SI DECiDE IN FRETTA DI ESSERE AMICI,MA L'AMICIZIA E'UN FRUTTO CHE MATURA LENTAMENTE..

comincia a piovere più forte . Aprite l'ombrello
 

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:lol::lol::lol: ma chi quazzo paga??? :-? sempre noi alla fine che quazzo ridete :wall::wall::D


eh..ridiamo ridiamo che mamma ha fatto i gnocchi........


approposito di pagare...c'è uno che mi deve dei soldi...ma guarda.....tutto d'un tratto non ha immobili intestati e per trovare un conto corrente devo chiedere favori perchè se nò si viola la privacy......ma.....se faccio causa.......senza avere individuato il conto su cui far leva fà sparire pure i soldi immagino........:wall:
 
non farti spaventare dalla vola...prendi XBRMIB...
lo sai meglio di me che a 11.000 pt per fine anno li vediamo...

x gianny (codardo): hai chiuso in gain la posizione flat?:D





Anche se ci metti il faccione che ride e nonostante tu dica che provochi gOLLYardicamente,usi dei termini e dei modi molto del cazzzo.I codardi sono quelli che scappano alle prime difficoltà,te lo ricordo!
 
ATENE (Reuters) - Il primo ministro greco George Papandreou affronta oggi un voto di fiducia sul filo del rasoio dopo la marcia indietro sulla proposta di referendum per il piano di salvataggio, che si suppone possa salvare sia la Grecia che la zona euro dal disastro.
Ma anche se il suo governo socialista superasse la prova del voto in Parlamento, Papandreou sembra avere i giorni contati come leader greco; secondo fonti governative, il premier avrebbe concordato con il proprio governo le dimissioni dopo aver trattato per una coalizione con l'opposizione.
La maggior parte dei leader greci ed europei hanno avuto reazioni di forte stupore dopo che lunedì scorso Papandreou, in modo del tutto inaspettato, ha annunciato che avrebbe sottoposto il piano di salvataggio da 130 miliardi di euro al voto dei greci.
Papandreou, almeno in pubblico, avrebbe respinto le richieste dell'opposizione di aprire la strada a un governo di transizione con due compiti: far passare il salvataggio in Parlamento evitando il referendum e convocare le elezioni.
Tuttavia secondo gli analisti il premier greco potrebbe non avere molto altro tempo per cimentarsi in queste battaglie.
"La posizione del primo ministro è molto difficile, dal momento in cui ha deciso di non rispondere alla proposta dell'opposizione di una coalizione per un governo di transizione. Credo sia improbabile che riesca a superare il voto", ha detto Costas Panagopoulos, capo della società di sondaggi Alco.
Dopo le politiche di austerity richieste dagli interlocutori internazionali che hanno erogato i prestiti, Papandreou si è fatto seguire dal gruppo del Pasok, nonostante molti malumori interni al partito.
Tuttavia una serie di defezioni ha assottigliato la sua maggioranza al punto che uno o due "disertori" potrebbero essere sufficienti a infliggergli una sconfitta nel voto di oggi, atteso a tarda sera, verso le 23 italiane.
Il Pasok conta 152 deputati in un Parlamento da 300 membri.
-- Sul sito Reuters.com le altre notizie Reuters in italiano. Le top news anche su Reuters Italia (@reuters_italia) su Twitter
 
Se anche Papandreou fosse costretto a lasciare, l'Italia resterebbe l'unico tra i Paesi a rischio a conservare il primo ministro di prima: Portogallo e Irlanda hanno infatti già cambiato governo e la Spagna sta per farlo. Sembra però ogni ora più impossibile che questa anomalia italiana sopravviva. Il premier ha assicurato ieri al G20 che il nostro debito pubblico è coperto dalla ricchezza privata. Ma i governi possono esaurire il loro capitale politico ben prima di esaurire i capitali e i patrimoni da tassare.

L'era Berlusconi sta dunque chiudendosi nel peggiore dei modi. Per un governo di centrodestra, infatti, perdere la fiducia dei mercati finanziari è il colmo, la misura di un fallimento. Resta da vedere chi saprà riconquistarla. L'impressione è che quegli stessi mercati se lo stiano già chiedendo; e, a giudicare dallo spread, senza risposta.

Tutto ruota intorno alla sinistra, intendendo per essa l'alleanza di Vasto, con il Pd al centro e Di Pietro e Vendola alle ali. Questa coalizione oggi dispone, secondo i sondaggi, del maggior numero di consensi in caso di elezioni. E la sua forza parlamentare sarebbe decisiva anche in caso di un governo d'emergenza. La domanda è: ci si può contare per un programma da lacrime e sangue, del genere che ci viene richiesto?

Già porsi questo interrogativo, che non a caso ha rivolto anche il capo dello Stato a Bersani, segnala l'esistenza di un problema. Se infatti il centrodestra italiano è così anomalo da aver spaventato i mercati, il centrosinistra, fin dai tempi del primo Prodi e del suo professore Andreatta, è stato sempre anomalo nel senso opposto, avendo privilegiato il rigore e l'austerità. Oggi non è più così. Quando Di Pietro definisce la lettera della Bce «macelleria sociale» e i «giovani turchi» della segreteria Bersani vorrebbero restituirla al mittente, c'è da dubitare del sostegno reale che questi partiti potrebbero dare a un governo di salute pubblica, quand'anche il nome del suo premier fosse da solo un programma. Ma c'è di più: un sentimento nuovo, che s'è diffuso nella cultura di questa parte politica, e che è ormai espresso con sempre maggior chiarezza dai suoi polemisti e maître à penser.

Questo nuovo senso comune, forse eccitato dal riapparire di un movimento di protesta anticapitalista globale, pretende di mettere in opposizione democrazia e mercato. Sostiene che se si obbedisce al mercato si disobbedisce inevitabilmente al popolo. Dimenticando che ogni democrazia, persino quella greca, può liberamente mandare a quel paese anche l'euro, purché ne accetti le conseguenze. I cosiddetti mercati non impongono nulla all'Italia: è l'Italia che con una certa frequenza va a chiedere loro i soldi per tenere in piedi lo Stato, compreso quello sociale. Il nuovo mood «indignato» che seduce la sinistra applaude i mercati se bocciano Berlusconi, ma li demonizza se ci chiedono sacrifici. Intima anzi di rinnegare le esperienze sprezzantemente definite «riformiste» di Clinton e Blair, perché troppo cedevoli ai mercati.

La crisi, insomma, ha cambiato anche la sinistra. Altre volte, nel corso di questa tormentata seconda repubblica, si sapeva con che cosa si sostituiva Berlusconi. Stavolta si ha l'impressione di avventurarsi in una terra sconosciuta. E anche se il cammino è obbligato, perché dietro di noi è rimasto solo il deserto, ciò non di meno bisogna riconoscere che, per ora, stiamo camminando al buio (nota wsi: ma non del tutto).
 
l'informazione accultura....speriamo siano pure informazioni vere.....


Qualcuno si divertirà pure a collezionare le celebri gaffes. Ma dopo diciassette anni di vertici internazionali, Silvio Berlusconi conosce le liturgie forse meglio di qualunque altro leader: non è tipo da dimenticarsi di ringraziare qualcuno con cui intenda restare in buoni rapporti. Eppure quando ieri alla colazione dei leader del G20 a Cannes il premier è passato alle formule di cortesia, più d'uno in sala ha drizzato le antenne. Perché Berlusconi ha ringraziato il Fondo monetario internazionale, guidato da Christine Lagarde.

Possibile? Formalmente l'Fmi non ha (ancora) fatto niente per l'Italia, ma la giornata di ieri sull'asse fra Roma e l'organismo di Washington è stata lunga e sofferta. Poco importa: il premier ha espresso riconoscenza alla signora Lagarde «per l'aiuto offerto». E stavolta la spiegazione di tutta questa cortesia non va cercata solo nella padronanza dei riti da vertice del veterano Berlusconi. Dev'esserci qualcos'altro, di più concreto.

Anzi c'è qualcos'altro: la possibilità, prospettata ieri al presidente del Consiglio, di accedere in tempi brevi a una linea di credito del Fmi da 44 miliardi di euro. L'Italia dopo varie riflessioni avrebbe declinato, almeno in parte. A fine giornata, molto tardi, l'accordo che stava emergendo era un compromesso: il governo di Roma non ha richiesto alcun sostegno finanziario al Fondo monetario, ma avrebbe accettato una «sorveglianza rafforzata» che i tecnici di Lagarde chiamano «monitoring and reporting».

Quest'ultimo è il primo gradino dei passaggi del Fmi quando un Paese entra nei suoi programmi di assistenza. Tutto, o molto, dev'essere iniziato ieri mattina a Cannes quando Berlusconi si è chiuso in una stanza con Lagarde, i leader di Francia e Germania Nicolas Sarkozy e Angela Merkel e i leader comunitari Herman Van Rompuy e José Manuel Barroso. Con il premier c'era anche il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. E lì che le pressioni sulla delegazione italiana devono essere salite, anche se nel gruppo arrivato da Roma nessuno è rimasto poi troppo sorpreso.

Tutti sanno infatti che il Fondo monetario internazionale dispone di uno «strumento» che i tecnici di Washington chiamano «precautionary credit line», linea di credito precauzionale. Si tratta di una somma che, «a prevenzione di una crisi», l'Fmi mette a disposizione di un Paese che presenta delle «vulnerabilità»: a priori il governo interessato può benissimo non toccare quel denaro, ma i soldi stanno lì pronti in qualunque momento in caso di bisogno.

Questa linea di credito può arrivare a cinque volte la quota di un Paese presso l'Fmi stesso per i primi mesi, poi può salire fino a dieci volte la quota se c'è «progresso soddisfacente nel ridurre le vulnerabilità». Sulla base di questi calcoli Christine Lagarde ha messo a disposizione dell'Italia 44 miliardi di euro subito e potenzialmente il doppio tra un anno, tutti crediti rinnovabili per un biennio. In contropartita il Fondo vorrebbe verificare che il Paese stia affrontando sul serio le proprie «vulnerabilità»: le riforme che l'Italia ha sempre rinviato, quelle di cui parla l'ormai lungo carteggio scambiato negli ultimi mesi sul triangolo Roma-Francoforte-Bruxelles.

Le discussioni si sono svolte su vari aspetti. Fatto sta che ieri nel primo pomeriggio il portavoce del Fmi, David Hawley, ha dichiarato che presso l'organismo di Washington «non c'è nessuna richiesta di finanziamento da parte dell'Italia». E infatti presto per concludere che l'Italia e l'Fmi si metteranno d'accordo sulla linea di credito. Roma non ci sta, anche perché una richiesta formale di aiuto di questo tipo sarebbe un evento tristemente storico: è dai tempi del primo choc petrolifero che l'Italia non deve presentarsi al Fondo in cerca di un prestito per poter andare avanti.

Quelli erano altri tempi, ma anche adesso i negoziatori italiani hanno dovuto prendere l'offerta di Christine Lagarde estremamente sul serio. Da principio, ieri alcuni avevano persino interpretato il ringraziamento pubblico di Berlusconi all'Fmi come un assenso a muovere il passo formale di chiedere sostegno. Il Tesoro infatti potrebbe ormai non avere molte altre possibilità di sostegno: disporre di quella linea di credito subito, per il governo, significherebbe non dover affrontare ciascuna delle prossime aste di collocamento dei Btp con l'ansia di un flop.

Il 14 novembre l'Italia deve collocare oltre dieci miliardi di titoli fra scadenze a cinque e a dieci anni, ma nelle condizioni attuali ha di fatto perso accesso al mercato. Nel primo trimestre dell'anno prossimo poi l'Italia dovrà rinnovare circa 91 miliardi di euro solo di Btp in scadenza. Molto operatori ripetono che gli unici acquisti di carta italiana in queste ore vengono esclusivamente dalla Bce. Un'ulteriore rete di sicurezza, oltre quella del sistema europeo di salvataggi e agli acquisti della Banca centrale europea, potrebbe rivelarsi preziosa.

Ma l'aiuto del Fondo non è gratis in termini politici: al contrario, hanno concluso alcune delle maggiori autorità in Italia, esso porterebbe con sé un costo elevato. I Paesi che devono chiedere soccorso all'Fmi, anche nella forma «leggera» di una linea precauzionale, subiscono un marchio che viene considerato un'umiliazione internazionale. Inoltre, il governo dovrebbe finire per rendere conto in modo vincolante a un numero crescente di istituzioni esterne al Paese: al Consiglio europeo per gli eventuali aiuti del fondo salvataggi, alla Bce per gli interventi sui Btp, e infine a Lagarde per la linea di credito da 44 miliardi. Troppi arbitri, troppo alto il prezzo politico delle difficoltà sul debito. Davanti alle pressioni esercitate a Cannes, il compromesso di ieri prevede dunque solo una «sorveglianza rafforzata» dell'Fmi: essa stessa un ingranaggio piuttosto stringente. Per il futuro si vedrà, in base alla capacità del Paese di reagire all'emergenza e di finanziarsi sul mercato.
 
A remengo anche Papandreou:eek:


Non so "che cosa vorrei", ma so "di che cosa ho bisogno".:V:V





L'affascinante modella dell'Est, Beatrice Chirita, misure perfette 90-60-90:up:

Non mi chiedete il numero di telefono perchè non lo conosco
:fiu:

I parlamentari francesi e inglesi guadagnano un quarto di quelli italiani. È uno scandalo. Come riescono ad arrivare a fine mese?
 
Ultima modifica:
Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, annuncia querela contro il settimanale L'Espresso. ''Mi viene segnalata un'anticipazione del settimanale L'Espresso in edicola domani - dichiara Tremonti in una nota - Vi si rileverebbe un mio ''segreto''!

Quale segreto? Molti anni fa il gruppo Repubblica-Espresso, per la pubblicazione di quegli stessi ''segreti'', e' stato condannato a pagarmi per danni circa 120 milione di lire. Conservo incorniciate le copie dei due assegni ricevuti, impreziosite dalla firma del dottor Eugenio Scalfari, direttore pro-tempore. La cifra e' stata da me devoluta in beneficienza''.

''In ogni caso - prosegue - le ''notizie'' di ''archivio'' (di quale ''archivio''?) pubblicate oggi risalgono piu' o meno a due decenni fa. Nessun illecito amministrativo, fiscale, penale. L'archiviazione, da parte della procura della Repubblica di Milano, fu disposta al termine di un'inchiesta molto seria e molto accurata. Ho conosciuto il colonnello Milanese nel febbraio 2002, in ragione del suo servizio come ufficiale addetto al Gabinetto del Ministro dell'Economia e delle Finanze. Avendo fermamente piena fiducia nella giustizia, nella causa che sto per avviare contro il Gruppo Repubblica-Espresso, sono certo di avere fortuna uguale a quella che ho avuto tanti anni fa. Sempre con l'idea di devoluzione in beneficienza del dovuto''.
 

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