SE SIETE TUTTI D'ACCORDO, PROPORREI DI TORNARE A QUANDO LA MALEDUCAZIONE NON ERA QUALCOSA

La comunicazione è già arrivata nelle caselle mail dei dipendenti - e, pare, pure ai clienti, con l’ultimo estratto conto -

: il prossimo 31 dicembre i correntisti del Banco Popolare, privati cittadini e imprese, si ritroveranno un’una tantum di 25 euro da pagare:

«La manovra si giustifica come parziale recupero dei contributi versati dal Banco Popolare al neo costituito “Fondo Nazionale di Risoluzione”.
Contributi che, per il quarto gruppo bancario italiano, sono quantificati in 152,1 milioni di euro per l’anno 2015.
I correntisti si ritroveranno questa “tassa” sotto la voce ”Spese fisse di liquidazione”.
 
La comunicazione è già arrivata nelle caselle mail dei dipendenti - e, pare, pure ai clienti, con l’ultimo estratto conto -

: il prossimo 31 dicembre i correntisti del Banco Popolare, privati cittadini e imprese, si ritroveranno un’una tantum di 25 euro da pagare:

«La manovra si giustifica come parziale recupero dei contributi versati dal Banco Popolare al neo costituito “Fondo Nazionale di Risoluzione”.
Contributi che, per il quarto gruppo bancario italiano, sono quantificati in 152,1 milioni di euro per l’anno 2015.
I correntisti si ritroveranno questa “tassa” sotto la voce ”Spese fisse di liquidazione”.
in germania e svizzera alcune banche hanno già messo da luglio gli interessi negativi sulle giacenze conto (mi pare - 0,25%)
 
Relativamente a UniCredit, cambiano le motivazioni e la forma, ma non la sostanza.
Sull’ultimo estratto conto di MyGenius del 31 marzo 2016, conto base dell’istituto di credito di piazza Gae Aulenti - a canone zero,
«che ti offre l’essenziale per gestire il tuo denaro» - si legge che «alcuni interventi legislativi e/o regolamentari nonché impegni imposti da Autorità (…)
hanno determinato dei costi e minori ricavi per la Banca, che costituiscono giustificato motivo per un aumento (…)
del Canone Mensile Relativo ai Moduli Transazionali».
Pertanto, con decorrenza 1 luglio 2016 (…) si intenderanno applicate nella nuova misura indicata in corrispondenza»
un canone mensile rispettivamente di 5, 7 e 12 euro aggiuntive, a seconda che il conto sia Silver, Gold o Platinum.


Curioso è il fatto che sul sito internet di UniCredit questo sovrapprezzo sia motivato da servizi aggiuntivi -
col conto Silver UniCredito offre un libretto di assegni,
col conto Gold una carta di credito -

e non, invece, dall’entrata in vigore del Facta, dall’aumento dell’Iva e dall’accordo per la costituzione di un fondo per la risoluzione delle crisi bancarie,
come invece si legge sull’estratto conto.
 
Ubi invece ha adottato una strategia ancora diversa.
Come si legge in un articolo del 30 luglio 2016 uscito sul Sole24Ore, la banca bresciana ha proposto a un suo correntista
un aumento del costo di gestione del suo conto corrente da 40 a 64 euro.

Un +60%, con decorrenza primo ottobre, motivato dall’ aumento «delle spese sostenuto dal gruppo Ubi
per il Fondo di garanzia dei depositi e gli oneri sostenuti dal gruppo creditizio per il finanziamento del Fondo nazionale di risoluzione».

Anche in questo caso, il gruppo precisa di essersi attenuto alle indicazioni dell’Arbitro Bancario Finanziario,
secondo cui «il giustificato motivo è l’unica condizione sostanziale (…) affinché possa essere modificato unilateralmente
un negozio giuridico in regolare svolgimento». Tutto in punta di diritto, quindi.
 
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Siria, 26 settembre. In rosso il regime di Assad, in verde chiaro i ribelli, in giallo i curdi, in grigio l’Isis,
in blu Israele (alture del Golan occupate), in grigio-verde la Turchia coi suoi ribelli a nord di Aleppo
 
Mosca, Damasco e soprattutto Teheran puntano ad avere il controllo pieno sulla fascia costiera della Siria, sulle principali città (Damasco e Aleppo)
e sulle aree più ricche, per poter affrontare un eventuale negoziato da posizioni di forza.
Se il Paese si avviasse verso una scissione, ad Assad resterebbe in mano la parte più strategica (cosa che interessa soprattutto ai russi, che qui hanno installato le proprie basi)
e quella popolata da alawiti (cosa che interessa soprattutto agli iraniani, che con l’Arabia Saudita stanno combattendo una guerra per l’egemonia sul mondo islamico
sfruttando le fratture intra-religiose che attraversano la regione).

Non solo. Se il nuovo presidente americano arrivasse ad occuparsi di Siria con il capitolo di Aleppo oramai chiuso,
lo sforzo che è facile immaginare verrà messo in campo contro lo Stato Islamico (organizzazione terroristica sunnita)
si tradurrebbe quasi inevitabilmente in un aiuto indiretto ad Assad e all’asse sciita capeggiato da Teheran,
senza un’equivalente possibilità di indebolirlo (magari appunto armando e finanziando i ribelli siriani sunniti nell’area di Aleppo).

Questo creerebbe probabilmente delle tensioni tra Casa Bianca e Arabia Saudita.
Inoltre il neo-presidente americano, se volesse pianificare un attacco su Raqqa (la capitale siriana dell’Isis),
dovrebbe anche risolvere il rompicapo della questione curdo-turca: l’unica forza di fanteria dimostratasi efficace contro l’Isis sono i curdi
(i ribelli filo-turchi, anche quando fortemente supportati da Ankara, continuano a dimostrarsi poco affidabili),
ma Washington non può sperare di convincere i curdi a sacrificarsi per Raqqa (città estranea ai territori tradizionalmente curdi) senza promettere loro in cambio qualcosa.
Quel qualcosa è quasi certamente l’unità del Rojava (il Kurdistan siriano), la sua autonomia se non la sua indipendenza.

Ma questo è un esito indigeribile per la Turchia, con gli Usa sono già ai ferri corti dopo il fallito golpe di luglio scorso.
Togliendo Aleppo dal tavolo, Mosca, Teheran e Damasco limiterebbero dunque lo spazio di manovra del futuro presidente americano,
e lo costringerebbero a concentrarsi sulla partita più ingarbugliata dell’intero scacchiere (il triangolo appunto isis-curdi-Turchia) senza lasciare grossi spazi per eventuali compensazioni.
Di qui l’urgenza di vincere in fretta la resistenza degli assediati. E in guerra l’urgenza fa sempre rima con violenza.
 

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