C'è un rapporto fra lo
schwarzeNull, l'ossessione tedesca per il bilancio in pareggio e le immagini di Draghi,
nelle vesti di vampiro dei conti correnti, che ricorrono sui giornali tedeschi? Sì, fra Berlino che rifiuta i disavanzi e la Bce che taglia i tassi di interesse c'è un rapporto diretto. Anzi, molti sostengono che il secondo fatto sia diretta conseguenza del primo. Ora l'
Ocse, nel suo ultimo September Outlook, appena uscito, lo dimostra con i numeri.
Questa settimana il governo tedesco ha varato un
massiccio e lodevole piano di interventi a favore dell'ambiente, per la cospicua somma di oltre 50 miliardi di euro. Il piano - che ha qualche somiglianza con quello a cui sta pensando il nuovo governo italiano - ha un solo vistoso difetto: è interamente autofinanziato da altre entrate. Questo andrebbe bene per l'Italia, che ha già abbastanza debiti. Ma non va bene per la Germania, che 1) ha un debito bassissimo, 2) più spende e più guadagna, perché chi investe in Bund, invece di incassare un interesse, lo paga e, infine, 3) come gridano in coro gli economisti di tutto il mondo, se pompasse quattrini nella sua economia, aiuterebbe - finalmente - quella di tutto il resto d'Europa. Inoltre, appunto, 4) consentirebbe alla Bce di evitare il nuovo giro di allentamento della politica monetaria, che Francoforte ha appena varato.
A Draghi e alla Bce, i tedeschi rimproverano a gran voce una politica monetaria troppo allegra che, con i tassi di interesse sotto zero, grava sui bilanci delle banche e priva i risparmiatori di una remunerazione sui loro conti correnti, mentre, rastrellando titoli sul mercato con il Quantitative easing, rende la vita troppo facile ai governi indebitati e gonfia i prezzi dei titoli pubblici e privati. Ma, se Draghi, per sostenere l'economia, è costretto a spingere sul pedale dell'acceleratore monetario fino ai limiti di sicurezza, è per riempire il vuoto dell'altra leva di stimolo, quella della spesa dei governi. La Bce inonda l'Europa di euro stampati dalle presse di Francoforte, perché Berlino tiene i suoi euro gelosamente custoditi in cassaforte. Se non ci fossero quelli della Bce, l'economia europea, che già rallenta, si fermerebbe. Come ha garbatamente fatto intendere lo stesso Draghi, i tedeschi, se vogliono una diversa politica monetaria, se la prendano con se stessi.
Ora, Laurence Boone, la capo economista dell'Ocse - l'organizzazione mondiale che raccoglie i paesi industrializzati - ha messo in numeri questa replica al veleno, dimostrando che la politica monetaria potrebbe essere assai meno espansiva, come vorrebbero i tedeschi, se, però, ci fossero anche interventi paralleli di politica economica, come i tedeschi non vogliono. In più, i risultati sarebbero anche decisamente migliori. Gli economisti dell'Ocse arrivano a questo risultato, mettendo a confronto una strategia solo monetaria, con una a cui, invece, si affiancano misure, come un vasto programma di investimenti pubblici. Nel primo caso, per 5 anni, i tassi di interesse sui titoli di Stato decennali dei governi dell'eurozona vengono abbassati di un 1 per cento e un altro 1 per cento viene limato sui mutui per le abitazioni. Il Pil dell'eurozona cresce dello 0,3 per cento il primo anno, lo 0,8 il secondo anno, fino all'1,6 per cento al quinto anno, ma poi l'effetto svanisce e si riduce allo 0,1 per cento.
L'alternativa è una politica monetaria più sorvegliata, con i prezzi dei titoli che crescono solo dello 0,5 per cento, ma si lancia un programma di investimenti pubblici che vale, ogni anno, lo 0,75 per cento del Pil (circa 1.200 miliardi di euro). In deficit per paesi come la Germania, compensato, invece, dalle tasse per quelli come l'Italia. Risultato? Il Pil europeo cresce molto di più e più in fretta: 0,8 per cento il primo anno, 1,3 per cento il secondo, 1,8 per cento al quinto anno e l'effetto perdura: a lungo termine (è il beneficio degli investimenti reali e non solo finanziari) il Pil continua a crescere di oltre l'1 per cento rispetto alla tendenza base.
La Repubblica/Ricci