nei loro portafogli solo titoli con un certo rating. Quel criterio divenne poi una regola quasi universale, adottato in Europa anche da un'istituzione centrale come la Bce, e nelle azioni emergenti da alcuni fondi sovrani.
Dunque un declassamento del rating può avere conseguenze enormi, tagliando fuori una nazione dalle fonti di finanziamento internazionali. L'analisi che sta dietro la decisione di Moody's del resto è condivisa da una grande istituzione sovranazionale di cui sono azionisti gli stessi Stati: il Fondo monetario. Proprio nel suo rapporto pubblicato ieri, il Fmi lancia l'allarme sul rischio che una crisi dell'eurozona possa compromettere la ripresa mondiale. E il Fmi evoca più volte lo stesso problema - "sviluppo" - che sta dietro i ragionamenti di Moody's. Ovvero: i Pigs e tra loro un paese come l'Italia, sono stremati da politiche economiche che non creano sviluppo, anzi lo soffocano. Di conseguenza, il rigore nella finanza pubblica diventa socialmente insostenibile. Mettere a posto i conti quando non c'è sviluppo, quando non c'è benessere da redistribuire, quando non c'è lavoro per i giovani, è la ricetta più sicura per un accumulo di tensioni sociali e di proteste, che a loro volta penalizzano la competitività. Nessun "complotto delle agenzie", quindi, ma un'analisi condivisa dal Fmi: la trappola infernale dell'Europa mediterranea è un'austerità fine a se stessa, senza le riforme strutturali, che quindi si avvita senza produrre conti pubblici sani. Il peso del debito rischia perfino di aumentare, per un perverso circuito vizioso, se il Pil diminuisce: proprio quel reddito nazionale infatti serve a "misurare" la sostenibilità del debito stesso. E nessuna di queste crisi è davvero locale. Per gli americani vale a proposito della Grecia, o domani dell'Italia, il teorema della Lehman Borthers: ne lasci fallire una sola, e tutto il resto del sistema bancario ha rischiato di essere travolto dal crac.