IL COMMENTO
UNA PARTITA DELICATA PER LA SVIZZERA
ALFONSO TUORIl Consiglio federale sarà chiamato nei prossimi giorni a prendere una decisione estremamente difficile sulla vertenza che oppone UBS alle autorità fiscali americane.
Si tratterà di valutare se privilegiare gli interessi della grande banca e le buone relazioni con gli Stati Uniti oppure il segreto bancario e la piazza finanziaria elvetica.
Come era prevedibile e come abbiamo già scritto, l’intero Paese è divenuto «ostaggio» di questa vertenza, in cui le autorità fiscali statunitensi chiedono ad UBS di ottenere i dati di 52 mila clienti americani sospettati di evasione fiscale.
Questo giudizio è confortato dai termini del compromesso ancora in discussione a Washington, che sono stati svelati dalla stampa domenicale. Secondo la NZZ am Sonntag, l’accordo prevederebbe la trasmissione a Washington dei dati di 5.000 clienti americani della banca.
Il domenicale della Neue Zürcher Zeitung specifica che questi dati verrebbero consegnati alle autorità americane solo dopo il prossimo 23 settembre, in modo da dare tempo di sfruttare il programma dell’Internal Revenue Service che promette condizioni di favore e soprattutto esclude incriminazioni penali per quei contribuenti americani che hanno evaso il fisco e che si autodenunceranno appunto entro il prossimo 23 settembre.
Questa soluzione permetterebbe, da un canto, a UBS di spingere i propri clienti a «confessare» l’evasione, evitando loro possibili guai penali e, dall’altra, di sostenere che sono stati trasmessi i dati solo dei clienti che volevano regolarizzare la loro posizione fiscale.
Questo «escamotage» equivarrebbe ad un’altra pesante sconfitta per il nostro Paese.
Infatti il Consiglio federale sta rinegoziando i trattati sulla doppia imposizione fiscale sulla base del principio che scambierà informazioni non solo in caso di frode fiscale, ma anche di evasione quando la richiesta di un Paese è sostenuta da fondati sospetti.
Berna esclude quindi che possano essere condotte le cosiddette «fishing expedition», ossia che un Paese straniero possa chiedere i dati bancari di un cittadino senza disporre di alcun sospetto concreto oppure possa chiedere i dati di tutti i propri cittadini che hanno un conto bancario in Svizzera o sono i beneficiari economici di società costituite in Svizzera.
Quest’ultimo caso costituisce l’essenza della richiesta delle autorità americane.
Quindi, piegarsi a questa pretesa vuol dire contravvenire a quanto il Consiglio federale aveva deciso lo scorso 13 marzo e soprattutto infliggere un colpo «mortale» al segreto bancario.
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Per questi motivi l’indispensabile consenso del Consiglio federale non è affatto scontato. E ciò traspare chiaramente dalle scarne dichiarazioni rese ieri da Eveline Widmer-Schlumpf, la quale ha detto che occorre verificare se i termini dell’intesa con le autorità americane non violino le leggi svizzere in materia di segreto bancario.
Dunque le dichiarazioni di soddisfazione espresse venerdì scorso sono apparse un po’ frettolose.
Ora il Consiglio federale, che con i propri esperti ha partecipato direttamente alle trattative e che ha trasformato la questione in un affare che riguarda il complesso delle relazioni tra i due Paesi, si trova in un vicolo cieco ed è chiamato a prendere una decisione che avrà notevoli conseguenze per il nostro Paese. $
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Infatti su un piatto della bilancia occorrerà mettere gli interessi della piazza finanziaria elvetica e di un segreto bancario già ridimensionato dopo la decisione dello scorso 13 marzo, che verrebbero pesantemente penalizzati da un accordo di questo genere.
Sull’altro piatto della bilancia occorrerà valutare le conseguenze di una condanna di UBS non solo sul futuro della banca, ma anche sui negoziati sullo scambio di informazioni in materia fiscale, che oggi vengono condotti nell’ambito del G20 e sotto l’egida dell’OCSE.
Sebbene sia impossibile prevedere quale sarà l’esito di questa partita, si possono comunque fare alcune considerazioni. In primo luogo la Svizzera non può continuare ad essere «ostaggio» di UBS e delle sue disastrose avventure americane.
In questa sede si è sempre sostenuto che la Confederazione non poteva continuare ad identificare i propri interessi con quelli della maggiore banca svizzera. Ciò valeva e vale anche a livello economico.
L’istituto continua ad essere «malato»: domani presenterà i conti del secondo trimestre che si chiuderanno con una perdita di almeno un miliardo di franchi.
Ma ciò non sarà l’atto finale delle difficoltà di UBS, che dallo scoppio della crisi finanziaria ha già denunciato più di 50 miliardi di franchi di perdite, che ha trasferito alla Banca nazionale svizzera poco meno di 40 miliardi di titoli tossici e che ha già dovuto procedere a quattro aumenti di capitale per complessivi 42 miliardi.
Un istituto indipendente parigino, l’AlphaValue, ha calcolato che UBS ha bisogno di altri 13,9 miliardi di franchi per risanare il proprio bilancio e addirittura di 20 miliardi se la crisi finanziaria dovesse peggiorare.
Ma c’è di più.
Il danno di immagine di UBS è stato enorme e la banca continua a soffrire di un deflusso di capitali, come ha ammesso lo stesso Oswald Grübel, che dall’inizio dell’anno guida l’istituto. Il risultato finale della gestione di Marcel Ospel è di aver trasformato una formidabile macchina capace di macinare utili su utili in un istituto che realizza utili operativi insufficienti ad assorbire nuove eventuali perdite.
Quindi il futuro di UBS è comunque incerto indipendentemente dall’esito della vertenza giudiziaria negli Stati Uniti.
La seconda considerazione riguarda la posizione internazionale della Svizzera in un mondo che è profondamente cambiato a causa della crisi finanziaria.
Quest’ultima ha messo in rilievo la fragilità della nostra alleanza con Lussemburgo, Austria e Belgio tesa a difendere il segreto bancario.
La Svizzera deve ritrovare il suo posto nel consesso delle nazioni per difendere i propri interessi economici, che non sono solo quelli della piazza finanziaria.
In quest’ottica sarebbe opportuno, come sollecitano alcuni banchieri, sgombrare il campo da questa questione che avvelena i nostri rapporti con diversi Paesi, proponendo la formula adottata nel trattato sulla tassazione del risparmio firmato con l’Unione europea, in cui di fatto si statuisce che il segreto bancario serve a difendere la privacy e non a favorire l’evasione fiscale, e che a tale scopo la Svizzera riscuote le imposte che riversa ai Paesi interessati.
Occorre dunque un ripensamento strategico del nostro Paese, che è però reso molto difficile dai tempi stretti della vertenza americana di UBS.