Val
Torniamo alla LIRA
Quasi 200 miliardi di fatturato e 9 milioni di auto prodotte ogni anno da 400mila dipendenti.
Sono questi i numeri di Stellantis, la realtà nata dall’unione di Fca e Psa
che si candida ad essere il quarto gruppo mondiale nel settore.
Nonostante le premesse, però, parlerà molto poco italiano e tanto francese.
Sfumata nell’estate del 2019 l’intesa con Renault,
alla fu Fiat sono bastati pochi mesi per convolare a nozze con il gruppo Peugeot.
Era ottobre di quell’anno quando le due società annunciavano la ventura “fusione”,
con l’accordo siglato a fine dicembre e che ha richiesto oltre un anno per essere perfezionato.
Le virgolette non sono un refuso.
Di “fusione”, infatti, Stellantis ha ben poco (come andiamo dicendo da tempo).
Si tratta, al contrario, dell’ennesima cessione oltreconfine.
Forse quella – tra banche, case di moda, Borsa Italiana e via dicendo nella campagna acquisti francese ai nostri danni – più pesante della storia.
E’ vero che gli azionisti di Fca – famiglia Agnelli in primis – avranno il 14,4% della nuova realtà.
Quota pari a quella transalpina, che in Stellantis vedrà la famiglia Peugeot al 7,2 e l’Eliseo (tramite Bpifrance) al 6,2%.
50 e 50, dunque?
Anche se i transalpini si presentano “divisi” mai come ora le azioni, più che da contare, sono da pesare:
la partecipazione della Francia, vale, nei fatti, più di quella italiana.
Ne sia prova il fatto che la maggioranza del consiglio di amministrazione di Stellantis sia, fin da subito, loro, francese.
Non solo: i “cugini” nominano anche l’amministratore delegato (l’attuale ad di Psa, Carlos Tavares),
mentre a Fca spetterà una più che simbolica presidenza.
Nello stesso Cda – sia detto per inciso – manca totalmente il coinvolgimento dei lavoratori, nonostante le promesse.
Un contentino per strappare il sì dei sindacati all’operazione, ottenuto il quale sono rimasti con il proverbiale cerino in mano.
Il risultato della peculiare architettura del nuovo gruppo sarà così – non era difficile prevederlo – il sacrificio dell’Italia.
In senso letterale.
A partire dalle presunte “sinergie” per oltre 3 miliardi.
Formula da neolingua per mascherare tagli che colpiranno non certo oltralpe
(la presenza dello Stato francese nell’azionariato è una garanzia),
né di certo in Germania (Psa porta in dote Opel).
Restano come sacrificabili giusto gli stabilimenti della penisola e il relativo indotto.
Qualcosa potrà ambire a rimanere piedi, ma le premesse non sono buone.
Pensiamo al fatto che la piattaforma – l’anima di ogni auto - attorno alla quale si snoda tutta una catena del valore,
nonché di ricerca e sviluppo: solo nei dintorni di Torino parliamo di qualcosa come 50mila lavoratori coinvolti – utilizzata per le utilitarie sarà la Cmp di Psa.
Con tanti saluti ai fornitori italiani.
Oppure alla già annunciata produzione della nuova Punto in Polonia.
Sempre da quelle parti si stanno investendo 200 milioni di euro
per adeguare lo stabilimento di Tychy alla realizzazione di modelli Fiat, Lancia e persino Alfa Romeo.
Alla faccia del piano di Marchionne che giurava che le auto a marchio del biscione non sarebbero mai state realizzate al di fuori dell’Italia.
La Francia chiede, Stellantis si adegua.
A noi rimangono solo i 6,3 miliardi con garanzia pubblica per assicurare agli Agnelli un’uscita più remunerativa possibile dal mercato dell’auto.
Sono questi i numeri di Stellantis, la realtà nata dall’unione di Fca e Psa
che si candida ad essere il quarto gruppo mondiale nel settore.
Nonostante le premesse, però, parlerà molto poco italiano e tanto francese.
Sfumata nell’estate del 2019 l’intesa con Renault,
alla fu Fiat sono bastati pochi mesi per convolare a nozze con il gruppo Peugeot.
Era ottobre di quell’anno quando le due società annunciavano la ventura “fusione”,
con l’accordo siglato a fine dicembre e che ha richiesto oltre un anno per essere perfezionato.
Le virgolette non sono un refuso.
Di “fusione”, infatti, Stellantis ha ben poco (come andiamo dicendo da tempo).
Si tratta, al contrario, dell’ennesima cessione oltreconfine.
Forse quella – tra banche, case di moda, Borsa Italiana e via dicendo nella campagna acquisti francese ai nostri danni – più pesante della storia.
E’ vero che gli azionisti di Fca – famiglia Agnelli in primis – avranno il 14,4% della nuova realtà.
Quota pari a quella transalpina, che in Stellantis vedrà la famiglia Peugeot al 7,2 e l’Eliseo (tramite Bpifrance) al 6,2%.
50 e 50, dunque?
Anche se i transalpini si presentano “divisi” mai come ora le azioni, più che da contare, sono da pesare:
la partecipazione della Francia, vale, nei fatti, più di quella italiana.
Ne sia prova il fatto che la maggioranza del consiglio di amministrazione di Stellantis sia, fin da subito, loro, francese.
Non solo: i “cugini” nominano anche l’amministratore delegato (l’attuale ad di Psa, Carlos Tavares),
mentre a Fca spetterà una più che simbolica presidenza.
Nello stesso Cda – sia detto per inciso – manca totalmente il coinvolgimento dei lavoratori, nonostante le promesse.
Un contentino per strappare il sì dei sindacati all’operazione, ottenuto il quale sono rimasti con il proverbiale cerino in mano.
Il risultato della peculiare architettura del nuovo gruppo sarà così – non era difficile prevederlo – il sacrificio dell’Italia.
In senso letterale.
A partire dalle presunte “sinergie” per oltre 3 miliardi.
Formula da neolingua per mascherare tagli che colpiranno non certo oltralpe
(la presenza dello Stato francese nell’azionariato è una garanzia),
né di certo in Germania (Psa porta in dote Opel).
Restano come sacrificabili giusto gli stabilimenti della penisola e il relativo indotto.
Qualcosa potrà ambire a rimanere piedi, ma le premesse non sono buone.
Pensiamo al fatto che la piattaforma – l’anima di ogni auto - attorno alla quale si snoda tutta una catena del valore,
nonché di ricerca e sviluppo: solo nei dintorni di Torino parliamo di qualcosa come 50mila lavoratori coinvolti – utilizzata per le utilitarie sarà la Cmp di Psa.
Con tanti saluti ai fornitori italiani.
Oppure alla già annunciata produzione della nuova Punto in Polonia.
Sempre da quelle parti si stanno investendo 200 milioni di euro
per adeguare lo stabilimento di Tychy alla realizzazione di modelli Fiat, Lancia e persino Alfa Romeo.
Alla faccia del piano di Marchionne che giurava che le auto a marchio del biscione non sarebbero mai state realizzate al di fuori dell’Italia.
La Francia chiede, Stellantis si adegua.
A noi rimangono solo i 6,3 miliardi con garanzia pubblica per assicurare agli Agnelli un’uscita più remunerativa possibile dal mercato dell’auto.