Operazione Enduring Freedom

Magaldi: da Nizza ad Ankara, nessuno vi racconta la verità
Scritto il 21/7/16 • nella Categoria: idee Condividi

Toglietevi dalla testa l’idea che un pazzo solitario abbia compiuto la strage sul lungomare di Nizza, non casualmente programmata il 14 luglio, data simbolo della principale rivoluzione europea attuata dalla massoneria progressista. Di qui l’automatismo che collega il massacro francese alla “risposta” andata in scena poche ore dopo in Turchia, paese amministrato dall’oligarca Erdogan, esponente del vertice internazionale della super-massoneria di destra.
E’ la lettura fornita da Gioele Magaldi, massone a sua volta, già gran maestro della loggia romana Monte Sion, poi fondatore del Grande Oriente Democratico e transitato nella superloggia Thomas Paine. A fine 2014, col dirompente saggio “Massoni, società a responsabilità illimitata” edito da Chiarelettere, Magaldi ha svelato inquietanti retroscena del massimo potere mondiale, spiegando il ruolo di 36 Ur-Lodges (logge madri, a carattere cosmopolita) nella genesi delle principali decisioni politiche, militari, economiche e finanziarie dell’ultimo mezzo secolo: rivoluzioni e colpi di Stato, terrorismo e strategia della tensione, welfare democratico e involuzioni autoritarie, fino all’avvento della globalizzazione a mano armata e della “guerra infinita” inaugurata dalla tragedia dell’11 Settembre.
Primo capitolo, la Francia: il paese è chiaramente sotto attacco a partire dalla strage della redazione di Charlie Hebdo, le cui indagini sono state fermate dal governo Hollande con l’apposizione del segreto militare dopo la scoperta, da parte della magistratura parigina, della triangolazione che ha coinvolto la Dgse, cioè i servizi segreti francesi, nella fornitura di armi al commando-killer (armi slovacche, acquistate in Belgio sotto la copertura dell’intelligence).
Il grande spauracchio dell’ultimo scorcio si chiama Isis? Si tratta di un paravento, sostiene Magaldi, nonché di una “firma”: Isis è anche il nome della dea egizia Iside, chiamata anche Hathor, e Hathor Pentalpha è il nome della “loggia del sangue e della vendetta” fondata nel 1980 da Bush padre quando fu battuto da Reagan alle primarie repubblicane. A quella cupola di potere, sempre secondo Magaldi, è ascrivibile la regia dell’11 Settembre, con annessa “fabbricazione del nemico”, da Al-Qaeda a Saddam Hussein: della Hathor Pentalpha, scrive Magaldi, hanno fatte parte sia Tony Blair, “l’inventore” delle armi di distruzione di massa irachene, sia Nicolas Sarkozy, il demolitore del regime di Gheddafi. E inoltre lo stesso Erdogan, il massimo padrino dell’Isis.
«Da fonti riservate – racconta Magaldi a “Colors Radio” – sapevo con certezza che in Turchia si stesse preparando un golpe: non il maldestro tentativo cui abbiamo appena assistito, facilmente controllato da Erdogan, ma un golpe autentico, programmato per l’autunno». Niente di più facile che il “sultano” l’abbia semplicemente anticipato, in modo farsesco, provando a disinnescare la minaccia. Ma attenzione: «Erdogan sa benissimo che i suoi veri, potenti nemici non sono toccabili: la sua repressione, feroce e molto rumorosa, non li sfiorerà neppure. Nel caso di un golpe a tutti gli effetti, quindi con il coinvolgimento dei massimi vertici dell’esercito, della marina e dell’aviazione, oltre che con la partecipazione degli Usa e di Israele, Erdogan verrebbe liquidato in poche ore, arrestato o ucciso».
Cosa manca, al puzzle?
Il piatto forte: le elezioni Usa. Solo allora, cioè dopo novembre, è plausibile che il quadro geopolitico possa chiarirsi. A cominciare da Ankara: al di là del chiasso organizzato in queste ore da Erdogan, dice Magaldi, la Turchia non ha ancora deciso “cosa fare da grande”. E soprattutto: come chiudere la pratica Isis, di cui resta la principale azionista.
Quanto alla strage di Nizza, si tratta della «ripetizione ormai stanca» di un copione già invecchiato, quello dei tagliatori di teste che hanno seminato il terrore – con sapiente regia hollywoodiana – tra Iraq e Siria.
La dominante, oggi, si chiama caos. E nessuno – tantomeno Erdogan – sa esattamente cosa accadrà domani, ovvero: su quale configurazione di forze si baseranno i poteri forti, anche super-massonici, che finora hanno assegnato precisi spazi agli attori sul terreno, da Obama a Putin, dalla Merkel a Erdogan. Sempre secondo Magaldi, il network trasversale della super-massoneria progressista si è impegnato con successo nelle primarie Usa, da un lato lanciando Bernie Sanders per spostare a sinistra la politica della Clinton, e dall’altro utilizzando Donald Trump come cavallo di Troia per eliminare dalla corsa il pericolo numero uno, Jeb Bush, ultimo esemplare della filiera Hathor Pentalpha. Comunque vada a novembre, conclude Magaldi, gli “architetti del terrore” dovrebbero finalmente perdere terreno: la stessa Clinton si starebbe smarcando da certi legami pericolosi con i settori più opachi del potere di Washington, e Trump non sarebbe certo disponibile a coprire azioni di macelleria internazionale come quelle a cui stiamo assistendo.

Una grande retromarcia, dopo 15 anni di orrori?
Qualche segnale lo stiamo già avendo, dice un altro analista dal solido retroterra massonica come Gianfranco Carpeoro: a inquietare i gestori del massimo potere è proprio la recente “diserzione” di una parte del vertice planetario, non più disposto ad avallare la strategia della tensione (da Bin Laden al Califfato) promossa dall’élite neo-aristocratica, quella che ha cinicamente ideato e gestito l’austerity europea incarnata da Draghi e Merkel. Se cresce il bilancio di sangue, anche in Europa – questa la tesi – è perché il potere oligarchico si sta indebolendo e teme di perdere la sua presa. E’ di ieri lo strappo del Brexit, e la Francia resta sotto tiro anche per via del suo ruolo-cardine in una struttura antidemocratica come l’attuale Unione Europea.
I tempi stanno per cambiare?
Se sì, a quanto pare, non sarà una passeggiata: è saggio aspettarsi di tutto, in questa fase di incertissima transizione. Certo, dice ancora Magaldi, bisogna tenere gli occhi aperti: è impensabile che la sicurezza francese abbia potuto “dimenticarsi” di quel camion-killer, parcheggiato da giorni sul lungomare di Nizza. E forse il primo a cadere sarà proprio il capo della “democratura” turca: «Erdogan sembra forte, ma in realtà è fragilissimo».

Un consiglio? Allacciare le cinture, in attesa delle elezioni Usa.

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QUALCUNO ha avuto problemi con la propria coscienza e.....


I droni sono buoni ad uccidere persone, solo non quelle giuste

L’Occidente senza katechon . E i suoi boia.

Di Maurizio Blondet , il 28 novembre 2015 14 Comment


Qualche giorno fa’ quattro ex piloti di droni per conto dell’Air Force hanno scritto una lettera aperta al presidente Obama per dire tutto l’orrore di esecutori del programma di assassini mirati dal cielo, dal presidente comandati.

Ne hanno descritto la crudeltà e la bassezza.


Dal loro schermo in Virginia, uccidono persone in Afghanistan, Pakistan Irak, migliaia di chilometri di distanza.
Uccidono soprattutto civili, secondo liste preordinate basate su informazioni di intelligence approssimative; spesso quelli che uccidono sono palesemente innocenti che nulla hanno a che fare col terrorismo islamico.

Bryant, Haas e Westmoreland “I droni sono buoni ad uccidere persone, solo non quelle giuste – Ci sono quindicenni che non hanno vissuto un giorno senza droni sul capo – espatriati che vedono ogni giorno le violazioni che stanno succedendo nei loro paesi, e si radicalizzano – se ammazzi il padre, lo zio o il fratello di qualcuno che nulla ha a che fare con niente, le loro famiglie vorranno vendetta”.



I quattro hanno cercato di giustificare la loro disobbedienza adducendo l’inefficacia delle loro uccisioni: il sistema crea più terroristi e islamisti di quanti ne faccia fuori.

Ma è la coscienza che, col tempo, gli ha reso rivoltante fare quello che fanno ogni giorno lavorativo, dal video.

Anche perché, contrariamente al pilota da caccia e al bombardiere, loro vedono la carneficina che provocano quando premono il pulsante.

Su teleschermo a colori, vedono la donna col burka che si dissangua, la vecchia corriera o il pickup centrato che prende fuoco, i morenti che ne escono e cadono subito, spargendo un lago rosso, i corpi carbonizzati che fumano e si muovono ancora

Il pilota vero passa sulle esplosioni a 500 all’ora ad alta quota; il drone sorvola quasi fermo il posto della strage, ne rimanda le immagini nell’ufficio in Usa, alle scrivanie con la tazze di caffè di Starbuck.
Gli operatori di droni sono fatti entrare in un mondo dove si incoraggia la callosità, dove la cultura istituzionale consiste nel negare l’umanità della gente che appare sui loro schermi.

“Sparargli era qualcosa di lodevole, per cui ci incoraggiavano ad impegnarsi”.

Uno di loro, si chiama Michael Haas, ha detto che è stato rimproverato dai superiori perché, incaricato di addestrare una giovane recluta, l’aveva scartata perchè “assetata di sangue”: sono gli assetati di sangue che ci servono!
Non si diffondono notizie su questi boia stipendiati dallo stato per compiere omicidi extragiudiziali.
Sono tenuti al segreto militare.

Solo che non sono al fronte.

Ogni mattina “escono di casa, guidano tre minuti, entrano in una scatola metallica e di colpo è come essere sul teatro operativo” in Afghanistan o Irak.
Il “pilota” ha guidato un Global Hawk, un mega-drone grande come un Boeing 747 da ricognizione che dicono disarmato, oppure un Predator con missili e cannoncino per fare stragi?

E’ tutto lavoro.

“Piloti la tua missione, esci dalla scatola e sei di nuovo in North Dakota”.

A pochi chilometri dal primo Walmart e dal ristorantino cinese. Il punto è che “torni a casa, ceni con tua moglie e i figli, e non puoi dire loro niente di quel che hai fatto”.

Sei a casa e fai il sicario per il Pentagono.

A tremila chilometri. Nessuno te lo rimprovererà mai, anzi sei in carriera automatica.
Però un rapporto del Dipartimento della Difesa ha scoperto che i “piloti in poltrona ergonomica” soffrono disturbi psichici post-traumatici nella stessa misura dei soldati sul terreno, suicidi compresi.

I quattro che hanno parlato raccontano il diffuso abuso di alcol e droghe fra i piloti sedentari. Spesso, raccontano, si drogano “con sali da bagno (sic) e marijuana sintetica per evitare potenziali test antidroga”. Moltissimi “volano” le loro missioni in stato di intossicazione.

“Serve per piegare la realtà e immaginarti che non sei tu lì a farlo”.
Anche Haas s’è rifugiato nell’alcol.
Un altro dei quattro, Brandon Bryant, s’è dimesso nel 2012. Come mai, racconta: “Un giorno, premo il bottone. L’edificio crolla. C’era un bambino che stava entrandovi, ed è scomparso. ‘Ho ammazzato un bambino?’, ho chiesto al collega che era a fianco a me. “Eh sì…”.

I piloti hanno sul monitor una finestra dove possono fare “chat”, mandare mail eccetera. “Era un bambino?”, ha scritto Bryant. “Allora qualcuno che non conosco, qualcuno che siede in qualche centro di comando altrove nel mondo, e aveva sorvegliato il mio ‘lavoro’, ha risposto: no, era un cane. Ho riguardato la registrazione del video col collega. Un cane con due zampe?”.

I quattro si chiamano Michael Haas, Brandon Bryant, Cian Westmoreland e Stephen Lewis.

La loro lettera aperta è stata ripresa da diversi media, sono stati intervistati dal Guardian.

Il pubblico americano dunque sa quello che il loro "democratico stato" fa ogni giorno, in uffici riscaldati o con l’aria condizionata, con la macchinetta della Coke nel corridoio.


Si vede bene la distruzione Ora, chiedetevi se l’Occidente è più civile del Nazismo, dove almeno i cittadini davvero “non sapevano, scusa che però non viene accettata come valida. Se la democrazia universale non è equivalente al mondo sovietico.



Il precedente storico

Un vecchio cekista, oggi pensionato di Stato: “Quando mi hanno assunto all’NKVD mi sentivo terribilmente fiero. Con il mio primo stipendio mi son comprato un bel vestito. Un lavoro come quello…si può paragonare solo alla guerra. Ma la guerra non è così stancante. Quando spari a un tedesco, lui urla in tedesco. Invece…loro urlavano in russo…come fossero dei nostri… Fucilare dei lituani o dei polacchi era più facile. Ma loro, urlavano in russo: ‘Bestie! Idioti! Fatela finita in fretta!”. *****! E noi eravamo tutti coperti di sangue…ci asciugavamo le mani nei capelli. A volte ci fornivano dei grembiuli di cuoio. Per noi era un lavoro…sono un soldato, io.

Se mi danno un ordine lo eseguo.

Fucilavo.

Dei sabotatori. (…)

La cosa più sgradevole è sparare su qualcuno che ride.

O è impazzito o ti disprezza (…).
Non si deve mai mangiare prima di affrontare questo lavoro.
Io non ce la facevo…e si ha sempre sete…si desidera solo acqua, acqua…come dopo una sbronza.
*****!

Alla fine della giornata ci portavano due secchi, uno pieno di vodka e uno di acqua di colonia. La vodka ce la davano dopo il lavoro, mai prima. Ci si lavava con l’acqua di colonia fino alla cintura. Il sangue ha un odore particolare…somiglia un po’ allo sperma. Avevo un cane da pastore, bene, quando tornavo dal lavoro, lui non mi si avvicinava (…)

Lo fai inginocchiare e gli spari quasi a bruciapelo sulla tempia sinistra…vicino all’orecchio. Alla fine del turno la mano ti penzola come un vecchio straccio (…) Avevamo anche noi un piano da eseguire, come in fabbrica.

All’inizio non ce la facevamo, Fisicamente.

Allora hanno fatto venire dei dottori e hanno deciso di praticare dei massaggi ai soldati due volte la settimana. Massaggi alla mano destra e all’indice destro”.
Questo il vecchio dell’NKVD, un giorno domenicale,(erano rimasti in due nella dacia vuota) ha confidato a suo cognato. Parlava del lavoro di boia che faceva nel comunismo staliniano – l’ha riportato Svetlana Alekieievic in Tempo di Seconda Mano (Bompiani, pagina 396).

C’è una vera differenza con quello che l’America fa con la sua demokrazia?

Sotto gli occhi e la complicità dell’Occidente- l’Occidente che siamo noi?
Che ci crediamo laici, secolarizzati, illuministi e civili, al contrario dei tagliagole del’ISIS?
Una differenza con il Gulag e le esecuzioni alla Lubianka salta all’occhio: i boia americani uccidono a migliaia di chilometri di distanza. Gente straniera di cui non sentono la lingua. Non sentono l’odore del sangue. Non hanno bisogno del secchio di acqua di colonia con cui lavarsi fino alla cintura: un risparmio, per il Pentagono.

Quando tornano a casa, il cagnolino non li evita, scondizola e si fa’ grattare la testa. Però sono assassini come quelli dell’NKV. E se il mandante di quelle atrocità era Stalin,

se la responsabilità dei Lager – come ci ripetono continuamente – va’ ascritta ad Hitler e ai suoi ministri,
e’ ad Obama che dobbiamo far risalire la responsabilità di quello che ordina di fare ai suoi soldati. E’ lui direttamente che approva le liste di quelli da eliminare – anche se le liste gliele dà la CIA, che non si sa in base a quale indizio decreta la morte di civili che abitano nel Khiber o sull’Hindu kush, o a Falluja.



Peggio: nel Terzo Reich, l’esercito regolare si astenne da questi “lavori”: erano affidati alla milizia di partito, le SS.


Persino nell’Urss all’esercito non fu chiesto dii affondare le mani nel sangue dei fratelli fino al gomito; era lavoro del KGB; Ceka, Nkvd…


In America, gli assassini sono soldati regolari. Piloti dell’Air Force messi ad ammazzare “terroristi di piccola statura”.


Se abbiamo accusato l’ideologia sovietico-marxista del Gulag e delle stragi segrete;

se abbiamo accusato l’ideologia nazista dei Lager,

dobbiamo accusare per questa strage inodore la Democrazia.

La Democrazia di Mercato.

Il regime della Libertà, dell’informazione, della trasgressione, dove c’è il diritto al piacere : anche gli assassini di cui Obama è il mandante – e li accettiamo come giusti, adatti alla nostra civiltà superiore.



Rispetto a quelle ideologie feroci, concrete e guerriere, l’Occidente uccide innocenti con viltà, i piloti di droni non rischiano, sono fuori dalla portata del kalashnikov afghano;



e la vigliaccheria è un carattere perfettamente coerente con l’ideologia della democrazia – che “ripudia la guerra”, i cui giovani schifano il dovere militare.

Viene insegnata nelle scuola, la vigliaccheria, viene insegnata nelle famiglie e sui “mercati” azionari.

“Fun-sized terrorists” E’ il risultato estremo di un prodotto molto vantato di questa “civiltà” : il positivismo giuridico.

Quella dottrina – oggi totalitaria – che ha liberato la legge dal dover dipendere dal “diritto naturale”, ossia dai Comandamenti di Dio: oggi siamo liberi, il diritto è così libero che lo Stato può ammazzare e torturare chi vuole – basta che emani una legge secondo le procedure.
In Usa, le leggi permettono la tortura, i sequestri segreti di individui che scompaiono e di cui non si sa più nulla,

l’incarcerazione indefinita senza processo a Guantanamo,
sono state varate al parlamento.

Complice dunque, non potrà dire “non sapevamo”.



E’ il trionfo della secolarizzazione compiuta : “Se Dio non c’è, tutto è possibile all’uomo”, come disse Dostojevski. Non c’è un limite legale, basta cambiare le leggi e ciò che era illecito – peccaminoso – diventa legale, dunque buono e giusto.
“Ho obbedito alle leggi”, dicevano i nazisti, ma non furono giustificati dai vincitori. Ora i vincitori fanno lo stesso.
Liberatici di Dio, ci siamo assoggettati ai boia di Stato.

Credete che in Europa non succederà?

Che non succeda già?
Una mia conoscente, medico di base, dice che stanno varando una legge che vieterà l’obiezione d coscienza ai dottori; saranno obbligati a fornire aborto ed eutanasia, oppure verranno licenziati.

Viviamo un “ordine giuridico” che elargisce tutte le libertà ai sodomiti e ai pervertiti, e toglie ai medici la libertà di seguire la coscienza ed obbedire al Giuramento di Ippocrate, che proibisce – non dai tempi di Cristo, ma da sei secoli prima – ai medici di dare la morte.


Hollande, per salvare la Francia, si è appena dato la facoltà di violare la Convenzione dei Diritti dell’Uomo. L’ha fatto con un atto formale, un avviso al Consiglio d’Europa. Quindi la legalità è salva.
La “patria dei diritti dell’uomo” e del cittadini (Rivoluzione francese, Dichiarazione 26 agosto 1789) li straccia. Potrà calpestare a suo arbitrio “la libertà d’espressione (art.10), di riunione e d’associazione (11), il diritto ad equo processo (6), al rispetto della vita privata (art.8)”.
Con un tratto di penna noi e voi non abbiamo più questi diritti che ci dicevano scolpiti nel bronzo della nostra Civiltà. La Francia potrà incarcerare senza processo e senza avvocati chiunque. Anche un avversario politico.

Naturalmente ci lasciano tutte le altre libertà: “Esci, bevi ascolta musica parla mangia fa’ l’amore vai nuda”, come dice il manifesto che sta diventando famoso.





In USA invece i quattro piloti di droni che hanno denunciato gli assassinii del loro Stato hanno avuto bloccati i loro conti in banca e le carte di credito.
Il governo federale li ha puniti con la fame. Non possono “vendere né comprare” perché non hanno più il segno della Bestia.

http://www.globalresearch.ca/drone-pilots-have-bank-accounts-and-credit-cards-frozen-by-feds-for-exposing-us-murder/5491576
E‘ la Demokrazia riscattatasi da ogni limite quella che viviamo: nessun Katéchon frena più nulla.. Resta ancora da indagare l’accelerazione dell’ultimo quindicennio; che cosa l’ha prodotta? Una dottrina interna, esoterica a suo modo. Di questo, se interessa, alla prossima puntata.


L’articolo L’Occidente senza katechon . E i suoi boia. è tratto da Blondet & Friends, che mette a disposizione gratuitamente gli articoli di Maurizio Blondet assieme ai suoi consigli di lettura.

Ricordiamo che la Clinton ordinava assassini con un messaggio fatto dal suo cellulare
RT doc: “GAME OF DRONES “ | Pandora TV
 
Uccido bambini e progetto attentati, nel nome di Ishmael
Scritto il 22/5/16 • nella Categoria: Recensioni

L’omicidio rituale di un bambino precede sempre l’ammazzamento eccellente: lo anticipa, come un oscuro presagio. Prima, c’è il ritrovamento del piccolo ucciso. Poche ore dopo, ecco l’attentato. E gli inquirenti onesti, quelli che intuiscono la verità, vengono depistati e poi, sabotati, rimossi, liquidati. «Bravo, vedo che ha capito come funziona, quel sistema». Parola di Francesco Cossiga. All’altro capo del telefono, lo sbigottito Giuseppe Genna, autentico talento letterario, autore del thriller politico “Nel nome di Ishmael”. Un libro sconvolgente. Uscì nel 2001, ma sembra scritto ieri, anzi oggi, in quest’Europa tramortita dal terrorismo opaco firmato Isis, dietro cui si nascondono “menti raffinatissime”, con propensione a “firmare” le loro stragi secondo precisi codici esoterici, come nel caso delle mattanze di Parigi e Bruxelles, ispirate alle date cruciali dell’epopea dei Templari, fondamentale nel pantheon massonico. Tutto questo, in un mondo dal quale spariscono misteriosamente, ogni anno, migliaia di bambini. Un abisso di orrore, che collega terrorismo e potere, servizi segreti e super-élite, logge e sètte, geopolitica e oscure pratiche, basate sul valore magico attribuito ai sacrifici umani, a partire da quelli dei bambini.
L’infanticidio? Simboleggia morte e rinascita. Chi progetta un attentato, se ne “propizia” il successo alla vigilia, massacrando un neonato nel modo più atroce. E’ la legge di Ishmael, la piovra da incubo che il libro di Genna disvela, pagina dopo pagina. La trama è quella – potente, incalzante – del noir, giocato in modo perfetto sulla storia parallela di due poliziotti italiani, a quarant’anni di distanza l’uno dall’altro. Il primo è l’ispettore David Montorsi, che scopre un minuscolo cadavere in un campo da rubgy alla periferia di Milano poco prima che, nei cieli dell’Oltrepo Pavese, esploda in volo l’areo di Enrico Mattei, il patron dell’Eni: l’uomo che, da ex partigiano, aveva osato sfidare l’America, in piena guerra fredda. Il secondo è un altro detective della questura milanese, Guido Lopez, impegnato a proteggere l’anziano Kissinger al forum di Cernobbio, poco dopo aver scoperto – nello stesso campo da rugby – il cadavere di un altro minore, spaventosamente seviziato.
Proprio tra i vip planetari convenuti per Cernobbio, Genna fotografa un’epoca: «Bush e Gorbaciov, gli eroi del disgelo. Quello che era successo da dieci anni dipendeva da loro. Muro di Berlino, crollo della Russia, riforma dell’economia mondiale. Erano stati loro. Dopo di loro sarebbe stato l’impero del male: l’impero di Ishmael». Il libro di Genna è stato scritto prima ancora del G8 di Genova e dell’11 Settembre, i due eventi-chiave che hanno aperto il baratro della crisi, con la “guerra infinita” in mezzo mondo, la catastrofe finanziaria e il manifestarsi dell’élite neo-feudale globalizzata che ha raso al suolo quarant’anni di diritti sociali, in Occidente. Tredici anni dopo il thriller “Ishmael”, nel monumentale saggio “Massoni”, Gioele Magaldi rivela che lo stesso Gorbaciov fu affiliato alla superloggia segreta “Golden Eurasia”, mentre Bush padre aveva fondato la “Hathor Pentalpha”, definita “loggia del sangue e della vendetta”, molto più estremista (e feroce) della storica “Three Eyes”, ispiratrice dell’ultra-destra economica anglosassone, per decenni dominata da uno dei personaggi centrali del libro di Genna,Henry Kissinger.

I grandi globalizzatori? Anche spietati, certo. Ma non solo: attorno a loro, aggiunge Genna, c’è una nebulosa inquietante, profonda e buia, che caratterizza il Dna dei loro “mandanti” più reconditi, i veri “invisibili”, i super-potenti, quelli che restano al loro posto anche quando i loro politici sono tramontati. Il volto oscuro dell’élite: qualcosa di barbarico, anche. Una “chiesa” di dominatori sanguinari che – all’occorrenza – si procurano bambini da “sacrificare”. «Veramente profetico, Genna, per ammissione dello stesso Cossiga», racconta l’ex avvocato Paolo Franceschetti, indagatore dei peggiori misteri irrisolti della cronaca italiana, dal Mostro di Firenze alle Bestie di Satana fino alla strana uccisione del piccolo Samuele Lorenzi a Cogne. Un intreccio di poteri occulti, istituzioni infedeli e servizi deviati, attorno a cui fioriscono rituali magici e codici simbolici attorno a crimini che sembrano assurdi, senza un movente.
E’ l’inferno che Genna chiama, semplicemente, “Ishmael”.
Nel romanzo lo descrive come un vero e proprio cancro, inoculato dall’élite-ombra statunitense al tempo della sfida con l’Urss, scegliendo proprio l’Italia come fronte strategico da cui poi ingabbiare l’intera Europa. Per questo è così decisivo l’attentato a Mattei, fatto passare per incidente aereo. E sono pagine di altissima intensità quelle che Genna dedica al grande leader del riscatto italiano del dopoguerra. «Sappiamo di esserci, ma non ci siamo, a tutti gli effetti. L’Italia è questo qualcosa oltre il corpo e la mente, e la guerra che lui sta facendo è la costruzione di una salvezza», per proteggere il paese dal «regno arido, sormontato da potenze e da angeli oscuri», che è a tutti gli effetti l’America. «Bisogna salvare l’uomo, poiché l’uomo è pronto a divenire un americano e l’americano è pronto ad annullarsi. Annullata l’America, sarà annullata l’umanità. L’Italia, perciò, è l’idea della salvezza che è presente qui e sempre, ora, tra uomo e uomo, tra l’uomo e l’America».
Contro questa salvezza combatte “Ishmael”, facendo esplodere l’aereo del ribelle italiano, il condottiero spericolato e sognatore. Ma poi, la piovra – che si insinua fin dentro le questure e la magistratura del Belpaese, sotto l’occhiuta regia di autentici mostri di cinismo come Kissinger – pian piano sfugge al controllo dei suoi stessi creatori fino a metterli in pericolo, verso l’instaurazione totalitaria del “tempo di Ishmael”, la nuova epoca – questa – in cui non ci sarà più alcuna certezza, cadranno leggi e autorità, tutto il pianeta sarà preda di un’oligarchia potentissima e invisibile, inafferrabile, sempre pronta – all’occorrenza – a usare il terrorismo e l’omicidio, spesso facendo precedere gli attentati da agghiaccianti ritrovamenti di bambini rapiti dai pedofili, quindi abusati e martoriati dai neo-satanisti dell’élite-fantasma.
Una sequenza di morte, invariabilmente preceduta dal macabro rinvenimento della baby-vittima sacrificale. Nella “cronologia delle operazioni della rete Ishmael”, nell’appendice della fiction di Genna, trovano posto industriali, banchieri e tanti politici, uccisi o sfiorati dalla morte: il tedesco Adenauer e lo stesso De Gaulle, lo spagnolo Luis Carrero Blanco, e naturalmente Aldo Moro. Ci sono due Papi: Albino Luciani, morto, e Karol Wojtyla, ferito. E poi Roberto Calvi, Olof Palme, il craxiano Gabriele Cagliari. E ministri francesi, finanzieri di Stato tedeschi, la stessa Lady Diana. Cronometrico, nelle ore precedenti, il ritrovamento – non lontano – di un piccolo, a volte un neonato, ferocemente “sacrificato”. E’ la legge di Ishmael, scriveva Genna, quando ancora non era comparso un nome tanto simile, così ingannevolmente mediorientale: Isis.


(Il libro: Giuseppe Genna, “Nel nome di Ishmael”, Mondadori, 486 pagine, euro 10,50).

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“RESTANO DIECI PAESI DA DESTABILIZZARE”, PAROLA DI NEOCON
Maurizio Blondet 26 ottobre 2016 8

"RESTANO DIECI PAESI DA DESTABILIZZARE", PAROLA DI NEOCON - Blondet & Friends

“Dieci paesi la cui stabilità non può essere date per garantita ( Ten countries whose stability can’t be taken for granted ), è il titolo dello studio, che il famoso think tank dedica al prossimo presidente degli Stati Uniti, segnalandoli alla sua attenzione, perché saranno questi, nei prossimi quattro anni “una sfida per la Casa Bianca”.

A far correre un brivido lungo la schiena è il nome del famoso think tank: American Enterprise Institute, AEI. Il vostro vecchio cronista si ricorda benissimo come, dall’11 Settembre 2001, da questa “fondazione culturale” uscissero tutte le politiche di aggressione che adottò il presidente W. Bush, il junior. Essi avevano decretato che a fare gli attentati era stata sì Al Qaeda, ma che bisognava attaccare l’Irak e rovesciare Saddam, perché aveva armi di distruzione di massa. Saddam soprattutto, che preoccupava Israele per la sua forza militare.



Da lì veniva una buona metà del personale dell’amministrazione Bush jr. E’ ancora dell’AEI, vedo, l’allora vicepresidente Dick Cheney, presidente del Think Tank. Di lì veniva Paul Wolfowitz, il primo dei tre ebrei viceministri della Difesa, allievo di Leo Strauss, che poi Bush mise a capo della Banca Mondiale. Di ,lì John Bolton, ex ambasciatore all’Onu. Di lì veniva Jeane Kirpatrick, ministra degli esteri. Membro influente dell’American Enterprise era Richard Perle, che in quei giorni aveva allestito un ufficio al Pentagono dove, da privato, senza alcuna carica ufficiale, stava preparando la guerra all’Irak, dando ordini ai militari al posto del ministro, Rumsfeld. Erano giorni di euforia, per costoro: mi ricordo Michael Ledeen che mi rilasciò interviste, mi ricordo di Irving Kristol, di Kagan, stelle dei neocon, mebri della fondazione; di Joshua Muravchik, di James Woolsey, di Michael Novak, cattolico, del tutto guadagnato alla impresa. Mi ricordo che era ricevuto lì spesso e volentieri un giovane politico polacco di Donald Tusk.



Di ciascuno di questi nomi ci sarebbe da scrivere un libro. Basti dire che quasi tutti sono ebrei, e la loro American Enterprise mi è fitta nella memoria come la centrale intellettuale del vero e proprio colpo di Stato che fu l’11 Settembre. Quello è il gruppo che prese il potere, o i suoi apparati di forza e di strategia, e diresse la enorme potenza americana alle guerre per devastare i paesi musulmani, chiamandola “lunga guerra al terrorismo globale”.

Vedo che non ha placato la loro sete la devastazione dell’Irak, o dell’Afghanistan, che non gli è bastata la Libia, la Somalia, la Siria che stanno distruggendo da cinque anni.

Adesso costoro additano al presidente Usa “dieci paesi la cui stabilità non può essere data per certa”, in cui “prevedono” malcontento e la nascita di “terrorismo islamico”.

Vediamo dunque il documento dell’American Enterprise. Metto i paesi secondo l’ordine di importanza e grandezza.

Algeria. E’ la preda più ambita, la più “matura”, e la più ricca (come dicono loro stessi) per il petrolio. Cos’è che non va in Algeria? C’è il terrorismo di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, purtroppo. Attiva nel sud del paese, nella vastissima estensione senza precisi confini tra Libia del Sud, Mali e Mauritania. Il “potere” (le pouvoir) formato dai vecchi combattenti della “liberazione d’Algeria”, ormai decrepiti, è poco stabile. L’uomo forte, il presidente Bouteflika, tiene l’ordine con mano di ferro. Ma è vecchio e malato, e “sparirà probabilmente entro al fine dei quattro anni prossimi”. Gli islamisti aspettano il momento di prendere il potere, da cui sono stati espulsi un ventennio fa. Al Qaeda del Magreb Islamico non s’avventura ancora troppo dentro il paese; ma è potentemente armata dal saccheggio degli arsenali di Gheddafi, ed altre armi può ricevere da chissà dove. Certo, la presa del potere da parte dei terroristi islamisti, profetizza l’AEI, sarà un disastro per l’Europa; dopo la Libia,scomparirà uno stabile fornitore energetico. Gli Usa dovranno intervenire ancora una volta a salvare gli europei.

Nigeria. Il più popoloso paese africano, fra i più ricchi di petrolio, il più diviso etnicamente (250 tribù) e per religione, ha il suo terrorismo islamico di marca: Boko Haram: gruppo misterioso origine e finanziamento, con la curiosa caratteristica: la sua bandiera nera ha la professione di fede islamica scritta però in calligrafia ebraica…. Boko Haram è forte, dice AEI, per via della corruzione enorme della politica del paese: i caporioni nigeriani hanno intascato in tangenti, dal 1960 ad oggi, 400 miliardi di dollari, pari agli aiuti internazionali per tutta l’Africa: ogni dieci dollari, 1 va al Sud, gli altri 9 se li intascano al Nord. Guardate la Costa d’Avorio, dove la tensione fra cristiani e musulmani, che hanno già prodotto una guerra civile; la Nigeria è ancora più instabile, è spuntata persino la pirateria nel golfo di Guinea. “Se la sua fragile democrazia (sic) cade, l’Africa occidentale vedrà un conflitto peggiore di quanti ne abbiamo visti in decenni”: Da qui la necessità di un intervento Usa per sostenere la democrazia, così fragile.


Scritta islamica, calligrafia ebraica. Vero è che essendo analfabeti per principio, i Boko Haram (“I libri scolastici – books – sono impuri”) si saranno fatti aiutare da qualcuno…
Etiopia. Corruzione, sistema dittatoriale repressivo, povertà; ma ecco soprattutto, i musulmani sono il 30 per cento della popolazione e crescono demograficamente più rapidamente dei cristiani. Poi sono cominciati disordini perché gli Oromo sono intolleranti del potere tigrino. (Soprattutto, ma l’AEI non lo dice, la Cina ha messo piede in Etiopia e la sta sviluppando troppo: per esempio è stato inaugurato il primo treno elettrico internazionale sulla linea Addis Abeba-Gibuti. Ragion per cui il capo dell’opposizione Oromo, l’astro nascente Merera Gudina, gode di una borsa di studio del National Endowment for Democracy e va e viene da Washington.


Turchia. Interessant
i e inedite le informazioni fornite dall’AEI: “Il presidente Erdogan ha costruito un potere dittatoriale. Ha chiamato il fallito colpo di stato del 15 luglio “un dono di Dio”, e l’ha usato per operare la purga dei 100 mila fra militari e dipendenti pubblici. Ci possono essere altre violente a all’orizzonte. Dogu Perinçek, un ex maoista diventato ultra-nazionalista, un maneggione politico che guida un gruppo oscuro […]: si dice che Perincek è il vero ministro della Difesa,dietro le quinte. In agosto, Erdogan ha assunto Adnan Tanriveri,un ex membro delle forze speciali vicino a Perinçek . Tutto sta a vedere se questo Tanriverdi sarà più leale a Perinçk o a Erdogan quando verrà il prossimo colpo. In ogni caso Erdogan è un uomo segnato, ed anche se viene ucciso e rovesciato, egli ha tanto svuotato lo stato che alla sua morte seguirà necessariamente un caos politico”. Particolarmente grave dato che la Turchia è un paese NATO”.

Russia. “Come la Turchia, la Russia – nota AEI – è retta da un uomo forte che ha dato l’illusione di stabilità invece della sostanza. Quando il presidente Putin muore, il popolo russo dovrà pagare il prezzo per decenni di corruzione e mal amministrazione. L’eredità di Putin sarà il vuoto di potere sotto di lui. Ma, oltre al cattivo governo, la Russia subirà presto le conseguenze della sua crisi demografica. La sua popolazione musulmana sta crescendo mentre la etnia russa diminuisce. Nello stesso tempo, deve affrontare il radicalismo islamico non solo in Cecenia e Daghestan, ma sempre più fra i Tartari. Da qui la domanda: poiché i giovani coscritti sono in proporzione crescente musulmani, la Russia può contare sul proprio esercito in un conflitto settario?”.

Arabia Saudita. Può diventare un grave problema per gli Stati Uniti i quali, da Roosevelt in poi, hanno contato sull’Arabia Saudita per dare stabilità al Medio Oriente (sic) e ordine all’economia mondiale(!). Ma oggi, “la politica americana ha dato potere e risorse all’Iran” [l’ossessione ebraica neocon, ndr.]. Il petrolio in calo, l’Alzheimer del re, la guerra allo Yemen concentrano le possibilità di una crisi mai vista, una tempesta perfetta.

Giordania: ha ricevuto al terza ondata di rifugiati nella sua storia (ora siriani, prima palestinesi cacciati da Israele), e ciò ha messo la sua economia alle corde. Il re e la regina sono popolari sui rotocalchi in Occidente, ma non fra il loro popolo. Il terrorismo va e viene liberamente (per forza: gli Usa hanno fatto della Giordania una piattaforma per il terrorismo anti-siriano e IS). Si capisce che per AEI la Giordania potrebbe essere utilizzata come rifugio del resto dello Stato Islamico, se sconfitto.

Cina. Nonostante il boom economico, la Cina soffre di vari mali: lo sviluppo ineguale tra le coste e l’interno rurale, poverissimo. Decenni di politica del figlio unico stanno per produrre gli effetti: “La Cina è sull’orlo del precipizio demografico”. “Gli Usa, più che il sollevarsi della Cina, devono temere il suo declino. Per esempio, una Cina che declina reagirà con la forza militare, come fa la Russia?”.

Maldive. Anche quelle vogliono destabilizzare i neocon. “L’estremismo islamico sta mettendo radici. Il governo maldiviano ha chiesto assistenza, ma [da Obama] non è arrivata risposta”. Poi la profezia: “Magari lo Stato Islamico prenderà ostaggi dei turisti occidentali. Magari in governo islamista accoglierà armi e jihadisti da inoltrare poi via mare nell’oceano Indiano?” all’India? Sì, le Maldive sono isolate dagli Usa e lontanissime; “ma non si diceva lo stesso dell’Afghanistan?”. E guarda come abbiamo dovuto ridurre l’Afghanistan , causa il terrorismo islamista….


Genealogia dei neocon: trotzkisti i nonni, ‘di destra’ i nipoti. Per Israele sempre.
Detto fatto, sui giornali francesi appare la seguente notizia:

Presi in Tunisia due americani convertiti: preparavano attentati
Due fratelli, americani, “di recente convertiti” sono stati catturati dalla polizia tunisina a Jenduba, presso la frontiera con l’Algeria. Hanno confessato che il loro scopo era introdurre la shariah.

Hillary prepara la fuga?
Secondo voci che è impossibile controllare, la coppia Clinton avrebbe trasferito ben 1,8 miliardi di dollari alla banca centrale del Katar, attraverso J P Morgan. Di questa transazione sarebbe traccia alla Banca dei Regolamenti Internazionali. Un’altra voce sostiene che Eric Braverman, il direttore generale della Clinton Foundation, avrebbe chiesto asilo al consolato russo a New York.

Voci inverosimili, che paiono risalire ad una fonte dubbia e disinformatrice, “Sorcha Faal”. Ma un fatto è certo: che tante e così gravi sono le rivelazioni sulla corruzione della famiglia Clinton emanate dalle mail intercettate da Wikileaks, di così evidente rilevanza penale, che se Hillary perde le elezioni può finire facilmente sotto processo (e forse anche se le elezioni le vince). Tanto più che diventa ogni giorno più corposa la sensazione che dietro “Wikileaks” agiscano – contro i Clinton – anche apparati dell’Intelligence Usa, che se ne vogliono liberare, ed elementi della polizia federale.

Preparare la fuga, facendosi precedere dai risparmi di una vita affidati a un monarca amico che non ha accordi di estradizione con gli Usa, è elementare prudenza.

Anche Obama – sarà un caso – s’è comprato una villa al mare da quasi 5 milioni di dollari – e dove? In Dubai, altro emirato senza estradizione. Ovvio, c’è stata una smmentita. Ma lì Barack Hussein potrà praticare apertamente le sue due religioni: l’Islam da Fratello Musulmano, e il Golf.

Obama Buys $4.9 Seaside Mansion in Non-Extradition Country of Dubai



Quanto a John Kerry ha silenziosamente venduto la sua magione da 25 milioni a Nantucket a giugno, e a luglio il suo yacht da 3,9 milioni.

John Kerry puts Nantucket mansion on the market for $25million | Daily Mail Online


Evidentemente ritengono , per qualche motivo, che trascorrere una serena vecchiaia negli Stati Uniti non sia più igienico, per loro.
 
6 dicembre 2016
«Non sarai tanto ingenuo da credere che viviamo in una democrazia, vero Buddy?» chiede il mitico Gordon Gekko al giovane trader Bud Fox in Wall Street di Oliver Stone.

Correva il 1987, il vento gelido del reaganismo aveva spazzato gli States da una costa all’altra piegando la resistenza della working class, mentre a Manhattan si compiva la nuova accumulazione finanziaria e la produzione di dollari a mezzo di dollari diventava un’attività a ciclo continuo. Erano i giorni ruggenti dello yuppismo e degli status symbol, delle macchine di grossa cilindrata, delle banconote nel naso e delle teste piegate su autostrade di polvere bianca. Erano i giorni sfavillanti narrati da Jay McInerney ne Le mille luci di New York.

Quasi trent’anni dopo, quella domanda si ripropone: diversa nei termini, uguale nella sostanza. Questa volta in gioco non ci sono i meccanismi finanziari che disintegrano l’economia reale e non si tratta più dell’insider trading della Wall Street targata anni Ottanta.

Ma sempre due sono: un maestro e un apprendista. Solo che ora nei panni del perfido mentore Gekko c’è Corbin O’Brian, cinico istruttore della Central Intelligence Agency, e al posto di Bud Fox troviamo Edward Joseph Snowden, classe 1983, ex-programmatore informatico e agente della cybersicurezza per conto della CIA e della NSA, la potente Agenzia per la sicurezza nazionale.

C’è un’altra differenza: Wall Street era fiction, altamente realistica e fortemente critica, ma pur sempre fiction. La storia di Edward Snowden, invece, è vera dall’inizio alla fine e già racconta nella chiave del documentario da Laura Portias con Citizenfour (2015).

Poi c’è una costante: oggi come ieri, dietro la macchina da presa c’è sempre Lui, il vincitore di due premi Oscar, il regista di Platoon che, con Nato il quattro luglio e JFK, ha sondato gli abissi più cupi del Novecento americano: William Oliver Stone.

Un altro elemento che non cambia è la posta del narrare: ovvero, quel filo nero che dal complotto per uccidere Kennedy alle forme di controllo pervasivo d’inizio secolo, passando per i dispositivi finanziari del reaganismo, stringe un cappio intorno alla più importante democrazia del pianeta Terra, sollevando inquietanti interrogativi sulla natura stessa della libertà.

La questione in ballo è sintetizzata alla perfezione da Corbin: «La maggioranza degli americani non vuole la libertà, ma vuole la sicurezza». Security: ecco la parola magica che, da una parte all’altra dell’Atlantico, in Europa e in America, evoca esplicite – o sotterranee – ridefinizioni della costituzione materiale nei sistemi democratici: tanto sulle dorsali della rete telematica, quanto nelle pieghe più profonde della società.

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Distribuito in Italia da Bim e appena uscito in sala, Snowden non racconta la storia di un hacker o di un hacktivist alla Anonymous, benché il richiamo etico a divulgare gli arcana imperi costituisca una corrispondenza significativa. Il mettere in comune conoscenze interdette ai più consente di forzare i paragoni e associare Snowden a quell’Aaron Swartz che violò l’archivio del MIT condividendo liberamente materiale scientifico a pagamento e che scelse il suicidio davanti alla repressione giudiziaria di cui era stato fatto oggetto. Al di là delle associazioni più spregiudicate, di certo Edward Snowden non è la versione non fiction di un sovversivo alla Mr. Robot. Non odia le multinazionali e non vuole rovesciare l’ordine costituito.

La frattura di cui narra il film di Stone è interna alla cultura conservatrice degli USA. Snowden è «un conservatore intelligente», come lo definisce la fidanzata Lindsay di orientamento progressista e ostile all’amministrazione di Bush The Second, l’esportatore della democrazia in Afghanistan e Iraq.

Edward nasce a Elizabeth City, nello stato del North Carolina, in una famiglia americana che da tre generazioni onora e serve il Paese. Incarna un sincero patriottismo che lo spinge, prima, ad arruolarsi senza successo nei corpi speciali e, poi, a diventare – in virtù delle sue straordinarie doti intellettuali – un quadro informatico per le strutture d’intelligence.

Ma sulla vita di Edward si allunga l’ombra degli aerei di linea che, la mattina dell’undici settembre 2001, solcarono a una quota troppo bassa il cielo di New York, mentre gli Stati Uniti sembrano dispersi nella nube che – quello stesso giorno – risucchiò Manhattan. La ferita di 9/11 sanguina ancora. L’Emergenza regna. Il nemico incombe. Snowden è convinto di dare il suo contributo alla causa. Corbin lo dice chiaramente. «Tocca a voi evitare che si ripeta un altro undici settembre» è il senso della lezione che impartisce alle reclute. Lo dice, sì: ma non ci crede.

Edward, invece, ci crede davvero che ogni server è un campo di battaglia e che ogni informazione acquisita preventivamente possa evitare una strage. Ci crede finché non scopre che la guerra al terrore è solo la cortina dietro cui opera la mega-macchina del controllo totale, un gigantesco ingranaggio che può trovare tutto ciò che vuole, quando vuole, setacciando chat e mail o impossessandosi di webcam anche a computer spento, violando dettami costituzionali e garanzie a tutela del cittadino.
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Se le polveri del dubbio sono poste, c’è bisogno di una scintilla perché deflagrino e trasformino la crisi in azione, e il rovello in gesto di disobbedienza. L’innesco dell’esplosione è la consapevolezza che neppure la discontinuità politica rappresentata da Barack Obama è in grado di fermare – o contenere – il programma di sorveglianza di massa. La diserzione di Edward nasce anche dall’inquietante riproporsi di una domanda che risuonò al secondo processo di Norimberga: «Cosa succede quando applichi gli ordini pur sapendo che quegli ordini sono sbagliati?»

La sottile relazione tra i funzionari del regime nazista dopo la caduta di Berlino e gli uomini dell’intelligence americana all’indomani dell’undici settembre suscita diversi dubbi in merito alla tenuta della democrazia negli anni Zero.

Mettendosi in gioco per dare la possibilità ai cittadini di avere ancora una scelta, aprendo il dibattito pubblico sulla sorveglianza di massa imposta dal Governo, Edward Snowden diviene il tipo di personaggio a cui Oliver Stone ha dedicato gran parte del suo lavoro: un americano capace di ribadire i principi costituzionali del Paese in cui crede e non del Paese in cui vive.

Si perde un’occasione a leggere Snowden soltanto come denuncia di quei meccanismi di sorveglianza capillare che sembrano realizzare le previsioni distopiche dell’Orwell di 1984. Non basta limitarsi alla presa d’atto che BIG BROTHER IS WATCHING YOU. Non è sufficiente interrogarsi sulla pervasività del controllo esercitato dalle strutture di pubblica sicurezza. Occorre estendere l’interrogativo alle pratiche di costruzione del consenso al tempo degli algoritmi, dei big data, dei codici sorgenti proprietari e della retorica sulla democrazia diretta a colpi di clic. Al di là dell’uso delle tecnologie da parte del potere, è lo statuto stesso della politica a perdere i suoi connotati di autonomia e a ridefinirsi in un rapporto sempre più stretto con le tecnologie informatiche e digitali, i social network, la comunicazione virale, il ruolo degli influencers e le pratiche di marketing non convenzionale. Se la guerra era la continuazione della politica con altri mezzi, oggi la politica è la continuazione dell’agire comunicativo in altri ambiti. Senza cedere a posizioni apocalittiche, occorre ricordare che le rete è un luogo ambivalente, in cui alle pratiche di resistenza, liberazione e condivisione orizzontale corrispondono sempre, per contrasto, precise gerarchie di potere.
 
“La CIA si è sempre intromessa nelle elezioni di altri paesi”
© AFP 2018/ Saul Loeb
MONDO

La CIA si è sempre intromessa nelle elezioni di altri paesi dal momento della sua fondazione, scrive il New York Times citando come fonti ex dipendenti ed esperti americani.

Il procuratore speciale Robert Mueller venerdì ha accusato 13 persone e tre società russe di "cospirazione contro gli Stati Uniti" e "frode" secondo l'accusa.

"Se chiedete ai membri dei servizi di intelligence, se i russi hanno violato delle regole o hanno fatto qualcosa di insolito, la risposta è no, per niente" ha detto alla pubblicazione di Steven Holl, che si è ritirato nel 2015 dopo 30 anni di servizio nella CIA.

Ha sottolineato che gli Stati Uniti hanno condotto storicamente delle operazioni per intervenire nelle elezioni e hanno sostenuto di voler continuare a farlo.

"Lo facciamo dal momento in cui la CIA è stata fondata nel 1947. Abbiamo usato manifesti, opuscoli, striscioni, abbiamo inviato materiale promozionale e così via per inviare false informazioni ai giornali stranieri" ha detto Loch Johnson, che ha iniziato la sua carriera al Senato negli anni '70 con un'indagine della CIA.

Come riportato in questo articolo, gli Stati Uniti, grazie alla CIA hanno rovesciato i leader eletti in Iran e Guatemala negli anni '50 e hanno sostenuto il colpo di stato in molti altri paesi negli anni '60. La CIA ha organizzato anche omicidi per ragioni politiche e ha sostenuto governi anticomunisti in America Latina, Africa e Asia.

Dov Levin della Carnegie Mellon University ha contato 81 casi di ingerenza da parte degli americani nel processo elettorale. Secondo la pubblicazione, gli Stati Uniti hanno interferito nelle elezioni russe nel 1996 per il timore che il leader del Partito comunista Gennady Zyuganov sconfiggesse Boris Eltsin.

Nel Congresso degli Stati Uniti ci sono indagini indipendenti sulla presunta interferenza russa nelle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, che hanno visto la vittoria di Donald Trump. Anche l'FBI conduce la stessa indagine. Nei media americani, vengono pubblicate notizie regolari con riferimento a fonti anonime sui contatti dei membri del quartier generale elettorale di Trump con funzionari e uomini d'affari russi.

La Russia ha ripetutamente confutato queste accuse, il segretario stampa del presidente russo Dmitrij Peskov le ha definite "assolutamente infondate".
 
Serghey Magala
Serghey Magala
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Perdo un minutino per spiegare perché ultimamente Putin (e alleati, come Assad) sia tanto kattivo, più del solito. Ammazza spie che vivono serenamente in Inghilterra da 20 anni. Assad fa strage di bambini siriani, suo passatempo preferito. Esercito russo in Siria non c'è più, quindi purtroppo quella di Putin che centra 4 ospedali al giorno con le sue bombe, non la possono più più racontare.
Gli USA hanno speso tanto, tantissimo, sia economicamente che politicamente, per circondare la Russia (grande quanto mezzo Mondo) di sistemi PRO (missilotti che servono ad intercettare missili nucleari che partirebbero dalla Russia). Anche se ufficialmente i PRO in Europa ai confini con la Russia servirebbero per difendersi dall'Iran.

Verso la fine dell'anno scorso in Russia sono stati prodotti missili potenzialmente armi nucleari molto intelligenti e di lunghissima gettata che possono essere lanciati da un qualsiasi nave o sommergibile. Quindi gli USA non possono fare più affidamento sui PRO, neanche virtualmente, perchè in geo politica conta molto più quanto e come puoi vendere (nel senso di raccontare) queste cose ai vari Stati. I sistemi PRO ora, non dico che se li possono infilare lì, ma il senso è quello.

In caso di attacco/contrattacco da parte della Russia, ciao Amerca, avete avuto una storia breve ma intensa, addio.

Come se non bastasse, nell'ultimo discorso ufficiale, Putin disse che la Russia è pronta a usare armi nucleari in 2 situazioni (e il Mondo intero ormai sa molto bene che quando Vladimir dice una cosa, è quella, con certezza matematica):
1. Nel caso di uso di armi nucleari contro di noi
2. Nel caso di uso di armi nucleari contro i nostri alleati (SOTTOLINEO ALLEATI. Chi sa chi sono gli alleati della Russia, senza aprire Wikepedia? I BRICS si possono considerare tali? E se dovessero decidere se esserlo o meno, adesso che i rapporti di forza sono cambiati, cosa decideranno?)

Semplice geoplitica, ed eterna lotta tra il Bene e il Male. Io sono di parte, ovviamente, so bene dove sia il bene e dove il male. Così come lo sapevano i miei bisnonni, che hanno preso Hitler a calci nel culo.
 

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