OGNI COSA HA LA SUA BELLEZZA, MA NON TUTTI LA VEDONO

Sulla sua pagina Facebook, Gilberto Trombetta ha provato a riassumere, senza pretese di esaustività,
quelle che ritiene essere le tappe più importanti e significative della controrivoluzione neoliberista che sta portando alla lenta morte l’intera penisola.

Già, perché, come ricorda Trombetta, non è che tutto sia avvenuto in una sola notte.

“Si è trattato di un lungo, meticoloso processo caratterizzato da tante tappe.
I punti nodali di un lungo processo che ha portato i lavoratori indietro di un secolo e i cittadini italiani a impoverirsi”.

Trombetta parte dunque dal 1979:

“Adesione al Sistema Monetario Europeo (SME). Entrato in vigore 13 marzo del 1979, si trattava di un accordo di cambi fissi tra i Paesi membri. È il padre putativo dell’euro”.




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Nel 1981 è la volta del “Divorzio Banca d’Italia/Tesoro.

Avvenuto dopo lo scambio di lettere tra l’allora ministro del tesoro, Beniamino Andreatta, e dell’allora governatore di Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi.

Non ebbe mai una vera legittimazione politica.

Portò anche a quella che passò alla storia come la “lite delle comari”, come venne chiamato lo scontro tra il Ministro del Tesoro, Andreatta, e quello delle finanze, Rino Formica.

Portò alla caduta del secondo Governo Spadolini e alla nascita del quinto Governo Fanfani”.



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1990: “Abrogazione della legge bancaria del 1936 con la legge 30 luglio 1990 n°218 (“Legge Amato”)
che portò avanti il processo di ristrutturazione delle banche di diritto pubblico secondo le norme della S.p.a”.

1991: “Referendum abrogativo del 1991.
Portò le preferenze da 3 a 1, ma – soprattutto – introdusse il maggioritario.
La modifica continuò col referendum abrogativo dove i radicali – protagonisti della stagione referendaria degli anni 90 –
riproposero il quesito sul maggioritario per Regioni e Comuni dopo la bocciatura della Corte Costituzionale.
Il percorso si concluse col referendum abrogativo del 1999, che portò all’abolizione della quota proporzionale residua”.

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1992: “Con la firma del trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 nasce l’Unione Europea”.
Il 2 giugno 1992, “pochi mesi dopo lo scoppio di Tangentopoli (17 febbraio 1992),
si tenne la famigerata riunione sul panfilo Britannia della Regina Elisabetta,
una tappa fondamentale del lungo processo di privatizzazioni, liberalizzazioni e di svendita degli asset italiani pubblici
– a partire dall’IRI – che caratterizzò tutti gli anni Novanta”.

1992: “Eliminazione della scala mobile. Era già stata pesantemente depotenziata col taglio del 14 febbraio dell’84 (decreto San Valentino).
Venne completamente abolita il 31 luglio del 1992 dal Governo Amato”.

1993: “Dopo averci provato già nel 1978, nel 1993 i radicali, sull’onda dell’indignazione della popolazione per Tangentopoli,
riproposero il referendum per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.
I voti in favore dell’abolizione superarono il 90%”.

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1993: “Legge Mattarella (Mattarellum).
Recepì gli esiti del referendum abrogativo proposto nel 1993 dai radicali.
Introdusse, oltre al maggioritario, le liste bloccate.
La legge Calderoli del 2005 (Porcellum) eliminò poi del tutto il voto di preferenza con liste chiuse e bloccate”.

1997: “Pacchetto Treu che insieme alla legge Biagi del 2003 hanno introdotto l’odioso lavoro interinale”.

1997: “Riforma Bassanini.
Si tratta della riforma che ha portato ai massimi livelli il cosiddetto federalismo a Costituzione invariata.
Nel 2001, per la sua piena attuazione, portò alla riforma del titolo V della Costituzione”.

Il 1997 è anche “l’anno in cui iniziò il percorso (fissazione del cambio e nuovo ingresso nello SME dopo l’uscita del 1992)
che ci porterà ad adottare la moneta unica, l’euro”.

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2001: “DL 368/2001 che insieme alla riforma Fornero (2012) e al Jobs Act (2014/15), modificando la legge 230 del 1962,
hanno progressivamente liberalizzato i contratti atipici. Quelli cioè a tempo determinato.

2011: “Il 5 agosto del 2011 arrivò la famosa lettera della BCE (firmata da Draghi e Trichet)
in cui ci veniva richiesto un lungo elenco di riforme: dal pareggio di bilancio in Costituzione al Jobs Act, dall’abolizione delle province alla riforma Fornero”.

2011: “Decreto Sacconi che ha consentito accordi sindacali al ribasso rispetto ai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro”.

2014: “Decreto Poletti che ha ulteriormente favorito la precarizzazione facendo aumentare i contratti a tempo determinato e quelli di apprendistato”.
 
Definire questa situazione VERGOGNOSA - IMBARAZZANTE - SURREALE - DEMENZIALE


Uffici pubblici in smart working fino al 31 dicembre,
con buona pace dei servizi che dovrebbero essere erogati a cittadini, professionisti e imprese.

Lo ha stabilito il Governo con una norma contenuta all’interno del decreto Rilancio che permette, al pubblico,
di continuare a utilizzare le forme di lavoro da casa, per ridurre i rischi legati all’emergenza Covid.

Un provvedimento che, di fatto, ha come conseguenza il prolungamento del periodo di inaccessibilità di diversi uffici pubblici,
a svantaggio dell’utenza, cioè cittadini e operatori economici.


Solo a distanza


Mentre aziende e professionisti hanno ormai da mesi riaperto a pieno regime le proprie attività,
pur nel rispetto dei protocolli di sicurezza, così non è per molti enti statali che erogano servizi in città,
per cui il lockdown non sembra essere ancora finito.

L’Inps di Lecco continua a non riceve di persona, è possibile solo il contatto via telefono o mail.
Dal 3 agosto al 4 settembre lo sportello telefonico provinciale sarà attivo al numero 0341 483200, dalle 8.30 alle 12.30, dal lunedì al venerdì.

Modalità simili anche all’Aci di Lecco: per fissare un appuntamento è necessario telefonare dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 12.30 al 0341-357902.

Il Pra (Pubblico registro automobilistico) è aperto al pubblico solo nei giorni di martedì e mercoledì dalle 8 alle ore 12.30
e solo su appuntamento, per un massimo di 5 utenti al giorno
.
Per motivi di sicurezza il pagamento delle pratiche deve essere effettuato solo con moneta elettronica.

Necessaria la prenotazione via telefono o mail anche per la Motorizzazione
che riceve solo su appuntamento il martedì (patenti) e venerdì (immatricolazioni)
dalle 8.30 alle 11.30.
Il numero di riferimento è lo 0341 472411.

Rispetto al mese scorso qualcosa sembra essersi mosso all’Agenzia delle Entrate, dove, fino a una settimana fa, non era assolutamente possibile recarsi di persona.
Da ieri apertura su appuntamento, ma soltanto per i servizi indifferibili e che non possono essere svolti per via telematica.

Per prenotare il proprio turno allo sportello è necessario andare nella sezione servizi sul sito internet Agenzia delle Entrate - Contributo a fondo perduto.
Telefonando al numero di riferimento 0341 088111 è possibile avere informazioni dettagliate dal disco pre registrato.

L’appuntamento

L’ente provincia garantisce in presenza, 7 giorni su 7, l’Infopoint di Lecco e, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 12, l’ufficio protocollo.

Ricevono su appuntamento i Centri per l’impiego, lo sportello caldaie, la stazione unica appaltante e l’ambiente.

Tutti gli altri uffici garantiscono la reperibilità telefonica.

Gli sportelli della Camera di commercio sono aperti dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle ore 12.
I servizi sono erogati esclusivamente su appuntamento o in modalità online.

L’ispettorato del Lavoro permette l’accesso solo per prestazioni per cui è assolutamente necessaria la presenza fisica.
Per gli altri casi contatto solo via telefono al 0341 158 6201.

Prefettura, Questura e Tribunale ricevono solo su appuntamento, con orari e giorni diversificati a seconda dei servizi.

MA LO STIPENDIO LO PRENDONO INTERO.
 
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Definire questa situazione VERGOGNOSA - IMBARAZZANTE - SURREALE - DEMENZIALE


Uffici pubblici in smart working fino al 31 dicembre,
con buona pace dei servizi che dovrebbero essere erogati a cittadini, professionisti e imprese.

Lo ha stabilito il Governo con una norma contenuta all’interno del decreto Rilancio che permette, al pubblico,
di continuare a utilizzare le forme di lavoro da casa, per ridurre i rischi legati all’emergenza Covid.

Un provvedimento che, di fatto, ha come conseguenza il prolungamento del periodo di inaccessibilità di diversi uffici pubblici,
a svantaggio dell’utenza, cioè cittadini e operatori economici.


Solo a distanza


Mentre aziende e professionisti hanno ormai da mesi riaperto a pieno regime le proprie attività,
pur nel rispetto dei protocolli di sicurezza, così non è per molti enti statali che erogano servizi in città,
per cui il lockdown non sembra essere ancora finito.

L’Inps di Lecco continua a non riceve di persona, è possibile solo il contatto via telefono o mail.
Dal 3 agosto al 4 settembre lo sportello telefonico provinciale sarà attivo al numero 0341 483200, dalle 8.30 alle 12.30, dal lunedì al venerdì.

Modalità simili anche all’Aci di Lecco: per fissare un appuntamento è necessario telefonare dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 12.30 al 0341-357902.

Il Pra (Pubblico registro automobilistico) è aperto al pubblico solo nei giorni di martedì e mercoledì dalle 8 alle ore 12.30
e solo su appuntamento, per un massimo di 5 utenti al giorno
.
Per motivi di sicurezza il pagamento delle pratiche deve essere effettuato solo con moneta elettronica.

Necessaria la prenotazione via telefono o mail anche per la Motorizzazione
che riceve solo su appuntamento il martedì (patenti) e venerdì (immatricolazioni)
dalle 8.30 alle 11.30.
Il numero di riferimento è lo 0341 472411.

Rispetto al mese scorso qualcosa sembra essersi mosso all’Agenzia delle Entrate, dove, fino a una settimana fa, non era assolutamente possibile recarsi di persona.
Da ieri apertura su appuntamento, ma soltanto per i servizi indifferibili e che non possono essere svolti per via telematica.

Per prenotare il proprio turno allo sportello è necessario andare nella sezione servizi sul sito internet Agenzia delle Entrate - Contributo a fondo perduto.
Telefonando al numero di riferimento 0341 088111 è possibile avere informazioni dettagliate dal disco pre registrato.

L’appuntamento

L’ente provincia garantisce in presenza, 7 giorni su 7, l’Infopoint di Lecco e, dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 12, l’ufficio protocollo.

Ricevono su appuntamento i Centri per l’impiego, lo sportello caldaie, la stazione unica appaltante e l’ambiente.

Tutti gli altri uffici garantiscono la reperibilità telefonica.

Gli sportelli della Camera di commercio sono aperti dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle ore 12.
I servizi sono erogati esclusivamente su appuntamento o in modalità online.

L’ispettorato del Lavoro permette l’accesso solo per prestazioni per cui è assolutamente necessaria la presenza fisica.
Per gli altri casi contatto solo via telefono al 0341 158 6201.

Prefettura, Questura e Tribunale ricevono solo su appuntamento, con orari e giorni diversificati a seconda dei servizi.

MA LO STIPENDIO LO PRENDONO INTERO.

Falso aperto tutti i giorni sab e dom escluso
 
Su alcuni punti non mi è consentito esprimermi per rispettare la doverosa imparzialità istituzionale
e per non entrare nel dibattito politico, come è dovere di chi riveste ruoli di garanzia
”.

Queste le parole di saluto pronunciate dal Presidente della Repubblica nel corso della cerimonia del Ventaglio,
che ogni anno apre la tradizionale fase agostana.

Un concetto condivisibile, peccato però che non sempre sia stato applicato allo stesso modo.

O, meglio, è stato applicato a corrente alternata.



Tacere sulla proroga dello stato di emergenza, in assenza di emergenza,
equivale ad essere un imparziale garante delle istituzioni?


Crediamo di no.

Il Capo dello Stato è l’arbitro supremo, colui che fa da garante degli equilibri costituzionali, quindi dei diritti fondamentali tra cui libertà e democrazia.

Se lo stato di emergenza consente al governo, nella pratica, di sospendere le garanzie costituzionali,
come di fatto è avvenuto dai primi di marzo a metà maggio, appare quantomeno curioso che Mattarella
non dica nemmeno mezza parola sulla proroga dello stato emergenziale in assenza di un pericolo imminente e concreto.

Al momento abbiamo 41 persone ricoverate in terapia intensiva in tutta Italia, i morti si contano sul palmo di una mano,
mentre in Francia sono più di 300 in terapia intensiva.

Perché siamo stati gli unici in Europa ad aver prorogato lo stato di emergenza?

Tacere su questo è sinonimo di imparzialità?


Nel mentre la Costituzione è sospesa da circa cinque mesi e il Parlamento è relegato a mero organo di ratifica,
il capo dell’opposizione viene mandato a processo
per aver un anno fa – nell’esercizio delle sue funzioni di ministro dell’interno –
bloccato lo sbarco di immigrati irregolari sul territorio italiano.

In pratica ciò che fa un qualsiasi ministro dell’interno in un qualsiasi Paese che si rispetti.

Eppure non in Venezuela o a Cuba il leader dell’opposizione è mandato alla sbarra, ma in Italia.

Tale aspetto ci sorprende particolarmente.

E’ stato proprio l’attuale Capo dello Stato, fino a poche settimane fa, a richiamare continuamente centrodestra e governo ad essere responsabili e collaborativi.

Cosa che è avvenuta, tant’è che il centrodestra si è fatto prendere ogni volta in giro da Conte.

Ora, dopo che la maggioranza giallo-rossa ha mandato a processo il leader dell’opposizione,
il Presidente Mattarella come può pretendere da Salvini “responsabilità e collaborazione”?

Come ha potuto tacere il Colle su quanto accaduto due giorni fa in Senato?

Si pretende da Salvini collaborazione, ma poi lo si manda a processo e in assenza di reati.



Una cosa però sta davvero a cuore al Presidente, e su questa la sua funzione di garanzia non conta: la scuola.

Giusto, condividiamo le sue preoccupazioni sulla necessità che le scuole riaprano a settembre.

Ma l’Università?

Scuole aperte e Università chiuse, in modalità telematica?

Ma sì, tanto il decadimento culturale ha ormai raggiunto livelli irreversibili.

E poi, diciamocela tutta, dell’Università non interessa più nulla a nessuno.

Neppure al Presidente, evidentemente.


L’inquilino del Colle ha dunque sottolineato la terzietà del suo ruolo di garanzia che gli impedisce di intromettersi nel dibattito e nelle scelte politiche.

Ma un paio di domande sorgono, come si suol dire in questi casi, spontanee.

Anche quando impedì la nomina di Savona al ministero dell’economia, travalicando ampiamente i suoi compiti di garanzia, riteneva di essere imparziale?

O quando ignorò la scorsa estate la volontà di Salvini e Di Maio di dar vita ad una riedizione del governo giallo-verde,
durante la crisi di governo agostana, favorendo invece la nascita dell’attuale governo giallo-rosso?

Anche in quel caso fu imparziale?


Su questo punto è tutto documentato in un libro (Ladri di democrazia) che abbiamo scritto, documentato giorno per giorno, e nel caso decisivo ora per ora.

Nessuno ha finora smentito la nostra ricostruzione, anche se è passata sotto silenzio.

Ma il ruolo di Mattarella in quella vicenda è stato determinante.

Vuole il Quirinale smentire la nostra ricostruzione?

(Ladri di democrazia - Giubilei Regnani Editore)



Non dimentichiamo inoltre la tirata di orecchi alla maggioranza giallo-verde nel dicembre 2018
per aver contingentato i tempi parlamentari per l’approvazione della legge di bilancio nonostante fossero stati rispettati tre passaggi,
ed il silenzio totale l’anno successivo – con la maggioranza attuale – che sullo stesso argomento garantì alle Camere solo due passaggi.


Facile ora richiamarsi al ruolo del garante…
 
Poveri dementi che prendono decisioni assurde.
Come gli "scienziati" al seguito.


La nuova ordinanza firmata dal ministro della Salute Roberto Speranza,
che ha ripristinato l’obbligo di distanziamento sui treni dopo che venerdì
i convogli avevano ripreso a viaggiare col il 100% dei posti occupati, ha scatenato la pronta reazione di Italo e Fs.


La risposta di Italo è stata affidata al vice presidente esecutivo, Flavio Cattaneo, che, ospite di ‘Stasera Italia weekend’, ha dichiarato:

Siamo ai primi di agosto, ci saranno moltissime persone in partenza, per forza dobbiamo annullare dei treni
perché in base all’ordinanza del ministro Speranza li dobbiamo annullare, daremo i rimborsi“.



Ancora Cattaneo:

“L’ordinanza non toglie il distanziamento agli aerei e ciò lo giustifica in base a un orientamento dell’Oms
basato su aspetti tecnici legati alle caratteristiche del sistema di aria condizionata.

Il nostro impianto di area condizionata è migliore degli aerei ma noi ci vediamo costretti a tornare indietro.

Se questo deve essere, deve essere uguale per tutti, c’è una discriminazione, c’è un caos totale“.


La chiosa finale:

“Abbiamo fatto degli studi che hanno verificato che il nostro sistema condizionamento non solo è buono,
ma è del 50% superiore per ricambio d’aria a quello di un aereo”.


Fonti di Fs citate dall”Agi’ hanno fatto sapere che Trenitalia cercherà di garantire a tutti i passeggeri
il viaggio prenotato dopo l’ordinanza del governo che ha revocato le deroghe sul distanziamento.


Le stesse fonti hanno chiarito: “Cercheremo di garantire il viaggio a tutti i passeggeri,
magari ricollocandoli in altre classi nel rispetto delle regole sul distanziamento.
Se non sarà possibile, manderemo ai clienti un messaggio avvertendoli che potrebbero essere ricollocati su altri treni in orari simili,
o se lo desidereranno, potranno avere il rimborso integrale del biglietto“.


La Regione Lombardia ha deciso di non adeguarsi all’ordinanza del ministro della Salute Speranza sul distanziamento sui treni.
Tramite una nota, l’amministrazione guidata da Attilio Fontana ha confermato infatti che sui mezzi pubblici della regione
è possibile occupare tutti i posti a sedere, come previsto all’ordinanza regionale.


Anche la Regione Liguria ha confermato la sua ordinanza che consente un maggior numero di passeggeri su tutti i mezzi,
fermo restando l’uso delle mascherine e gli altri elementi di prudenza.
Lo ha reso noto il governatore Giovanni Toti sulla sua pagina Facebook.
 
Arcuri è uomo di finanza, con una carriera passata prima all’IRI, poi alla Arthur Andersen, e poi con la Deloitte Consulting ed Invitalia.

E’ una persona che vanta rapporti di collaborazione professionale con l’università Bocconi di Milano e la LUISS di Roma.

Il concetto del governo è semplice: dobbiamo salvare l’Azienda-Italia dalla crisi del coronavirus, quindi diamo l’incarico ad un esperto di rilancio aziendale.


Anche l’approccio “finanziario” è semplice: se metto sul mercato un’azione che mi viene pagata 0,15 euro,
posso mettere sul mercato 100 milioni di azioni, incamerando 15 milioni di euro.

Se l’azienda ha bisogno di 1000 computer, chiedo alle banche 500 mila euro in prestito e ne ordino la consegna ai produttori di computer.

Il prestito alle banche potrà essere restituito negli anni a venire, grazie agli utili realizzata dall’azienda.

Fare il manager è semplice: si decide la spesa o l’investimento, si trovano i soldi e lo si fa.

I soldi si trasformano automaticamente nei beni e servizi necessari all’azienda.






Quando quel genio di Arcuri si incontra con quel genio del ministro dell’istruzione Lucia Azzolina,
con relativi consulenti il risultato è che il governo “decide” che è prioritario per le scuole acquistare subito 3 milioni di nuovi banchi per gli alunni.

E’ noto ai migliori virologi del mondo, infatti, che il covid-19 si propaga di meno se i banchi sono nuovi,
mentre per decenni la mancanza di banchi adeguati nelle scuole non è mai stato un problema.






L’incontro fra i due geni ha generato una gara d’appalto per la fornitura di 3 milioni di banchi,
con scadenza il 5 agosto 2020 e consegna fra il 7 e il 12 settembre successivo, con tanto di penali per i ritardi.



Dopo decenni di mancati ordinativi di banchi scolastici il sistema produttivo italiano
non dispone naturalmente della necessaria capacità produttiva, che è fatta di macchinari e di personale specializzato.

A detta dei produttori la capacità produttiva di banchi scolastici con ordinativi ai primi di agosto è di massimo 120 mila pezzi entro fine settembre.

Considerando che il governo richiede 3 milioni di pezzi entro il 12 settembre, con penali per i ritardi,
questo significa che molto probabilmente la gara d’appalto andrà deserta,
per manifesta incapacità di garantire la fornitura nei tempi richiesti.


Un governo che richiede l’acquisto di 3 milioni di banchi in 5 settimane, quando il sistema paese avrebbe bisogno di 2 anni per produrli in quella quantità
significa che i “competenti” al governo non hanno la minima idea delle differenze fra una nazione ed una impresa o una famiglia.

Una impresa o una famiglia acquistano ciò che il mercato normalmente sa produrre, in quanto si tratta di piccole quantità di beni e servizi.

Ma un governo non può fare acquisti allo stesso modo, perché le quantità superano la capacità produttiva del sistema paese
e perché i “grandi acquisti” di un governo determinano ricadute molte rilevanti sull’economia del paese.

Se, ad esempio, il governo decide di assumere 100 mila insegnanti, avremo 100 mila disoccupati in meno.

Sempre che si trovino 100 mila insegnanti nullafacenti subito disponibili.



Nel caso dei 3 milioni di banchi, il risultato potrebbe essere che, in assenza di fornitori italiani, il governo si apra ai mercati esteri.

In quel modo, forse, potrà trovare un consorzio internazionale di costruttori di banchi scolastici in grado di produrre 3 milioni di banchi in sole 5 settimane.

In tale caso ipotetico avremmo finalmente i banchi nuovi nelle scuole, ma i compensi ai produttori finiranno all’estero.

Le aziende italiane non ne ricaverebbero alcun beneficio.

Lo Stato perderebbe 450 milioni di tasse, su 900 milioni di spesa, che sarebbero rientrati se i fornitori fossero stati solo italiani.

Tutto questo proprio mentre con la gravissima crisi economica in corso ci sarebbe bisogno di dare lavoro alle imprese italiane,
mentre lo stato ha un disperato bisogno di liquidità.



La Azzolina risponderà che i 3 milioni di banchi servono per garantire il distanziamento fra gli alunni nelle classi.

Ma essendo evidente che questa soluzione è impossibile o fortemente sconveniente,
possibile che non esistessero soluzioni alternative e concretamente realizzabili?

Sarebbe molto meglio che lo stato spendesse di più, ma costantemente tutti gli anni, per gli arredi scolastici,
dando modo alle imprese italiane di strutturarsi per rispondere alla domanda.


Lo stesso vale per i gestori delle autostrade.

Dopo decenni di mancati controlli, ora si chiede di colpo di fare tutti i controlli di tutti i tunnel ed i ponti autostradali d’Italia nel giro di poche settimane.

E’ ovvio che i gestori non saranno attrezzati per farlo, in termini di personale e ai fini di fare i controlli senza mandare in crisi il traffico, come sta avvenendo in Liguria.


Gli “acquisti pubblici” sono utili per l’economia del paese e per i cittadini, ma solo se sono portati avanti con regolarità e non in modo schizofrenico.

Ora che il governo avrà a disposizione – dicono – i fondi europei, il rischio è di spenderne troppi senza tenere conto della capacità del sistema di rispondere all’aumento di domanda.

L’effetto di questa dinamica sarà che alcuni settori saranno subissati di lavoro, mentre altri continueranno a patire la crisi economica.

Per questo il modo più efficace per spendere è probabilmente utilizzare questi fondi per una riduzione generalizzata delle tasse,
in modo che i benefici siano equamente distribuiti e rilanciando la domanda interna.
 
Siamo nello stato d’emergenza senza emergenza,
il capo dell’opposizione viene mandato a processo dalla sua ex maggioranza,
si secretano i verbali dai quali nascerebbe lo stato d’emergenza.

Si fa ricorrente e ripetuto utilizzo della giustizia (ingiustizia) a fini politici.

I giudici politicizzati si muovono per affossare chi è stato eletto dalla maggioranza degli italiani.

Impazza l’immigrazione clandestina contagiata.

Il falso e l’ingiusto la fanno da padrone, la verità e la giustizia sono soffocate dalla melma del Governo dell’ineletto Giuseppe Conte.

Sergio Mattarella approva il Paese a sua immagine e somiglianza: distrutto.

Cancellata ogni regola democratica.

Gli italiani osservano.

Si evitano come la peste le elezioni perché gli italiani voteranno a destra
e si lavora alacremente alla stesura della legge elettorale maggiormente in grado di fregare e truffare gli italiani
mantenendo tutto così come è, cioè lo sfacelo del Paese.

Ottimo lavoro, bravi tutti, un encomio particolare al nostro Presidente.


.
 
Forconi o debito.

Questa è la descrizione più realistica sull’andamento che nei prossimi mesi avranno coesione sociale, economia e finanza pubblica.

È una descrizione, ne sono consapevole, un po’ sommaria, fatta con la bilancia del macellaio piuttosto che col bilancino del farmacista.

La sostanza, però, è questa e i dati freschi freschi sfornati dall’istituto di statistica tedesco,
che stima una contrazione del Pil di oltre il 10 per cento, e da quello statunitense, che la stima di oltre il 30 per cento, ne sono la riprova.


Per rendersi conto di come stanno le cose in Italia, è sufficiente richiamare pochi numeri.

La ricchezza prodotta scenderà di 200 miliardi e il suo calo determinerà giocoforza la chiusura di numerose aziende.

Il rischio è di vederle cadere come birilli: l’Istat stima che almeno un terzo delle piccole e medie imprese
e un quinto delle medie e grandi siano a rischio chiusura
.

I disoccupati e gli inoccupati potrebbero aumentare di oltre 1 milione e mezzo, per arrivare complessivamente a 7 milioni.

Una vera e propria bomba sociale a orologeria.


Davanti a questa realtà, il Governo ha scelto di non sfidare i forconi,
che passata l’Assunta sarebbero probabilmente scesi a Roma e arrivati a Palazzo Chigi,
e di aumentare ulteriormente il deficit di bilancio di 25 miliardi.

Di qui il prolungamento di tutte le forme di cassa integrazione e sussidi di vario genere e la conferma del blocco dei licenziamenti fino al 31 dicembre.


Sul versante della finanza pubblica, il maggior deficit aggiunge qualche granello alla già altissima montagna del debito,
che a dicembre supererà 2.600 miliardi, il 165 per cento della ricchezza prodotta, e che porterà il Tesoro a dover chiedere al mercato
e alla Banca centrale europea finanziamenti per oltre 320 miliardi tra vecchio e nuovo debito.

Non è un errore di battitura, è proprio questa la cifra di cui avrà bisogno il Tesoro per pagare stipendi,
pensioni, interessi e restituire i prestiti in scadenza, come si legge nei documenti della Ragioneria generale dello Stato.


In questo contesto la strategia del debito è la sola che il Governo sia finora riuscito a mettere in atto.

Non si dice che la scelta di incrementare il deficit sia di per sé sbagliata.

Già ho scritto su queste colonne che di fronte ad emergenze epocali come quella provocata dalla pandemia,
gli Stati non hanno, nell’immediato, alternative: il debito è la sola carta che possono giocare per soddisfare incomprimibili esigenze solidaristiche e di mutuo soccorso.


Rispetto alle scelte complessive del nostro Esecutivo, però, quello che viene da contestare è altro.

La sua strategia ha finora contemplato soltanto il debito,
senza che a questo sia stato affiancato neanche un abbozzo di riforma strutturale sul versante della produttività economica,
su quello della revisione della spesa pubblica o delle tasse.

Niente di niente.


E allora, delle due l’una: o siamo in presenza di un Esecutivo inadeguato,
come ha dichiarato in questi giorni il presidente di Confindustria Carlo Bonomi in una pungente intervista;
oppure la sua strategia è scientemente orientata ad indebitare il Paese, come ha scritto qui Ruggero Capone.


In entrambi i casi, aggiungo io, la strada della schiavitù è segnata, perché il debito,
se di entità spropositata rispetto alla ricchezza prodotta e prolungato nel tempo, non può che rendere schiavi.

Un Paese schiavo in economia non ha futuro di libertà in nessun altro campo.

È la democrazia, stringi stringi, a diventare un sistema di cartapesta.


E se, nonostante il debito in costante crescita, i forconi arrivassero ugualmente,
magari con qualche settimana di ritardo, determinati a ribaltare questa dissennata e asfittica strategia?
 
Abbiamo riportato ieri (31 luglio) la notizia riguardante il ricorso fatto dal governo al Consiglio di Stato
per impedire la pubblicazione dei verbali del Comitato scientifico sulla base dei quali l’esecutivo ha preso decisioni sul lockdown.



La vicenda diventa ancora più misteriosa.

Sembrerebbe infatti esistere un altro documento, antecedente al periodo di lockdown di marzo
e perfino alla costituzione del Comitato tecnico scientifico, che è stato secretato
e che il Paese invece ha tutto il diritto di conoscere: il piano pandemico nazionale.



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In un’intervista di aprile il direttore generale della Programmazione sanitaria del ministero della Salute, Andrea Urbani,
ha riferito che esiteva “un piano già dal 20 gennaio”.

Nonostante “i piani pandemici europei siano tutti pubblici -è importante che lo siano, riferisce la Repubblica affinchè siano efficaci,
‘tutti devono sapere come comportarsi’- l’utimo aggiornamento di quello italiano risulta datato al 2010.

Mentre quello del 20 gennaio non risulta in alcun modo consultabile.



Questo è quanto spiegato nelle colonne di Repubblica dal giornalista Riccardo Luna, il quale racconta
di aver presentato mediante una procedura, Foia, al ministero della Salute la richiesta di avere accesso al documento.

Secondo la prassi “tutti gli atti pubblici a eccezione di poche motivate eccezioni, devono essere accessibili entro i 30 giorni dal momento in cui si presenta la richiesta.


Il 15 giugno, a termini scaduti, il capo di gabinetto del ministero risponde:

“…la presente istanza è inoltrata alla valutazione di codesto Dipartimento che è competente all’ostensibilità dello stesso”.



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A quanto pare “la protezione civile ricorda benissimo quando il testo del piano è arrivato, era ‘accompagnato dalla richiesta di segretezza’.

L’8 luglio Angelo Borelli, capo del dipartimento risponde all’istanza scaricando le responsabilità e dichiarando di “non avere alcuna competenza in merito”.

È una questione di cui deve occuparsi il ministero della Salute.


Quando un Foia viene respinto non resta altro che appellarsi al “responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza”, in questo caso Alberto Zamparese.

E così ha fatto Riccardo Luna, al quale viene data la surreale risposta che l’istruttoria non è stata avviata prima a causa di “un disguido interno”.


È normale e comprensibile che la questione, arrivati a questo punto, susciti numerosi interrogativi.

I cittadini hanno diritto di sapere la verità su tutto il processo che ha portato l’Italia a mesi di lockdown.
 
Il Recovery Fund è la brutta copia del Mes.

Lo diciamo da tempo, ora lo scopriamo nel dettaglio.

Della solidarietà, diciamolo subito, nemmeno l’ombra.

A guardare a cosa andiamo incontro non si capisce cosa abbiano da festeggiare Conte e i suoi.

Per loro è un modo per mantenere la poltrona e consolidare la posizione agli occhi del Sistema, per noi, per i cittadini, sarà invece l’inizio della fine.

Del resto la clamorosa rivelazione l’ha annunciata con grande imbarazzo lo stesso ministro dell’Economia Roberto Gualtieri alla commissione Bilancio della Camera:

“I prestiti concessi dalla Ue attraverso il Rrf e il Sure (utile a sostenere la cassa integrazione)
saranno privilegiati rispetto alla rimanente parte del debito pubblico”.


Proprio come il Mes, per capirci.




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La pendemia di coronavirus ha smascherato l’Unione europea, facendo vedere a tutti la sua intrinseca fragilità.

150 giorni per arrivare a un Recovery Fund che – come spiegano molto bene Fabio Dragoni e Filippo Liturri su La Verità
– si svilupperà “fra mille cavilli in sei anni e a partire, se va bene, dal 2021.

Stati Uniti, Regno Unito e Giappone – al pari di qualsiasi altro Stato monetariamente sovrano -
hanno potuto mettere in campo subito ciò che serve per risollevare l’economia piegata e piagata dal lockdown: i soldi”.

Sono tanti i dubbi che sussistono sull’entità delle cifre sbandierate, da ultimo confermati anche dal Financial Times, secondo cui

“la Commissione non ha pubblicato i dettagli sulla ripartizione dei fondi, anche perché un terzo dei fondi dipenderanno dalla crescita del 2021 e 2022.
Le cifre che circolano sono frutto di stime dei governi”.




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Altri dubbi sul Recovery Fund sussistono sui tempi di erogazione.

Scrive ancora La Verità:

“Le emissioni saranno scaglionate. Fonti del quotidiano londinese riferiscono che dal 2021 al 2024 saranno piazzati poco meno di 200 miliardi all’anno per finanziare il NextGenEU.
Con ciò confermando che nel 2020 anche il fondo Sure da 100 miliardi avrà poco da erogare. La Commissione concentrerà il grosso dei pagamenti nel triennio 2022-2024.
Non si dimentichi, infatti, la differenza tra impegni di spesa e pagamenti. Questi ultimi arrivano sempre molto dopo rispetto ai primi.
I dubbi su chi e come contribuirà al rimborso di queste obbligazioni poi non mancano:
fino a oggi il bilancio dell’Ue presentava un conto economico ben visibile e uno stato patrimoniale quasi assente.
Un bilancio strutturalmente a somma zero.
I soldi arrivano dalla Ue perché qualcuno ce li mette: da una parte gli Stati – attraverso i trasferimenti – e dall’altra i consumatori pagando l’Iva –
una cui parte del gettito alimenta le cosiddette ‘risorse proprie’ di Bruxelles”.


Con l’emissione di 750 miliardi di bond a scadenza trentennale, a partire dal 2028 va in onda però tutto un altro film.

“C’è la necessità da parte dell’Ue di riscuotere ogni piccolo cent: dall’Iva sui consumi alle accise su ogni grammo chilo di plastica prodotto.
Da ogni trasferimento intergovernativo per alimentare il bilancio Ue, ai balzelli su digitale, emissioni dei mezzi aerei e marittimi, carbone e transazioni finanziarie.
E che succede se uno dei 27 Paesi debitori dell’Ue minaccia o attua un default selettivo su quanto dovuto a Bruxelles?
Ognuno paga per sé, entro un certo limite. Vincoli di solidarietà zero”.


Il riassunto del Recovery Fund quindi è: più tasse per tutti.

E quindi, come ha dichiarato Moritz Kraemer (già a Standard & Poor’s):

Anche se oggi appare improbabile lo scioglimento della Ue, fino al 2058 molte cose possono andare storte”.

Dunque, perché i prestiti del Rrf avranno lo status di credito privilegiato al pari di quelli del Mes?

Perché in caso di default verranno pagati per primi.


“Nessuna garanzia solidale. Per i prossimi 30 anni, è come se l’Italia, assieme agli altri,
avesse già firmato un assegno alla Commissione fino al 0,6% del proprio Reddito nazionale lordo, cioè 11 miliardi all’anno”.
 

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