Prima di maggio c’è ancora un tempo, politicamente parlando, lunghissimo e poi i sondaggi veri si fanno con le liste elettorali già depositate con simboli e candidati e nulla di questo è ancora successo, eppure si può definirela settimana che si è chiusa come una
settimana di svolta rispetto alle previsioni sulle elezioni europee. In realtà non è che sia cambiato molto nei fatti ma sta diventando sempre più raro il leitmotiv al quale sovranisti, moderati o estremisti che fossero, ci avevano abituato. “Dopo le elezioni cambierà tutto, questa Commissione europea ha ormai le valige in mano, saranno altri a giudicare gli innegabili effetti del governo del cambiamento!”.
Alla fine la verità,
finora nascosta agli “attivisti” come, peraltro correttamente, li definisce il senatore pentastellato Giarrusso,
si fa strada.
Non è questione di sondaggi ma di procedure e quelle europee non sono fulminee. Fino a novembre di una nuova Commissione europea non se ne parla. Quanto ai sondaggi, comunque prematuri, anche scontando un certo successo delle forze nazionalpopuliste in alcuni paesi,
è molto improbabile l’ipotesi di un vero e proprio ribaltone. È comunque sicuro che quando il governo imposterà la nuova manovra economica, o addirittura dovesse ancora prima essere costretto a una manovra bis, quelli che daranno un primo giudizio sarebbero gli stessi che finora sono stati coperti di insulti. In Italia qualcuno comincia a rendersene conto e riprende a parlare di uscita dall’euro e dall’Ue,
come il leghista Borghi.
Il Foglio/Massimo Bordin