Al tradizionale conflitto tra lavoratori e proprietari dell’azienda si è aggiunto oggi quello più generale
tra debitori e creditori.
Alla categoria dei debitori appartengono non solo famiglie e imprese ma interi popoli e le loro organizzazioni statali.
Sullo sfondo il
conflitto tra micro e macro: microimprese e multinazionali, piccole banche e grandi banche d’affari, stati nazionali e poteri sovranazionali.
L’architettura del sistema finanziario e il sistema dei pagamenti internazionale generano enormi bolle di debiti e crediti, pubblici e privati,
che non si incontrano e che la finanza gestisce in forma di cartolarizzazioni, derivati (1) e altro.
I debiti accumulati dalla finanza speculativa ammontano secondo stime, utilizzanti dati della BRI, a una somma pari a 54 volte il PIL mondiale!
Si tratta di denaro fittizio, ricchezza fittizia, tradotta in titoli, inventati dal sistema finanziario, il cui valore non è determinabile con certezza
e che risultano continuativamente soggetti ad improvvisi quanto imprevedibili rischi di svalutazione.
Tuttavia, la casta aristocratico-finanziaria (che si avvale dello strumento dei grandi fondi di investimento che controllano le grandi banche d’affari,
le multinazionali, le agenzie di rating, le grandi agenzie informative, la stessa politica) che detiene e gestisce questa ricchezza di carta usa allo scopo le più diverse manovre speculative.
La pretesa di fondo consiste nel pensare di far soldi con i soldi, nei vari passaggi di mano da un investitore all’altro,
saltando a piè pari l’economia reale, tenuta ai margini, se non del tutto disgiunta, da quella finanziaria.
Piuttosto che concedere prestiti a famiglie e aziende si trova più redditizio commercializzare titoli.
La ricchezza fittizia accumulata dalla finanza ha tuttavia un potere d’acquisto che esercita nei confronti della ricchezza reale.
Dai rischi della finanziarizzazione non sono purtroppo immuni tantissime imprese di produzione e servizi che si sono lasciate convincere,
o si sono viste costrette, a detenere grosse fette dei loro capitali sotto forma di titoli finanziari, la cui instabilità genera, peraltro,
notevoli oscillazioni dei prezzi delle materie prime alla base delle loro attività trasformative.
Il mercato del denaro fittizio minaccia la pace
Il verbo
pagare contiene la radice
pace, ebbene, oggi non è possibile alcuna
quietanza perché è sempre più difficile la pacificazione risultante dal pagamento dei debiti.
Debiti inestinguibili, destinati a non essere pagati, vengono usati quale strumento di dominio della
aristocrazia finanziaria sui popoli e le loro organizzazioni.
Indebitarsi, nel contesto attuale dominato dalla moneta privata a debito, equivale a mettersi in posizione di svantaggio permanente rispetto ai creditori.
Chi è in grado di concedere prestiti esercita un potere sul debitore.
Se i crediti non rientrano anche per chi presta il sistema si rivela alla lunga insostenibile.
Tra debitori e creditori si instaura una tensione conflittuale che impedisce la collaborazione tra i popoli rischiando piuttosto di degenerare persino in guerra tra paesi.
A stabilizzare il sistema finanziario, rispetto alle crisi sempre incipienti, il ruolo, inedito sino al 2007, delle grandi banche centrali
che accettando di ritirare dal mercato tutte le criticità che esso continuamente genera (titoli tossici di varia natura)
e sostituendole con denaro fresco, creato dal nulla (operazioni di
alleggerimento quantitativo – quantitative easing
QE),
ne rende possibile la continuità, impedendo il collasso del castello finanziario ovviando così alle sue più vistose patologie.
Il QE agisce però sui sintomi.
Esso non è in grado di curare la malattia della finanza speculativa che è strutturale essendo inscritta nel sistema dei pagamenti
come deciso a Bretton Woods (BW) dove è prevalsa la preferenza statunitense per la liquidità che ha imposto il dollaro,
una moneta nazionale, quale valuta di riserva internazionale da utilizzare per gli scambi internazionali delle materie prime.
Dal ’71, oltretutto, il dollaro, liberandosi dal precedente vincolo della convertibilità in oro, diviene
fiat.
«
La preferenza statunitense per la liquidità riflette non tanto la preoccupazione, più o meno reprensibile o più o meno giustificabile,
dell’amministrazione americana per le rendite delle lobby finanziarie dominanti, quanto, più profondamente un assenso preventivo incondizionato alla potenza.
Un assenso che, espresso in questi termini, non è né colpevole né innocente, ma sta letteralmente al di qua del bene e del male.
L’assenso alla potenza che regge le decisioni di Bretton Woods è tale da riflettere la necessità, inaggirabile per ogni politica di potenza,
di non separare il finanziamento del commercio dal finanziamento della guerra posto che, mentre nei giorni di Bretton Woods inizia a finire una guerra calda,
all’orizzonte si sta profilando una nuova guerra fredda sì, ma finanziariamente impegnativa contro l’altro candidato a sostenere l’imperativo della potenza, ossia la «superpotenza» sovietica.
Una guerra che, forse ancora più di quella che sta finendo, implica l’esigenza di una liquidità incondizionatamente disponibile, e creabile a volontà.
E tuttavia, questa incondizionata opzione a favore di una liquidità potenzialmente illimitata non appare per ciò che è, ma, anzi,
come un modo del tutto ragionevole di organizzare i rapporti economici e politici all’interno dell’Occidente, in vista della libertà e della crescita.»
Da
Il fine della finanza di M. Amato e L. Fantacci
Gli Usa, in virtù del fatto che sino al ‘49 erano stati gli unici possessori della minaccia atomica,
ottenuta soprattutto grazie all’apporto della scuola di fisica italiana (allora la più avanzata al mondo),
imposero il dollaro come mezzo di pagamento internazionale (1944 -Bretton Woods).
In tal modo hanno avuto a disposizione una
fonte di liquidità praticamente illimitata al servizio della loro egemonia imperiale.
Stampando dollari alla bisogna (cosa che avrebbe immancabilmente svalutato la moneta di qualsiasi altro paese che avesse adottato lo stesso fare)
hanno potuto costruirsi l’esercito più potente al mondo. Hanno recitato il ruolo egemonico di finanziatori di aiuti internazionali e investimenti esteri ecc.
(si sono potuti permettere di “dare” apparendo generosi senza che a loro potesse mancare nulla)
nel tentativo di mascherare l’oscena violenza di 75 anni della loro “pace” in cui secondo le diverse stime degli storici
hanno causato da 20 a 30 milioni di vittime da moltiplicare per 10 se nel conto si volessero includere i feriti.
Oggi tale “equilibrio” di dominio unipolare non è più accettato dalle grandi e piccole potenze emergenti
che aspirerebbero a un diverso ordine e organizzazione del sistema monetario mondiale.
Da qui origina il rischio di guerra nucleare che minaccia nuovamente il mondo.
Le operazioni di massiccia immissione di liquidità nel sistema, atte a fluidificare le tensioni finanziarie generate dalla massa di debiti e crediti che non si incontrano più,
sono state sinora possibili perché l’enorme inflazione che hanno suscitato è rimasta confinata nel sistema finanziario (2).
L’economia reale, tenuta artificiosamente fuori da tali processi di espansione monetaria, non ha sinora subito processi inflattivi.
Ciò ha reso possibile la crescita della bolla finanziaria (2) a livelli mai visti anche rispetto alla grandi crisi del passato e della recente crisi del 2007 (vedi grafico: storico del Dow Jones).
[Si noti il picco pre-crisi del 2007 e la successiva ripresa dopo l’intervento delle banche centrali.
Il picco odierno dei corsi azionari (bolla finanziaria) è assai più pronunciato, e in crescita esponenziale, rispetto a quello del 2007/2008]
Il 2019 è stato un anno straordinario per i mercati finanziari.
Un anno record.
Tutte le principali classi di investimento hanno visto un rialzo complessivo di 23 mila miliardi su Borse e bond.
Il valore delle Borse globali è cresciuto di 17 mila miliardi di dollari (da 67mila a 84mila miliardi di dollari), quello delle obbligazioni è lievitato di 6mila miliardi!
Si tratta però di un castello di carta della cui pericolosa fragilità il mondo potrebbe divenire tragicamente consapevole
in occasione di un conflitto aperto come quello allo stato nascente tra Usa e Iran (3).
Il blocco dello stretto di Hormuz che vede il transito di più di un quinto del greggio movimentato a livello globale, potrebbe, infatti,
portare ad un repentino aumento del prezzo del petrolio e ad una conseguente ed inevitabile impennata inflazionistica.
Una inflazione da costi nella economia reale renderebbe impraticabili ulteriori operazioni di immissione monetaria da parte delle banche centrali.
La enorme bolla finanziaria non più sostenuta rischierebbe di imploderebbe rovinosamente.
Stavolta, infatti, l’intervento delle grandi banche centrali, in presenza di tassi di interesse già vicini allo zero e spesso sotto zero si rivelerebbe un’arma spuntata.
La crisi si diffonderebbe tragicamente ovunque con la dinamica di uno tsunami finanziario risparmiando pochissimi paesi.
Il possibile crollo dell’economia reale insieme a grandi masse monetarie in circolazione causerebbe una incontenibile inflazione da domanda.
Nel funzionamento del mercato globale, è proprio il mercato del denaro il grande imputato da mettere finalmente sotto accusa e porre sotto controllo.
A partire dagli anni ’80 la liberalizzazione del commercio di capitali su scala globale senza alcuna regolazione e controllo
(dall’85 in Europa su proposta di J. Delors) ha operato la principale falla nella diga
che impediva al mondo di divenire nuovamente preda del credo liberista e della pratica mercantilista di stampo coloniale.
Aver puntato tutto sulle esportazioni rende oggi l’economia fragile, a causa, ad esempio, della rapidissima diffusione dei dazi che hanno fatto crollare le esportazioni.
La Ue, complessivamente, è in surplus rispetto al resto del mondo.
È il mercantilismo a connotare la politica economica dei paesi dell’eurozona. Il suo strumento principale essendo l’ordoliberismo.
Sul versante dell’economia reale i paesi economicamente più forti fanno a gara pur di risultare in surplus rispetto al mondo sforzandosi di esportare più di quanto non importino.
Si tratta di politiche mercantiliste possibili solo grazie a svalutazioni interne, che mantenendo bassi salari e stipendi,
distruggendo lo stato sociale, limitando il più possibile gli investimenti pubblici, riescono a massimizzare le esportazioni
e vincere la competizione, producendo merci capaci di imporsi sui mercati esteri.
La globalizzazione, che sposta le aziende là dove il lavoro si compra a buon mercato e le normative ambientali sono inesistenti
o assai permissive e l’imposizione fiscale è bassissima o nulla, fa il resto premiando i produttori peggiori.
Si pensi, inoltre, agli accumuli patologici di attivi e passivi delle bilance commerciali europee:
i saldi che i paesi in surplus hanno accumulato, registrati dal sistema dei pagamenti europeo,
Target 2, ammontano a circa mille miliardi di euro, di cui 800 tedeschi!
I surplus hanno permesso ai paesi detentori di finanziare i deficit dei paesi della periferia dell’eurozona
mascherando così una bilancia commerciale completamente squilibrata a favore dei paesi in attivo e a sfavore dei paesi della periferia.
I conseguenti spostamenti criminali di capitali, dai paesi in surplus a quelli in deficit,
hanno permesso ai primi di finanziare le importazioni di paesi come la Grecia a cui si chiese, improvvisamente
(in seguito alla crisi del 2007/8), di risarcire il debito contratto, mentre le si negava ogni ulteriore finanziamento del disavanzo.
Gli ulteriori finanziamenti la Grecia li ha ricevuti solo consentendo alla svendita del proprio patrimonio pubblico,
asset e fattori stessi della produzione ecc.. , riducendo a zero lo stato sociale.
In passato, i grandi surplus commerciali realizzati dai paesi più forti dell’eurozona, in un sistema di monete nazionali regolate da cambi flessibili, sarebbero stati impossibili da realizzare.
Oggi va finalmente riconosciuto il rischio, insito negli spostamenti dei capitali accumulati nei grandi surplus europei,
verso i paesi poveri dell’eurozona, nel tentativo interessato di coprire debito con nuovo debito,
senza per questo renderlo pagabile e agire
introducendo i correttivi necessari.
La scelta mercantilista, equivale alla messa in atto di continue ed aggressive svalutazioni competitive
(ricordiamo che, per ovvi motivi, una svalutazione è competitiva se effettuata da un paese in surplus e non da uno in deficit!) ai danni del resto del mondo.
La scelta di privilegiare ad ogni costo le esportazioni è ingorda, miope e guerrafondaia;
essa rivela in modo sempre più evidente tutta la sua fragile pericolosità.
Se i paesi che normalmente assorbono le esportazioni sono colpiti da crisi economica questa si ripercuoterà immediatamente sul paese esportatore.
(1) Cartolarizzazioni dei diritti di credito (debiti) precedentemente vietate dal codice civile.
Si fanno, cioè, valere come titoli commerciabili in borsa i debiti (diritti di credito) abilitati in Italia dalla legge 130 del 1999 quale mezzo di pagamento ossia come
denaro abilitato a pareggiare i conti nelle normali transazioni finanziarie. In pratica la trasformazione in carta di attività reali. Allo stesso modo la legge 481 del 2001 ha sdoganato i derivati che, nati come forme di assicurazioni sui raccolti agricoli, sono divenuti vere e proprie
scommesse intorno all’andamento dei prezzi di beni, indipendentemente dal possedimento degli stessi; in pratica
scommesse sul valore di altri strumenti finanziari; anche i derivati sono stati
equiparati dalla legge a “moneta“ abilitata al pareggio dei conti degli enti pubblici così come quelli delle banche. legge 448 del 2001
(2) Una bolla finanziaria è un aumento artificioso del valore, slegato dai fondamentali, di titoli quali, azioni, obbligazioni o derivati soggetti a valutazioni eccessive causate da facile ottimismo e compiacimento tra investitori che effettuano operazioni di compravendita sui mercati finanziari. La massa di stimoli monetari perpetrati dalle principali banche centrali è stata utilizzata per acquistare ulteriore titoli, facendone alzare i corsi regalando agli investitori un mercato azionario continuativamente, un “fantastico“ rialzo decennale.
(3) le bolle tendono a scoppiare poco prima di una recessione:
– scoppio della bolla della new economy (primavera del 2000)
– la bolla dei mutui subprime e dei titoli derivati (2007)
I mercati azionari di solito anticipano le recessioni da 6 a 9 mesi prima che si verifichino.