La Pecorella smarrita
Ora sì che lo riconosciamo di nuovo. È tornato lui, il Bellachioma di sempre, bello ringhioso come l’avevamo conosciuto ai bei tempi delle leggi illegali e della privatizzazione, anzi previtizzazione, dello Stato. È bastato che, in un giorno solo, l’Europa cancellasse i suoi aiuti pubblici ai decoder prodotti dal fratello condannando Mediaset e le altre tv a restituire il maltolto (400 miliardi di lire, che lo Stato riavrà grazie al ricorso di Europa7) e la Corte costituzionale radesse al suolo la legge Pecorella che aboliva il processo d’appello Sme e impediva ai pm di appellare le assoluzioni e le prescrizioni, per far cadere lifting, ceroni e trapianti e rivedere il vero Berlusconi.
Quello che nel ’94 - anche se molti suoi oppositori fingono di dimenticarlo - era sceso in campo per non finire in galera e proteggere il suo monopolio televisivo incostituzionale. La doppia ragione sociale del suo impegno politico riemerge con le sue urla belluine contro la Consulta, rea di aver fatto il suo mestiere bocciando l’ennesima legge illegittima (dopo rogatorie, lodo Maccanico-Schifani, un pezzo di ex Cirielli e di Bossi-Fini), e contro la timidissima legge Gentiloni sulle tv, che pure regala ancora a Mediaset il 45% di affollamento pubblicitario (nel resto d’Europa il massimo è il 30) e le conserva tutte e tre le reti. Visto che la Consulta non prende ordini dal suo collegio difensivo, è «una cosa indegna» e «l’Italia non è una democrazia».
E siccome la Gentiloni non l’han fatta scrivere a lui, è un «piano criminale contro le mie proprietà private», a difesa delle quali i suoi discepoli abbandonano come un sol uomo le commissioni parlamentari, in attesa che l’Unione si cali le brache per far tornare le pecorelle smarrite. Non bastasse tutto ciò, ci si mettono pure i titolari del Sorrento Palace, teatro dell’indimenticabile convention dei Dell’Utri Boys: anziché sentirsi onorati per aver ospitato l’Evento, questi mariuoli pretendono addirittura che Dell’Utri paghi il conto: una cosina da 700 mila euro. E poi dicono che l’Italia è una democrazia. Chissà, di questo passo, dove andremo a finire.
E non basta ancora, perché il presidente d’Israele Moshè Katsav, nemmeno ancora incriminato per uno scandalo sessuale, non trova di meglio che autosospendersi e promettere le dimissioni se sarà rinviato a giudizio: lo fa apposta per mettere in cattiva luce il Cavaliere, che di rinvii a giudizio ne ha avuti una dozzina, ma non s’è mai posto il problema (anche perché il centrosinistra si guardò bene dal porglielo, anzi lo pregò di restare a Palazzo Chigi). Se questa non è giustizia a orologeria! Ora, grazie alla Consulta, è probabile che l’abrogato processo d’appello Sme a Berlusconi, in cui i pm chiedevano di trasformare la prescrizione in condanna revocando le attenuanti generiche generosamente concesse dal Tribunale, si riapra.
Anche se è improbabile che giunga in porto prima d’esser falcidiato dall’ex Cirielli. Ma soprattutto ripartiranno gli altri appelli, per esempio quello di Palermo a carico di Dell’Utri appena assolto per il complotto ultraprovato con falsi pentiti contro quelli veri. Gli errori giudiziari più diffusi, si sa, non sono le condanne degli innocenti, ma le assoluzioni dei colpevoli. Ed era per consolidare queste ultime che era nata la bella trovata di abolire l’appello del pm (ma non del condannato). Ora l’ottimo Pecorella, che un anno fa si era visto dichiarare incostituzionale la sua legge da Ciampi, ma l’aveva ripresentata quasi uguale, ottenendo anche una proroga di 15 giorni sulla fine della legislatura per mandarla in porto, piagnucola con argomenti piuttosto miserelli. Farfuglia di «oscurantismo giudiziario», come se fino a un anno fa l’Italia avesse vissuto nel Medioevo.
Afferma che, nel processo accusatorio basato sull’oralità, non ha senso l’appello sulle carte, e avrebbe ragione se solo completasse l’opera chiedendo di abolirlo per tutti, anche per i condannati. Poi vaneggia di un «regalo della Consulta ai pm», come se i pm facessero le indagini per sfizio personale, per divertirsi un po’, o per guadagnare di più, e non invece perché rappresentano il «pubblico ministero», cioè tutta la collettività, e hanno l’obbligo di scoprire la verità, facendo condannare i colpevoli e assolvere gli innocenti, contrariamente ai difensori, che sono pagati per far assolvere il cliente sempre e comunque, colpevole o innocente che sia. Ma certo, per chi era abituato a vincere i processi per legge (fatta da lui), è dura riabituarsi alla normalità.
Marco Travaglio
da l'Unità del 26 gennaio 2007