PIR o PIRLA?

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PIR: verranno farciti di crediti deteriorati?
Scritto il 25 maggio 2017 alle 11:30 da Danilo DT
PIR: verranno farciti di crediti deteriorati? | IntermarketAndMore


Sono ormai settimane che vi “martello” sulla tematica cercando di mettervi in luce non solo gli aspetti positivi ma, come sempre faccio, anche gli aspetti più importanti, ovvero i rischi e le particolarità. Non mi piace dire “aspetti negativi” perchè di negativo in fondo, non c’è nulla. Ci sono solo delle caratteristiche di un prodotto che troppo spesso viene venduto senza spiegare esattamente come è costruito e quali sono i rischi a cui ci si può andare incontro.

I vari post sull’argomento, se volete farvi un po’ di cultura finanziaria, li potete riprendere cliccando QUI.

E il mio consiglio può solo essere quello di informarvi per benino prima di sottoscrivere un PIR, al fine di sapere COSA state comprando, visto che è palese una pressione mediatica e commerciale che quasi non ha precedenti. Anche perchè i costi che il sistema fa pagare al cliente su questi prodotti sono, a volte, impressionanti: commissioni di ingresso, di uscita, di performance più commissioni di gestione spesso a livelli importanti.
Non bisogna però generalizzare, ogni prodotto ha le sue caratteristiche commissionali (che possono anche essere eventualmente scontate dall’operatore). Focalizziamoci piuttosto sul resto.

Per completare l’argomento PIR, oggi vi propongo un articolo dell’amico e collega “Alieno Gentile” che si prodiga in un interessante articolo sui Piani Individuali di Risparmio che potrete leggere nella sua completezza CLICCANDO QUI.

(…) Con l’intento di catalizzare dei capitali sull’economia reale il governo ha lanciato, nella Legge di Bilancio 2017, i piani individuali di risparmio (Pir). (…) Ma mentre gli operatori si attrezzano alla loro realizzazione, i Pir hanno già realizzato un effetto sulle Borse: dalla loro introduzione, l’aspettativa di capitali dei risparmiatori indirizzati verso i Pir, dove resteranno perché vincolati alla permanenza, ha spinto trader e operatori professionali ad anticipare il trend: così hanno comprato le azioni delle mid e small cap italiane (società e piccola o media capitalizzazione, ndr) un effetto detto “frontrunning”. (…)
Cosa è successo?
Il Pir è uno strumento che può allettare tanti piccoli risparmiatori, ma di certo non attrae gli operatori professionali e i trader, che barattano volentieri un beneficio fiscale ipotetico con la certezza di essere liberi da vincoli temporali. Il movimento di Borsa fa paradossalmente gridare al “successo” dell’iniziativa Pir, che in realtà è poco oltre la gestazione.
Vengono proclamati grandi numeri, ma per lo più si tratta di vecchi fondi ridenominati “Pir”. (…)



In linea di massima sono cose che avevo già anticipato e che qui l’amico Andrea ha espresso in modo semplice ed esplicito. Ma è proprio la “carenza” di sottostante che potrebbe fare danni inimmaginabili.O meglio, non preventivati. Ecco perchè vi parlo di CONSAPEVOLEZZA.

(… ) Intanto appaiono le prime brutte avvisaglie: il sistema bancario è alla disperata ricerca di risorse per l’acquisto di crediti deteriorati (Npl) a prezzi “di favore”. Attraverso un emendamento, le cartolarizzazioni di Npl sono state etichettate come strumenti diversificati ad alto rendimento, utilizzabili per strumenti previdenziali come fondi pensione e Pir, che diligentemente provvederanno a comprare ciò di cui le banche devono disperatamente liberarsi. La situazione che si è venuta a creare è quindi la seguente: mentre le banche si apprestano a distribuire sul mercato dei prodotti costruiti su misura sui parametri previsti dalla legge per i Pir, il mercato ha già portato le valutazioni molto più in alto. (Source)

Avete capito? Due piccioni con una fava.
O forse, è meglio dire che a tanti piccioni (i risparmiatori) vogliono affibbiare la fava degli NPL. In questo modo, però, si risolverebbe il problema per il sistema bancario. Altro che “bad bank“. Altro che fondo specializzato, ci pensano i PIR a trasformare le sofferenze in prodotti che poi vengono messi in queste forme di investimento e quindi (la storia insegna) ribaltati sui risparmiatori.

E, notate bene, chi fa un PIR lo fa con un’ottica di 5 anni almeno, proprio per poter godere dei benefici fiscali, sempre che il prodotto sia poi in guadagno. Nel frattempo, però, questi prodotti rischiano di essere farciti di titoli Small e Mid cap che, come già spiegato, hanno problemi di “size”, più una serie di prodotti o contenitori non quotati di “dubbia” qualità. Però nulla di illegale, sia ben chiaro. Si fa qualto permette la normativa. Ovvero scaricare sulla massa i problemi delle banche,
Ancora una volta, e scusatemi se mi ripeto, #sapevatelo. E poi…buon PIR A TUTTI!

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STAY TUNED!

Danilo DT

(Clicca qui per ulteriori dettagli)
 
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Pir, scommessa vinta ma gli investitori ora sono più freddi e le Pmi a bocca asciutta

 
Ma che bella notizia!
Tempo di bilanci per i PIR.
La raccolta dei Piani Individuali di risparmio si attesta a quota 14,4 miliardi di euro con 19 miliardi di euro in gestione, numeri che appaiono certamente positivi.

Peccato che siano solo 4 i miliardi finiti a small e mid cap e meno di 150 milioni alle matricole Aim.

Ciò significa che i PIR non hanno prodotto grandi risultati sul fronte del finanziamento delle pmi - come dimostra anche il segno meno pari a circa il 2% registrato dall’indice borsistico Ftse Italia Pir Pmi All Index da inizio anno ad oggi.

(ma chi l'avrebbe mai detto..??).

Se quasi 4 miliardi dei Pir sono confluiti sì su small e mid cap italiane, presenti soprattutto sul listino Aim, gran parte di questo flusso però è arrivato attraverso acquisti sul mercato secondario, cioè su azioni già quotate, innescando così lievitazioni di prezzi a dismisura.

Il commento di Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi.
“Neanche un euro dei PIR è finito nelle casse di imprese non quotate attraverso strumenti di private equity, private debt e venture capital”.


Bravi, gnomi malefici delle banche, avete fatto un'altra bella grande cacata.

E vi avevo avvisato per tempo.
 
Che sorpresa: non è tutto oro quello che Pir
Che sorpresa: non è tutto oro quello che Pir - Phastidio.net

Sul Sole, un articolo di Maximilian Cellino e Isabella Della Valle fa il punto della situazione sui piani individuali di risparmio, lo strumento che consente agli italiani di investire sulle nostre piccole e medie imprese con esenzione fiscale, detenendo lo strumento per almeno un quinquennio. Ci sono alcune ombre, che tuttavia erano del tutto evidenti sin dall’inizio.


Da gennaio 2017 a fine giugno 2018 i Pir hanno raccolto 14,4 miliardi di euro, oltre le previsioni iniziali. Non stupisce: date agli italiani qualcosa esentasse, e loro ci si tufferanno a capofitto, fosse anche una piscina senz’acqua. Il primo dato segnalato nell’articolo, che tuttavia a mio avviso è poco e nulla rilevante, dato lo strumento e la sua natura, è che da inizio anno l’indice Ftse Italia Pir PMI All Index è negativo per circa il 2%. Che sarà mai?, direi io. Qui parliamo di strumenti destinati al possesso almeno quinquennale.

Il punto vero è un altro: questi strumenti nascono per diversificazione del portafoglio. Quindi, chi ha ritenuto di usarli per una piccola quota del proprio risparmio, non ha alcun problema. Il problema, al limite, è questo paese, ma per ora ignoriamo questo aspetto, e limitiamoci alla diversificazione. Se c’è stata, no problem. Se invece non c’è stata, e si è investita una quota rilevante del proprio portafoglio in questi strumenti, al solo scopo di avere il beneficio fiscale, si è commesso un errore che verrà fatalmente pagato.

Secondo punto, legato al precedente: ricordate che molti prodotti Pir-compliant sono estremamente costosi, in termini di commissioni applicate. Parliamo di commissioni di gestione, badate: quelle vengono prelevate sul patrimonio del fondo, anche se le cose vanno male. Le reti di distribuzione si sono gettate a corpo morto su questo Klondike, e hanno fatto grossi affari. Talmente grossi che il tempo dimostrerà che il beneficio fiscale è stato catturato dai distributori, e non verrà goduto dai risparmiatori. I quali però difficilmente se ne accorgeranno.

Ulteriore elemento, il più rilevante, a mio umile giudizio: la funzione principale dei Pir, quella che almeno ci è stata venduta, era quella di agevolare l’afflusso di risparmio privato al sistema delle PMI, per rafforzarle sul piano patrimoniale e per bypassare il canale di finanziamento delle banche, ostruito dalla crisi. Sotto questo profilo, che risultati abbiamo portato a casa? Pare non eclatanti.

Scrivono Cellino e Della Valle:

Gran parte del flusso è però arrivato attraverso acquisti sul mercato secondario, cioè sulle azioni già presenti in Borsa, i cui prezzi sono lievitati in alcuni casi anche a dismisura. E se da un lato questo ha contribuito a migliorare la liquidità sui titoli e a riportare su di loro l’attenzione degli operatori, dall’altro occorre riconoscere che «ben poco di questo denaro è andato a finanziare direttamente le aziende», come sottolinea Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi, aggiungendo che «neanche un euro è finito nelle casse di imprese non quotate attraverso strumenti di private equity, private debt e venture capital»

Io ho qualche problema a concordare col concetto che i Pir avrebbero migliorato la liquidità sui titoli, ma non sottilizziamo. Resta il punto, anch’esso del tutto visibile al momento del lancio dello strumento: se l’obiettivo è quello di portare capitale al sistema delle imprese, i Pir mancano l’obiettivo, almeno sinora. Certo, c’era la possibilità (o il rischio) di quotazioni “opportunistiche”, con imprenditori che non perdono il controllo aziendale ma collocano a multipli elevati quote della loro società, e questo in complesso non pare essere accaduto. Ma è vero che il canale di alimentazione finanziaria diretta delle non quotate è quello del private equity e private debt. Una parte dei fondi sottoscritti mediante Pir sono poi arrivati sul mercato primario attraverso il sistema delle Spac, i veicoli quotati che raccolgono capitali destinati ad acquisizioni, ma anche qui i numeri non sono eclatanti.

I Pir, quindi, lasciano di fatto scoperto il mondo delle società non quotate con fatturato annuo tra 50 e 200 milioni, troppo grandi per il segmento Aim di Borsa italiana (quello dove operano i Pir) ma che non se la sentono di entrare nel segmento Star, quello superiore. Uno strumento mal concepito, quindi, come scrivo dalla sua nascita. Ma mai quanto i Cir, conti individuali di risparmio, coi quali pare che questo governo voglia creare un canale di domanda domestica per i Btp, per sostituirsi alla Bce e non solo (auguri).

Pensate, ove mai questa cosa vedesse la luce, all’effetto di spiazzamento dato da risparmiatori che vendono altre attività finanziarie domestiche, emesse da imprese (obbligazioni societarie, ad esempio), per correre a sottoscrivere in esenzione fiscale il debito pubblico italiano. Noto strumento di promozione della crescita, come direbbe il primo Giggino che passa. Il risultato sarebbe un bello spiazzamento, con aumento del costo del debito per le aziende italiane. Ci avevate pensato? “Beh, ma che ci frega?”, diranno i più ingegnosi tra voi, in attesa di posare il fondoschiena su un seggio parlamentare. “Tanto, gli interessi passivi riducono l’imponibile e quindi si pagano meno tasse”. Ecco, perfetto. Meno gettito per lo Stato, quindi, che si somma al buco causato dalle agevolazioni fiscali per comprare i Btp. Vado pazzo per i piani ben riusciti.
 
Equita vede la raccolta netta dei Pir a 6,5 miliardi nel 2018
Previsioni limate del 7% rispetto a inizio anno. Incide l'effetto spread e la turbolenza sui mercati.
Le mid-small cap italiane trattano con un rapporto prezzo/utili atteso al 2019 di 15,6 volte contro le 11,6 volte delle blue chip.
Sono considerati titoli Quality e dagli utili visibili
03/10/2018 14:43

Secondo i calcoli di Equita , le mid-small cap italiane trattano oggi a premio del 39% rispetto al mercato domestico (rapporto prezzo/utili atteso al 2019 di 15,6 volte contro le 11,6 volte delle blue chip), superiore rispetto alla media storica a 5 anni del 23%.
In occasione del Pir Monitor di luglio-aprile 2018, il premio era del 32% e 26% rispettivamente.

Rispetto agli indici europei, il premio delle mid-small cap italiane è del 3% (PE al 2019 di 15,6 volte contro le 15,2 volte). Per la sim milanese, il leggero allargamento del premio dei titoli mid-cap rispetto al mercato domestico nel suo complesso registrato negli ultimi mesi è dovuto alla preferenza degli investitori per i titoli "Quality" (che hanno beneficiato di un ottimo momentum sugli utili e maggior visibilità sulla crescita di medio-termine) e da un alleggerimento verso settori più impattati dall'andamento dello spread come banche e utilities.
 
Ultima modifica:
Ecco quanto perdono gli italiani con i Pir
Dopo la raccolta boom del 2017, i Piani individuali di risparmio scricchiolano. Il rallentamento del primo trimestre si è trasformato in un vero crollo. E intanto il loro valore perde quota

di Mariarosaria Marchesano

Ecco quanto perdono gli italiani con i Pir

A prescindere dalla tipologia di fondo, infatti, le performance dei Pir oscillano in media tra il -6 per cento e oltre il -20 per cento”. In altre parole, la scelta di indirizzare le risorse raccolte sul made in Italy si è rivelata perdente, perché si è concentrato il rischio su una sola area invece che seguire il principio della diversificazione.
 
Portafoglio
07 gennaio 2019
Tutti i rischi dei Piani individuali di risparmio
Nelle intenzioni i Pir servono a veicolare il risparmio degli italiani verso l’economia italiana e a incoraggiare l’investimento di lungo termine, ma hanno molti punti critici


I Pir, Piani individuali di risparmio, sono una tipologia di strumento (di solito un fondo comune) che garantisce all’investitore un importante vantaggio fiscale, a patto che il capitale venga sottoposto ad alcuni vincoli, tra cui la durata dell’investimento (che va mantenuto per cinque anni) e la strategia. Ovvero, la maggior parte del capitale deve essere allocato su titoli emessi da aziende italiane.

Nelle intenzioni, quindi, i Pir servono a veicolare il risparmio degli italiani verso l’economia italiana e a incoraggiare l’investimento di lungo termine. Ma dietro questo strumento, si nascondo caratteristiche strutturali che non li rendono adatti a un’ampia diffusione tra le famiglie.
Il primo punto critico è la scarsa diversificazione geografica, con conseguente concentrazione del rischio sul sistema Italia.

Continua a leggere su Moneyfarm
https://blog.moneyfarm.com/it/investire/piani-individuali-di-risparmio-pir-e-rischio-italia-i-nodi-vengono-al-pettine/


 
Banca Mediolanum sospende la vendita di fondi Pir. Ecco perché

I Pir sono stati una delusione per Banca Mediolanum, tanto che la banca ha dovuto sospenderne la vendita.

E' quanto riportato da Il Giornale, in un'intervista all'a.d. della banca, Massimo Doris (in foto), a firma di Marcello Zacché.

"La legge di Bilancio ha introdotto modifiche legislative che i nuovi Pir non sarebbero in grado di rispettare, non consentendo al risparmiatore di beneficiare dell'esenzione fiscale", ha detto Doris.

Non cambierà niente per i Pir acquistati nel 2017 e 2018 e chi li ha già può effettuare versamenti aggiuntivi. Le novità riguardano solo i Pir costituiti a partire dal primo gennaio 2019.

Per Doris, a rendere la legge inapplicabile sono l'obbligo di investire almeno il 3,5% del patrimonio del fondo in piccole e medie società dell'Aim con determinati requisiti (meno di 250 dipendenti e 50 milioni di fatturato) e un altro 3,5% in fondi di venture capital che investono in piccole imprese.

"Il patrimonio dei Pir a livello di sistema è di circa 23 miliardi: significa che almeno 800 milioni devono essere investiti in società dell'Aim con i requisiti richiesti dalla nuova norma, altrettanti in fondi di venture capital. Ma sull'Aim non ci sono 800 milioni di flottante sui quali investire con quelle caratteristiche e men che meno esistono venture capital di quelle dimensioni", prosegue Doris, "inoltre i fondi di tipo aperto non devono rispettare solo le indicazioni legislative, ma anche le regole di Bankitalia, come i requisiti di liquidità: non possono investire più del 10% in strumenti illiquidi. Ma, se con questa legge si pone il limite minimo al 7% (e se anche fosse possibile raggiungerlo), significa che in presenza di riscatti, a fronte dei quali vendiamo titoli per forza liquidi, è molto probabile che ci troviamo a sforare i limiti di Bankitalia".

Le soluzioni al problema, sempre a detta di Doris, potrebbero essere una percentuale di investimento sull'Aim adeguata al flottante attuale, molto minore del 3,5%. Inoltre, stabilite le percentuali inferiori, bisogna dare ai fondi un termine temporale ragionevole per effettuare gli investimenti. Un'altra soluzione potrebbe essere quella di lanciare fondi chiusi dedicati alla pmi che, essendo più illiquidi, abbiano maggiori benefici fiscali.
 
Pir, scontro sulle nuove regole: il 3,5% dell’investimento andrà a startup e venture capital. Bankitalia: «Più rischi di perdite»
di Alessandra Puato08 mag 2019

Sui nuovi Pir la legge è fatta, ora si accende lo scontro istituzionale:
il governo da una parte, con l’associazione dei fondi di private equity e venture capital (Aifi), a favore; la Banca d’Italia e Assogestioni, l’associazione dei gestori dei fondi d’investimento,
dall’altra, che sollevano dubbi.
Il decreto attuativo sui nuovi Piani individuali di risparmio a lungo termine - i prodotti finanziari per convogliare sulle piccole e medie imprese i soldi dei risparmiatori e delle famiglie, attraverso i gestori dei fondi comuni e delle polizze, che in cambio ne hanno un beneficio fiscale - è stato pubblicato il 7 maggio in Gazzetta Ufficiale e firmato da Luigi Di Maio, ministro dello Sviluppo economico e vicepremier, di concerto con Giovanni Tria, ministro del Tesoro.
Era atteso.
La svolta sulle startup fa scattare le polemiche.

Le novità
I fondi d’investimento specializzati nei Pir e attivi dal primo gennaio scorso dovranno infatti ora avere una «fetta» del 3,5% del capitale vincolata al venture capital, il capitale per le piccole imprese innovative e le startup, aziende appena nate o con meno di sette anni di vita (l’investimento avviene attraverso quote o azioni di fondi di venture capital, o fondi di fondi di venture capital). Soddisfatta l’Aifi, l’associazione dei fondi di private equity e venture capital presieduta dall’economista Innocenzo Cipolletta, perché sono state accolte le sue richieste: «Un’occasione per promuovere il venture capital e l’innovazione nel nostro Paese», dicono. «Aifi è a disposizione per l’apertura immediata di un tavolo di confronto e lavoro — ha dichiarato Cipolletta —. L’associazione vuole supportare l’attività dei gestori Pir nel lancio di nuovi prodotti che potranno essere di supporto alla crescita dell’innovazione in Italia».
 

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