI IN EMERGENZA
N E S S U N O
CONOSCE COSA SUCCEDERA' NEL PROSSIMO FUTURO.
SI VA AVANTI A TENTATIVI.


Oggi ci dicono:
Il vaccino serve ad attivare i meccanismi di difesa del proprio organismo contro il virus,
così in caso di contagio le nostre difese immunitarie sono già pronte a reagire per rendere inefficace il virus.
 

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