PILLOLE DI SAGGEZZA LE ABBIAMO FINITE. PASSIAMO ALLE SUPPOSTE

Stando alla notizia il Prof. Tarro, più volte candidato al Nobel per la Medicina,
sbeffeggiato in modo ignobile dall’inqualificabile Burioni targato OMS,
OMS finanziato da FONDAZIONI DIRETTA ESPRESSIONE DELLA CUPOLA FINANZIARIA
e quindi piegato al profitto e non alla salute dei cittadini del mondo,
quelli che per curare il coronavirus ci dicono lavatevi le mani, usate la mascherina
(quando si sa benissimo che sono gli occhi una delle porte di ingresso dei virus) ad eternum,
arresti domiciliari, distruzione dell’economia italiana IN ATTESA DEL TOTEM = VACCINO….VACCINO…….VACCINO,
che per un virus mutevole come questo è una cavolata!!

ribadisco dalla viva voce del prof. Tarro:


Qui ci vuole un immediata indagine parlamentare e giudiziaria, perché se Tarro e altri hanno ragione
(La Cina sono più di 3 mesi che usa la cura sierologica con successo!!!

E ci sono almeno 3 ospedali citati da TARRO che da tempo con la terapia Sierologica
NON HANNO PIU’ MORTI E I MALATI IN 2 GIORNI GUARISCONO SE NON HANNO PATOLOGIE ORMAI TERMINALI!!)
siamo di fronte a dei crimini gravissimi contro i cittadini italiani e lo stato stesso che è messo sotto ricatto U.E.
dalle conseguenze del Coronavirus gestito come è stato gestito finora da questo governo di vicerè tedeschi e francesi!

SEMBRA FATTO APPOSTA PER POTERCI IMPORRE MES, SUDDITANZA COLONIALE, AUSTERITY
E LE ALTRE CRIMINALI POLITICHE ECONOMICHE CHE LA U.E. PORTA AVANTI PER PERMETTERE ALLA GERMANIA
E AI SUOI STATERELLI…..SCAGNOZZI …..ALLEATI!

Rilancio anche questo punto di vista “interessante”.

RIBADISCO: ma non sarebbe il caso di verificare come mai le terapie sierologiche che in Cina usavano già da mesi
e che hanno dato la svolta in quel paese da noi vengano usare con mesi di ritardo e solo in pochi singoli ospedali?

Quante vite si potevano salvare mentre gli speudo espertoni governativi non fanno che parlare del vaccino di la da venire
QUANDO C’ERA UNA CURA GIA’ COLLAUDATA IN CINA E ORMAI COLLAUDATA IN PIU’ OSPEDALI ANCHE IN ITALIA!!
 
Un altro successo della rapidità e completezza di intervento del Governo Conte.

Il Grade Leader è riuscito a darci talmente tante certezze, talmente tanti soldi, talmente tanti aiuti,
che ogni giorno un imprenditore, un negoziante, un locale pubblico, decide di seguire l’esempio di questo music pub del centro di Genova

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Non sono scelte “Pessimistiche”, sono scelte LOGICHE per chi lavora e rischia del suo, dei suoi soldi, della sua ricchezza.

Completamene incomprensibili per chi ha il culo caldo in parlamento o negli studi televisivi.

Stasera ho sentito la Fusani dire ad un Parrucchiere, che non sa quando aprirà o se aprirà,
e che pensava ad alcune alternative, anche tragiche “Bisogna avere ottimismo”.

Cara Fusani, a vivere di ospitate televisive si può sicuramente essere ottimisti.
Se tu avessi un ristorante lo saresti molto meno, quindi dovresti solo vergognarti.
 
Un mio carissimo amico, purtroppo prematuramente dipartito, il primo giorno che iniziò a guidarmi nella consulenza aziendale mi disse:

“E soprattutto ricorda: gli avvocati non capiscono niente di economia”.

Ora la sua frase è troppo assoluta: ci sono avvocati che di economia capiscono piuttosto bene, ma un fondo di verità c’è.

L’avvocato,per sua natura, vede solo la natura “Giuridica” dello scambio e del mercato, e spesso tralascia le motivazioni che ne sono alla base.

Comunque se dovessi mostrare un esempio di avvocato che non capisce nulla delle funzioni base dell’economia,
del suo funzionamento e di quello del mercato, prenderei il tragico caso Giuseppe Conte e la sua testa di legno Arcuri.

In generale Conte non capisce NULLA di economia, se no, invece che promesse,
avrebbe riempito le tasche degli italiani chiusi in casa di soldi, non di promesse:
ogni giorno atteso nel fornire sussidi ed aiuto aumenta la disperazione da un lato e la somma necessaria a compenso dall’altro per poter,
almeno parzialmente, indennizzare i danni.

Tutte cose che chi conosce un minimo l’economia lo sa, quindi, evidentemente, nessuno a Palazzo Chigi.


Quindi il pasticciaccio brutto delle mascherine.

Il “Prezzo Imposto” può funzionare se c’è un prodotto completamente nuovo:
allora fin dal lancio si determina il prezzo e non ci sono ricadute negative,
oppure su un prodotto con un ciclo di vita brevissimo (caso classico il pane), perchè non esistono riserve rilevanti nella filiera produttiva.

Se però impongo un prezzo ad una filiera distributiva esistente dovrei occuparmi di imporla ad ogni livello della catena,
oppure dovrei occuparmi di ritirare le giacenze nelle varie fasi del ciclo logistico.

Altrimenti non c’è accordo di categoria che tenga e si produce l’effetto “Sovietico”:
gli scaffali si sono svuotati in modo quasi istantaneo di mascherine chirurgiche, quindi, come in Unione Sovietica,
i prodotti sono TEORICAMENTE disponibili, i prezzi sono TEORICAMENTE calmierati, ma …. non ce ne sono.

Magari presto vedremo perfino nascere un mercato nero.

Lo ha notato perfino Staffelli di Strisca la Notizia, anche se, con il loro vezzo moralistico, se la prendono con i farmacisti: infatti è noto che Mediaset lavora gratis.

L’effetto era OVVIO per chiunque non dico avesse gestito una catena della Grande distribuzione,
ma anche un negozietto di alimentari, a chiunque tranne che a Conte ed Arcuri.

Cosa avrebbero dovuto fare ?

Semplicemente distribuire i NUOVI lotti di mascherine a 50 centesimi (più IVA, quindi, al netto delle solite promesse di Conte, a 61 centesimi)
in modo DIRETTO attraverso la Protezione Civile, i Comuni, le ASL e magari qualche canale che attualmente non le ha disponibili, come le tabaccherie.

Senza mettere dei vincoli a chi le aveva già comprate ed attendendo che questi le vendessero per poi rifornirsi ai nuovi prezzi.

Questo avrebbe anche aumentato la disponibilità in generale della mascherine, invee che tagliarla, ed avrebbe naturalmente calmierato il prezzo.

Invece no, con perfetto piglio Bresnieviano si è stabilito un prezzo, un po’ a casaccio,
e poi lo si è cercato di imporre con un mix di demagogia, violenza ed accordicchi con le organizzazioni di categoria, tra l’altro complessi e costosi.

Cari Conte ed Arcuri, quand’è che ve ne andate?
 
In questi tempi di coronavirus, di crisi sanitaria e di crisi economica, molti esponenti politici
continuano a ripetere su tv e giornali lo slogan “In Europa nessun paese ce la fa da solo”.



Ma che cosa dobbiamo salvare in Europa?

Una istituzione politica internazionale astratta o, piuttosto, dobbiamo salvare i cittadini dai rischi sanitari
e dagli effetti economici causati dalle pesanti misure restrittive imposte dalla crisi sanitaria?

Come fanno i paesi fuori dall’Europa e dall’Area Euro a fare fronte alla crisi?

Forse che paesi come la Corea del Sud, la Norvegia, il Messico, la Serbia sono condannati ad essere travolti
dalla crisi sanitaria ed economica solo perché sono “piccoli” e non fanno parte dell’Unione Europea?


Fanno esattamente come stiamo facendo noi:

1) Mettono in campo tutte le risorse sanitarie di cui dispongono, pubbliche o private che siano: strutture ospedaliere, medici, infermieri, tecnici dei laboratori di analisi.
2) Mantengono aperte le attività economiche essenziali, che consentono alla risorse sanitarie di funzionare
e che consentono a tutti gli altri di sopravvivere durante il periodo di quarantena in cui non possono lavorare:
produzione di cibo, di energia, telecomunicazioni, ecc.

Si tratta di attività economiche per le quali ciascun paese generalmente provvede da se stesso, tramite le competenze e l’impegno dei propri lavoratori.

In alcuni casi ci saranno da importare gas e petrolio dall’estero (ma molto meno di prima della crisi)
o ci saranno da importare dei beni alimentari.

In ogni caso nessun bisogno di aumentare le importazioni dall’estero rispetto a prima della crisi.

Unica eccezione: i dispositivi medicali per fare fronte alla crisi sanitaria,
come i ventilatori polmonari, le mascherine, i reagenti chimici per i tamponi Covid-19.

L’emergenza sanitaria ha richiesto di aumentare in modo eccezionale la produzione di questi dispositivi.

Le nazioni nelle quali, in onore al libero scambio mondiale delle merci, la produzione di tali dispositivi era stata delocalizzata in Cina,
si sono trovate in grave difficoltà, con ritardi che sono costati molti morti.

Si ci fosse dovuta essere una solidarietà fra paesi europei, ci dovrebbe essere stata prima di tutto
nella condivisione della disponibilità di questi dispositivi, ma dato che ciascuno aveva lo stesso problema di carenza,
ciascuno ha fatto per sé, a parte piccole donazioni simboliche giustificate dal marketing politico internazionale.

Quando Paolo Gentiloni dice che “in Europa nessun paese ce la può fare da solo” a cosa si riferisce?

Ciascun paese ha fatto “da solo” tutto quanto poteva fare per fare fronte alla crisi sanitaria.

Lo hanno fatto i paesi dell’Unione Europea e quelli fuori dall’Unione Europea.

Questo non per mancanza di solidarietà (forse sarebbe successo anche per questo), ma perché non avrebbe avuto nessun senso
“mettere straordinariamente in comune” gli ospedali, i medici, gli infermieri, la produzione di cibo, di energia, ecc.

Probabilmente Gentiloni si riferisci al supporto finanziario ai paesi in difficoltà.

Ma i paesi fuori dall’Unione Europea, cosa stanno facendo “da soli”?

Il Regno Unito, neo-uscito dalla UE, ad esempio, ha imposto alla propria banca centrale Bank of England
di emettere e dare denaro a fondo perduto al governo per fare fronte ad ogni esigenza.


In questo modo nessuna famiglia è stata lasciata in stato di bisogno e nessuna impresa è stata sola di fronte ai danni causati dal lockdown dell’economia.

Al di là della specifica efficacia delle misure adottate nel Regno Unito, dove la crisi è ancora in corso e non è possibile esprimere un giudizio,
certamente non sarà la mancanza di fondi per il governo a rendere inefficaci i provvedimenti.

In Italia, invece, è del tutto evidente che se ancora oggi, ad oltre 2 mesi dallo scoppio della crisi,
troppe famiglie sono rimaste senza un reddito per vivere e troppe imprese sono sull’orlo del fallimento,
questo è avvenuto prima di tutto per la mancanza di fondi da parte del governo.

Non è stata la “burocrazia” a frenare le elargizioni del governo a chi aveva bisogno,
ma è stata usata la burocrazia per evitare che il governo rimanesse senza soldi
per assicurare gli ordinari pagamenti di pensioni e stipendi ai dipendenti pubblici, oltre alle misure eccezionali anticrisi.

L’Italia si è presentata con il “cappello in mano” a Bruxelles senza neppure provare a chiedere
ciò che invece ha ordinato il governo del Regno Unito alla propria banca centrale,
ma solo implorando di farsi prestare denaro (centinaia di miliardi di euro) a condizioni meno severe.

Per chi non lo sapesse, la “potenza di fuoco” della BCE è denaro unicamente destinato ad aumentare le riserve per le banche che fanno credito,
quando nessuno nell’attuale situazione è in grado di rimborsare (e quindi di ottenere) un credito
o ad aumentare la liquidità di alcune grandi aziende quotate in borsa.

Nulla che riguardi le famiglie e le piccole-medie imprese colpite dalla crisi in Italia.

Riepilogando: ciascun paese, fuori o dentro dalla UE, dispone delle risorse umane necessarie a fare fronte alla crisi.

Quello che manca sono solo i soldi per pagare questi lavoratori.

Chi è fuori dalla UE ha modo di ordinare alla propria banca centrale di creare denaro e di erogarlo a fondo perduto.

Questo è possibile perché è noto che oggi le banche centrali creano denaro semplicemente pigiando i tasti di un computer, senza alcun costo.

Chi è dentro la UE non ha questa possibilità, per cui rischia di lasciare milioni di persone nella disoccupazione,
solo per mancanza di uno che pigi i tasti di un computer per creare il denaro necessario.


La richiesta di alcuni partiti affinché l’Italia chieda di modificare lo statuto della BCE,
consentendole di funzionare come Bank of England, è tecnicamente corretta.

Non tiene tuttavia conto della fattibilità politica:

per cambiare l’art. 123 del TFUE (trattato istitutivo dell’Unione Europea) è infatti necessaria l’unanimità fra i 27 paesi membri.

E’ evidentemente fantapolitica pensare che questo cambiamento possa avvenire in tempi immediati,
quelli necessari a far pervenire liquidità all’Italia per aiutare le famiglie e le imprese colpite dalla crisi.

La dichiarazione di Paolo Gentiloni, rilanciata come un mantra da tv e giornali, per cui “in Europa nessun paese ce la può fare da solo”
non è solo un falso logico, ma si configura come un invito a buttarsi tutti nel pozzo “europeo” dei debiti impagabili.

Questo, infatti, sarà il destino dei paesi che saranno obbligati ad indebitarsi con i mercati per fare fronte alla crisi.

In questo momento l’Europa si rivela non un aiuto, ma bensì un grave ostacolo che impedisce agli stati membri
di intervenire efficacemente in favore delle proprie economie.

Se l’Italia potesse “fare da sola”, come il Regno Unito, oggi saremmo qui a parlare di un’altra storia.

Se la Comunità Europea sognata da De Gasperi, Schumann ed Adenauer, fatta di popoli in pace
e in cooperazione fra i popoli era una certamente utile per tutti, l’idea di mettere in comune la banca centrale
e la moneta si sta rivelando un grave problema che in questo momento sarebbe molto meglio non avere.

Data l’attuale situazione disperata dell’economia italiana, l’unica posizione politicamente sensata è l’adozione di un “Piano B”
in cui l’Italia non si attende nulla dall’Unione Europea, ma, senza perdere inutilmente tempo,
dà vita a strumenti finanziari paralleli all’euro, in modo da poter fin da subito intervenire a sostegno di famiglie e imprese,
senza provocare fallimenti e povertà diffusa.
 
Nel 2012, durante il Governo Monti, serpeggiava in tutto lo Stivale il desiderio d’aderire alla rivolta fiscale
, al non pagare tasse, imposte, tributi e balzelli vari.

Ovviamente questo sentire era minimo comun denominatore nel cosiddetto “Partito delle partite Iva”.

La Cna di Mestre nel 2012 segnalava che moltissimi italiani, causa crisi economica, non sarebbero riusciti ad adempiere alle scadenze fiscali.

Tra il 2012 ed il 2013 la percentuale d’imprese che non pagava le tasse per mancanza di liquidità oscillava tra il 10 ed il 12 per cento.

Nel 2020, circa il 10 per cento delle imprese non ha ancora visto la fine dalla crisi finanziaria iniziata un decennio fa,
a queste si somma l’altro 30 per cento d’attività e professioni che, causa fermo da coronavirus,
non ha la disponibilità finanziaria per adempiere alle scadenze perentorie di giugno.

Scadenze a cui s’andranno a sommare le circa 18 milioni di cartelle esattoriali che l’Agenzia delle Entrate metterà in consegna
(telematica via pec o per raccomandata) dal primo giugno 2020.

Scadenza perentoria ed indifferibile, come lo stesso direttore dell’Agenzia delle Entrate ha dichiarato in audizione alla Camera,
rammentando al Governo Conte che, misure che procrastinino i pagamenti confliggerebbero con obblighi di bilancio
e con tutta una serie di impegni europei
.

Ma come si coniugano le perentorietà fiscali con la visione asfittica della società che ha questo governo?

Visione che tocca vette inusitate con la criminalizzazione del lavoro che, dal nobilitare l’uomo, assurge a “primo fattore d’inquinamento ambientale”?

Il cosiddetto fattore antropico, che secondo gli antilavoristi di 5 Stelle favorirebbe la morte del Pianeta.

Senza considerare che, per certi consulenti di Conte il lavoro è solo un “momento di diffusione del patogeno”, una forma d’egoismo.

Ad aprirci gli occhi su questa Fase 2 sono sempre le statistiche della Cna (in questo caso di Roma),
che ci dimostra che da maggio mancheranno all’appello nella Capitale circa 27 mila tra negozi e botteghe di commercianti e artigiani.


Un deserto che, numeri alla mano, potenzierà in parte (considerando le diminuite possibilità economiche) la grande distribuzione.

Nella sola Capitale perderanno il lavoro più di 800mila addetti nei settori artigianale e commerciale:
ovviamente quelli censibili perché in regola contrattualmente, a cui s’aggiungeranno altrettanti rivenienti da lavori abusivi.


Roma subirà un impoverimento del tessuto sociale, e perché si spegneranno vetrine e non ci saranno bancarelle.

Le storiche piccole botteghe tireranno finalmente le cuoia, con gran goduria per chi da anni
predica la razionalizzazione delle attività e l’accorpamento commerciale.

La Cna non lascia scampo, chiuderanno a Roma 2500 ristoranti e 2300 bar.

Il crollo del fatturato per chi resisterà è valutato intorno al 70 per cento.

Chiudono anche 430 tra rosticcerie e paninoteche da asporto, che hanno calcolato non riuscire
a far quadrare i conti nemmeno con le possibilità fissate dalla Fase 2.

Circa 400 tra gelaterie e pasticcerie chiuderanno Partita Iva ed iscrizione camerale già a maggio.

La Confesercenti romana ha anche calcolato un crollo di due miliardi di euro degli incassi di ristoranti e bar per il 2020.

E la via del tribunale fallimentare è già spianata per più di 450 alberghi romani.

Il centro storico di Roma si svuoterà, e forse qualche negoziante si ridimensionerà spostandosi in qualche periferia densamente popolata.

Una vittoria per molti che da anni combattono il grande pulviscolo del dettaglio commerciale ed artigianale.

La criminalizzazione del lavoro parte dall’idea comunista dei primi anni ’60
(non certo marxista, il filosofo di Treviri non l’asseriva)
che un giorno saremmo stati tutti in uguali case senza lavorare, che per noi avrebbero fatto tutto i robot, e che questo avrebbe fatto cessare il bisogno.

Di fatto l’idea d’un reddito mondiale di cittadinanza, oggi ricalibrata su una sorta di “povertà sostenibile”,
ci vorrebbe parassiti dei computer, asociali e pronti a poltrire in anonime metrature in cemento armato.

Un sogno triste che reputano aver realizzato grazie alla pandemia:
per decenni non c’erano riusciti nemmeno con bolle e speculazioni finanziarie
.

E l’inventiva italiana, la genialità, il merito, l’ambizione personale?

Per certi non dovrebbero esistere queste pulsioni, perché non concepiscono che un lavoratore partecipi al destino ed al successo dell’impresa.

Ma, se a capo dell’impresa ci fossero Vittorio Colao, Bill Gates, Soros od altri satrapi planetari,
certi tribuni della politica non ravviserebbero la contrapposizione tra capitale e classi operaie e contadine.

Così quel senso di lotta intestina, che corrode sin dal suo sorgere la società industriale
(capitalista e finanziaria, strettamente confinata all’econometria), verrebbe eliso solo se a capo dell’impresa
ci fosse un sofista collegato al “Nuovo Ordine mondiale”.

Chi non fa parte del salotto multinazionale, subisce sempre la regola della distruzione della “cultura del lavoro”, costante degli ultimi decenni.

Nonostante tutto, un 30 per cento degli italiani pagherà regolarmente Imu, Tasi, Tari… e tutte le imposte in scadenza.

Circa un 20 per cento usufruirà del “ravvedimento operoso”.

L’incognita potrebbe risiedere in quel 50 per cento che, tra voglia di rivolta fiscale ed impossibilità a versare le tasse,
starebbe spalancando il baratro d’un collasso del sistema tributario.

In quel preciso momento, il presidente della Repubblica prenderà coscienza delle fallimentari politiche di Conte e bella compagnia.
 
C’è un convitato di pietra al tavolo dei conti dello Stato in Italia.

È la crisi di liquidità che attanaglia ormai drammaticamente i conti dello stato italiano
e che il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri tiene con evidente imbarazzo fuori dalla conversazione con i protagonisti della vita economica.

Il Tesoro non lo dice, ma fra due mesi quando scatteranno i saldi delle imposte del 2019,
molti contribuenti potrebbero autoridursi il primo acconto sulle imposte 2020 in previsione del calo di reddito.

Il ministro celia, ma dal versante Iva e Inps le entrate sono già calate drasticamente dal mese di febbraio
perché i disoccupati non pagano contributi e gli affari sono al tappeto.

Lo stesso presidente dell’istituto di previdenza, Pasquale Tridico, si è lasciato sfuggire in una intervista
che le casse del suo istituto a maggio saranno a secco.


Non basta. Nel bilancio di quest’anno ci sono già entrate fittizie per una ventina di miliardi
come l’improbabile recupero dell’evasione fiscale e ipotetiche ed irreali privatizzazioni.

Gualtieri tace, ma tutti sanno che c’è un disavanzo “sommerso” ed emerso di un centinaio di miliardi,
cui occorre aggiungere il nuovo disavanzo prodotto dagli interventi per far fronte alla crisi.

Ma se c’è nuovo deficit inatteso di circa 100 miliardi nel 2020 e probabilmente il doppio nel 2021,
non si capisce per quale motivo mister Gualtieri, che su questa verità avrebbe potuto incassare l’appoggio anche dell’opposizione,
abbia scelto di limitare lo scostamento di cassa di quest’anno a 55 miliardi.


E abbia spostato con il Documento di economia e finanza il resto del deficit a dopo il 2021 e 2022.

Mister Gualtieri è simile a quel pattinatore che fa evoluzioni sul ghiaccio pur sapendo che lo strato di ghiaccio sotto ai suoi piedi è sempre più sottile.

Pur sapendo che questa operazione di maquillage contabile sul 2020 ci espone ad una nuova bocciatura di Eurostat l’anno prossimo
ed a farci impiccare nelle future trattative con Bruxelles.

Forse il governo italiano pensa di nascondere lo scioglimento del ghiaccio sotto i suoi piedi per ingannare le agenzie di rating.

Alcune ci sono cadute, ma non Fitch che ha declassato il debito tricolore.

Una ciambella di salvataggio verrà all’Italia da Christine Lagarde.

La Bce infatti potrebbe acquistare molti titoli di nuova emissione.

Ma a via XX Settembre sanno che non può esagerare, oltre una settantina di miliardi netti la Bce non acquisterà.

Per avere liquidi senza nuove emissioni di debito pubblico, si è ricorso all’uso delle garanzie dello Stato sul credito bancario.

L’obiettivo è affidare alle banche nuovi finanziamenti a imprese e famiglie fino a 450 miliardi di euro nel 2020.

Le banche nel 2020 e 2021 potranno utilizzare persino gli accantonamenti a fronte di crediti rischiosi ma non insolventi
per aumentare il capitale prudenziale ed evitare erosioni di capitale.

Questa strada risulta però impervia sia per la scarsa attitudine del nostro sistema bancario ad interventi di questo genere,
sia perché il terzo potere del sistema italiano, la magistratura, minaccia di estendere le sue indagini
(già avviate da 40 procure sul fronte sanitario) anche ai prestiti bancari.

In assenza di uno scudo penale, ormai quasi nessun amministratore nel paese si azzarda a far qualcosa di non usuale.

Perché allora non dire la verità?

Il governo pensa di poter tacere ancora a lungo al paese la reale situazione dei conti pubblici?

Qui possiamo azzardare una ipotesi.

Il governo giallorosso sembra proprio non voler affrontare la revisione di una spesa pubblica in Italia iperprofica,
probabilmente per non intaccare gli interessi dei ceti parassitari che sostengono l’attuale maggioranza di tipo populista.


Ne avrebbe avuto occasione con la crisi del Covid-19, ma non l’ha fatto.

E allora a cosa pensa ministro del Tesoro, quando parla di fondamentali solidi del sistema Italia?

Ai conti correnti degli italiani da tosare?

O alla svendita delle aziende di Stato?

Gualtieri oggi vuol chiaramente evitare di drammatizzare la situazione dei conti pubblici.

A voler essere maliziosi, infatti questo potrebbe essere l’argomento decisivo per portare ad un cambio dell’attuale esecutivo,
magari ampliando la maggioranza, sloggiando Giuseppe Conte e chiamando alla guida dell’esecutivo un personaggio più autorevole
come l’ex presidente della Bce, Mario Draghi.

Di certo, il gioco non potrà durare a lungo.

Nei prossimi mesi se i fondi saranno insufficienti persino a pagare stipendi e pensioni,
solo allora si lancerà l’allarme e si chiederà aiuto.

Ma potrebbe essere tardi e persino gli unici contanti messi a nostra disposizione della Ue,
quelli del prestito di 37 miliardi del Mes, a quel punto potrebbero non bastare.
 
Cari amici torno volentieri a firmare un servizio sulle colonne del giornale fondato da Camillo Cavour
dopo essere riuscito a creare una nuova piattaforma di informazione libera e indipendente.

Un’operazione che, per dirla con Mario Ferrara, solo noi “matti liberali” sappiamo fare.

Sono di nuovo tra voi un po’ perché la condizione italiana, dopo questa pandemia planetaria di Coronavirus,
necessita di qualcuno come il sottoscritto, che si è sempre prodigato nel tenere insieme ambienti e persone anche molto distati tra loro,
con autentica solidarietà umana e spirito di autentica amicizia.

E torno nuovamente a scrivere sulle colonne di un quotidiano liberale per dirvi, con estrema semplicità,
qual è lo sbaglio principale che stanno commettendo i nostri attuali governanti.


A cominciare dal ministro dell’Economia e Finanze, Roberto Gualtieri, anche detto: lo “strimpellatore straziante”.

Lo sbaglio che questo signore sta facendo sulla nostra economia – e che prima di lui è già stato commesso
dalla strana coppia composta da Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan – è di fidarsi delle banche.

È lì, il vero “nocciolo” della questione; è quello “l’ambientino” in cui la burocrazia ha compiuto il suo capolavoro più depravato e demoniaco.

Il mio puntuale sforzo nello “smontare” le tante “fake news” che circolano dalle parti di Matteo Salvini è riconosciuto e risaputo.


Ma proprio per tali motivi, ciò che vengo a raccontare questa volta può essere considerato “non sospetto”.

Ebbene, come presidente della “Phoenix”, l’associazione culturale che ho fondato nel 2010 al fine di sostenere le mie attività editoriali,
ho dovuto ovviamente aprire un conto corrente aziendale.

E l’ho fatto accettando le condizioni di un piccolo gruppo di istituti che si chiama Creval,
il quale ha riunito in un unico “cartello” il Credito valtellinese e il Credito artigiano.

Tale esperienza mi ha aperto un mondo: quello dei “gruppi” bancari.

Un universo dal quale bisogna cominciare a guardarsi sul serio, poiché si ritrova burocraticamente
ancor più “impaludato” dei tanti enti statali che noi liberali, spesso, non amiamo (con piena ragione...).

Ebbene, si sappia che le banche sono molto peggio.

Ed è esattamente per questo motivo che “il cavallo non beve”, come suol dirsi nei corsi di Scienza delle Finanze.

Prendiamo la filiale della Creval di Roma, quella situata in piazza Walter Rossi, nel quartiere Trionfale,
aperta nel 2016 esattamente sull’angolo con la nostra tanto amata via dei giornalisti.

Essa è gestita da un gruppuscolo di “pasticcioni” scortesi, maleducati, pigri e incompetenti
che mai mi era capitato di incontrare nella mia non corta carriera di correntista.

Una carriera che non ha mai incontrato “incidenti” particolari, non ha mai chiesto prestiti “al buio”
e che ha sempre e semplicemente preteso di poter svolgere in serenità alcune operazioni di “routine”.

Purtroppo, i continui maltrattamenti subiti in questa filiale della Creval è giunta a un livello tale di fastidio
che, di recente, sono stato costretto a inviarmi un bonifico da solo.

Una cosa che persino la mia commercialista, quando lo ha saputo, mi ha chiesto:

“Ma che fai”?

Il prossimo Natale proverò anche a inviarmi gli auguri, tanto per vedere quale “diavolo” di effetto fa.

Ma scherzi a parte, questi stravaganti e maleducati impiegati della Creval di Roma, prendendo a pretesto
il non semplice periodo che stiamo attraversando, richiedono di fissare un appuntamento per poter espletare le consuete operazioni mensili.

Ma essi, al telefono, rispondono assai raramente.

E anche quando ciò accade, non ascoltano praticamente nulla di quanto si sta loro chiedendo
interrompendoti regolarmente con una frase divenuta il “tormentone” – o il “mantra”, come si dice di recente,
con stucchevole “gusto esoterico” – di chi, nel rapporto dialettico con il prossimo, concepisce solamente i monologhi da “stand up comedy”:

“Quando lei ha finito di parlare, allora parlo io”.

Una frase divenuta un vero e proprio intercalare, funzionale a interrompere l’interlocutore
e a evitare di concedere anche solamente un minimo di attenzione nei suoi riguardi.

Gli appuntamenti vengono fissati con tempistiche “siderali”, fregandosene altamente delle scadenze,
dei pagamenti o delle singole esigenze del correntista, che non viene aiutato in nessun modo a operare sul proprio conto corrente.

E sottolineo: a operare sul proprio conto corrente.

In pratica, questi signori delle banche non svolgono più il lavoro e la funzione di un tempo: questo è il vero problema.

Essi, oggi, si occupano di ben altro.

E utilizzano le singole agenzie come una “dépendance” di casa propria, secondo un concezione “privatista”
a dir poco impropria e inappropriata della postazione di lavoro, distante migliaia di miglia da ogni etica della professionalità.

Una professionalità letteralmente ridotta a brandelli da vuoti atteggiamenti, assai più adatti per un talk televisivo che a un’attività aperta al pubblico.

Roberto Gualtieri ci chiede, adesso, di andare a chiedere a questi signori qui i famosi 25 mila euro da rimborsare in 6 anni.

Un’operazione che, detta così, sembrerebbe ragionevole: è come acquistare una vettura a rate.

Ma non appena inoltri la richiesta per questo “micro-finaziamento”, che appartiene totalmente alla sfera di quel “microcredito”
che ha salvato dal “baratro’ intere nazioni e continenti, i “signori” delle banche si mettono a recitare 4 parti in commedia,
come se avessi chiesto loro la moglie “in prestito” per una serata “svaccata”.

Insomma, illudersi che il tracollo economico che ci attende possa essere salvato dal nostro sistema bancario
è il nuovo clamoroso errore di questi “democristiani di ritorno”.

Avendo loro lo stipendio garantito tutti i mesi dalla Ragioneria generale dello Stato,
i minorati “cattocomunisti” nulla sanno e niente capiscono della pazienza che ci vuole nell’avere a che fare con certa gente.


S’incontrano certi “soggettini” che è tutto un piacere: ce n’è persino uno, un “grillino sfegatato”,
che lavora presso la filiale Unicredit di viale Giulio Cesare in Prati, che sembra il cantante dei Cugini di campagna.

Ormai me la sono “legata al dito”, quindi state tranquilli, cari amici liberali: sarò ancora una volta con voi a sparare bordate di grosso calibro.

Ma gli altrettanto cari amici di sinistra si ricordino bene che i liberali non sono soliti “cannoneggiare” contro “Mulini a vento”
come l’Europa, l’Euro, la Troika, la Massoneria e chi più ne ha, più ne metta.

Noi liberali, di solito, prendiamo la “mira’.

Se lo ricordi bene, il caro ministro Gualtieri.

Ed è proprio per questo motivo, che siamo assai più pericolosi dei sovranisti “casinisti”.

In ogni caso, a prescindere dalle vendette “mirate’, la sinistra italiana deve cominciare a comprendere con chi,
gli italiani, giorno dopo giorno, sono costretti ad avere a che fare:

impiegatucci” che ti maltrattano con l’arroganza di chi si sente con i “piedi al caldo”.

E che non si preoccupa minimamente di coloro che hanno accordato proprio all’istituto bancario per il quale essi dicono di “lavorare”, i propri “sudati” risparmi.
 
Gran parte dei Paesi europei dopo lunghe settimane di forzato lockdown
e di blocco di tutte le attività stanno tentando di ritornare lentamente alla normalità.

Purtroppo le conseguenze della pandemia saranno diverse da Paese a Paese
e all’interno dello stesso Paese le differenze tra i cittadini diventeranno ancora più pesanti,
così come si accentuerà il divario tra le regioni italiane.

In Europa, l’Italia è stata la prima ad essere colpita ed è quella che, insieme alla Spagna, ha subìto le maggiori perdite in termini di vite umane.

Ogni Paese ha affrontato l’emergenza sanitaria ed economica con interventi diversi.

L’Italia, oltre alle misure per la gestione dell’emergenza sanitaria e di contenimento contenute nel decreto legge del 23 febbraio 2020,
ha adottato i primi provvedimenti a sostegno del reddito dei lavoratori, delle famiglie e delle imprese
prima con il Decreto legge 2 marzo 2020, n° 9, limitatamente alle zone rosse del nord Italia, e poi con quello del 17 marzo 2020 detto “Cura Italia”.

Sostanzialmente, le misure adottate hanno riguardato i sussidi di 600 euro a favore 3,4 milioni di lavoratori autonomi già erogati,
la cassa integrazione per 6.750.000 dipendenti di piccole e medie imprese che dovrebbe arrivare entro la fine del mese di aprile
e la garanzia di 350 miliardi per crediti alle imprese.

Questi provvedimenti sono coperti dalla emissione di 25 miliardi di euro di titoli di Stato.

Molto controverse sono invece le misure tanto decantate e previste dal cosiddetto decreto legge liquidità dell’8 aprile.

Presentando il decreto il premier Giuseppe Conte ha parlato di “una potenza di fuoco”, un “bazooka” da 750 miliardi in totale per le imprese.

In realtà 350 erano quelli già citati del Decreto Cura Italia”.

I 400 miliardi si riferiscono a garanzie che dovrebbero essere fornite per prestiti concessi dalle banche alle imprese,
di cui 200 per garanzie fornite dalla Sace e 200 per garanzie fornite dal Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese.

Il reale investimento dello Stato si limita ad 1 miliardo di euro per le garanzie fornite dalla Sace,
1,729 miliardi per incrementare il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese,
oltre a 65 milioni destinati ad interventi minori
.

A distanza di 20 giorni nulla ancora è stato realmente fatto, soprattutto perché le banche stanno creando difficoltà agli imprenditori
che vorrebbero accedere ai prestiti in quanto, considerate le attuali condizioni delle aziende e le prospettive fosche dei prossimi mesi,
il rischio di insolvenza, come afferma Bankitalia, è molto elevato.

Neanche la Francia e la Spagna sono riusciti a mettere in cantiere grossi interventi.

Come al solito è Angela Merkel che sa il fatto suo.

Già il 13 marzo la Germania ha creato un nuovo fondo statale con una dotazione pari a 822 miliardi di euro
per un piano di crediti da erogare alle imprese in difficoltà ai quali si aggiungono 100 miliardi
per garantire immediata liquidità alle famiglie e ai lavoratori e altri 100 finalizzati alla protezione,
con eventuale nazionalizzazione, di imprese strategiche oggetto di acquisizioni estere.

Il Bundestag ha inoltre operato un incremento del deficit di bilancio attraverso un indebitamento per 156 miliardi di euro
di cui 122,5 di maggiori spese e 33,5 di minori entrate fiscali.

Dei 122,5 miliardi, 62 sono per il sistema sanitario, 50 per le sovvenzioni a piccole imprese e lavoratori autonomi, 10,5 miliardi per altri interventi.

L’Unione Europea, quando all’inizio della pandemia era stata colpita soltanto l’Italia, si è mossa a passi da lumaca.

Solo successivamente, quando il contagio è dilagato in altri Paesi e soprattutto in Francia e in Germania, si è preso coscienza della gravità della situazione.

A fine marzo la Commissione europea ha sospeso il patto di stabilità per consentire l’indebitamento in deficit dei Paesi colpiti.

La Banca centrale europea, dopo le forti polemiche iniziali seguite a gravi esternazioni nei confronti del nostro Paese,
della presidente Christine Lagarde, nel mese di marzo ha varato in due riprese un piano straordinario di emergenza
da 1.110 miliardi di euro contro la pandemia coronavirus, ovvero un rinnovato Quantitative easing,
per l’acquisto dei titoli di stato dei Paesi in maggiore difficoltà.

In pratica, nel corso del 2020, la Bce comprerà 220 miliardi di titoli di stato italiani.

Tutti i leader europei hanno cominciato a ipotizzare vari tipi di interventi, ma soltanto con la riunione dell’Eurogruppo del 9 aprile
si è dato via libera al piano Sure, (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency)
che la presidente della Commissione europea ha battezzato come “Piano Marshall europeo”
che investe 100 miliardi per prestiti a condizioni agevolate agli Stati membri per finanziare la cassa integrazione per lavoratori e imprese.

Il nostro Paese potrebbe accedere al fondo fino a 20 miliardi.

Per altre due settimane i leader europei hanno tergiversato tra videoconferenze e chiacchiere.

L’ultima riunione dell’Eurogruppo del 24 aprile ha portato ad alcuni risultati più concreti,
certamente non tali però da giustificare la grande esultanza manifestata dal premier Giuseppe Conte.

Infatti, i pareri di gran parte degli analisti, compresa la Confindustria, sono scettici sulle proposte approvate,
soprattutto perché non si tratta di interventi diretti, come si è fatto invece negli Stati Uniti che hanno erogato direttamente 2000 miliardi di dollari.

Durante il vertice è stato dato il via libera al pacchetto da 540 miliardi,
la cui attivazione richiede comunque ancora qualche settimana e la disponibilità entro giugno.

Si tratta complessivamente di tre linee di credito per fornire garanzie alle imprese.

Il Piano Sure da 100 miliardi che abbiamo già visto, 200 miliardi della Banca Europea di investimenti, altri 240 miliardi del Mes, il cosiddetto Fondo salva Stati.

Quindi nulla di diverso rispetto a quanto già sbandierato a metà marzo dai leader europei.

E’ chiaro che quanto si sta profilando non ci soddisfa, del resto però è difficile trovare qualcuno
che concede qualcosa ad altri senza corrispettivo e senza garanzie.

Ogni linea di credito consiste in un prestito che chiunque prima o poi deve restituire.

I nostri governanti devono capire che non si può sempre continuare a fare del vittimismo
né si fa gran bella figura ad esaltare i risultati dell’Eurogruppo dopo aver minacciato tuoni e fulmini
contro l’Unione europea e definito il Mes “assolutamente inadeguato”.

Il premier Conte farebbe bene soprattutto a smettere di arrogarsi meriti che proprio non ha.

Rivendicare infatti come una vittoria la semplice idea, perché di questo si tratta, dei Recoverybond
che sono stati proposti da Francia e Spagna, è paradossale anche perché l’unico accordo che si è trovato
è stato quello di affidare l’incarico alla Presidente Ursula Von der Leyen di preparare una proposta da sottoporre di nuovo all’Eurogruppo tra 10 giorni.

Siamo sicuri che alla fine un accordo si troverà anche su questo ma bisognerà vedere se si tratterà di prestiti
o di sovvenzioni a fondo perduto e soprattutto quali saranno i tempi della loro operatività che la Goldman Sachs ha previsto per il 2021.


Su questo Fondo si sono scatenati i leader europei che da giorni fanno a gara a chi spara i numeri più grossi.

La Merkel, che ha già fatto approvare dal Parlamento tedesco il pacchetto di 540 miliardi, ha parlato di mille miliardi.

Conte e Macron parlano di mille-millecinquecento miliardi.

La Ursula Von der Leyen addirittura di duemila miliardi.

Le differenze non sono soltanto sui numeri ma anche sulla stessa natura dello strumento finanziario.

C’è chi parla di sovvenzioni a fondo perduto come Italia, Francia e Spagna
e chi invece come Austria, Olanda che, non volendo regalare niente a nessuno, insistono sui prestiti.

Come al solito la Germania gioca su due tavoli e, insieme alla tedesca presidente della Commissione europea Von der Leyen, preferirebbe una soluzione mista.

Anche questa volta sarà la Germania a prevalere e lo strumento che sarà varato prevederà un mix di interventi
che peserà ulteriormente sulle finanze italiane e sul futuro della ripresa economica del nostro Paese.

Se i prestiti che l’Italia dovrà restituire saranno superiori alle sovvenzioni a fondo perduto,
parole come solidarietà, coesione, che in Europa continuano a rimbombare ormai da due mesi,
saranno soltanto vuote esclamazioni di circostanza.

La situazione dell’Italia è molto più drammatica di altri Paesi tanto che,
nonostante il ministro Roberto Gualtieri parli di fondamentali economici solidi, l’Agenzia di rating Fitch ci ha declassato.

Le fosche previsioni contenute nel Def presentato dal Governo, ovvero la contrazione del Pil dell’8 per cento nel 2020
ed una ripresa del 4,7 per cento nel 2021, sono subito state corrette al ribasso dalla Ue con un – 10,6 per cento nel 2020 e un + 2,3 nel 2021.


Per il prossimo consiglio dei ministri sono state annunciate altre misure.

Ma se il “bazooka” lanciato da Conte l’8 aprile non ha avuto ancora nessun effetto concreto cosa ci possiamo aspettare dal prossimo decreto?

Se le misure che il prossimo Consiglio dei ministri varerà sono quelle già annunciate dal ministro dell’Economia Gualtieri,
ovvero 155 miliardi di nuovi interventi ed un maggiore indebitamento di 55 miliardi nel 2020,
riteniamo che esse non siano sufficienti ad operare una forte frenata del pericoloso declino economico del nostro Paese.

Ricordiamoci che la mina vagante delle clausole di salvaguardia pesa per ulteriori 20 miliardi
che significa un complessivo indebitamento di 75 miliardi ed un debito pubblico a ridosso del 160 per cento del Pil.

Altro che debito sostenibile!

Lo scenario che abbiamo davanti agli occhi è quello di una guerra che lentamente ed inesorabilmente stiamo perdendo.

Non c’è più tempo per indugiare!

Bisogna urgentemente mettersi in cammino e smetterla di disquisire su cosa aprire e non aprire il 4 maggio.

Già tra commercianti, piccoli imprenditori e nelle centinaia di migliaia di persone che sopravvivono di lavoro nero serpeggia il malcontento.

Gli italiani non hanno più bisogno di show televisivi perché in milioni sono già alla disperazione
e non sanno più cosa dare da mangiare ai propri figli.

Il medico continua a studiare ma l’ammalato è ormai sul letto di morte!
 
"Continua la grande ritirata di Sars-CoV-2 dall’Italia".

Parola del virologo Guido Silvestri, docente alla Emory University di Atlanta (Usa), che commenta sui social gli ultimi dati della Protezione civile.

Calano "i ricoveri in terapia intensiva per Covid-19 (ieri calo di altre 116 unità, da 1694 a 1578),
ma calano anche i ricoveri ospedalieri (scesi di altre 580 unità, da 18.149 a 17.569) e ieri si è anche abbassato il numero dei decessi per Covid-19 (285 unità).

Quindi barra a dritta e avanti tutta verso la fine del tunnel", sottolinea Silvestri.



Da Silvestri una 'ricetta' da Oltreoceano per una riapertura in sicurezza:

"Guardando la regolarità con cui i numeri di Covid-19 in Italia continuino a scendere, è forte la tentazione di dire:
'Lasciamo che il virus sparisca senza cambiare la formula vincente'.

Ma mi rendo conto che la sofferenza economica e socio-sanitaria legata al lock-down ormai sta superando quella causata dal virus",
spiega il virologo elencando i suoi '3 punti' per la riapertura.

Con una precisazione:

"Come sapete, io non faccio parte di alcun comitato consultivo ufficiale in Italia.
Ed è giusto così perché il premier Conte ed il ministro Speranza sono circondati di ottimi consiglieri tecnico-scientifici,
mentre i miei ruoli istituzionali sono negli Usa e non in Italia".


"Quando si dice 'a questo virus non piace il caldo' - continua Silvestri - non ci riferisce alla temperatura a cui il virus stesso viene disattivato dal calore,
ma alle temperature che rendono instabili le goccioline di fomiti (saliva, starnuti, tosse etc) che trasportano il virus nell'ambiente".


"Questo meccanismo è noto ai virologi da decenni, e spiega perché tutte le infezioni virali respiratorie sono altamente stagionali con chiarissima predilezione per l'inverno", aggiunge Silvestri.

Lasciando aperta la finestra della speranza nell'effetto della stagione calda ormai alle porte sulla diffusione di Sars-Cov-2.
 
non si capisce come mai i sondaggi premino Conte di fronte al disastro che vediamo

la risposta è elementare:
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