Val
Torniamo alla LIRA
Con un investimento «a titolo personale», Cairo ha acquistato 12 milioni di azioni, salendo al 3% di Rcs, società editrice del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport.
In mente, un piano industriale (lo presenterà a giugno, al più tardi). Nelle mani, la ex televisione di Telecom: La7. Urbano Cairo, 56 anni, lunedì scorso ha chiuso l’accordo e acquisito le due reti: La7 e La7D. Un affare? “Una patata bollente”, ha detto. Scherzava, ma nemmeno esagerava. Il gruppo – seppure i debiti infragruppo siano stati stralciati per 100 milioni e la società ricapitalizzata per 138 milioni – ha chiuso con un rosso di 241 milioni e un debito di 260. Lui, che l’ha comprata per la cifra simbolica di un milione di euro, non è spaventato: si fida delle sue nuove tv. Ha anche molte idee. Pensa a fare tagli, senz’altro, ma senza toccare il personale. Non è nel suo stile: «Io non ho mai licenziato nessuno», si vanta. Perché cominciare ora?
Dietro di sé, c’è una lunga storia fatta di pubblicità, giornali di carta e di società in declino, rilevate e rimesse in sesto. Una costante, per lui. Vale per il Torino Calcio, sua passione, e vale anche per la casa editrice Giorgio Mondadori, il grimaldello con cui è entrato nel mondo della stampa (da una porta considerata laterale: i giornali di gossip, cucina e consigli per il fitness). Con destrezza, una volta acquisita la società, ha deciso di abbassare il prezzo delle copie (fino a 50 centesimi) e allargare la base. Un’idea che ha funzionato, e adesso Cairo è diventato il primo venditore di settimanali d’Italia. Non poco. Non si sa se farà la stessa operazione anche con La7. Lui assicura di no. Anzi, la linea editoriale, così com’è, gli piace.
Ma prima del Cairo editore, c’è stato il pubblicitario. Formato a Publitalia, dopo essere stato assistente di Berlusconi in persona (accompagnava in macchina Veronica), diventa direttore commerciale e vice direttore generale, fino a venire posto, su volontà del Presidente stesso ai vertici di Arnoldo Mondadori Pubblicità. Sembra che, nella sua rapida carriera, avesse dei nemici: il più acerrimo era Marcello Dell’Utri. Nel 1995 verrà costretto a lasciare l’azienda («Io sono stato licenziato. Mi trovi un intimo di Berlusconi che abbia subito lo stesso trattamento»), ma il suo imprinting rimarrà, almeno nella percezione collettiva, sempre quello. Berlusconiano, o “berluschino”, come viene definito. E se lo sente va su tutte le furie.
Eppure il ritratto, anche se non uguale, somiglia: entrambi nella pubblicità, entrambi nell’editoria, ed entrambi, adesso, in televisione. Ma lui, Cairo, non ci sta (e c’è da credere, nemmeno Berlusconi). Sulla cosa, si spinge perfino a dire: «Gli faccio concorrenza» Rifiuta anche l’idea, avanzata in occasione del suo interessamento a La7, di essere una specie di cavallo di Troia per conto del Cavaliere. Secondo i maligni, attraverso di lui Berlusconi avrebbe acquisito il controllo di un’altra televisione. Tutte fantasie. Cairo nega ogni legame (dopo il 1995) e rivendica il suo ruolo di self-made man.
Del resto, con il suo gruppo, Cairo Communications, fondato proprio quell’anno, il 1995 (e cresciuto con il tempo), ha costruito un piccolo impero. Può vantare presenze «su ogni mezzo di comunicazione: periodici, giornali, televisioni». E funziona. Almeno a giudicare dai conti del gruppo, i dati parlano: nel 2012 c’è stata una sostanziale tenuta dei ricavi – 309 milioni rispetto ai 316 del 2011 – anche se gli utili sono in calo da 23,4 a 18,8 milioni di euro, con un margine lordo che passa da 39,5 a 31 milioni di euro in un anno. I dividendi distribuiti l’anno scorso sono stati di 30 centesimi, che equivale a un rendimento dell’11 per cento, nonostante in Piazza Affari il titolo abbia ceduto il 20% in un anno. Niente male, soprattutto per una società che vive di pubblicità in un Paese in recessione come l’Italia.
Ma continuando a guardare i numeri, si nota che nel 2012 la raccolta pubblicitaria complessiva, delle concessionarie si è fermata a 230,8 milioni, una flessione del 6,5% rispetto al 31 dicembre 2012. Sul fronte riviste vendute, a Cairo fanno capo 5 dei 10 settimanali più venduti d’Italia, tra cui Dipiù, tutti bestseller da 600mila copie. E allora, almeno a leggere l’ultima presentazione agli analisti questi numeri pemettono di lasciare invariati i prezzi di copertina dei magazine, appunto tra 1 euro e 50 centesimi. La raccolta sulle testate del gruppo, però, scende del 12% a 35,2 milioni di euro, ma batte comunque il mercato pubblicitario (-18,4% sul 2011). Invariata, invece, la raccolta per i canali La7 e La7d, complessivamente in linea con il 2011 (-1,8%), a quota 173,9 milioni.
E allora Cairo si sfrega le mani. È una “patata bollente”, sì. Ma gli va bene. Supera il complesso berlusconiano, mette in pista nuove idee ed esclude, con ironia, l’ingresso di Diego Della Valle nella nuova compagine societaria. «Non credo moltissimo alle cordate, tranne quando si va in montagna», aggiungendo: «Soprattutto per le aziende editoriali e per le società di calcio» in quanto «con troppi soci si rischia di fare passi falsi». E per lui, piemontese di Abazia di Masio, a metà strada tra Alessandria e Asti, è meglio andare sicuri, e con certezza.
Leggi il resto: Cairo, l?omino di carta si è comprato il 3% di Rcs | Linkiesta.it
In mente, un piano industriale (lo presenterà a giugno, al più tardi). Nelle mani, la ex televisione di Telecom: La7. Urbano Cairo, 56 anni, lunedì scorso ha chiuso l’accordo e acquisito le due reti: La7 e La7D. Un affare? “Una patata bollente”, ha detto. Scherzava, ma nemmeno esagerava. Il gruppo – seppure i debiti infragruppo siano stati stralciati per 100 milioni e la società ricapitalizzata per 138 milioni – ha chiuso con un rosso di 241 milioni e un debito di 260. Lui, che l’ha comprata per la cifra simbolica di un milione di euro, non è spaventato: si fida delle sue nuove tv. Ha anche molte idee. Pensa a fare tagli, senz’altro, ma senza toccare il personale. Non è nel suo stile: «Io non ho mai licenziato nessuno», si vanta. Perché cominciare ora?
Dietro di sé, c’è una lunga storia fatta di pubblicità, giornali di carta e di società in declino, rilevate e rimesse in sesto. Una costante, per lui. Vale per il Torino Calcio, sua passione, e vale anche per la casa editrice Giorgio Mondadori, il grimaldello con cui è entrato nel mondo della stampa (da una porta considerata laterale: i giornali di gossip, cucina e consigli per il fitness). Con destrezza, una volta acquisita la società, ha deciso di abbassare il prezzo delle copie (fino a 50 centesimi) e allargare la base. Un’idea che ha funzionato, e adesso Cairo è diventato il primo venditore di settimanali d’Italia. Non poco. Non si sa se farà la stessa operazione anche con La7. Lui assicura di no. Anzi, la linea editoriale, così com’è, gli piace.
Ma prima del Cairo editore, c’è stato il pubblicitario. Formato a Publitalia, dopo essere stato assistente di Berlusconi in persona (accompagnava in macchina Veronica), diventa direttore commerciale e vice direttore generale, fino a venire posto, su volontà del Presidente stesso ai vertici di Arnoldo Mondadori Pubblicità. Sembra che, nella sua rapida carriera, avesse dei nemici: il più acerrimo era Marcello Dell’Utri. Nel 1995 verrà costretto a lasciare l’azienda («Io sono stato licenziato. Mi trovi un intimo di Berlusconi che abbia subito lo stesso trattamento»), ma il suo imprinting rimarrà, almeno nella percezione collettiva, sempre quello. Berlusconiano, o “berluschino”, come viene definito. E se lo sente va su tutte le furie.
Eppure il ritratto, anche se non uguale, somiglia: entrambi nella pubblicità, entrambi nell’editoria, ed entrambi, adesso, in televisione. Ma lui, Cairo, non ci sta (e c’è da credere, nemmeno Berlusconi). Sulla cosa, si spinge perfino a dire: «Gli faccio concorrenza» Rifiuta anche l’idea, avanzata in occasione del suo interessamento a La7, di essere una specie di cavallo di Troia per conto del Cavaliere. Secondo i maligni, attraverso di lui Berlusconi avrebbe acquisito il controllo di un’altra televisione. Tutte fantasie. Cairo nega ogni legame (dopo il 1995) e rivendica il suo ruolo di self-made man.
Del resto, con il suo gruppo, Cairo Communications, fondato proprio quell’anno, il 1995 (e cresciuto con il tempo), ha costruito un piccolo impero. Può vantare presenze «su ogni mezzo di comunicazione: periodici, giornali, televisioni». E funziona. Almeno a giudicare dai conti del gruppo, i dati parlano: nel 2012 c’è stata una sostanziale tenuta dei ricavi – 309 milioni rispetto ai 316 del 2011 – anche se gli utili sono in calo da 23,4 a 18,8 milioni di euro, con un margine lordo che passa da 39,5 a 31 milioni di euro in un anno. I dividendi distribuiti l’anno scorso sono stati di 30 centesimi, che equivale a un rendimento dell’11 per cento, nonostante in Piazza Affari il titolo abbia ceduto il 20% in un anno. Niente male, soprattutto per una società che vive di pubblicità in un Paese in recessione come l’Italia.
Ma continuando a guardare i numeri, si nota che nel 2012 la raccolta pubblicitaria complessiva, delle concessionarie si è fermata a 230,8 milioni, una flessione del 6,5% rispetto al 31 dicembre 2012. Sul fronte riviste vendute, a Cairo fanno capo 5 dei 10 settimanali più venduti d’Italia, tra cui Dipiù, tutti bestseller da 600mila copie. E allora, almeno a leggere l’ultima presentazione agli analisti questi numeri pemettono di lasciare invariati i prezzi di copertina dei magazine, appunto tra 1 euro e 50 centesimi. La raccolta sulle testate del gruppo, però, scende del 12% a 35,2 milioni di euro, ma batte comunque il mercato pubblicitario (-18,4% sul 2011). Invariata, invece, la raccolta per i canali La7 e La7d, complessivamente in linea con il 2011 (-1,8%), a quota 173,9 milioni.
E allora Cairo si sfrega le mani. È una “patata bollente”, sì. Ma gli va bene. Supera il complesso berlusconiano, mette in pista nuove idee ed esclude, con ironia, l’ingresso di Diego Della Valle nella nuova compagine societaria. «Non credo moltissimo alle cordate, tranne quando si va in montagna», aggiungendo: «Soprattutto per le aziende editoriali e per le società di calcio» in quanto «con troppi soci si rischia di fare passi falsi». E per lui, piemontese di Abazia di Masio, a metà strada tra Alessandria e Asti, è meglio andare sicuri, e con certezza.
Leggi il resto: Cairo, l?omino di carta si è comprato il 3% di Rcs | Linkiesta.it