QUESTO E' IL PERIODO IN CUI GENTE CON LA T-SHIRT CAMMINA ACCANTO A GENTE CON IL PIUMINO ED ENTRAMBI

Bej tusan
riso-amaro-omaggio-alle-mondine-canzoni-e-fotografie-intorno-al-piatt_e6facf12-556a-11e9-87c8-e6074f81c3f8_998_397_original.jpg
 
Mentre il decreto crescita con la sanatoria numero 12 targata M5S-Lega completa il mosaico
delle «definizioni agevolate» ed estende ai quasi 5mila Comuni fuori da Equitalia
la possibilità di chiudere gli arretrati locali senza pagare interessi e sanzioni,
emergono i dati delle multe che gli italiani «si dimenticano» di pagare.

Si tratta di 7 miliardi di euro, 110 euro ad abitante, bambini e anziani compresi.
 
Dopo il vertice di Palermo la questione sul futuro di Haftar non riguarda se prenderà o meno Tripoli, ma quando ed in che modo

. Il generale nel capoluogo siciliano si comporta come un perfetto attore, riuscendo ad attirare su di sé l’attenzione mediatica:
i dubbi sulla sua partecipazione, le dichiarazioni spesso discordanti appositamente rilasciate ai diversi organi di stampa,
la non partecipazione alla foto di gruppo finale del vertice, sono tutti questi elementi ben presenti già a novembre e di cui si dovrebbe avere memoria.

Dunque nei mesi successivi, appare solo questione di tempo prima della manifestazione palese delle velleità dell’uomo forte sulla Cirenaica anche su Tripoli.
Ma adesso la domanda da porsi riguarda il futuro dell’offensiva che lo stesso Haftar lancia giovedì sulla capitale:

è davvero questo il momento della presa definitiva di Tripoli?

Obiettivi politici prima che militari
Haftar è a capo di una milizia che negli anni riesce ad organizzare ed a guidare, fino a proclamarla unilateralmente
come unico esercito del paese affibbiandole il nome di Libyan National Army (Lna).

Dal 2014 in poi, da quando cioè lancia l’operazione Dignità nella “sua” Cirenaica,
Haftar si pone come unico vero leader militare di una Libia uscita ancora più malconcia e frammentata dalle elezioni di quell’anno.
Il generale poi lavora anche sotto un profilo politico e, in tal senso, è avvantaggiato dalla tradizione storico/culturale della Cirenaica:
a differenza che nel Fezzan ed in Tripolitania, qui anche se i legami tribali sono forti,
allo stesso tempo è meno complicato riuscire a mettere assieme sotto uno stesso tetto più gruppi e, per l’appunto, più tribù.

Il resto è storia di questi anni e cronaca degli ultimi mesi: Haftar avanza, riprende Bengasi ed è l’uomo forte del paese.
Ma, soprattutto, a differenza del premier posto dal 2016 a comando di Tripoli, ha dalla sua un esercito.

Al Sarraj invece ha solo alcune milizie da cui appare spesso ricattato.


Ora che le velleità di Haftar sono svelate, ci si chiede se il suo Lna ha la forza di poter penetrare realmente all’interno di Tripoli.
E se, soprattutto, il generale sia disposto ad un bagno di sangue pur di prendere la capitale.

In entrambi i casi la risposta non può che essere negativa per un motivo comune:
l’esercito di Haftar, pur se strutturato, non può permettersi eccessive perdite di uomini e mezzi.
Il generale questo lo sa ed allora la vera arma da lui usata in queste ore è quella politica.

La conferenza nazionale di Ghadames si avvicina, dopo aver preso il Fezzan con l’operazione partita lo scorso 15 gennaio,
poter esibire dinnanzi alla platea della conferenza anche i propri mezzi alla periferia di Tripoli è un elemento politicamente quasi decisivo per Haftar.

Comunque vadano le prossime ore, il fatto stesso di essere nei dintorni di Tripoli fa del generale non un attore in campo con cui interloquire,
ma quasi un vero e proprio unico regista della situazione. In poche parole, Haftar anche nei giorni a seguire ha intenzione di continuare
la sua avanzata ma la vera prospettiva è spendere politicamente le sue conquiste territoriali.

Più che di una conquista manu militari, il generale prova a prendere Tripoli mettendo rivali interni e partner internazionali dinnanzi al fatto compiuto.
 
Non è un caso che, a proposito di partner internazionali, dall’estero arrivino solo note
in cui si invita le parti alla calma e quindi, implicitamente, Haftar a cessare il fuoco.

Se da un lato i vari leader sanno che il generale è l’unico che prima o poi può unificare la Libia,
dall’altro però si vuole evitare una presa con la forza di Tripoli. Questo perchè, tra una conquista ottenuta
solo con l’uso dell’esercito ed una invece dopo un processo politico supervisionato dall’esterno, passa una bella differenza.

Nel primo caso, Haftar sarebbe l’unico padrone e questo non andrebbe giù sia all’interno del paese e sia ai suoi stessi alleati internazionali.
E poi, come detto sopra, il generale non avrebbe comunque la forza e la volontà di proseguire la battaglia di Tripoli al prezzo di un grave spargimento di sangue.

Nel secondo caso invece, Haftar sarebbe l’elemento chiave di tutti i vari equilibri ed interessi in gioco in Libia.


Ecco dunque perchè la battaglia è quindi pur sempre destinata a rimanere soltanto politica.

Non a caso proprio Al Mismari, portavoce di Haftar, a poche ore dal via dell’operazione su Tripoli
si affretta a ribadire che lo stesso generale è pronto a sostenere la conferenza nazionale di Ghadames.

Anzi, è proprio lì prima ancora che nei campi di battagli di Tripoli che si gioca realmente il suo futuro.
 
“Cuore pesante e pesantemente preoccupato”, sono queste le parole usate da Antonio Guterres
prima di salire a bordo dell’aereo che dalla Libia lo riporta a New York.

Il segretario generale delle Nazioni Unite atterra nel paese per una visita prevista da tempo
a margine della sua presenza a Tunisi in occasione della riunione della Lega Araba.
Di certo non si aspetta che la visita in Libia dovesse subire così tanti cambiamenti
e coincidere con l’inizio di uno dei momenti più delicati per il paese africano dal dopo Gheddafi.
L’avvio dell’operazione di Haftar su Tripoli ed il bilaterale avuto con lo stesso generale a Bengasi,
non possono certo far ritenere la visita di Guterres un successo.
Proprio l’incontro con Haftar offre lo spunto per riassumere i tratti salienti di questa giornata di venerdì,
la seconda dell’operazione promossa dall’Lna su Tripoli.

Haftar incontra Guterres: “Vado avanti”
Quando il segretario dell’Onu atterra a Bengasi, la sensazione è quella di un possibile congelamento dell’offensiva di Haftar.
In particolare, la richiesta di calma e di dialogo politico portata avanti dall’intera comunità internazionale
sembra indicare al generale della Cirenaica la via del momentaneo stop all’offensiva su Tripoli.
Ecco perchè in tanti confidano in una temporanea fine degli scontri anche in vista del bilaterale tra Guterres ed Haftar.
Ma il numero uno dell’Lna smentisce ogni pronostico: “L’operazione verso Tripoli prosegue fino all’eliminazione del terrorismo”,
avrebbe detto il generale al segretario dell’Onu, almeno come riportato da Al Arabiya.


Haftar a Guterres ribadisce la sua posizione: per lui quella scatenata a Tripoli non è un’offensiva bensì un’operazione anti terrorismo.

La stessa che con le sue truppe il generale porta avanti dallo scorso 15 gennaio nel Fezzan.
La quale poi, è bene ricordarlo, nella versione ufficiale dell’Lna è a sua volta una prosecuzione della cosiddetta “Operazione Dignità“,
con la quale Haftar nel 2014 promuove la lotta contro i gruppi integralisti nella Cirenaica.

Ecco perchè alla richiesta dell’Onu di cessare provvisoriamente i combattimenti, il generale risponde con un diniego.
Una posizione quindi molto simile a quella già espressa in occasione del suo annuncio ufficiale del via all’operazione su Tripoli:
“Stiamo lavorando – si legge nel proclama diffuso giovedì – Per liberare i nostri fratelli tripolini”.

I combattimenti nella zona dell’aeroporto
E proprio mentre Guterres ed Haftar sono a colloquio a Bengasi, da Tripoli arriva una notizia già nell’aria da qualche ora:
i soldati dell’Lna sarebbero entrati nello scalo aeroportuale della capitale
.

Si tratta della struttura usata per diversi decenni prima della guerra del 2011.
Nel 2014 gli scontri tra le milizie di Zintan e la “Brigata Al Sumud” di Salam Badi, ne determinano la distruzione e la chiusura.
Ma la zona attorno rimane comunque strategica, non a caso è teatro anche a settembre e febbraio di nuove battaglie
che vedono questa volta protagonista la settima brigata di Tahrouna.

Adesso, per l’appunto, lo scalo sarebbe in mano all’Lna: se confermato, Haftar avrebbe davanti a sé pochi chilometri
prima di entrare nell’estrema periferia meridionale di Tripoli.

La notizia è nell’aria in questo venerdì perchè già da diverse ore le forze del generale della Cirenaica appaiono in avanzata da sud,
a dispetto invece di un indietreggiamento dalla zona ovest dopo la perdita del punto “bridge 27”.

Dopo la conquista di Aziziya trapelata nel pomeriggio, si capisce che è solo questione di tempo prima che arrivino notizie dallo scalo aeroportuale tripolino.
 
Come si fa a non capire il gioco orchestrato da queste organizzazioni al solo scopo di lucro ? Mah....

Il Viminale aveva dato via libera allo sbarco di due bambini di 1 e 6 anni, delle rispettive madri e di una donna incinta.
Ma a quanto pare neppure a loro interessa scendere a Lampedusa.

Si arricchisce così di un nuovo motivo di frizione il caso della nave di Sea Eye
che da un paio di giorni naviga nelle acque del Mediterraneo con 64 migranti a bordo.

Dopo averli recuperati a 20 miglia dalle coste della Libia, la Alan Kurdi ha fatto rotta verso Lampedusa con la scusa del maltempo

Il Ministero dell'Interno ha però diramato una direttiva per impedirle l'ingresso nella acque territoriali
e così da diverse ore il natante fa il pendolo avanti e indietro di fronte all'isola, ma fuori dalla zona di esclusiva competenza italiana.

Dopo ore di trattativa a livello internazionale (ieri al G7 Salvini ha incassato anche l'appoggio della Francia),
la Germania ha deciso di farsi carico della Alan Kurdi. Certo: non è detto che farà sbarcare tutti i migranti ad Amburgo
come ipotizzato dal ministro dell'Interno italiano, ma il governo è riuscito a mettere la Merkel e Seehofer di fronte alle proprie responsabilità.

Ora Berlino cercherà la sponda dell'Ue per trovare una "soluzione europea", magari redistribuendo
tra le altre capitali del Vecchio continente il carico di immigrati raccolto dalla Ong.
 
Rimborsare i "truffati" dalle banche ?
Primo. Come si fa a dire che una persona è stata truffata dalle banche ?
Ma è una perfetta idiozia. IDIOZIA.
Secondo. Hai la capacità di intendere e di volere ? Sì ?
Bene. HAI FIRMATO UN CONTRATTO.
Acquisti dei titoli azionari ? Il capitale è a rischio. Lo sanno tutti. Lo hai firmato.
Acquisti delle obbligazioni ? Se non sono garantite, il capitale è a rischio. Lo sanno tutti. Lo hai firmato.
Depositi i soldi in banca ? Lo sanno tutti. Il capitale è garantito sino al limite di 100.000 Euro.
Le banche altro non sono che AZIENDE. Tu hai le quote di un'azienda ? Bene.
L'azienda fallisce. Cosa succede delle tue quote ? EVAPORANO. E' rischio.
Troppo bello che arriva il fesso. Lo Stato. NOI. E ti rimborsiamo.

Davide Serra ne è sicuro: rimborsare "a pioggia" le persone che hanno perso del denaro anche per via degli scossoni subiti dal nostro sistema bancario rappresenta "una follia".

"Ma rimborsare tutti - ha affermato Serra - , senza che sia provata un'anomalia nella vendita dei titoli è aberrante".
Bisognerebbe dunque procedere, valutando caso per caso. Altrimenti la soluzione è, ancora una volta, annoverabile nella categoria del "populismo puro".

«Ridare i soldi a tutti senza distinzioni significa incentivare il gioco d’azzardo.
Come si fa a dire a chi paga le tasse che, con i suoi soldi, si rifonde magari un imprenditore
che aveva messo diverse migliaia di euro in una banca perché rendeva molto?
Se rendeva molto, è perché era più rischiosa.
In molti casi si tratta di rimborsare scommesse perse.
Sono coinvolti migliaia di risparmiatori? Anziché inutili “navigator”, il governo assuma gente per vagliare caso per caso».
 
Il generale Khalifa Haftar è sempre più vicino a Tripoli e, ormai, Fayez al Sarraj ha i giorni contati. Almeno politicamente.

La mossa dell’uomo forte della Cirenaica era pianificata da tempo.
“Il momento arriva a fine marzo quando Haftar vola ad Abu Dhabi e concorda con il principe ereditario Mohammed Bin Zayed il colpo finale”.
Sarraj viene messo davanti a un bivio: o accetta di spartire il potere con Haftar oppure sarà guerra.
Con le truppe del generale a pochi chilometri da Tripoli è facile intuire qual è stata la risposta.

Ma è solo l’inizio. L’uomo forte della Cirenaica ha bisogno di soldi e così va in Arabia Saudita,
dove incontra il principe Mohammad bin Salman che, secondo quanto riporta Micalessin,
“è pronto a dargli il beneplacito e garantirgli i fondi necessari, assieme a quelli promessi dagli emirati, per comprarsi le milizie di Serraj”.


I nostri servizi seguono con apprensione i movimenti di Haftar e così avvisano il governo. Che però non fa nulla.
O meglio: Roma non riesce a far intervenire Donald Trump che avrebbe potuto fermare i sauditi con una telefonata.
Questo però non accade.

L’Italia ha deciso di saltare sulla Nuova via della Seta, sottovalutando forse le ripercussioni politiche.
Il progetto di Pechino, infatti, non è solamente economico, ma anche – e verrebbe da dire soprattutto – geopolitico.
E questo Washington lo sa bene, tanto da ammonire più volte Roma.

Solamente poche settimane fa, infatti, Garrett Marquis, portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca,
ha detto al Financial Times
: “Siamo scettici che l’adesione del governo possa portare benefici economici durevoli al popolo italiano
e nel lungo periodo potrebbe finire per danneggiare la reputazione globale del Paese”.

E ora potrebbe esser arrivata la “vendetta” di Trump, che pare ormai essersi dimenticato della promessa fatta al presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, lo scorso luglio.
In quell’occasione, Washington promise che l’Italia sarebbe stato un partner privilegiato nel Mediterraneo, soprattutto nel complicato dossier libico.
E, in effetti, così è stato, almeno fino alla conferenza sulla Libia che si è tenuta a Palermo lo scorso novembre.


Ma qualcosa è cambiato e l’Italia si è ritrovata sola, incapace di salvaguardare i propri interessi in Libia.

Il nostro Paese, fin da subito, ha puntato sul cavallo sbagliato, il debole Fayez al Serraj, appoggiato però dalla comunità internazionale.
Lo ha fatto perché poteva contare sull’appoggio degli Stati Uniti nel Paese nordafricano.

Ma ora che questo è ormai venuto meno l’Italia rischia grosso.
 
Oggi né i sauditi, né gli emirati, né l'Egitto, né tanto meno la Francia di Emmanuel Macron,
hanno interesse a fermare la corsa dell'alleato verso Tripoli.

Se Haftar si fermerà sarà solo perché i fondi messigli a disposizioni da Riad e Abu Dhabi
non saranno bastati a comprare tutti i gruppi armati di Tripoli e a dividere le milizie schierate da Misurata in difesa della capitale.

Ma non solo di soldi si tratta.

L'appoggio dell'Arabia Saudita orienta anche i gruppi di osservanza salafita makhdali.

La Forza Speciale di Deterrenza, una delle milizie più agguerrite fra quelle sul libro paga di Serraj, risulta, non a caso, assai restia a combattere Haftar.

Insomma l'unica speranza è che Tripoli non crolli, Haftar si ritrovi in stallo e la conferenza di Gadames preparata dall'Onu e prevista per il 15 del mese
diventi una sorta di tavolo di pace in cui discutere la ridistribuzione del potere libico. Ma è solo tra nove giorni.
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto