SE SIETE TUTTI D'ACCORDO, PROPORREI DI TORNARE A QUANDO LA MALEDUCAZIONE NON ERA QUALCOSA

Votateli ancora questi inetti ......

Dal 22 febbraio 2014 – giorno del passaggio della campanella tra Enrico Letta e Renzi – a oggi,
sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale 258 provvedimenti legislativi.

Di questi, il 56,6% (146) sono “auto-applicativi” e, dunque, sono validi sin da subito.
Ma i restanti 112 provvedimenti, affinché diventino realtà, necessitano di un decreto attuativo varato direttamente dal governo.

Ma attenzione: i 112 provvedimenti, per quanto denunciato direttamente dall’Ufficio per il programma di Governo, rinviano a un totale di 888 decreti attuativi.
Un salasso incredibile. A questo punto la domanda: a quanto ammontano i provvedimenti approvati? Impossibile saperlo.

Se prima i report, infatti, distinguevano quanti decreti dovessero essere ancora approvati e quanti erano stati già approvati, ora questa parte è stata stralciata.
Chissà perché. Nessun problema: Linkiesta ha calcolato i numeri per Palazzo Chigi, contando tutti i decreti attuati fino ad ora da febbraio 2014:

sono 436 (83 nel 2014, 151 nel 2015, 202 nel 2016). Ergo: mancano all’appello ben 452 decreti.
 
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Eppure, appena insediato, Matteo Renzi sulla questione del forte arretrato dei decreti attuativi,
aveva pesantemente attaccato i suoi predecessori, Mario Monti ed Enrico Letta.

Peccato che l’arretrato dei due ex premier ancora sia da smaltire.
Se infatti il 22 febbraio 2014 Monti e Letta avevano “lasciato” a Renzi la bellezza di 889 decreti da attuare,
a oggi ne restano da varare ancora 169, 65 risalenti al governo Monti e 104 al governo Letta.

E arriviamo al fatidico numero iniziale: l’attuale esecutivo deve adottare ancora la bellezza di 621 decreti (169 + 452).

Non male per chi denunciava l’inefficienza dei suoi predecessori e prometteva tanti fatti e poche parole.
Ed ecco allora che all’appello mancano diversi provvedimenti che rendono le leggi, seppur approvate, di fatto inapplicate.
 
Però, certo, alcuni passi in avanti sono stati fatti.
Il 10 agosto, per dire, il consiglio dei ministri ha varato importanti decreti,
come quello che fissa i parametri per la determinazione del compenso del professionista in ambito sanitario, nel caso di liquidazione.

La norma era contenuta nel “Cresci Italia” di Mario Monti. Era il 24 marzo 2012 quando è stata pubblicata in Gazzetta.
 
Che cosa ci dice un Sindaco (una Sindaca?) che liquida in un minuto e venti secondi il suo più atteso intervento in aula,
quello in cui avrebbe dovuto presentare al Consiglio la linea che sta seguendo per completare la Giunta capitolina dopo cento giorni di casino?

Che cosa ci dice Virginia Raggi quando con otto parole - «Io e la Giunta stiamo valutando i curriculum»
apre e chiude la questione del cruciale assessorato al Bilancio ancora vacante?

Ci dice, innanzitutto, che vuol tenere coperte le carte, e che riduce al minimo sostantivi e verbi perché meno si parla e meglio è, meno si comunica e più si sta tranquilli.

È il de profundis della trasparenza, core business del M5S fino alla vittoria romana,
ed è un fallimento che – salvo guizzi in extremis – avrà gli effetti di un'onda lunga.

La trasparenza è uno stile, una linea di condotta. Ce l'hai o non ce l'hai, da subito.
 
Cento giorni, ad esempio, sarebbero stati sufficienti per riordinare almeno in parte il sito della comunicazione istituzionale del Comune di Roma,
un labirinto di architetture burocratiche illeggibili dove rintracciare una delibera è una partita a scacchi.

Cento giorni sarebbero stati abbastanza per mettere online il misteriosissimo Repertorio delle determinazioni dirigenziali del Comune e dei Municipi,
dove è annotata ogni singola azione della pubblica amministrazione: una specie di Santo Graal delle primenote,
inaccessibile a chiunque ma che sarebbe utilissimo per sapere cosa fanno gli Uffici, in quali tempi e a quali costi.

Cento giorni bastavano e avanzavano per dare un imprinting nuovo ai rapporti dell'amministrazione con i cittadini,
costruendolo su relazioni dettagliate, onesta esposizione delle difficoltà,
giacché è evidente a tutti che se si sta fermi problemi ci sono, anche se nessuno ha capito esattamente quali.
 
Avrai senz'altro ragione, ma non ho conto genius e l'articolo non lo precisa,
o meglio , lo indica così - magari erroneamente -

Pertanto, con decorrenza 1 luglio 2016 (…) si intenderanno applicate nella nuova misura indicata in corrispondenza» un canone mensile rispettivamente di 5, 7 e 12 euro aggiuntive, a seconda che il conto sia Silver, Gold o Platinum.
 
Dopo la sua estromissione, a Bianca era stata, infatti, affidata la conduzione di un talk show televisivo che sulla carta dovrebbe andare in onda dal prossimo 26 ottobre.

Da allora in molti stanno mettendo i bastoni tra le ruote dell'ex direttrice: prima c'è stato un notevole ritardo a dare il via libera (il placet è arrivato solo venerdì scorso), poi tanti intoppi su regista, tecnici e studio.
C'è stato pure un divorzio tra la Berlinguer e Santoro ma il vertice Rai non c'entra.
Resta il fatto che i tanti freni sono sembrati quasi voluti: un modo come un altro per fare slittare l'avvio del programma, magari a dopo il referendum.
Sto esagerando? Può darsi: certo è che ho posto il problema nel consiglio d'amministrazione Rai di ieri. Silenzio assoluto.

Il problema è che, al di là della stessa Berlinguer che - onore al merito - difende la trasparenza del suo programma,
sembra quasi che il servizio pubblico stia, in modo quasi masochistico, abdicando al suo ruolo sul fronte dell'informazione e del pluralismo a favore di altre emittenti televisive,
in particolare della 7: se un tempo c'era la lottizzazione della Rai, adesso c'è l'informazione a senso unico alla faccia degli ascolti.

L'ultima conferma è proprio dell'altra sera, una nuova pietra miliare di Rai flop.
L'informazione del martedì, il giorno della settimana da sempre dedicato ai talk show, è diventata un de profundis per il cavallo morente.

L'ultima puntata su Rai3 di Politics di Fabio Semprini (quello dell'assunzione antisindacale) non ha superato l'audience del 2,7%,
davvero un livello molto basso (cosa avrebbero detto se al vertice ci fosse ancora stata la Berlinguer...)

mentre Floris, un profugo di Raitre così come Giannini che oggi l'affianca, ha toccato sulla tv di Cairo il 6,8%,
più del doppio di Semprini grazie anche alla presenza di Massimo D'Alema schierato per il «No».
 

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