NON E' LA MERA FOTOGRAFIA CHE MI INTERESSA. QUEL CHE VOGLIO E' CATTURARE QUEL MINUTO,

Accanto ai reali vincoli economici, luoghi comuni assai diffusi attribuiscono la mancanza di lavoro a tutta una serie di fattori.

Il lavoro mancherebbe perché:

  1. l’automazione dei processi produttivi incorporando il lavoro nelle macchine, sempre più intelligenti, espelle forza lavoro;
  2. il costo del lavoro è troppo alto;
  3. la competizione con gli immigrati sul mercato del lavoro toglie agli italiani il poco lavoro rimasto;
  4. il lavoro manca perché non abbiamo soldi per remunerarlo.
È innegabile che l’automazione incorpori lavoro umano.
La novità è che, mentre in passato, le tecnologie dell’automazione creavano nuovi posti di lavoro
distruggendone almeno altrettanti in un rapporto di sola sostituzione, oggi le macchine, dotate di intelligenza artificiale di seconda generazione
(utilizzanti la tecnologia delle reti neurali) apprendono e sono sempre più adatte a sostituire anche il lavoro cognitivo umano (1).
Lo sbilancio tra i nuovi lavori creati dall’introduzione dell’intelligenza artificiale e i lavori che scompariranno crescerà inevitabilmente.
Bisogna però chiedersi come mai questo non si trasformi in benefici a vantaggio di tutti.
Il banco di prova, per un sistema economico sano e sostenibile, dovrebbe a rigore risiedere nel fatto che i guadagni di produttività,
e la conseguente ricchezza, generata dalla introduzione di macchine intelligenti nel mondo del lavoro,
dovrebbero tradursi in riduzione dei tempi di lavoro (orario di lavoro, età pensionabile, ecc. ) a parità di remunerazione,
in tutti quei casi in cui il bisogno e quindi la domanda di beni prodotti con sistemi automatizzati si mantenga stazionaria,
e la piena occupazione, nei settori interessati, fosse stata raggiunta.

Veniamo da una cultura economica in cui industria e manifattura hanno occupato il centro dell’economia.
Le macchine intelligenti, incorporano sempre più occupazione, in moltissimi settori della produzione di merci e servizi,
così da garantirci grandi aumenti di produttività e di profitto senza che questo sia in grado di tradursi
in diminuzione della giornata lavorativa standard di 8 ore a parità di retribuzione o in abbassamento dell’età pensionabile.

Quando ai nostri giovani in cerca di occupazione diciamo che manca il lavoro stiamo dicendo una clamorosa bugia che è facilissimo smentire.

Basta guardarsi intorno.
Basterebbe guardare allo stato delle nostre infrastrutture o al settore della cura della persona,
della manutenzione e messa in sicurezza dell’ambiente naturale, si pensi, in particolare al dissesto idrogeologico del territorio
o alla messa in sicurezza idraulica dello stesso, alla tutela, manutenzione e valorizzazione del patrimonio artistico, monumentale, culturale e anche immobiliare
(non abbiamo bisogno di continuare a cementificare il suolo quanto piuttosto di recuperare, manutenzionare e ristrutturare energeticamente il patrimonio edilizio esistente).

Un esempio di lavoro non svolto è, infatti, quello delle ristrutturazioni energetiche degli edifici.

Ci sono un mare di interventi necessari in tal senso, che rimangono in gran parte non svolti.
La ristrutturazione energetica di edifici privati e pubblici, coinvolgerebbe inevitabilmente lavoratori edili, impiantisti, architetti ecc.;
i costi di tali interventi si ripagherebbero in breve tempo grazie al risparmio di energia che consentirebbero.
Gli incentivi pubblici potrebbero catalizzare tali processi di ristrutturazione energetica su larga scala.

Nella attuale condizione, in assenza di adeguati investimenti pubblici, si sprecano le energie e le competenze di coloro che vengono lasciati inattivi, senza occupazione;
Messi alle strette dall’evidenza si è costretti ad ammettere che mancherebbero le risorse finanziarie necessarie
ad attivare tutti i fattori produttivi esistenti ma inespressi a cominciare dalla forza lavoro.

Nei settori schematicamente indicati sarebbe indispensabile aumentare grandemente l’occupazione
(alcune stime – A. Galloni 2016 – prevedono la necessità di attivare sino a 8 milioni di posizioni lavorative in questi settori)
ma accade che in essi nessuno è più in grado di investire adeguatamente, perché, in generale, il fatturato di queste attività risulta più basso del suo costo!

Per affrontare queste attività socialmente necessarie il modello capitalistico è perciò, evidentemente, inefficace!

Esso non è in grado di mobilitare tutti i fattori produttivi disponibili in termini di forza lavoro, competenze, tecnologie e risorse finalizzandole alla generazione di ricchezza pubblica.

Lo Stato costituzionale deve tuttavia sottrarsi al nodo scorsoio della moneta a debito e ritornare ad usare,
allo scopo di permettere ai propri cittadini di affrontare il lavoro incompiuto di cui sopra, lo strumento della moneta di stato pubblica, non a debito.

Si tratta di biglietti di Stato, emessi dal Tesoro, moneta legale all’interno del territorio nazionale con la quale coprire il fabbisogno dello Stato
– rispetto alle necessità determinate da quegli investimenti pubblici, non coperti da entrate fiscali – senza indebitarsi ulteriormente,
utilizzabile nelle normali transazioni all’interno del territorio nazionale e quale strumento di pagamento delle imposte fiscali.

Il suo uso consente l’equilibrio di bilancio (pareggio) come previsto dall’attuale art. 81 della Costituzione.

Con i trattati europei abbiamo devoluto alla BCE la competenza sulle banconote (moneta a debito privata).
Essi non risultano, perciò, incompatibili con l’uso interno, in parallelo all’euro, che continuerebbe, in questa fase,
ad essere la valuta utilizzabile negli scambi internazionali e unità di conto per le statonote (moneta pubblica non a debito).

Già Aldo Moro ne fece uso quando con la legge 31 marzo 1966, n. 171 si autorizzò il Tesoro a emettere biglietti di Stato a corso legale da 500 £.
Fra il 1966 e il 1974 furono emesse due serie di queste banconote (emissioni “Aretusa e Mercurio“) per un totale di 300 miliardi di lire.
Il consulente economico di Moro era stato quel Federico Caffè, a cui si deve l’impianto del titolo 3 della Costituzione economica, misteriosamente scomparso il 15 aprile del 1987.

I paesi OCSE contano 250 milioni di disoccupati, con il 20% di disoccupazione strutturale.
Anche i paesi più avanzati sono affetti da disoccupazione strutturale.

L’impresa capitalistica da sola non è in grado di garantire pieno impiego.
Solo in un sistema economico non capitalista, uno Stato pienamente sovrano, può permettersi di far crescere l’occupazione,
in questi settori dell’economia immateriale, sino a colmarne la domanda
.


Domanda interna e lavoro: una relazione virtuosa

Gli incentivi a investire in mancanza di domanda risultano del tutto inefficaci.
Detto in modo paradossale, se si incentivano le aziende, in mancanza di domanda interna, ad assumere giovani e/o donne,
le aziende facilmente li assumeranno ma licenziando i lavoratori di genere maschile o di età più avanzata…

È sbagliato, perciò, pensare che la condizione primaria, per l’assorbimento della disoccupazione, sia l’abbassamento del costo del lavoro.
Sottopagare il lavoro non serve a farlo aumentare, tutt’altro.

Il licenziamento di lavoratori in esubero al fine di salvare l’azienda, la delocalizzazione presso sedi a più basso costo del lavoro
(dove cioè sono generalmente più bassi i costi di produzione ed in particolare è possibile e legittimato un maggior sfruttamento dei lavoratori)
o nei casi più estremi la chiusura della micro/piccola e in qualche caso anche media impresa non sono sempre scelte obbligate.

In molti casi è già avvenuta una nuova alleanza tra lavoratori e micro e piccoli imprenditori (ciascuno mette il proprio lavoro e un proprio seppur piccolo capitale)
che si è spinta a integrare i lavoratori nella gestione dell’impresa, consentendo loro la partecipazione agli utili e persino alla proprietà!
Si tratta di un modello di worker’s economy, un’economia del lavoro in cui i lavoratori recuperano aziende destinate al fallimento.

In Argentina 300 fabbriche prima occupate e poi recuperate dai loro operai hanno lanciato un modello di riqualificazione industriale che ha coinvolto 10 mila lavoratori

Importante anche l’esperienza italiana. Nel gennaio 2014 queste realtà si sono date appuntamento in Francia per mettere a confronto le proprie esperienze.

È importante che queste piccole imprese trovino soprattutto in un diverso habitat socioeconomico, in particolare, a partire dall’economia interna e locale il proprio equilibrio economico.

I circuiti di credito commerciale che funzionano valorizzando la tecnica della camera di compensazione permettono di ancorare e far fruttare la ricchezza prodotta localmente nel territorio.
È noto infatti che in tali circuiti la moneta è ridotta alla sua funzione di unità di misura del valore di merci e servizi scambiati all’interno del circuito.
Ciascuno acquista all’interno del circuito pagando con ciò che produce.
Si tratta di una forma di baratto multilaterale in compensazione mediata dalla tecnologia che però induce coloro che ne fanno parte
(imprenditori, professionisti, dipendenti, e cittadini comuni) a spendere i crediti guadagnati (vendendo la propria produzione a chiunque ne faccia parte)
all’interno del circuito. Il sardex o il WIR svizzero ne sono degli esempi.
In questo modo vengono disintermediati i grandi centri commerciali, le grandi multinazionali, e le grandi banche d’affari.
È un sistema che struttura la collaborazione tra le parti finalizzando le attività alla costruzione di Bene Comune.

La domanda di lavoro e l’occupazione dipendono dallo sviluppo economico e non viceversa

Un patto per il rilancio – sarebbe necessario un convegno nazionale per il pieno impiego –
dovrebbe affrontare e risolvere le cause della deindustrializzazione e delle relative delocalizzazioni
ovvero della perdita di controllo della capacità del nostro sistema economico di generare valore
a partire dal lavoro autonomo sino alla crisi dei distretti e delle grandi aziende comprese quelle pubbliche. I
mportante sarebbe reinternalizzare le attività industriali e favorire gli investimenti tecnologici,
piuttosto che accettare l’ennesima proposta di gabbie salariali, salari di ingresso, deroghe nel sud ai contratti nazionali.
Le politiche di sgravio fiscale per le nuove assunzioni non sono sufficienti; è necessario l’esercizio della sovranità monetaria
per immettere nel sistema moneta non a debito in quantità tale da attivare le energie umane e le risorse necessarie
ad affrontare l’ordinario e lo straordinario senza lasciare che le molteplici risorse, di cui il nostro paese è ricco, vengano abbandonate e/o svendute al miglior offerente.

La falsa esigenza di legittimare solo il lavoro che produce profitto ha determinato da una parte la grande crescita del settore manifatturiero
e dall’altra la dismissione della economia sociale. Dal primo, però, non ci si può più aspettare un ulteriore assorbimento occupazionale.
L’aumento occupazionale, invece, sarebbe possibile nel settore della cura delle persone e del territorio.
In questi ambiti è d’obbligo, però, l’intervento pubblico. La relativa spesa atta a sostenere gli investimenti, ancora una volta,
è sostenibile solo in condizioni di ritorno all’esercizio della sovranità essendo l’unica che possa garantire
lo sviluppo dei servizi di cura della persona e dell’ambiente, di manutenzione e recupero del patrimonio artistico.

Da una parte, dunque, come ripete spesso l’economista A. Galloni, abbiamo dei comparti ad alto profitto dove non cresce l’occupazione
e dall’altra abbiamo un settore a basso profitto dove l’occupazione sarebbe in espansione ma che risulta, morente,
e vicina allo stato fallimentare, a causa della mancata azione sovrana della Stato.

Sono necessari investimenti pubblici nel contesto di una vera e propria politica industriale che potrà essere realizzata solo uscendo dalla trappola
delle politiche di austerità e della fissità dei cambi e, al tempo stesso nel ritornare ad avere una banca centrale sotto il controllo pubblico (2),
in modo da poter riavviare il circolo virtuoso innescato dal welfare state che liberando i cittadini da spese sanitarie, trasporti, istruzione, ecc.
permette loro un maggiore investimento nei consumi. L’innalzamento delle retribuzioni pensionistiche, ad esempio,
servono a stimolare la domanda di prodotti di qualità da parte degli anziani che è ciò che serve ai giovani per avere un lavoro stabile.

Il conflitto generazionale, non a caso, è un’altra invenzione dell’offensiva culturale che ha portato alla riaffermazione dei modelli economici liberali.
Cassa integrazione, disoccupazione ed indennità di disoccupazione, mancati investimenti sulla sicurezza del lavoro sono i veri fattori che contribuiscono a svuotare le casse della previdenza sociale.
L’economia è sempre trainata dalla domanda; oggi più che mai, non ci sono più problemi dal lato dell’offerta.
Qualunque cosa si può produrre in grandi quantità a costi relativamente bassi ma se il potere d’acquisto non è sufficiente il sistema perde la sua sostenibilità.

Per il liberismo, le pensioni, la previdenza sociale, sono ingiustificabili; esso vorrebbe naturalizzare l’esistenza di ampi margini di disoccupazione,
deflazione, mercato del lavoro esclusivamente regolato dalla competitività, privazione dell’accesso all’abitazione.

Al posto del sistema pubblico ogni cittadino dovrà dotarsi di assicurazione sanitaria e investire in un fondo pensioni privato
sperando che non subisca le conseguenze delle crisi che esso stesso può contribuire a generare
o più banalmente che non investa male perché in tal caso diviene concreto il rischio di perdere la pensione,
l’assistenza sanitaria e anche il lavoro con conseguente abbassamento della speranza di vita.

La Repubblica costituzionale invece si impegna a promuovere il welfare universale, e a rimuovere, come suo primo e principale compito,
tutti quegli ostacoli che impediscono il pieno godimento dei diritti fondamentali che il prevalere dell’ideologia liberista tende inevitabilmente ad impedire.
I costituenti ci lasciano indicazione di come il conflitto sociale, presente nel mercato del lavoro, si risolva nella formulazione dei primi due articoli:
la Repubblica è fondata sul lavoro, la Sovranità è di un popolo di lavoratori attivo nella costruzione del benessere della Nazione;
lavoratori sono tutti quelli che esercitano una attività lavorativa compresi quindi gli imprenditori, escludendo però i rentiers che vivono di rendita
(vive di rendita chi vive di ricchezza tesaurizzata) e che non sono, perciò, considerati meritevoli non godendo della dignità del lavoro.

L’art. 3, nel suo comma secondo, dice che compete alla Repubblica (governo e parlamento)
«…rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese» ed è sempre la Repubblica nell’Art.4 che «…riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro
e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.»

Ecco. Questo è un programma di intervento attivo!
Lo strumento che rende effettivo questo diritto, secondo i costituenti, è la Costituzione economica Keynesiana,
articoli dal 35 al 47, che vanno dalla tutela del lavoro alla tutela del risparmio.

La Costituzione economica è lo strumento fondamentale per attuare il diritto al lavoro, fondamento della Sovranità popolare democratica
e, perciò inderogabile sul piano del diritto pubblico come impegno dello Stato, al di sopra quindi della sfera del diritto civile.

Settant’anni fa, Lelio Basso, in Ciclo totalitario, «Quarto Stato», 1-31 lug.-15 ago. 1949, n. 13/14/15, pp. 3-6 scriveva:

Quali siano queste trasformazioni di struttura abbiamo già più volte indicato: esse vanno dal superamento dell’economia di concorrenza
alla conseguente distruzione della produzione indipendente, cioè non legata a gruppi, sia essa piccola, media o relativamente grande,
dall’abbandono di certi tipi di produzione industriale alla trasformazione delle culture agrarie in relazione alle direttive dell’imperialismo americano
e alle sue esigenze di sfruttamento di un solo grande mercato europeo, dalla cartellizzazione e cosiddetta “razionalizzazione” dell’industria
alla modificazione delle abituali correnti di traffico, dall’abbandono di difese doganali alla rinuncia a sovranità nazionali,
dalla subordinazione dei poteri pubblici alle direttive dei monopoli fino alla creazione di un sistema di sicurezza del grande capitale
capace di garantirgli la tranquillità del profitto e di socializzarne le perdite. Tutto questo processo è evidentemente destinato ad accrescere
la disoccupazione operaia, ad aumentare il livello di sfruttamento delle masse contadine, e, in misura forse ancora maggiore, a sgretolare e pauperizzare i ceti medi,
a soffocare ogni libertà di pensiero e ad avvilire intellettuali e tecnici al rango di servi dell’imperialismo.

Non importa se i nostri avversari si riempiono la bocca di formule altisonanti di democrazia: la loro politica, più ancora di quella di Hitler,
è la minaccia più grave che abbia fino ad oggi pesato sulle possibilità di sviluppo democratico dell’uomo moderno.

È chiaro perciò che la politica della classe operaia deve essere una politica capace di interessare non soltanto gli operai stessi,
ma altresì tutti quei ceti – e sono l’immensa maggioranza della popolazione – che la politica dell’imperialismo distrugge od opprime
sia economicamente sia spiritualmente e coi quali noi dobbiamo ricercare i mezzi e le vie per creare un nuovo equilibrio di forze sociali
che rovesci quello oggi in via di consolidamento. Dev’essere chiaro per tutti che le forze, che oggi si sono insediate al governo del nostro paese,
non hanno alcuna possibilità di tornare indietro dalla strada su cui si sono avviate e che è la strada del domino totalitario dello stato
per conto dei grossi interessi capitalistici; e che perciò la sola possibilità offerta a chi non vuole soggiacere a questa nuova edizione del regime che si profila,
è di opporvisi con tutte le proprie energie, non per tornare indietro o per stare fermi, ma per allearsi con tutte le forze decise a creare un nuovo equilibrio
che segni un passo avanti sulla strada della democrazia e del progresso.



(2) L’unico rimedio per la disoccupazione è avere una banca centrale sotto il controllo pubblico. (cfr. John Maynard Keynes, 1936, The General Theory of Employment, Interest and Money)
 
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Così si decide. Che povera gente al governo di questo paese.

“Il ministero degli Interni, lo scorso settembre, aveva emesso un bando destinato ai Comuni per realizzare opere pubbliche di messa in sicurezza di edifici,
con priorità a quelli scolastici, per prevenire il dissesto idrogeologico ed evitare lo spopolamento dei piccoli borghi,
il ripristino di opere danneggiate a seguito di calamità naturali e per altri interventi importanti sul patrimonio comunale”

dichiara il capogruppo di Libertà e Autonomia Mattia Micheli.

“Insomma, finalmente da Roma avevano emanato un bando che sembrava proprio cucito su misura per il nostro territorio
ed infatti dalla provincia di Lecco erano pervenute sul tavolo del Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali ben 54 proposte progettuali”
continua il consigliere provinciale.

Nel decreto, al netto di tutti i “visto e considerato”, riferimenti di legge, circolari in burocratese e rimandi agli allegati,
risulta evidente che i comuni beneficiari del contributo sono dislocati per la stragrande maggioranza nelle regioni del sud
mentre i comuni lombardi beneficiari del contributo sono pochissimi, uno a Lecco, uno a Sondrio, uno a Como tre a Brescia e via di seguito”

spiega Micheli.



Senza esaminare nessun dato e senza entrare nel merito delle proposte progettuali,
il ministero ha utilizzato come unico criterio di valutazione il rapporto in negativo tra il risultato di amministrazione
e le entrate fiscali di competenza andando di fatto a finanziare molti comuni in disavanzo“.


“Credo sia importante evidenziare che provvedimenti di questo tipo – sottolinea Micheli –
non sono un segnale positivo per amministratori locali e cittadini, passa il messaggio che gestioni poco oculate vengono premiate
con risorse importanti che dovrebbero essere destinate invece ai comuni virtuosi”.

“L’attuale governo ha perso un’altra occasione importante per dimostrare l’attenzione agli enti locali virtuosi
andando a finanziare per l’ennesima volta comuni con forti disavanzi e cosa peggiore senza un analisi puntuale delle proposte progettuali".
 
La CAAM, associazione di produttori auto cinese, ha assistito ad un 2019 disastroso,
con un calo complessivo delle vendite auto del 8,2%, e non si aspetta nulla di meglio per il 2020.

La sensazione ben fondata è che si sia passati da una fase di crescita economica rapida, di sviluppo tumultuoso,
ad un’altra di crescita lenta se non, dati alla mano, di stagnazione, e produttori e consumatori si stiano adattando alla nuova realtà dei fatti.

Comunque il 2019 è stato il secondo anno consecutivo di calo delle vendite, come si può vedere nel successivo grafico:



Una riduzione che non ha escluso nessun neppure il settore delle auto ibride ed elettriche che hanno visto, anch’esse, un calo sensibile



In questo caso la cancellazione dei sussidi ha avuto un effetto che possiamo definire drammatico, con un meno 42% delle vendite a novembre ed un meno 24% a dicembre.

Tutto questo ha contribuito al calo complessivo delle vendite e, soprattutto, viene a porre dei dubbi sulla velocità di sviluppo di un settore industriale
in cui diverse grandi case stanno investendo cifre importanti.

Ormai appare chiaro che l’obiettivo di 2 milioni di veicoli elettrici venduti all’anno, fissato nel 2017, non sarà raggiungibile per diverso tempo.

Le aziende del settore si apprestano ad assistere ad una forte competizione interna.

Ford si attende un calo delle vendite del 25% in Cina ed anche la locale Geely si appresta ad affrontare una contrazione.

Il timore è che questa concorrenza sfrenata possa strabordare in un dumping verso l’Europa.
 
Ora sono degli enti inutili, che però hanno un costo.
Tanto vale ridargli autonomia e capacità di agire.

“Le Province – ha sottolineato il consigliere lecchese Mauro Piazza - sono nate con territori ben identificabili
e come forma organizzativa definita ben prima della nascita dello Stato italiano.
Rappresentano le comunità, ma con la legge Delrio sono state “svuotate” facendo così mancare un modello razionale di governo
e generando gravi e pesanti ripercussioni sull’erogazione di molti servizi primari nei territori.
Da qui la necessità di una revisione della legge che deve anche prevedere la reintroduzione dell’elezione diretta del Presidente e del Consiglio provinciale
e il ripristino della Giunta, atto che abbiamo portato oggi in Consiglio regionale e che è stato votato dai gruppi che compongono la maggioranza.
Con questo documento viene sottolineata l’importanza e la necessità di creare un corretto e più efficiente impianto di governance del sistema
che interessa e coinvolge le Regioni e le autonomie locali, con una adeguata distribuzione di competenze e funzioni
e garantendo al tempo stesso le relative e necessarie risorse. Quattro sono i punti fondamentali della Risoluzione:

gli organismi politici devono avere nuovamente la legittimazione popolare attraverso il voto,

le funzioni di area vasta devono essere ben definite,

deve essere garantita l’autonomia finanziaria per assicurare le risorse necessarie utili a coprire e svolgere efficacemente le funzioni attribuite,

vanno assicurati in misura adeguata gli standard di organizzazione e personale al fine di garantire la piena funzionalità degli apparati amministrativi.
 
Povero Salvo. Lui ha detto un decimo di quanto scritto da questi interdetti.

Vietato insultare le donne. A meno che non siano cacciatrici. E magari di destra.
Allora le si può offendere, oltraggiare e forse anche aggredire, senza che i soloni del moderno galateo
proferiscano verbo o i sindacati scendano in piazza a manifestare solidarietà.

Sembra girar così il triste mondo del politicamente corretto a senso unico, dove i diritti valgono solo per quegli animali
che nella fattoria sono più uguali degli altri, ovvero appartengano alle categorie protette dai salottini del perbenismo progressista,
diventato ormai pensiero non solo dominante, ma addirittura unico.

L'ultima a farne le spese è la consigliera di Regione Lombardia Barbara Mazzali,
rea non solo di essere stata eletta nelle liste di Fratelli d'Italia, ma anche di essere cacciatrice e amica dei cacciatori.

E delle tre si fatica a capire quale potrebbe essere la sua colpa più grave, visto quello che le è capitato (anzi ri-capitato).

Perché la spiacevole premessa è la lettera minatoria già ricevuta a dicembre.

«Vorremmo solo vederti morta dopo mesi di sofferenze, saperti sotto terra mangiata dai vermi»
era solo una delle agghiaccianti frasi, paradossalmente anche una delle più pubblicabili,
essendo il resto un insieme di aggressioni a sfondo sessuale.

Proprio quello contro cui normalmente si scagliano sacerdoti e sacerdotesse della lotta agli hate speech, i discorsi di incitamento all'odio.
Peccato che in quella occasione tutto si fermò a qualche scontata e per nulla solerte dichiarazione di solidarietà.
Messa sulla carta e che sulla carta è rimasta.

Tanto che oggi si è punto e a capo.

Con la Mazzali nuovamente e in modo ignobile aggredita, questa volta sul suo profilo Facebook,
per aver semplicemente scritto che lo scorso fine settimana aveva
«inaugurato il tesserino venatorio e passato il sabato ospite della tenuta Sant'Alessandro nella Lomellina».

La risposta «è una valanga non solo di insulti, ma anche di minacce di morte».

Tanto che due sue collaboratrici hanno passato la giornata a cancellare almeno gli oltraggi più truci.

«Spero che prima o poi vi sparate tra di voi», uno dei meno truculenti.
«Sarebbe bello vederti d'altra parte correre spaventata e qualcuno che ti spara. Te lo auguro con tutto il cuore».
Non solo. «Visto che vi piace la morte spero venga a prendervi presto».
Perfino in inglese: «I wish you'll have a gun accident».
«Una donna dovrebbe essere madre per natura. Mi piacerebbe che i cacciatori provassero lo stesso sulla propria pelle».

E giusto per dare un'idea del panorama hard-pulp, c'è anche l'«Infilati la canna in c... e spara».

E tutto questo per alcune immagini di una normalissima battuta di caccia in una tenuta privata
che ritraevano la Mazzali (peraltro elegantissima) assieme ad amici con il fucile aperto in spalla:
roba più retrò che da Robert De Niro a caccia del cervo nel meraviglioso film di Michael Cimino.

«Sottolineo che in nessuna foto si vede un carniere e ricordo che la caccia è un'attività legalmente riconosciuta e normata dalla legge».

«Se gli animalisti italiani sono questi, è ora che intervenga la Procura: la violenza e le minacce non possono rimanere impunite.
Ricordo anche che solo poche ore fa la senatrice della Lega Rosellina Sbrana ha condiviso su Facebook un post
in cui si felicita con tanto di faccine per la morte di un cacciatore. I social non possono essere terra di nessuno in cui sfogare l'odio,
perché poi si alimenta una violenza che può passare ai fatti».

Di qui la richiesta alla Procura perché «intervenga con decisione, è il momento di smetterla di concedere tutto agli animalisti.
Lo Stato prenda provvedimenti, perché non possiamo essere gente per bene quando paghiamo le tasse di concessione e poi persone di cui vergognarsi quando andiamo protetti».
 
Dementi francesi. Poverini.

Una scelta che ha scatenato l'ira degli animalisti.
Il prossimo anno i bambini del quartiere Grieu andranno a scuola in "equibus", ovvero un calesse trainato da un cavallo mediante l'aiuto di una batteria elettrica.

Un percorso di tre chilometri e mezzo, dalla durata di circa 20 minuti: l'iniziativa da parte di Jean-Michel Bérégovoy è volta a ridurre i gas di scarico.
L'assessore francese ambientalista punta forte sulla proposta: il prossimo 15 marzo vuole essere rieletto al comune di Rouen, in Normandia.
Il servizio in questione, a Vendargues nell'Herault, prende il nome di "hippobus".

Tuttavia il progetto deve fare i conti con una dura presa di posizione da parte di due abitanti della vicina Sotteville:
Manu Tritz e la sua compagna Stessy hanno lanciato una petizione, raccogliendo in pochi giorni oltre 34mila firme.
"Comprendiamo e condividiamo la volontà di proporre un modello alternativo di trasporto per ridurre l’inquinamento,
ma c’è un parametro che non è stato minimamente preso in conto: il benessere dell’animale", si legge.

"Non so più cosa dire. Mi preoccupo da sempre del benessere degli animali, mi sono opposto per esempio all’uso degli animali nel circo.
Ma qui ci siamo informati, abbiamo fatto attenzione alla qualità e alla leggerezza dei finimenti,
abbiamo pensato alla trazione assistita elettricamente, e al percorso dove c’è poco traffico".

Risulta vero che il cavallo viene messo al servizio dell'uomo, ma si tratta di un modo per "farlo entrare nella vita quotidiana degli esseri umani".
L'assessore infine si è domandato stizzito:
"Se è questo a dare fastidio, finiremo per proibire anche i cani che aiutano i ciechi o quelli che soccorrono gli alpinisti travolti dalle valanghe?".

La ricercatrice agronomica Jocelyne Porcher è del parere che estremizzare la causa animalista possa arrecare danni all'esistenza di molte specie:
"Gli animali sono stati addomesticati dall’uomo migliaia di anni fa, e lavorano per noi da sempre".
"Se aboliamo il loro lavoro, non saranno più redditizi e scompariranno. Come sta accadendo in Asia,
dove la fine progressiva del lavoro degli elefanti sta provocando l’estinzione della specie".
 
Ormai la situazione è a un livello tale per cui dovremmo seriamente pensare ad un referendum Brexit Style
sulla permanenza dell’Italia nell’Unione Europea. Non vi darò un motivo per questo referendum, Ma ve ne darò due.

Il primo proprio di ieri, come ci presenta ilfattoquotidiano.it.
Gli investitori privati di Atlantia hanno scritto una lettera all’Unione affinché questa venga ad intervenire per bloccare
l’eventuale cancellazione delle concessioni autostradali ad Atlantia.
Praticamente quei signori che hanno permesso i disastri del sistema autostradale italiano,
a partire dal ponte Morandi fino ai recenti crolli sulla A26, vorrebbero tranquillamente continuare a gestire il nostro sistema autostradale
con le stesse condizioni stabilite da Prodi nel 2006 ed incredibilmente favorevoli al concessionario.

Il fatto che Atlantia e società autostrade non abbiano svolto nessuna manutenzione,
che la loro gestione sia stata al limite della rapina,
e che tutto questo si è avvenuto alle spalle degli italiani è perfettamente secondario.

Personalmente non credo che il governo abbia intenzione di togliere le concessioni autostradali, soprattutto con Renzi che vi spadroneggia incontrollato.

Quello a cui assistiamo ora è un po’ di schermaglia elettorale, in vista delle prossime amministrative,
ma se effettivamente Bruxelles intervenisse per bloccare la fine della pessima amministrazione di Atlantia
avremmo un motivo in più per lasciare un’unione nata solo per arricchire i pochi a scapito dei molti.

Un secondo motivo per l’uscita è Green New Deal.
Il modo con cui la politica verde Europea si sta concretizzando varia tra il ridicolo e il terrificante.
Commissione e Parlamento sono percorse da orde di lobbisti intenzionate a piegare la politica e gli investimenti a favore di questa o quella parte.
Quello che risulterà non potrà che essere un enorme pasticcio in grado di portare tutto il continente in una recessione paurosa.

Questo è evidente nel massimalismo delle affermazioni della sinistra, completamente sorda ad ogni richiamo della logica.

A questo punto cosa più sensata sarebbe un bel referendum il mandare tutta questa compagnia a quel paese
 

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