Dopo
il vertice di Palermo la questione sul futuro di Haftar non riguarda se prenderà o meno Tripoli, ma quando ed in che modo
. Il generale nel capoluogo siciliano si comporta come un perfetto attore, riuscendo ad attirare su di sé l’attenzione mediatica:
i dubbi sulla sua partecipazione, le dichiarazioni spesso discordanti appositamente rilasciate ai diversi organi di stampa,
la non partecipazione alla foto di gruppo finale del vertice, sono tutti questi elementi ben presenti già a novembre e di cui si dovrebbe avere memoria.
Dunque nei mesi successivi, appare solo questione di tempo prima della manifestazione palese delle velleità dell’uomo forte sulla Cirenaica anche su Tripoli.
Ma adesso la domanda da porsi riguarda il futuro dell’offensiva che lo stesso Haftar lancia giovedì sulla capitale:
è davvero questo il momento della presa definitiva di Tripoli?
Obiettivi politici prima che militari
Haftar è a capo di una milizia che negli anni riesce ad organizzare ed a guidare, fino a proclamarla unilateralmente
come unico esercito del paese affibbiandole il nome di
Libyan National Army (Lna).
Dal 2014 in poi, da quando cioè lancia l’operazione Dignità nella “sua” Cirenaica,
Haftar si pone come unico vero leader militare di una Libia uscita ancora più malconcia e frammentata dalle elezioni di quell’anno.
Il generale poi lavora anche sotto un profilo politico e, in tal senso, è avvantaggiato dalla tradizione storico/culturale della Cirenaica:
a differenza che nel Fezzan ed in Tripolitania, qui anche se i legami tribali sono forti,
allo stesso tempo è meno complicato riuscire a mettere assieme sotto uno stesso tetto più gruppi e, per l’appunto, più tribù.
Il resto è storia di questi anni e cronaca degli ultimi mesi: Haftar avanza, riprende Bengasi ed è l’uomo forte del paese.
Ma, soprattutto, a differenza del premier posto dal 2016 a comando di Tripoli, ha dalla sua un esercito.
Al Sarraj invece ha solo alcune milizie da cui appare spesso ricattato.
Ora che le velleità di Haftar sono svelate, ci si chiede se il suo Lna ha la forza di poter penetrare realmente all’interno di Tripoli.
E se, soprattutto, il generale sia disposto ad un bagno di sangue pur di prendere la capitale.
In entrambi i casi
la risposta non può che essere negativa per un motivo comune:
l’esercito di Haftar, pur se strutturato, non può permettersi eccessive perdite di uomini e mezzi.
Il generale questo lo sa ed allora la vera arma da lui usata in queste ore è quella politica.
La conferenza nazionale di Ghadames si avvicina, dopo
aver preso il Fezzan con l’operazione partita lo scorso 15 gennaio,
poter esibire dinnanzi alla platea della conferenza anche i propri mezzi alla periferia di Tripoli è un elemento politicamente quasi decisivo per Haftar.
Comunque vadano le prossime ore, il fatto stesso di essere nei dintorni di Tripoli fa del generale non un attore in campo con cui interloquire,
ma quasi un vero e proprio unico regista della situazione. In poche parole, Haftar anche nei giorni a seguire ha intenzione di continuare
la sua avanzata ma la vera prospettiva è spendere politicamente le sue conquiste territoriali.
Più che di una conquista manu militari, il generale prova a prendere Tripoli mettendo rivali interni e partner internazionali dinnanzi al fatto compiuto.