La Tac di Sawiris: lo strano caso del dottor Marco e di Mister Patuano
Quando si dice “la spontaneità”: due giorni fa, l’amministratore delegato di Telecom Italia Marco Patuano, a proposito dell’offerta di Sawiris, aveva detto alla Reuters che il suo gruppo “non vede al momento alcuna necessità di un aumento di capitale”. Passate 48 ore, lo stesso Patuano ha trovato modo di dire una cosa ben diversa: “Se il cda considera che questi investimenti debbano essere fatti in Brasile, allora tutte le possibilità di finanziamento verranno considerate, inclusa l'offerta di Sawiris. Cosa succede? C’è in ballo uno “Strano caso del dottor Marco e di Mister Capuano” o cos’altro? Capuano non è il capo di Telecom, ma il co-capo di Telecom, dovendo dividere il potere con il presidente Franco Bernabè: è una situazione balorda, tipico frutto acidulo della “Mediobanca way of life”. E poi c'è “l’effetto Tac”. Sawiris come il “liquido di contrasto” sta permettendo al mercato di radiografare i “poteri forti”
Venerdì, 16 novembre 2012 - 09:53:00
di Forrest Gump
Quando si dice “la spontaneità”: due giorni fa, l’amministratore delegato di Telecom Italia Marco Patuano, a proposito dell’offerta di Sawiris, aveva detto alla Reuters che il suo gruppo “non vede al momento alcuna necessità di un aumento di capitale” e che “non ci sono altri commenti da fare sull'interesse di Sawiris”. Ieri, passate 48 ore, lo stesso
Patuano ha trovato modo di dire una cosa ben diversa, sempre secondo la Reuters: “Se il cda considera che questi investimenti debbano essere fatti in Brasile, allora tutte le possibilità di finanziamento verranno considerate, inclusa l'offerta di Sawiris, che aggiungerebbe flessibilità finanziaria".
Cosa succede? C’è in ballo uno “
Strano caso del dottor Marco e di Mister Capuano” o cos’altro? Perché il capo di Telecom ha chiaramente voluto mostrare – a scoppio ritardato - di non avere preconcetti?
Per varie ragioni. Intanto perché Capuano non è il capo di Telecom, ma il
co-capo di Telecom, dovendo dividere il potere con il
presidente Franco Bernabè: è una situazione balorda, tipico frutto acidulo della “
Mediobanca way of life”, il modo di gestire di Mediobanca, roba che la politica morotea degli anni Settanta era più semplice, per cui Patuano, uomo di Nagel, deve mediare con gli altri soci che preferivano continuare guidati dall’ex capo dell’Eni. E poi per quello che ieri un acuto osservatore finanziario definiva “
l’effetto Tac”. Sì, Sawiris come il “liquido di contrasto” che sta permettendo al mercato di
radiografare i “poteri forti” – o quel che ne resta – e il loro stato di patologia.
Cerchiamo di capire perché: qui non è in ballo una valutazione di merito sulla mossa di Sawiris, né un processo alle sue intenzioni, per illustrare le quali basta la sua storia. L’egiziano – al cui gruppo fa capo anche il portale Libero, partener di “Affaritaliani” -
è un finanziere, più che un imprenditore, ha sempre comprato e rivenduto: tanto è stabile e millenaria la Sfinge, così è mutevole e veloce la sua azione imprenditoriale, come le dune del deserto. Sbaglierebbe chi guardasse a lui come alle “Scottish Widows”, il mitico fondo pensioni americano che fa investimenti quarantennali…
Però se oggi con tante attività controllate o partecipate in giro per il mondo, può dichiarare al
Financial Times di essere
liquido e senza debiti – alla fine dell’annus horribilis della finanza mondiale –
è perché è sveglio, intelligente e ha un ottimo fiuto degli affari.
Se vuol mettere i soldi in Telecom e perché pensa di poterli prima o poi riprendere guadagnandoci. Cosa che tanti
nostri efebici capitalisti non oserebbero. Non a caso Marco Fossati, il maggior singolo azionista di Telecom al di fuori del patto di sindacato, ha subito espresso il suo appoggio alla proposta Sawiris.
Il governo, nel frattempo, ha messo a punto una nuova legge sulla golden share per includere tutte le società a rete, come Telecom, tra quelle protette da
una clausola anti-scalata per impedirne l’eventuale trasferimento in mani sgradite, una soluzione alla francese che può non piacere ma è ampiamente praticata nel mondo. Come dire:
processi alle intenzioni a parte, chi ne avesse di cattive è avvisato, “su De Rica non si può”.
Quindi, una società come Telecom che – pur dopo gli anni di oculata gestione finanziaria voluti da Bernabè – ha ancora
27 miliardi di debiti, non ne rifiuta 3 di cassa fresca: se lo fa non è nel proprio interesse ma è perché la cosa può
dar fastidio agli interessi dei propri soci-guida.
In questo caso sia quello industriale –
Telefonica, spaventata dalla maggior forza che Telecom sta acquisendo e dalla possibilità che si rafforzi in Sudamerica – sia quelli finanziari, cioè
Mediobanca, Generali e Intesa, che stanno patendo una colossale minusvalenza sul loro “investimento di sistema” e non gradiscono l’idea di diluirsi nel capitale.
Ma è un ragionamento miope, perché vale più possedere un 5% in una società dinamica, che piaccia ai mercati e salga in Borsa a quota 1000 di un 30 per cento in una società moscia e grigia, che in Borsa fluttui a quota 100…
La Tac-Sawiris dirà qual è il grado di reattività immunitaria del corpaccione convalescente di Telecom Italia.
L’atteggiamento dei Bernabè è stato sano fin dal principio: prudente, anche diffidente, ma aperturista e comunque non interdittorio.
Ieri Patuano – spontaneamente o meno che sia – ha battuto un colpo, meglio tardi che mai.
Appuntamento il 6 dicembre, ne parlerà il consiglio d’amministrazione: pieno di amministratori indipendenti. Si capirà fino a che punto.