NON E' LA MERA FOTOGRAFIA CHE MI INTERESSA. QUEL CHE VOGLIO E' CATTURARE QUEL MINUTO,

Nella melma ambigua in cui sguazza il nostro povero Paese non è facile procurarsi un primato dell’ambiguità.

Ma ciò non è stato difficile al cosiddetto Partito Democratico che ambiguo è, intanto, per ciò che riguarda la sua “democrazia”
con la sua struttura pencolante tra il “rigore” (?) leninista ed una sgangherata imitazione del sistema (falso e bugiardo in Italia) delle cosiddette “primarie”.

Partito “dell’Ambiguità”. Ambiguo su tutto. Ambiguo sullo sfruttamento dell’ondata populista. Ambiguo sull’eredità del Pci.
Più ancora per ciò che riguarda quella del Psi (qualcuno li ha invitati ad un grande pellegrinaggio ad Hammamet e quelli col cavolo che hanno risposto).

Ambiguo con i 5 Stelle, di cui di volta in volta, con alternanza infrasettimanale, si presentano come salvifica alternativa, oppure come fedele, indispensabile alleato.

Partito ambiguo con riguardo al sistema elettorale (ma diverso per ogni tornata elettorale, questa è la regola ferma fin dal 1991!).

Ambiguo erede, con il beneficio dell’inventario (però da invocare e far valere alternativamente) dei rottami della Democrazia Cristiana.

Alleato di Italia Viva, nata da una sua costola molto ammaccata, ma, al contempo, severo con la scissione di Renzi, che, però, non accetta sia definita (e forse, in effetti non lo è) “scissione”.

Ambiguo sulle Regioni. Ambiguo nell’atteggiamento sulla rilevanza del voto del 26 gennaio: “Votateci, se no qui crolla tutto”.
Ma al contempo rassicurante: “Anche se perdiamo la regione rossa dell’Emilia-Romagna, calmi! Non è niente, il Governo non ne risentirà”.

Pretendono di appropriarsi e di gestire il residuato dell’ondata della Sinistra marxista che ha imperversato nella Prima Repubblica
e, al contempo, si dichiarano nostri salvatori, giurano che a loro, ai loro “danti causa” è dovuto il salvataggio dal finir della rete di un altro Stato di “Socialismo Reale”!

Sono la Sinistra. Ma mica del tutto. Sono, infatti il “Centrosinistra”. Di cui però non si sa quale sarebbe il Centro. E quale la Sinistra.
Cambiano pareri e proposte sulle leggi elettorali. Fedeli, oramai al sistema in uso nella Seconda Repubblica che vuole che per ogni elezione si vari una legge elettorale nuova.

Non parliamo delle alleanze, diverse qua e là per l’Italia. E con una rivendicazione e primato di ostilità per il primo Governo Conte e per i Cinque Stelle.
Che, poi, è divenuta corsa ad occupare le poltrone del Governo lasciate vuote da Salvini.

Da nemici numero uno dei Cinque Stelle ad alleati e colleghi nel Secondo Governo, in cui però hanno battuto in fatto di baruffe con gli alleati quelli della Lega di Matteo Salvini.

Oggi, lo dicevamo all’inizio, il capo Nicola Zingaretti ci promette che questo partito lo rinnoverà.
Avremo ancora un Partito Democratico (si fa per dire) ma nuovo… Senza buttare quello vecchio?
Così sembrerebbe secondo le ultime notizie del Zingaresco segretario che ha promesso che il Pd lui non lo scioglie.

E allora? Beh, c’è il modello pronto, lanciato, nientemeno dal Papa. Avremo il Pd Emerito,
confinato in qualche convento (ha cominciato con il mezzo congresso in un’Abbazia di domenica).

E, poi il Partito “Francesco”, un po’ sudamericano. Favorevole (ma con prudenza e manzoniano “juicio”) al matrimonio dei preti.

La novità è d’obbligo in politica. Lo si vede.
 
In queste ore la Corte costituzionale è riunita in camera di consiglio per decidere sull’ammissibilità del quesito referendario
presentato dai Consigli regionali di Abruzzo, Basilicata, Friuli-Venezia-Giulia, Sardegna e Veneto
circa l’abrogazione della parte proporzionale della legge elettorale n. 165/2017, il cosiddetto Rosatellum.

La questione è molto complessa e la Corte è spaccata, non a caso la decisione – che era attesa in serata – probabilmente slitterà a domani mattina.

La querelle giuridica riguarda la questione sulla immediata applicabilità della legge
nel caso l’eventuale esito referendario risultasse quello dell’abrogazione delle norme di cui al quesito.

Per come il quesito è stato formulato, in effetti, la legge che resterebbe a seguito di eventuale abrogazione popolare è immediatamente applicabile,
resta tuttavia da discutere la questione delle deleghe del Parlamento al Governo per ridisegnare i collegi.

Una nuova legge-delega non sarebbe possibile proprio per il principio di “immediata applicabilità”,
ma come avevamo già evidenziato in un nostro precedente articolo una delega utilizzabile esiste ed è quella prevista dalla Legge 27 maggio 2019 n. 51
recante disposizioni per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari.

Calderoli lo sapeva ed ha formulato il quesito proprio perché possa applicarsi tale delega.


C’è però un altro dato di cui la Corte costituzionale non può non tenere conto:
come potrebbe la Consulta non ammettere il quesito referendario scritto da Calderoli (in presenza della delega prevista dalla Legge n. 51/2019)
se il popolo nel referendum abrogativo del 18 e 19 aprile 1993 votò per abrogare il proporzionale?


Nel 1993 i radicali, unitamente a Mariotto Segni, proposero una serie di referendum abrogativi che videro un’ampia partecipazione popolare.

Tra questi, quello abrogativo della parte proporzionale della Legge elettorale di allora che mirava ad introdurre il sistema maggioritario dei collegi uninominali all’inglese.
L’esito fu plebiscitario: sul 77,01 per cento dei votanti (partecipazione altissima), l’82,74% votò per l’abrogazione del proporzionale, aprendo la strada al maggioritario.


Di conseguenza il Parlamento approvò il Mattarellum, una legge elettorale per ¾ maggioritaria (collegi uninominali a turno unico) ed ¼ proporzionale.

Relatore fu l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Nel 1999 si tenne un altro referendum abrogativo in materia elettorale (sostenuto soprattutto dal Partito Democratico della Sinistra e da Alleanza Nazionale)
che mirava all’abrogazione della seppur minima parte proporzionale del Mattarellum.

Il quorum non fu raggiunto per un pelo (49,58% di votanti), ma l’esito fu altrettanto plebiscitario, infatti votarono a favore dell’abrogazione il 91,5% dei votanti.

Insomma, c’è un referendum popolare molto chiaro risalente al 1993: il popolo italiano vuole il sistema elettorale maggioritario.

Non pare che, negli ultimi anni, voglia qualcosa di diverso. Anche di questo la Corte dovrebbe tenere conto.
 
Lo Stato costruì per loro un'autostrada a 3 corsie per arrivare sino allo stabilimento.
.......e da 15 anni - se non 20 - loro hanno portato tutto in Romania.
L'autostrada è lì. La possono vedere tutti. 3 corsie.

 
A partire dalla fine degli anni “60 si è assistito, in varie parti del mondo, alla rinascita del pensiero liberista,
che venne chiamato neoliberista, per differenziarsi dal liberismo classico, quello del “laissez faire” dei mercati,
che aveva portato alla crisi del “29 e quindi posto le basi per il secondo conflitto mondiale.

Pertanto, impresentabile ed improponibile quel liberismo.

Le idee neoliberiste hanno, quindi, preso piede prepotentemente a tutte le latitudini e le longitudini,
dando origine ad altrettanti sistemi sociali, tutti con dei fondamenti comuni, ma anche con precipue specificità.

L’Unione Europea è una delle molteplici realizzazioni di questo pensiero economico in netta opposizione soprattutto al pensiero di John Maynard Keynes.

La fucina del neoliberismo era rappresentata subito dopo gli eventi bellici dalla società di Mont Pelerin in Svizzera , fondata nel “47 da Friedrich August Von Hayek e da Ludwig von Mises.

Furono membri della società anche gli italiani Luigi Einaudi e Bruno Leoni, ma soprattutto Milton Friedman.

Quest’ultimo era il capo indiscusso del dipartimento di Economia dell’Università di Chicago e lo affiancavano nella crociata antikeynesiana anche Harnold Harberger e Frank Knight.

Ebbero il merito di fornire gli strumenti teorici alla difesa degli interessi dei proprietari, in un periodo in cui prevalevano in economia orientamenti marxisti e keynesiani.

In realtà essi non asserivano, apertis verbis, il diritto dei proprietari di fabbrica a pagare salari più bassi ai lavoratori,
ma sostenevano che il libero mercato fosse la forma più pura di “democrazia partecipativa”.

Così, mentre le sinistre di allora promettevano la libertà dai padroni, dalla dittatura, dal colonialismo, Friedman & C.
promettevano la libertà individuale che si sostanziava con il libero arbitrio nelle scelte di consumo, più esplicitamente il consumismo sfrenato.

Questi i principi di fondo della scuola di Chicago: apertura doganale alle merci straniere, privatizzazione di tutti i beni comuni e società statali,
nessun minimo salariale, nessun controllo sui prezzi, stato sociale ridotto al minimo (privatizzare scuole, sanità, trasporti, pensioni),
indipendenza della Banca Centrale, finanziamento statale sui mercati dei capitali internazionali, imposte e tasse al livello più basso possibile.

Dette misure, secondo Friedman, dovevano essere applicate contemporaneamente e la società oggetto della cura “democratica” si sarebbe trasformata in una sorta di Eden.

Il primo esperimento in corpore vili avvenne l’11 settembre del 1973 in Cile.

Augusto Pinochet prese il potere, deponendo il presidente eletto, Salvador Alliende.

Aveva avuto il buon viatico dalla CIA e da molte società multinazionali americane come l’ITT,
che erano particolarmente interessate alle risorse minerarie cilene e che quindi caldeggiavano le idee dei Chicago Boys,
gli economisti dell’America Latina che avevano studiato, grazie a borse di studio americane, presso l’Università di Chicago.

I risultati furono tremendi e nel contempo eccezionali: tremendi per la stragrande maggioranza della popolazione
che vide il proprio tenore di vita regredire ai limiti della sussistenza, eccezionali per i grandi proprietari e le multinazionali, i cui profitti aumentarono vertiginosamente.

Il risultato finale fu una società corporativa, in cui c’era un intreccio inestricabile tra gestione politica, gestione economica e saccheggio dei beni comuni.

L’inflazione fu sconfitta, Friedman ebbe anche per questo nel 1976 il premio Nobel per l’economia.

Apparve evidente a tutti che, per operare una simile trasformazione di ingegneria sociale,
ci devono essere situazioni eccezionali che impediscano la legittima reazione popolare
e soprattutto le modifiche economiche devono essere apportate contemporaneamente,
secondo la dottrina militare dello shock and awe.

Così, infatti, avvenne in Brasile, in Argentina, in Indonesia, in Cina e Russia.

Nel 1985 in Bolivia la trasformazione democratica garantita dal libero mercato andò diversamente.

Avevano un problema di iperinflazione ed il sedicente governo di sinistra neo eletto
si rivolse ad un giovane economista di Harvard, Jeffrey Sachs, il quale propose la stessa ricetta della scuola di Chicago.

Pertanto, il governo boliviano, eletto per la realizzazione di un programma economico di tipo keynesiano, attuò un programma diametralmente opposto ( sic).

I risultati furono quelli attesi: inflazione sotto controllo, aumento della povertà e delle diseguaglianze.
Per contro la violenza che portava con sé l’attuazione di un tale progetto fu più contenuta rispetto al Cile ed all’Argentina.

In conclusione il sistema propugnato dalla scuola di Chicago aveva bisogno, per essere attuato,
di uno stato di emergenza che poteva essere un colpo di stato, un cambio di regime, una crisi economica, un cataclisma naturale.

Ma torniamo ai giorni nostri, alle nostre latitudini, e vediamo di cogliere le possibili analogie.

Riportiamo di seguito la trascrizione di alcuni passaggi di una intervista rilasciata il 23 novembre del 2011 dal Capo del Governo Mario Monti:

omissis….. nei momenti di crisi più acuta progressi più sensibili, rientro dall’emergenza della crisi affievolimento della volontà di cooperare.
E qui ho una distorsione che riguarda l’Europa ed è una distorsione positiva che riguarda l’Europa.
Anche l’Europa, non dobbiamo sorprenderci, che abbia bisogno di crisi, di gravi crisi, per fare passi avanti.
I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionale ad un livello comunitario.
E’ chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini ad una collettività nazionale
possano essere pronti a questa cessione solo quando il costo politico psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle,
perché c’è una crisi in atto visibile conclamata.Abbiamo bisogno delle crisi per fare passi avanti…………omissis…..
”.

Come si può notare, la filosofia è la stessa della scuola di Chicago, gli obiettivi da conseguire i medesimi, solo i metodi differenti.

In Italia non c’è stato all’apparenza un colpo di stato, ma la crisi dello spread, causato ad arte per rendere ancora più gravoso il servizio del debito pubblico,
ha di fatto determinato l’accettazione politica del “Consenso di Washington” e quindi riduzione dello stato sociale, ulteriori privatizzazioni.

Conclusioni.

Il Cile è un paese sovrano, ha una propria moneta ed una banca centrale, non ha alcun vincolo esterno come l’Italia, ma non è certo un paese in cui si può vivere dignitosamente.

Essere sovranisti, pertanto, significa battersi affinché la banca centrale sia sotto il controllo politico,
si intervenga sui mercati per determinare le condizioni di massima occupazione,
si sostenga la domanda interna, anche mediante monetizzazione del debito, ed i capitali siano sotto controllo.

E per l’Italia essere sovranisti significa chiedere l’attuazione integrale della parte economica della nostra Costituzione.

Tutto il resto è fuffa.
 
All'Università sono cresciuto con le teorie Keynesiane.
Non le ho mai apprezzate pienamente. Anzi.

Ma quelle attuali fanno veramente schifo. europa monti fornero e compagnia cantante in primis.

Come al solito, ci vorrebbe una via di mezzo.
 
L’essere umano vive una grossa contraddizione: da una parte non può realizzare nulla che sia perfetto
e dall’altra pretende di “esibire” come perfetto perfino ciò che dista anni luce da qualsiasi perfezione.

Certo, abbiamo bisogno di regole e riferimenti, ma pensare che questi possano aiutarci in modo assoluto e addirittura sostituirsi alla sensibilità, al senno e all’intelligenza, è davvero pericoloso.

Esistono sagge virtù che avvicinano alla possibilità di vivere una vita equilibrata e degna.

Parlo della moderazione, del senno, dell’umiltà e simili, ma ormai consideriamo queste doti come una mancanza di personalità
e le sostituiamo con l’arroganza e la prepotenza, così rendendo il mondo sempre più forsennato e crudele.

Molto dipendenti dalla superficialità, ci siamo convinti che l’arroganza sia prova di spiccata personalità e, come fieri di non capire,
stiamo affidando il mondo ai presuntuosi e, inevitabilmente, complessati.

Per quanto ci riguarda, cioè in Italia, continuiamo ad affidare le sorti dell’organizzazione politica della società, a spocchiosi incapaci.

Abbiamo già detto che la perfezione non esiste, dunque non dovrebbe essere difficile capire che un po’ di elasticità mentale e di buon senso
renderebbero più equilibrata e meno angosciante la nostra quotidiana esistenza.

Mi viene in mente ciò che è accaduto a una coppia di marito e moglie, miei amici.
Guidano entrambi l’auto; nella patente di lui è previsto l’uso degli occhiali, mentre lei può guidare senza.
Fin qui, tutto chiaro, ma poi è capitato qualcosa che non è eccezionale e che qualsiasi oculista può confermare come un fatto non rarissimo.
Il marito non vedeva da lontano ma la sua vista è progressivamente migliorata e oggi, se guida con gli occhiali, vede tutto sfocato.
La moglie, al contrario, non vede più bene come prima e, per ovvi motivi, è costretta a guidare con gli occhiali.

Come affermato, si tratta di una situazione tutt’altro che irreale eppure, per sistemarla,
è inevitabile imbattersi nel solito maledetto incaglio burocratico che rende perverso ogni rapporto col nostro apparato pubblico.

Inoltre, che dire dell’ottuso atteggiamento di certi pubblici ufficiali addetti al controllo della circolazione?

Fermato dal vigile urbano, il citato marito spiega la questione ed esibisce gli occhiali per dimostrare di non averli dimenticati; ciò nonostante, viene lo stesso multato e altro.

Che motivo ha, secondo voi, di mostrare ma non indossare gli occhiali, se non quello che indossandoli rischierebbe di causare degli incidenti?

Agli infiniti funzionari indolenti di certi apparati pubblici, anche sanitari, si aggiungono quei pubblici ufficiali che si sentono degli “sceriffi
e che, anche in occasioni così evidentemente giustificabili, non sono disposti a capire che la regola non può mai essere perfetta.

La serenità del vivere è data dal buon senso, ma noi lo perdiamo ogni giorno di più.
 
Non si vincerà....ma la paura fa 90. Ahahahahah

Chi troppo vuole nulla stringe, la volpe che non arriva all’uva e via dicendo.

Potremmo citarne mille di proverbi per sottolineare quanto la rabbia, l’acrimonia e in certi casi l’ipocrisia si trasformino in boomerang oppure in vantaggi al contrario.

È il caso del titolo di Repubblica: “Cancellare Matteo Salvini”.
Un eccesso grave, che francamente lascia poco spazio alla giustificazione sulla sintesi giornalistica.

Figuriamoci se noi, per sintetizzare un’intervista di chi, totalmente contrario alla legge voluta da Alfonso Bonafede, ci avesse detto:
una legge assurda da gettare nel cestino, nel secchio o nel camino, avessimo titolato “Incenerire Bonafede, distruggere Bonafede”.
Apriti cielo. Da sinistra ci avrebbero crocefissi.

Est modus in rebus, questa è la realtà.

Come è realtà il fatto che da tempo Salvini sia entrato malamente nel mirino della sinistra e di tutta l’informazione di quell’area.
Sia chiaro: noi siamo favorevoli allo stigma polemico, alla vis dialogica per disapprovazione, all’enfasi critica dura e metallica,
ma tutto deve avere un limite altrimenti diventa un rischio che va contrastato sul nascere.
Del resto, noi stessi abbiamo attaccato Salvini più volte e senza sconti, per molti errori e molte sciocchezze che ha commesso,
come abbiamo criticato e critichiamo frontalmente tanti, da una parte e dall’altra. Però la misura è la misura.

Per farla breve, almeno per noi, ma non siamo soli, quel titolo è stato una brutta scivolata.

Lo diciamo, ovviamente, col rispetto per una testata storica, importante, firmata da nomi prestigiosi, seppure molto diversamente orientati.
Sia come sia e chiusa la modesta considerazione sul fatto, resta la convinzione sull’effetto boomerang degli atteggiamenti contro Salvini,
a partire dal caso “Gregoretti”, che comunque vada si trasformerà, anzi si è già trasformato, in un plus elettorale per l’ex ministro.
Tanto è vero che i giallorossi dopo aver copiato le tre scimmiette stanno facendo a gara per ritardare il giudizio sull’autorizzazione a procedere
onde evitare di offrire al leader del centrodestra l’assist per apparire un perseguitato oppure un trionfatore.

Difficile far credere all’opinione pubblica che una decisione così importante fosse presa in solitaria da Salvini.
Non fosse altro perché quel caso è rimasto agli onori della cronaca nazionale per giorni e giorni.
Dunque, era l’Italia intera a sapere cosa stesse accadendo.
Ecco perché solo immaginare che gli unici a non sapere e condividere la scelta fossero il premier e gli altri ministri, sarebbe molto più grave del contrario.

Farsi passare davanti agli occhi un transatlantico senza vederlo, è una svista di dimensione imperdonabile per un esecutivo.


Come sono imperdonabili troppe cose compiute in questi quattro mesi dalla maggioranza e dal governo.

Parliamo delle gaffe sulla Libia,
degli annunci sulla sconfitta della povertà smentiti clamorosamente dall’Istat,
della “mancanza di idee” per la soluzione del tavolo Ilva,
oppure Atlantia
.

Chiedere infatti la revoca totale delle concessioni autostradali e poi invocare l’aiuto dei Benetton per l’Alitalia più che incredibile è ridicolo.

Come è ridicola la spaccatura sulla prescrizione, o il voto favorevole del Pd alla riduzione dei parlamentari dopo che per tre volte s’era opposto duramente.

Ma se tutto ciò bastasse è ridicola pure la divisione profonda sulle autonomie, sulle elezioni regionali, su quello che succede nella Capitale tra Nicola Zingaretti e Virginia Raggi.

Un elenco lungo a testimonianza dell’incapacità di coesione, convergenza e linea di governo del Paese.

Ecco perché parliamo di pioggia di regali a Salvini
e al centrodestra, che nei sondaggi cresce fino al 50 percento,
a conferma che anche impedire il voto dopo la crisi, oltreché un danno per l’Italia è stata una mossa politicamente ipocrita
e sbugiardata dai fatti e dalla gente che è stufa e la vede diversamente.
 
Si sa, sparare sulla Croce Rossa non va bene. Non è bello e non è giusto.

Ma questo Governo non è la Croce Rossa della quale, invece, avrebbe grande bisogno.
Non per un ricovero d’urgenza, ma per una sentenza di fine vita.

Il finis vitae, per dirla in latinorum, è la secca ma ineluttabile sentenza che nell’Antica Roma veniva enunciata
quando al corpo umano non erano più di alcun aiuto le cure mediche. Che c’erano, ed erano attente ed efficaci. Dati i tempi.

Il fatto è che il Governo Conte-bis si è, come dire, autoliquidato da solo,
ha fatto tutto lui nel senso che non ha fatto ciò che è la missione (o, meglio, il mandato) di ogni esecutivo riassumibile in una parola: fare.

Qualcuno ha buttato lì che più che fare, sia Giuseppe Conte che Luigi Di Maio (i due leader governativi)
girano come trottole alla ricerca non della soluzione dei problemi ma, sempre secondo gli impietosi latini,
di un ubi consistam, di un punto, un posto dove mettere i piedi e lì stare, almeno per un attimo,
almeno per guardarsi intorno e capirne i problemi, le urgenze, gli interventi necessari.

E soprattutto per andare in onda, per la visibilità, per social e tv.

L’esempio più clamoroso ci viene dall’antica “Quarta sponda”, da una Libia nella quale abbiamo perso,
insieme ad ogni ruolo nelle sue vicende invero complesse, la nostra faccia, la nostra stessa identità internazionale
tanto da sparire letteralmente da qualsiasi iniziativa dove, invece, si stanno insediando Turchia e Russia, Erdogan e Putin.

L’incredibile è avvenuto.

Si dirà: l’assenza degli Usa di Donald Trump poteva anche essere prevista dato anche il venir meno di ogni interesse dell’America di oggi
per quelle risorse petrolifere essendone assai provvista; si dirà anche e purtroppo che il sostanziale silenzio dell’Unione europea
è completato in una sorta di corona funebre dell’Occidente a proposito di Haftar e soci.

Ma proprio per questo un’iniziativa capace e concreta italiana doveva essere esercitata, doveva essere lanciata in quel bailamme alle porte di casa nostra.

Cosicché il 2020, per la prima volta nella storia del dopoguerra, ci vede soccombenti rispetto alle nostre responsabilità
e l’arrivo di Russia e Turchia ci mostra che siamo fuori dal grande gioco, a cominciare da quello presente nella zona dove,
peraltro, come è stato rilevato da non pochi osservatori attenti, l’Eni è provato sia dall’inconsistenza del Paese sia da faccende giudiziarie per l’effetto che fa, questo, nel mondo petrolifero.

Si parlava del girare come trottole, cioè a vuoto, dei due governativi di cui sopra.
Ma non è soltanto nella politica internazionale quanto in quella interna, economica ecc. in cui il balbettio e l’insicurezza
procedono di pari passo segnalando bensì, come sostiene benevolmente qualcuno, che, ab origine,
il Conte bis non sia nato per risolvere i problemi ma solo per impedire, insieme alle elezioni anticipate, l’accesso di Matteo Salvini al governo.

Ma il punto vero è che manca a Palazzo Chigi e dintorni qualsiasi senso degli obiettivi da raggiungere, qualsiasi bussola,
qualsiasi orientamento degno di questo nome che non sia l’antico e sempre nuovo modello del “tirare a campare” che pare,
per molti aspetti, contraddistinguere la figura di un Conte forse nell’illusione di rifarsi alla figura di Giulio Andreotti, dimenticando le ovvie e abissali differenze di caratura fra i due.

Ma c’è anche da notare che le vicende libiche, e non solo, “dimostrano il valore distruttivo di affidare responsabilità di governo
a chi non è idoneo ad assolverle come l’attuale ministro degli esteri”, in virtù di cui si è persa qualsiasi autorevolezza
e qualsiasi ruolo apparendo il nostro, semmai, relegato ad una funzione per dir così impiegatizia.

Il grillismo urlante dell’antipolitica e dell’aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno non soltanto era una rappresentazione stentorea
e parolaia dei classici dilettanti, irresponsabili e incapaci, ma si è ribaltato contro i medesimi urlatori in una sorta di rovesciamento emblematico
i cui effetti si avvertono soprattutto nella loro latitanza dai problemi veri e urgenti.

Ma, al tempo stesso, impongono che l’Italia politica decida, più prima che poi, di voltare pagina.
 
In questa legislatura i pentastellati hanno già perso 9 parlamentari.

Gli ultimi in ordine di tempo sono i senatori Luigi Di Marzio e Lello Ciampolillo.

Il gruppo si sta assottigliando sempre di più e questo non giova di certo alla maggioranza a Palazzo Madama e tantomeno alla tenuta dei grillini.

Il dirigente medico molisano andrà nel gruppo Misto.
Già un mese fa voleva lasciare ma poi aveva convinto a restare, è stato tra i firmatari del referendum per abrogare il taglio dei parlamentari.

Il barese Ciampolillo dovrebbe essere il prossimo espulso in quanto non ha nessuna intenzione di restituire la parte di stipendio
che aveva promesso di elargire e già da molto tempo si è schierato contro le decisioni dei vertici pentastellati.

La senatrice laziale Marinella Pacifico era stata data alla Lega ma lei ha smentito e ha detto di non averci mai pensato.
 
Avanti così. Un altro milione di voti, se non di più......


Sta crescendo nei pentastellati il fronte di chi vorrebbe cambiare del tutto i decreti sicurezza di Matteo Salvini
e non solo limitarsi a modificarli seguendo e indicazioni del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

L’europarlamentare Laura Ferrara ha curato il programma del M5S sulla questione
e ha ribadito che il modo migliore per offrire sicurezza, dignità e inclusione sociale
è realizzare un’accoglienza diffusa in piccoli centri, che si possono gestire in modo più semplice.
E ha poi sottolineato che occorre potenziare la rete degli Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati).

Ignazio Corrao, un altro europarlamentare grillino, ha evidenziato che bisogna discutere sul tema dell’accoglienza e sedersi attorno a un tavolo senza fare propaganda.

I giudizi negativi sui decreti sicurezza sono arrivati anche dalla deputata Doriana Sarli,
la quale ha detto che la chiusura degli Sprar e l’eliminazione dei permessi umanitari non ha aiutato a risolvere l’emergenza.

Ancora più duro è stato il senzatore Matteo Montoro, che ha ricordato come i provvedimenti voluti da Salvini
non abbiano combattuto gli scafisti ma abbiano solo aumentato il rischio di stragi in mare.
 

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